ERBA
Aspirò
profondamente. Il fumo rovente le grattò la gola e scese a scaldarle i polmoni.
Guardò
il cielo che già si stava ripiegando su di lei al secondo tiro.
Era
un pomeriggio afoso e grigio. Presto sarebbe arrivato un temporale con i
fiocchi.
L’aria era carica di quell’elettricità e quella calma piatta di certi temporali
estivi.
Non c’era nessuno in giro, ma si erano comunque andate a nascondere ai campi di
calcio, lontane da occhi indiscreti e da Sedute sulle gradinate di cemento
scrutavano il cielo pesante di nuvole.
L’umidità
opprimeva i polmoni.
O
forse era il fumo.
Socchiuse
gli occhi e riportò il filtro alle labbra.
La
canna non tirava. Si accorse che era spenta.
«Passami
l’accendino Em» disse senza guardarla.
Em,
con gli occhi arrossati e le pupille dilatate obbedì con la sua abituale
flemma.
Amelia
portò il purino alla bocca e, riparando la fiamma dal vento, lo accese di
nuovo.
Il
mondo iniziò a rallentare al terzo tiro.
Si
rendeva conto di non reggere veramente un cazzo, ma ciò le permetteva di
sballarsi molto più in fretta e con molta meno droga.
Le
scappò da ridere insensatamente passando la canna a Emma. «Questo farebbe di
noi delle drogate?» Domandò con estrema fatica.
Emma,
seduta a fianco a lei, sghignazzò «Tecnicamente sì» davvero? «Ma c’è di peggio,
non è proprio droga…»
Sì,
infatti. Come potevi chiamarla “droga”? Non era certo LSD o crack. Era solo
Marjuana.
Era anche vero che Emma
frequentava solo spacciatori e dipendenti da eroina. E che il suo concetto di
moralità era quanto di più relativo potesse esistere.
La guardò mentre aspirava.
Le voleva bene. Con tutti i suoi difetti.
C’era stata sempre in quegli ultimi mesi. Mesi allo sbando. Mesi in un brutto
giro.
Emma la guardò ridacchiando sotto la frangetta nera. I capelli lunghi le
cadevano sulle spalle minutissime. La osservava con gli occhietti castani dal
basso del suo metro e cinquanta.
Che in fin dei conti Amelia era alta solo dodici centimetri in più di lei.
Non che dodici centimetri siano pochi. Bè… dipende da cosa si parla.
«è buona» disse Em.
Amelia la guardò. Em le tendeva la canna con la manina minuscola. Le unghie
smaltate di nero e la maglietta con un enorme teschio stampato sopra le davano
un’aria dark, forse un po’ troppo stile teenager. Nonostante i suoi vent’anni
ne dimostrava sedici e probabilmente teschi e minigonne vertiginose erano un
modo come un altro per cercare di sembrare più grande.
I minuscoli occhi castani erano truccati pesantemente di nero.
Era Emma che aveva insegnato ad Amelia come usare l’eyeliner. Ora una riga
perfetta le risaltava la palpebra ridisegnando il contorno dell’occhio come
quello di una maschera veneziana.
Erano fatte così.
Sovvertivano le regole.
Scandalizzavano i paesani bigotti.
E fumavano guardando le nuvole all’orizzonte e sentendo l’umidità pressante
dell’aria.
Amelia tese la mano verso Emma. Fece un po’ troppa fatica a richiudere le dita
esattamente attorno al filtro.
Finalmente la portò alle labbra e aspirò. Di nuovo il fumo le scorse in gola
come un fiume di lava incandescente.
Gettò la testa all’indietro trattenendo il respiro per un attimo.
Era tutto privo di significato.
L’università che non la entusiasmava. La famiglia che la disprezzava. Perfino i
suoi stupidi amici, se così potevano chiamarsi.
Amelia non aveva amici e la cosa non la toccava minimamente. L’amicizia per lei
non era altro che un bersaglio disegnato sulla schiena pronto per essere
colpito nel centro.
Espirò.
Un vortice azzurrognolo le uscì dalla bocca semiaperta.
«che botta» mormorò sorridendo.
«Stai male?» domandò Em preoccupata, facendo per togliergli la canna dalle
mani.
«No no!» esclamò Amelia affrettandosi a ricomporsi «Mi piace…».
«Bè tesoro…» disse Em con un sorriso rilassato e soddisfatto sulle labbra
morbide «ora che hai imparato le basi possiamo finalmente partire per Amsterdam».
Amelia piegò un angolo delle labbra in una smorfia che le era abituale «Se
andiamo ad Amsterdam da sole, finisce malissimo».
Emma scoppiò a ridere tenendosi una mano sullo stomaco e una davanti alla
bocca. «Ci raccolgono con una pala in un cassonetto».
Anche Amelia scoppiò a ridere, molto meno elegantemente, con la bocca
spalancata e il naso arricciato «Ci trovano collassate in un coffe shop!» strillò
«Scusi lei!» disse con la voce in falsetto a imitazione di un ipotetico
individuo «Potrebbe gentilmente vomitare fuori?».
Scoppiarono a ridere.
Stava ancora ridacchiando quando aspirò nuovamente. Questa volta fu come un
colpo in mezzo alla fronte. La lasciò tramortita mentre la passava
faticosamente a Emma.
Una volta un tizio di nome Elf… Bè non si chiamava esattamente Elf, ma era
certa che tutti lo chiamassero così. Comunque questo tizio, un tipo alto un
metro e cinquanta volendo essere generosi, dal fisico scheletrico di chi si
distrugge di droga e i capelli sparati in aria in un’acconciatura improbabile,
in piena fattanza le aveva detto che pensava che la marjuana aiutasse le
persone a essere più sincere sia con i propri amici sia con se stessi. A suo
dire fumare serviva a dare la giusta misura a tutto, perché quando fumi non t’importa
più un cazzo di niente. Perché, baby, questa società ci fa credere che le cose
importanti siano inutili e che quelle superficiali sembrino importanti. Quando
sei fatto, tutto è diverso, baby… si prende la giusta distanza dai problemi.
Amelia gli aveva riso in faccia al tempo. Era uno scricciolo di uomo, un nerd
sfigato e strafatto, nudo come un verme nelle sue lenzuola subito dopo un
orgasmo. Il tipico sfattone che ha fatto dell’erba la sua religione.
Ma ora, con quella pace, con quel temporale imminente e l’odore di pioggia già
nell’aria, col fumo nella testa e il cervello nell’utero, che senso avevano le
chiacchiere della gente? Che valore aveva un voto a un esame? Che cosa
significava una litigata con i genitori?
Niente.
Niente contava più niente.
Non i tre ragazzi che aspettavano solo un suo imminente messaggio per venire da
lei con le mutande buone e una scatola di preservativi. Non sua mamma che
continuava a strillare che era troppo scontrosa, troppo disordinata, troppo
poco impegnata nel sociale e nello studio. Non suo padre che la guardava
schifato e faceva di tutto per rovinarle la vita. Non il prezzo della benzina.
Non i vestiti che non poteva permettersi. Non quelle stupide oche che
giudicavano i suoi tacchi da dieci euro acquistati dai cinesi dietro l’angolo.
Niente valeva la pena di essere considerato.
Erano solo sciocchezze, inezie, cose di poco conto.
Aprì gli occhi.
Poteva essere passato un minuto come un’ora.
Com’era che a ‘sto giro le era venuta la botta silenziosa?
«Chi arrizza appizza e ammazza» dichiarò Emma passandole la canna per gli
ultimi due tiri.
Amelia, strafatta, portò alle labbra il filtro e aspirò. «C’è salita
silenziosa»
Disse dopo l’enorme fatica di formulare in parole sensate quel pensiero che le
frullava in testa. Dopo quelle parole sbuffò il fumo profumato dalle labbra
rosse.
«Già» convenne Em «Stavo pensando che voglio un uomo nuovo» disse con gli occhi
chiusi. S’infilò un auricolare in un orecchio e passò l’altro ad Amy «Andrea mi sta stufando, Ivan non mi considera. Ho
bisogno di un uomo che mi veneri come Andrea e mi scopi come Ivan».
Amelia annuì «Con J come va?» domandò.
Emma accese la musica, mantenendo un volume basso in modo che potessero parlare
«credo che non abbia capito che io voglio solo fare sesso…».
«Penso anch’io»
La musica nelle orecchie, per quanto calma e rilassante, sembrava un
controsenso in quel pomeriggio così piatto.
Sembrava che non esistesse più niente al mondo.
Gli uomini erano tutti morti e le città distrutte.
I pochi sopravvissuti potevano solo aspettare.
Cosa?
Godot.
O il temporale.
Che importanza aveva?
«Emma» disse Amelia. Gli occhi chiari erano tremendamente arrossati. Le pupille
tanto dilatate da coprire quasi completamente le iridi verdi. I capelli castani
lunghi fino alla schiena abbronzata. «Voglio piantare Roffo e compagnia bella.
Tutti.» disse con lo sguardo fermo sulla sua amica. Piccola, minuscola, bella
rannicchiata sulle gradinate con l’iPod in mano.
«Anche Tia? E Mark? E Dave?» domandò l’amica sgranando gli occhi. In effetti
erano dei gran bocconcini. Di quei colpi che si fanno raramente.
Em non la avrebbe capita, per la prima volta da quando si vedevano. Avrebbe
fatto una smorfietta sul viso da bambina. Si sarebbe stretta nelle spalle da
bambina. Avrebbe aggrottato le sopracciglia graziose e le avrebbe detto quello
che si sarebbe detta da sola solo pochi giorni dopo: “Sono gli ormoni. Poi ti
passa. Al prossimo ciclo sarà di nuovo tutto uguale”.
Che, in effetti, era pura verità.
Ma in quel momento Amelia non voleva tutti quegli uomini.
Anzi, per la prima volta da quando aveva iniziato a condurre quello stile di
vita, provava schifo per se stessa.
«Mi sa che mi sono affezionata a qualcuno…».
Disse guardando ancora una volta quel cielo così carico e così pronto a
esplodere ma che ancora restava immobile se non per qualche tuono. «Non voglio nessun
altro»
Fece l’ultimo tiro, caldo e rassicurante come i precedenti.
«Mi sa che questa vita non fa più per me»
Gettò a terra il filtro.