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Autore: pierluu    10/08/2011    0 recensioni
Mhh, si, una storia inventata. Non so davvero come introdurla... Beh, l'io a cui non ho ancora trovato un nome è un "io" generico. So che può suonare astratto e adolescenziale, ma questa è la storia della sua fuga. Della sua ricerca di aria pulita di nuovo dopo la soffocante aria che si respira nella sua famiglia. Spero che sia quantomeno interessante D:
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai, rimettendo in moto il meccanismo scomposto del mio cervello. Era mattina inoltrata e la mia ragazza dormiva ancora profondamente accanto a me. La svegliai con un bacio, e le dissi che stavo andando.
Mi chiusi dietro la porta prima che lei avesse compreso del tutto. La prospettiva di rimanere ancora un po' era troppo allettante, e io non potevo permettermela.
Adesso così ero fuori. Nel mondo. Senza meta e senza costrizioni.
Qualcosa più simile alla paura che all'orgoglio, però, cominciava ad affacciarsi freddamente dalla bocca del mio stomaco.
Ora ero libero, e la libertà cominciava a terrorizzarmi.
Cominciai ad arrovellarmi, avevo con me un pacco abbastanza grande di snacks, preso da casa della mia ragazza. Ma non era sufficiente come pranzo...
Mi decisi ad entrare in una panetteria e comprai un bel filone di pane, che, dato l'orario, era ancora abbastanza caldo.
Lo mangiucchiai pensando a cosa fare adesso. Avrei potuto chiedere ospitalità ad altri amici, ma se fosse finita come a casa di Sandro?
Gli adulti, una volta diventati genitori, cominciano ad assomigliarsi tutti.
Pensai che, se avessi aspettato il giusto orario, potevo sperare che i miei non fossero in casa, e recuperare le mie cose.
Così aspettai fino alle dieci del mattino, e, con le chiavi che avevo con me, entrai furtivamente in casa.
Era esattamente come l'avevo lasciata, soltanto, il soggiorno era un disastro, probabilmente i litigi dei miei sulla responsabilità della mia fuga.
Entrai sempre silenziosamente nella mia stanza, vidi la valigia sul letto. "Fottuti, ecco che mi riprendo ciò che è mio", pensai.
Corsi via da quella casa più velocemente che potevo, prendendo solo in più una coperta, in caso avessi dovuto dormire per strada.
La giornata passò in modo assolutamente monotono, e io mi annoiai per la maggior parte del tempo. L'unica cosa che mi distraeva dal guardare le persone che, portandosi sulle spalle le loro ridicole vite mediocri, passavano tra le vie della città e nel mio campo visivo, era il dovere tenere costantemente aggiornata la mia ragazza su ciò che facevo, e come andavano le cose.
Quando ad un certo punto, quando ormai la città si colorava di toni scuri, la batteria decise di rendersi inservibile. E il telefono si spense.
"Cazzo!" gridai tra gli sguardi esterrefatti di una decina di passanti.
Ora non c'era veramente più molto da fare, decisi che avrei usato la coperta e dormito sotto le stelle quella notte.
Mi diressi verso il parco, e, con la valigia come cuscino e la coperta stretta tra le mani, mi addormentai in un orario compreso tra le 9 e le 10 di sera (non sono mai stato bravo a calcolare l'ora). ero in buona compagnia, visto come si era popolato il parco di gente che, come me, cercava uno spazio tranquillo.

Dovevano essere le 2 di notte, quando mi svegliai, e mi ritrovai circondato.
Quattro ombre mi accerchiavano e, mentre mi rovistavano nella valigia ridendo, si accorsero che mi ero svegliato. Una delle ombre mi si avvicinò e mi disse "torna a dormire, stronzetto!". Tra le risate generali degli altri prese un coltellino e me lo puntò alla gola.
Io, chiuso tra la lama del coltello e l'umiliazione di non potere fare nulla, sentivo le lacrime che si formavano agli angoli degli occhi. Quando l'ombra col coltello si girò verso i suoi, chiedendo "come stiamo a soldi?" io raccolsi il coraggio e mi gettai contro lo sconosciuto più vicino. Quello, sorpreso, sventolò per aria il coltello, inutilmente, mentre io gli assestavo un pugno sul naso.
Senti lo scricchiolio dell'osso e il caldo del sangue sulle nocche. Gli altri intanto si erano alzati e mi raggiunsero in un attimo. Dopo il primo pugno ricevuto sullo zigomo pensai che forse andare all'attacco non era stata una grande idea.
Ne ricevetti uno alla bocca dello stomaco che mi lasciò senza fiato, ma ebbi il tempo di colpire un altro degli aggressori con una gomitata sul mento, abbastanza forte da fargli perdere l'equilibrio.
Avevo preso per due anni lezioni di boxe, era tempo di metterle in pratica, dannazione!
Saltellai indietro, per riprendere spazio. Alzai i gomiti, per coprire efficacemente la faccia. Infine ripartii.
Per mia fortuna i ladri non erano preparati ad una lotta, e riuscii a tenerne a bada due con facilità.
Quando però quello con il naso rotto si rialzò gli altri si fecero da parte. Vidi lo scintillio omicida dei suoi occhi, molto più vistoso di quello del coltello che teneva in mano.
Mi corse incontro gridando, mentre gli altri si spostavano per paura di essere colpiti dal coltello.
Correndomi incontro sporgeva con tutto il corpo in avanti. Schivai con un saltello a destra e gli feci uno sgambetto da manuale. Quello ruzzolò per terra con violenza, ma prima che potessi raggiungerlo sentii due braccia che mi prendevano da dietro. Mi ero distratto. Ero imprigionato.
Diedi un paio di testate a vuoto, cercando di prenderlo sul viso, senza risultato.
Allora tentai prima di spingermi verso dietro e fare perdere l'equilibrio a quello che mi stava dietro, Mi girai, cercando di vedere in faccia lo stronzo che mi teneva.
Sentii una fitta allo stomaco. Era il tizio col naso rotto. Con il coltello tra le mani. Era pericolosamente vicino. E aveva le mani sporche di sangue.
Collegai le cose.
Intanto la furia omicida sembrava essersi placata. E il tizio, adesso che era fermo alla luce aveva l'aria di non avere nemmeno 15 anni, aveva dipinta sul volto un'espressione di sorpresa, come se fosse lui quello con il coltello conficcato nello stomaco. Mi guardò da sopra quel naso storto e sporco di sangue con uno sguardo di terrore. Lasciò il coltello e gridò "via! Andiamocene via!".
Quando le braccia da dietro smisero di tenermi caddi sull'erba del prato senza far rumore.
In un ultimo, tanto disperato quanto insensato, tentativo di muovermi mi diressi verso la valigia.
L'ultima cosa che vidi fu la valigia aperta. Poi il buio.
  
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