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Autore: tigrebianca1995    10/08/2011    0 recensioni
Tutti gli appassionati di Harry Potter conoscono Remus Lupin. Questo personaggio, a mio avviso, è molto solitario e triste. Tutto dovuto a un motivo ben preciso: il suo essere un Licantropo. Spesso mi sono chiesta quando e come avvenne la sua trasformazione. Con questa storia ho cercato di spiegare come, secondo me, avvenne.
DALLA STORIA:
In cielo, la luna mi guardava beffarda.
Lei sapeva. Sapeva che il suo servitore, la Bestia, mi stava braccando.
Genere: Azione, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Mi hai visto? Ciao a tutti!! Questa mia storia era già stata pubblicata ma ho fatto delle piccole modifiche ^^
Prima di tutto voglio specificare che ci saranno una specie di cambio di POV in particolare:


Legenda:

-Parla Remus da adulto

-Pensiero di Remus bambino

-Narrazione del racconto

Mi hai visto?

 

Non so bene perché lo feci..

Era da poco calata la sera su quel giorno d’estate.

Mia mamma mi aveva appena rimboccato le coperte, dandomi la buona notte.

 

“Mi hai visto, mamma? Ero un dolce e spensierato bambino di sette anni.”

 

Come sempre avevo accanto a me Tampy, il mio orsacchiotto di peluche.

Naturalmente non era l’unico che avevo eppure era indubbiamente il mio preferito; pertanto lo tenevo sempre con me.

Quella sera faceva più caldo del solito, così scostai le coperte. Passarono alcuni minuti ma non riuscivo ancora a prendere il sonno per via dell’afa.

Così decisi di avvicinarmi alla finestra di camera mia, già aperta, e rinfrescarmi un po’. Mi sedetti sul davanzale di questa.

 

“Mi hai visto? Ero solamente un bambino con le sue ingenue eppure sciocche idee”.

 

Mi addormentai e al mio risveglio, anche se sempre rannicchiato sul davanzale, non ero più abbracciato al mio orsacchiotto. Ispezionai la mia stanza ma non lo trovai da nessuna parte. Decisi di guardare anche fuori dalla finestra: dopotutto sarebbe potuto scivolare dalla mia presa e cadere giù.

Infatti era successo proprio quello: Tampy era nel giardino, proprio sotto camera mia.

Dovete sapere che io abito in una villetta circondata da un enorme bosco.

 

“Mi ha visto? È stata certamente la testardaggine dei bambini di voler tutto.”

 

Mi calai fuori dalla finestra.

Per fortuna casa mia aveva solo un piano e dovetti fare un salto di solo un metro e mezzo circa. Tuttavia, se oggi mi sembra poco, per un bambino di sette anni non lo era. In breve, atterrai col ginocchio e me lo sbucciai. Un taglio si formò sul mio ginocchio destro. Del sangue iniziò subito a colarmi e un piccolo gemito mi uscì dalle labbra sebbene non mi misi a piangere. Ero un bambino forte, uno di quelli che non piangono per un taglietto.

Così mi rialzai e abbracciai tutto contento il mio Tampy.

 

“Mi hai visto? Sono un bambino ferito che, ciononostante, è felice per una cosa così semplice come un peluche”

 

Adesso, tuttavia, c’era un problema: come tornare in camera?

La finestra era troppo alta per raggiungerla.

Fin da bambino mi posso vantare per due cose: il mio coraggio e la mia intelligenza.

Proprio grazie a quest’ultima qualità, mi venne subito in mente un’idea: usare qualcosa dove potermi arrampicare per raggiungere l’altezza della finestra ed entrare in camera.

Purtroppo, però, in giardino non c’era niente che mi potesse aiutare.

 

“Mi hai visto? Sono un bambino sopraffatto dalla sua tipica ingenuità”.

 

Decisi di cercare delle pietre nel bosco da poter ammucchiare per formare una specie di scala.

Inizialmente andò tutto bene: rimasi a raccogliere le pietre tra le radici delle piante al limitar del bosco. Certo, ogni tanto dovevo sopprimere un urletto per i vari ragni che trovavo nelle ragnatele mentre smuovevo i massi ma niente di che.  Però, presto, mi accorsi che quei piccoli sassi non sarebbero mai bastati per crearmi un rialzamento abbastanza alto da farmi raggiungere la tanto agognata finestra. Allora decisi di superare le mie paure di bambino e di inoltrarmi nei meandri del bosco in cerca di pietre più grandi, certo di trovarne. Così, illuminato dalla luce della grande luna piena nel cielo, iniziai ad addentrarmi nel bosco, passando per un sentiero.

Il terreno era ricoperto da foglie secche che al mio passaggio scricchiolavano sinistramente. Ai lati solo alberi e tronchi marci quasi del tutto ricoperti da muschio.

Iniziai a scorgere pietre sempre più grosse e, man mano, molto lentamente, le portai dal bosco fino alla finestra sotto camera mia.

Sicuramente vi starete chiedendo perché fare tutto questo lavoro, tutta questa fatica, e non chiamare i miei genitori per farmi entrare in casa. La spiegazione è molto semplice: paura.

Esatto, paura.

Paura per la punizione di essere uscito di casa;

Paura per i rimproveri;

Paura per la delusione che avrei visti nello sguardo di mia madre.

Che cose stupide per avere paura, penserete. Avete ragione. Però dovete considerare il fatto che a quel tempo ero solo un bambino e al momento mi parvero più che ottime motivazioni.

Dov’ero rimasto? Ah, si..

Passarono i minuti e la piccola torre di pietre continuava a crescere.

Però la fatica e il dolore alla gamba continuavano ad aumentare sempre di più.

Felice di aver trovato l’ultimo sasso che mi serviva, stavo tornando verso casa, quando successe.

Inizialmente fu solo un presentimento, una sensazione: mi sembrava di essere seguito, osservato.

Mi fermai e incominciai a guardarmi in giro in modo circospetto, rimanendo in ascolto dei suoni che mi circondavano. Il cuore mi batteva all’impazzata e la fronte era imperlata di freddo sudore. Intorno a me i soliti rumori delle foreste: fruscio del vento, i versi degli animali e il suono delle foglie secche.

Non udii nient’altro. Eppure ne ero certo: stava per succedere qualcosa di brutto.

Mi rimisi a camminare e mi ritrovai in una zona dove i rami degli alberi lasciavano passare pochissima luce della luna.

E lo sentì: un ringhio selvaggio, proprio alla mia sinistra.

Mi voltai di scatto e ciò che vidi mi gelò il sangue nelle vene.

Una belva alta il triplo di me, dal pelo ispido e folto, mi fissava con gli occhi iniettati di sangue e le fauci ancora spalancate per il latrato appena emesso.

L’istinto mi portò a correre alla parte opposta dalla bestia: all’interno del bosco.

Però,  poco prima di iniziare a correre, guardai ancora per un istante la belva: adesso aveva il muso proteso verso l’alto, verso la luna piena nel cielo, come se fosse fiera di aver finalmente trovato una preda: io.

Correvo in quel bosco spaventoso, gli occhi spalancati ed in testa un unico pensiero: “non può essere vero”.

Scappavo dalla bestia.

Gli alberi tutti intorno si aggrovigliavano tra di loro formando forme orribili. Le enormi ragnatele, tesse da ragni tra un albero e l’altro, a volte mi sbarravano la strada altre mi si impigliavano addosso al mio passaggio.

Correvo, urtando rami e scivolando sul terreno umido.

Urlavo, chiamando aiuto, chiamando i miei genitori.

Perché nessuno mi sentiva? Perché nessuno mi veniva a salvare?

 

“Aiuto, aiuto…  mi hai visto, mamma? Mi hai visto, papà? Sono un bambino che scappa da una bestia raccapricciante, da un mostro.”

 

Dov’ero? Quanto tempo era passato? Non lo sapevo.. un'unica cosa fissa in mente: scappare, correre.

In cielo, la luna mi guardava beffarda.

Lei sapeva. Sapeva che il suo servitore, la Bestia, mi stava braccando.

Aveva notato il luccichio nei miei occhi quando avevo capito chi era, o meglio cos’era la belva: un Licantropo.

Io ero a conoscenza che era più scaltro di me, più veloce e più forte. Ma non mi importava. Dovevo solamente scappare.

Man mano che mi insidiavo nei meandri del bosco il paesaggio cambiava, diventando sempre più cupo e oscuro. I rami delle piante, sempre più lunghi e intrecciati, diminuivano la già poca luce della luna, mia nemica.

Il fiato iniziava a mancarmi e la corsa era scandita a tempo dal battito del mio cuore che, frenetico, mi rimbalzava nel petto.

Sentivo il suo putrido fiato sul collo, i suoi movimenti dietro di me.

Dovevo fuggire, da lui: il Mannaro.

Non volevo essere catturato, ucciso.

Aumentai, per quanto mi fu possibile, l’andatura.

I muscoli iniziarono a dolere poiché tirati fino allo stremo. Ma continuavo a correre; Anche se ogni passo mi costava di più.

Piccoli tagli, dovuti ai rami che colpivo, iniziarono a bruciare, a sanguinare.

Dietro di me sentivo i ringhi della Bestia, i suoi balzi veloci ma pesanti.

Si stava avvicinando. Era una cosa prevedibile, infondo.

Non riuscivo più a correre.

Il dolore dei muscoli, il bruciore dei tagli, il terrore, erano tutti fattori che mi costringevano a mantenere la mente lucida.

Fu un attimo, la vidi con la coda dell’occhio, alla mia sinistra: un ombra nera che mi superava, lesta.

Bloccai di colpo la mia corsa.

Il Mannaro ora era di fronte a me.

I miei occhi castani incrociarono i suoi dorati. Paura e lacrime si scontrarono con l’eccitazione per la caccia e la soddisfazione per quest’ultima.

Aveva le fauci spalancate, mettendo in mostra gli affilati denti dai quali colava un rivolo di bava.

Continuava a ringhiare, mentre mi scrutava. Poi si accovacciò maggiormente, prendendo la spinta, e saltò con uno scatto delle zampe posteriori.

Mi ritrovai a terra, bloccato dalle sue zampe sulle mie spalle.

Il suo muso era a pochi centimetri dal mio viso e da quella distanza sentivo l’odore acre del suo alito.

Ringhiò e aprì le fauci, come per azzannarmi, ma non lo fece.

Mi graffiò con la sua possente zampa e mi lacerò il leggero pigiama che indossavo, raggiungendo la carne.

Urlai.

Si scostò e si allontanò di qualche metro da me. Non capivo perché lo avesse fatto, liberarmi, intendo.

Faticosamente, mi rialzai.

Il taglio alla spalla destra era profondo e molto doloroso. Misi subito la mano sinistra a tamponare la ferita. Come se mi fosse servito a qualcosa.

Il lupo iniziò a girarmi intorno molto lentamente, studiandomi.

Oramai ero sopraffatto dalla paura.

Sfruttai questo momento per riprendere a scappare.

Ma non feci in tempo a fare molti metri che un’altra artigliata sulla schiena mi fece cadere a terra e scivolare per un pendio.

Non so quanti metri feci, so solo che furono molti.

Quando la scivolata finì cercai di alzare la testa dal terreno e mi guardai intorno.

Subito un urlo mi fuoriuscì dalle labbra per l’orrore che mi circondava: ossa e ancora ossa.

Ero circondato da cadaveri. Alcuni già scheletri altri con ancora della carne attaccata, tra i vestiti strappati, lacerati.

E i teschi.. teschi con gli occhi vitrei, i capelli sporchi di sangue rappreso, bocche spalancate nell’ultimo, straziante, urlo. Però molti teschi erano oramai solo crani biancastri, lasciati a decomporsi da anni.

 

“Mi hai visto, papà? Sono il tuo piccolino.. ma come potresti? Ovviamente non sei mai entrato in questa parte del bosco... altrimenti avresti notato tutto questo..”

 

Capì subito che mi trovavo in una parte molto all’interno del bosco, dove non ero mai stato, e quella doveva essere la tana del Mannaro quando si trasformava.

Un solo pensiero mi sorse: “anch’io finirò così?”

La risposta fu un basso ringhio, proveniente da dietro di me, della Bestia che, con un balzo, mi raggiunse di spalle e mi azzannò alla spalla destra, quella già in parte ferita, per poi scostarsi subito e prendere distanza.

Mi portai una mano dove mi aveva appena morso, il mio viso contratto dal dolore, mentre osservavo impaurito il Licantropo.

Dal suo muso ora rosso, macchiato del mio sangue, spiccavano, come fari nel buio, i suoi occhi dorati carichi di esaltazione e.. rabbia?

In quell’istante capì.

Capì il senso vero e proprio di ferirmi solo parzialmente e di lasciarmi scappare per tutto questo tempo.

Non ero la sua semplice preda, il suo cibo. Ero il suo passatempo, il suo gioco.

A quella scoperta ricordo di aver pensato, o meglio implorato, solo una cosa: “uccidimi adesso, ti prego. Uccidimi subito, senza farmi soffrire troppo”

Purtroppo, come avrete sicuramente capito, non andò come speravo..

Decisi di provare il tutto per tutto..

Mi chinai e, con le mie manine sporche di terra e macchiate del mio sangue, afferrai un osso particolarmente affilato e lo impugnai a mo di pugnale.

Quando la bestia fece l’ennesimo sbalzo verso di me io tentai di difendermi con la mia nuova “arma” ma non servì a nulla. Infatti il Licantropo, accortosi del possibile pericolo, mi azzannò al polso facendomi urlare e inducendomi a mollare la presa e facendo, così, cadere a terra la mia unica possibilità di salvezza.

Adesso si che potevo notare la vera rabbia nel suo sguardo.

Un ultimo scatto e mi fu nuovamente sopra, conficcandomi nella carne gli artigli.

Seppi. Seppi che ero finito.

Infatti il Licantropo alzò il muso verso l’alto, nuovamente verso la luna, e ululò.

Per me sembrò durare minuti, forse ore. In realtà deve essere durato solo pochi secondi..

Quando smise di ululare, abbassò lo sguardo sul mio viso e mi fissò.

Fu un secondo.

Spalancò l’enormi fauci e affondò i denti nel mio petto.

Dolore. Dolore insopportabile.

Vedevo tutto rosso. Il rosso del mio sangue.

Nelle mie orecchie un ringhio lontano, attutito dalla leggera incoscienza nella quale stavo scivolando.

Artigli, zanne, ancora artigli.

Le mie urla.

Urla di paura.

Urla di disperazione.

Urla di sofferenza.

Poi tutto finì. Caddi nell’oblio, sperando di star morendo per non dover più sopportare quel supplizio.

Come vi ho già detto prima, non andò come speravo. In che senso, vi starete chiedendo. Adesso ve lo racconto..

La tenue luce del sole mattutino illuminò un corpo riverso a terra. Il corpo di un bambino di non più di 7 anni.

Un corpo che di tenero e puro non aveva più nulla.

Un corpo che ora era dilaniato e sommerso dal proprio sangue.

Un corpo diverso, trasformato.

Ma vivo.

Fu così che lo trovarono i genitori quando, accortosi della sua scomparsa, andarono a cercarlo nel bosco.

Fu così che il padre comprese il suo enorme errore nello sfidare una Bestia spietata: Fenrir Greyback, il Licantropo.

 

“Mi hai visto, papà? Vedi cosa, per colpa tua, sono dovuto diventare?”

 

Così iniziò la mia maledizione; L’incubo che devo chiamare vita.

Di giorno, apparentemente, sono un uomo come molti altri: normale.

Perché ho specificato “apparentemente”? Semplice, perché ogni giorno devo scappare dalla Bestia che vive dentro di me.

Per anni volli stare lontano da tutti, perfino dai miei genitori.

Perché? Per paura di ferirli, ucciderli o, peggio, renderli come me.

Un uomo dannato, una Bestia.

Colui che di giorno è una preda ma che di notte, quando c’è la luna piena, diventa il predatore.

Avete capito bene, sono un Mannaro, adesso.

La Luna, quella notte, la ritenni per la prima volta mia nemica; ancora oggi la reputo tale.

Perché?

Perché quando arriva lei, quando la sua luce mi illumina, mi trasforma. Mi rende un essere immondo. Un essere che odio.

Il viso diventa un muso allungato.

I denti si allungano e si appuntiscono diventando delle zanne.

Le unghie si allungano e si induriscono trasformandosi in affilati artigli.

E il mio volere viene sopraffatto, sottomesso al suo: quello del Lupo.

E divento una sua creatura, un suo servo.

Di lei, la Tiranna: la Luna.



 

 

Grazie a tutti voi che avete letto :)

Ho una piccola richiesta da farvi: potreste lasciarmi un commentino? non deve essere per forza perché vi è piaciuta (anche se lo spero ) ma anche se avete delle critiche/consigli da dirmi :D grazie mille già in anticipo!!

Alla prossima,
Ciaoo!!  :D


TigreBianca1995
   
 
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