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Autore: camy robsten HP    10/08/2011    2 recensioni
Robert e Kristen. Queste due persone mi hanno cambiato la vita. Grazie a loro ho scoperto nuovi valori e ho iniziato a credere che il vero amore ancora esite. Quel giorno, quel maledetto giorno... sconvolse totalmente la vita di Robert.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Forse fu quella la settimana più terribile di tutta la mia vita. E se io, nonostante fossi più forte, soffrivo molto, non potevo immaginare come si sentisse Kristen. Non l'avrei mai detto. Non avevo mai pianto a un funerale. Quando morì mia nonna non avevo prestato molta attenzione. 'E' morta. Tutti muoiono, prima o poi.' - pensai questo. Ma forse all'epoca non avevo mai perso una persona unica, responsabile dello stato d'animo della persona che amavo di più al mondo. Dal mio 'ritorno' trascorsi una settimana a casa dei genitori di Kristen. Io sul divano, lei nella sua cameretta. 'Buongiorno' al mattino e 'buonanotte' alla sera; niente più. I sorrisi falsi non sarebbero serviti a molto, e, conoscendoci, sapevamo entrambi che mentire non è nel nostro DNA. Soffrivamo in silenzio, con il volto coperto di lacrime, ma senza gemiti. Soffrivamo guardandoci negli occhi, rendendoci conto che il nostro amore non era mai finito, ma ormai era troppo tardi. Diana con il suo ego da supereroe voleva dimostrare che era un duro, ma anche lui aveva un cuore. Il giorno stesso della terribile scoperta migliaia di fan raggiunsero Kristen. La abbracciarono, le diedero raccomandazioni e consigli, mentre io, orgoglioso, restavo a fissarla. Impacciata, con le mani nei capelli. Disperata, con gli occhioni verdi dilatati. Io non mi sentivo di certo meglio. Cameron era stato il parente di Kristen che mi è stato più vicino di tutti. Ma soprattutto, vicino a lei. Come avrebbe fatto senza un fratello? Il fratellone maggiore che tutti avrebbero desiderato. Cameron non era come gli altri... non per questo era suo fratello. Era speciale come lei. Riusciva ad incanalare la sua energia in tutti, anche nei momenti peggiori. Se al suo stesso funerale fosse stato vivo, ci avrebbe rallegrato con le sue battute. Eravamo, ovviamente, tutti vestiti in nero. Aprivamo il corteo. Il tragitto dalla casa alla chiesa fu molto breve. Migliaia di amici, parenti, colleghi e fan riempivano le vie principali di Los Angeles. Io ero con le mani in tasca, lo sguardo basso. Il volto totalmente incurato. La barba era incolta, i capelli unti. La messa fu tranquilla. Qua e là si sentivano urla e pianti, ma era tutto normale.
Era accaduto troppo in fretta. Nessuno se lo sarebbe aspettato. Mi offrii volontario per portare la tomba al cimitero. Per una volta, da quel mese maledetto, Kristen era passata in secondo piano. Fu tutto estremamente veloce, forse perché ancora nessuno di noi capiva cos'era realmente accaduto. Tornammo a casa, ma ancora non ci rendevamo contro che lui non c'era più... e non ci sarebbe stato mai più.
"Come va?" - bussai alla sua porta. Era seduta e si mangiava le unghie. Alzò le spalle e espresse dissenso con il capo. Gli occhi le brillavano. I suoi, brillavano sempre in mia compagnia, ma questa volta non era per me. Chiusi la porta e mi sedetti accanto a lei. Il letto fece uno strano rumore, ma ci risi su. Non mangiava da tre giorni. Senza dir una parola, scesi giù in cucina e le preparai uno di quei piatti al quale non avrebbe mai detto di no: sushi. Risalii in camera e lei, per la prima volta, m'illuminò il viso con il suo sorriso. Rise, quasi pensasse 'No, non è reale. Tu stai scherzando', ma accettò volentieri il piatto. Sapeva che, se avesse rifiutato, io sarei stato male per lei. Si, perché il suo dolore era anche il mio. E non potrei mai considerare amore quello basato sul sesso o su un fottuto numero. L'amore reale è quello che si condivide, come la felicità. Se tu hai mangiato e sei felice, e come se anch'io fossi sazio e felice. E' una conseguenza logica. La sua mano fu sulla mia per tutto il tempo. Non fui io ad agire, ma lei, che d'un tratto posò la sua mano sulla mia, facendomi sussultare. Poi si girò verso di me, ancora con gli occhi lucidi, ma questa volta per un altro motivo. Mi avvicinai, solo per accarezzarla, ma lei ritirò subito la faccia. Ritornò a fissare il piatto vuoto.
"Solo che... io non capisco cosa l'abbia spinto a farlo." - Cameron si è suicidato. E' quello che hanno detto i poliziotti e i più bravi medici di Los Angeles. Non è ancora stato accertato, ma è sicuro.
"La ragazza, il lavoro, i problemi." -
"La vita" - concluse lei. Sorrise amaramente e proseguì.
"Non me ne farò mai una ragione" -
"Kristen... mi hai visto in questi giorni? Mi hai mai visto piangere? Cameron l'ha fatto per un valido motivo; ne sono certo.” – In effetti il motivo nessuno l’aveva ancora capito. Lei si limitò ad annuire.
“Anche io ne sono certa, era una persona forte e coraggiosa, non l’ha fatto senza motivo.” –
“Non piango in questo modo da quel giorno.” – Lei ricominciò a fare quello che le veniva meglio in questi giorni: piangere. Mi bloccò la bocca con un dito prima che potessi ribattere.
“Te lo dirò. Hai ragione, hai il diritto di saperlo.” – sorrisi felice e la guadai. Avevo una faccia da imbecille, ma sinceramente poco importava.
“Ho cercato di tenere i miei lontani dalla vita d’oggi. Non uscivano quasi mai e mi offrivo spesso volontaria io per delle compere. Non è stato facile neanche per loro. Ho detto che lavoravi.” – spostò la mano sulla mia gamba, e l’accarezzò piano.
“Non… non fa niente.” – riuscii a dire solo questo. Poi la mia mano fu trascinata da un enorme vortice gravitazionale e la ritrovai improvvisamente sulla sua guancia. Mi era mancato il profumo della sua pelle morbida e setosa, il tocco magico che faceva scoccare la scintilla, e le conseguenze paranormali che portava quel tocco. La radio trasmetteva la canzone perfetta: ‘Violet Hill’ dei Cold. Quello fu il momento in cui mi sentii, per la prima volta dopo tempo, rivivere. I suoi occhi tornarono a brillare d’amore, come una volta. Il mio riflesso era lì, e ci sarebbe stato per sempre, ne ero certo. Ci alzammo, in ginocchio, su quel letto che non mi era mai parso così ingombrante. I peluche sotto di noi, pezzi mancanti di puzzle e cumuli di sporcizia… niente era un ostacolo. C’eravamo solo noi. Io e lei. Poco importava che Diana, Taylor e i genitori di Kristen erano al piano di sotto, ormai eravamo di nuovo uniti, insieme e nessuno ci avrebbe fermato. Restammo a fissarci per qualche minuto, come se non ci fossimo mai visti in vita nostra. Tutto assumeva un diverso significato; tutto sembrava diverso visto da quest’aspetto che da un po’ non toccavo più. Ero tentato. “Non possiamo più stare insieme. Non ci riuscirei sapendo che tu sei stata con un altro.” – la sera prima le dissi questo, ma erano solo parole, inutili parole, che in quel momento non avevano più senso. La mia mano scese giù, fino ai fianchi. Il mio mento appoggiato sulle sue spalle, per odorarla, venerarla. Per riscoprire l’odore del mio piatto preferito, a volte nocivo. La sua non fu affatto un’espressione disgustata o di respingimento. Le sue braccia mi inondarono, e mi racchiusero. Anche il suo mento fu sulle mie spalle. E quello fu uno degli abbracci più calorosi che io abbia mai ricevuto, perché dentro, in quell’abbraccio, migliaia di sentimenti scaturivano e avevano voglia di uscire. Amore, odio, rabbia, tristezza, depressione, felicità, orgoglio… erano tutti lì, in quell’abbraccio. Ero arrivato al limite di sopportazione, il cuore sarebbe presto scoppiato se non avessi agito. Sollevai il viso e la guardai. Anche io piangevo. I miei occhi erano luminosi e brillanti come i suoi. Quell’istante sembrò durare un’eternità, era troppo perfetto per essere reale. Le mie mani furono subito sotto la sua maglietta, che presto finì a terra. La sua pancia brontolava, non per la fame. Ancora non capivo come potesse un bambino essere lì. Notai che anche lei mi desiderava come la desideravo io, e il gioco fu facile. Si aggrappò su di me, con la mano destra mi tirava i capelli, mentre la sua bocca giocava con la mia. Il bacio, all’aroma di lacrime, non l’avevo mai provato. Mi tolse via la camicia, nel mentre continuava a baciarmi. Le sue mani mi accarezzavano il petto, su e giù. Mi allontanai.
“Kristen, sanguini” – dalle sue labbra fuoriusciva del sangue -
“E’… la tua barba” –
“Vado a farmela.” – feci per andarmene, ma mi afferrò per il polso e mi trascinò di nuovo sul letto.
“Io ti voglio, non lo capisci? Ti amo, in tutti i modi. Ti amerei anche se tu non mi volessi.” –
“E se io non ti volessi?” –
“Continuerei a vivere, ad amarti in silenzio, ma non smetterei mai di amarti. E’ sovraumano pensare che non potrei amarti.” – piansi sul serio. Lacrime grosse quanto palle da baseball mi rigarono il volto. Lei sorrise, e piangeva anche lei. Le sue lacrime erano singhiozzi. Mi avvicinai e ripresi a baciarla, questa volta in un modo disperato, era una tragedia. Non fui più cosciente quando fece per slacciarmi i jeans. Perché avrei dovuto mentire a me stesso? Dire che non la volevo era un’enorme cazzata, una barzelletta… e anche lei lo sapeva.
“Robert” – distaccò un attimo la bocca dalla mia per sussurrare quel nome, che da tanto non sentivo pronunciare da quella voce. Le lacrime continuavano ad uscire ad entrambi.
“Piangi anche tu?” –
“E come non potrei?” – tornò a cingermi, il viso appoggiato sul petto.
“Hey” –
“Che c’è.” –
“E’… surreale. Tutto questo è surreale.” –
“Ti amo. Rob, cazzo. Io ti amo” – ritornai a fissarla in volto, mentre lei tentava invano di togliersi le converse. Sorrisi cretinamente, quasi orgoglioso. Non mie ero mai sentito così felice.
“Ci impieghi sempre così tanto tempo a toglierle?” – mi guardò stizzita, con la scarpa destra in mano.
“Dipende dal mio stato d’animo e da con chi sono. Se tu non mi provocassi strani effetti e non mi tremasse la mano le avrei già tolte.” –
“Ti aiuto.” – mi abbassai e le slacciai l’altra scarpa. Dopo qualche minuto fummo realmente noi stessi. Nudi, uno di fronte all’altra, con l’incapacità di agire, perché quell’amore era troppo. Troppo da consumarsi così velocemente in un atto importante come quello. Ridemmo all’unisono, mentre piangevamo ancora.
“Te l’ho mai detto che hai gli occhi più belli che io abbia mai visto?” – rise.
“Solo qualche volta” – e fece lei la prima mossa. Il viso attaccato al mio, le dita che mi tiravano i capelli per avvicinarlo ancora di più al suo.
“S..Stew, se continui così rimango calvo.” –
“Cercherò di controllarmi” – e mi distese sul letto, pronta a portare a termine quell’atto che entrambi desideravamo non terminasse mai. Avremmo dovuto ricordarci che un poliziotto sarebbe presto arrivato per un interrogatorio, ma ‘be healthy and fuck everyone’, giusto? Sorrisi mentre lo pensai. E nel mentre, alternando il ritmo dei battiti cardiaci alle volte in cui chiamavo il suo nome, mi accorsi di Cameron. Di ciò che aveva fatto, ma soprattutto perché. Cameron. E’ accaduto tutto grazie a Cameron, e all’amore per lei. L’amore che provava per lei, quasi come un papà. Eravamo lì, in quella stanza a coronare il nostro sogno d’amore, solo grazie a lui. Cameron, grazie.
   
 
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