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Autore: xNewYorker__    10/08/2011    2 recensioni
«Tra tutte le persone di questo mondo, perché a lui?» Chiese Booth, dando un peso assurdo a tutte quelle lacrime riversate sulla camicia. «Conosco i rischi del mio lavoro, ma non pensavo arrivassero a tanto.» Brennan lo guardò. «Pensi che l'abbiano guardato in faccia? Svegliati, Booth!»
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Parker
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Broken Bones'
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Le giornate a seguire furono tutte un via vai di gente dal laboratorio a fuori. Non era una cosa normale, dato che i casi iniziavano a diventare sempre di minor numero, o sempre più semplici da risolvere: almeno per loro sembrava così.
Naturalmente Booth non aveva perso le speranze di ritrovare la collega, che non vedeva ormai da almeno una settimana, e di aver affidato il caso del figlio. Avrebbe avuto quel caso, a qualsiasi costo. Si alzò dalla sedia in pelle del suo ufficio, scostandola con un movimento veloce dalla scrivania, e uscì, non curandosi della porta aperta e delle scartoffie sul tavolo. Uscì anche dall’edificio stesso. Sarebbe tornato al Jeffersonian. Se c’era un posto in cui poteva essere Bones, era quello.
Chiese a tutti i colleghi: nessuno l’aveva vista, sembrava scomparsa, così, sparita nel nulla, senza dire niente. L’ultima speranza era Sweets, che fu infatti l’ultimo da cui si recò a chiedere. Gli venne data una risposta chiara: non l’ho vista. Adesso era ritornato in alto mare, la sua zattera si era appena infranta contro un duro, duro scoglio.
Le sue speranze però non si sarebbero infrante così presto. Le sue speranze non s’infrangevano mai, e nonostante le occhiaie, chiaro segno di notti insonni, e la stanchezza dei muscoli, lui andava avanti.
Si fermò a guardare di fronte alla tavola calda dove andavano sempre a mangiare a cena dopo aver risolto un caso. Decise di entrare: magari il proprietario l’aveva vista.
No, niente. Non era stata neanche lì. Dove poteva essere, allora? Non aveva più idee, ma aveva deciso che l’avrebbe trovata, e così sarebbe stato, anche a distanza di mesi, o di anni. Beh, era sparita da troppo pochi giorni per poter affrettare così tanto le cose.
Salì in macchina e appoggiò le mani sul volante, tenendolo stretto. Sentì un brivido percorrergli il corpo. Per lui quello era un segno. Doveva partire. Doveva lasciare tutto e concentrarsi su un solo obbiettivo. Quale sarebbe stato l’obbiettivo? Farsi affidare il caso o trovare Bones? Beh, per il caso ci sarebbe stato tempo, per Bones no. Scelse la seconda opzione.
Mise in moto e iniziò a correre. Veloce, molto veloce. Non sapeva neppure dove stesse andando a finire, pur di riuscire a trovarla.
 
L’aula era talmente grande che le voci dei presenti rimbombavano. Il rumore non impediva alla dottoressa Brennan di pensare, però. Si chiedeva se la stessero cercando, ma si rispose di no, perché non avrebbe avuto senso. Chiunque poteva immaginare che cosa stesse facendo: stava provando a far affidare il caso di Parker a Booth. Ci sarebbe riuscita. Era stata una settimana a New York a provare a sistemare le cose, e in una settimana non c’era riuscita. C’era molto vicina, c’era andata vicino il giorno precedente, e questo ce l’avrebbe fatta, o non sarebbe tornata “alla base”. Rimase in silenzio, immersa nei suoi pensieri, finché il procuratore non la richiamò. «Dottoressa Brennan?» Lei si scosse, dando un colpo indietro quasi invisibile agli altri con la testa. «Si.» Rispose, ferma e decisa, per non fare capire che si era distratta un attimo. «Abbiamo riflettuto a sufficienza.» «Gradirei sapere quali sono state dunque le vostre conclusioni.» «L’agente Booth potrebbe aver affidato il caso del figlio, ma solo ad una condizione. Deve dimostrare di saper essere distaccato come lo sa essere lei. Il suo coinvolgimento non deve in alcun modo ostacolare le indagini.» La dottoressa si alzò in piedi con il suo solito modo sicuro. «Naturalmente. E’ garantito.» Fece per andarsene, avendo ottenuto quel che voleva. Si fidava di Booth: ce l’avrebbe fatta anche lui. «E…grazie.» Aggiunse, a voce bassissima, uscendo.
 
Tutti al Jeffersonian erano preoccupati, ma a nessuno era venuta in mente l’idea di chiamarla al cellulare. Beh, anche quando non sarebbe stata una buona idea: era staccato.
Tra i colleghi di Brennan, la più preoccupata era senz’altro miss Montenegro, che non riusciva a darsi pace. Dov’era potuta andare a finire la sua migliore amica? Oh, quella donna era fin troppo impulsiva. Certo, si sapeva difendere, ma poteva finire in un guaio più grande di lei.
Mentre l’antropologa camminava per le strade di New York, diretta all’aeroporto, il suo partner la cercava disperatamente a Washington. Non poteva avere idea di dove si trovasse, a suo malgrado. «Bones…» disse, in un sussurro. «sei la mia rovina.» Sorrise, e questo faceva sicuramente intuire che non dicesse sul serio. Fermò la macchina accostandola a un marciapiede. Non gli importava sapere dove si trovasse lui, non quanto gli importava sapere dove si trovasse la sua collega. Tolse le chiavi dal quadrante e, facendole tentennare un po’ roteando il portachiavi al dito, aprì lo sportello ed uscì. Camminò su quel marciapiede freddo sentendo quel vuoto che non accennava a scomparire proprio alla bocca dello stomaco. Sospirò, tenendo lo sguardo basso. Sentiva il gelo della pietra salirgli su per le gambe, senza sosta. Sentì un rumore alle sue spalle e si voltò così velocemente da farsi girare la testa. Nessuno. Scrollò le spalle e proseguì per la sua strada, con la mente pervasa da pensieri che non smettevano di vorticare, come in un frullatore senza coperchio. Alla fine succedeva sempre un disastro. Udì un altro rumore e si voltò anche più velocemente di prima. Stava per voltarsi nuovamente per poi proseguire, ma non lo fece, perché vide una figura conosciuta cadere rovinosamente sul marciapiede. Prese un respiro profondo: il cuore si era quasi fermato, prima. «Porca miseria, Hodgins!» Esclamò, vedendo l’entomologo massaggiarsi il fianco con la mano. Gli si avvicinò, porgendogli una mano. «Mi hai fatto prendere un colpo.» «Io ne ho preso uno peggiore.» Gliela strinse e si alzò, lanciando un’occhiataccia al punto su cui era caduto. «Perché mi seguivi?» «Volevo assicurarmi che non facessi disastri, poi ho visto la tua macchina all’angolo» un momento di pausa per permettergli di indicare con un cenno del capo l’auto dietro di sé, a qualche passo di distanza  «e mi sono preoccupato. Hai lasciato lo sportello chiuso male, quindi ho pensato che ti…» «Avessero rapito? No, volevo andare a cercare Bones, ma non la trovo, allora ho deciso di fare una passeggiata, avrò chiuso male per sbaglio, tranquillo.»  «Mhm…d’accordo. Sicuro di stare bene?» Booth gli lanciò un’occhiata eloquente. «Vuoi davvero la risposta?» Annuì. «Non sto bene per niente. Prima…e poi non riesco a trovare Bones. Giuro che se le succede qualcosa io…i-o…» «Brennan è una grande donna. Sa come difendersi. Non sarà andata lontano.» «Si, Brennan è grande, ma vuoi metterla contro una banda di criminali armati a piede libero? Non ce la farebbe neanche lei, per quanto mi dolga ammetterlo.» Dovevano solo arrendersi all’evidenza, a quel punto. «Ma…Hodgins, quando hai iniziato a seguirmi? Eri già qui quando hai visto la macchina?» «Oh, si. Io e Angela siamo in pausa, o meglio, io ho preso una pausa per fare in modo che si distraesse dalla situazione. E’ distrutta, sia per te che per Brennan.» «Angela ha un cuore d’oro…ad ogni modo, ho bisogno di stare un po’ da solo, mi comprendi…» Lui tacque. Quel silenzio valeva a dire qualcosa come “ti comprendo benissimo e ti lascio in pace. Però ti prego, non deprimerti, troveremo i colpevoli, costi quel che costi.” Booth sorrise, perché lo capì.
L’entomologo camminò, allontanandosi, ma prima di staccarsi completamente dalla strada sulla quale stava l’agente, gli diede una pacca sulla spalla, e attraversò sulle strisce pedonali. Da allora non si voltò più indietro: proseguì e basta. Sapeva di essere osservato dallo stesso a cui aveva appena detto che lo avrebbe lasciato in pace. Si sarebbe sentito inopportuno e indiscreto. Insomma, come diceva Booth: “ad ogni sparo moriamo tutti un po’”. Beh, a quegli spari, quelli che avevano ucciso Parker, erano morti un po’ tutti al Jeffersonian, ma Booth era morto quasi del tutto. Non voleva neppure vedere gli occhi pieni di odio della madre di suo figlio: gli avrebbe dato la colpa per il resto dei suoi giorni, e lui non l’avrebbe biasimata, dato che si colpevolizzava da quando aveva sentito il rumore assordante, prima di comprendere la situazione vera e propria. Il tempo sembrò fermarsi al tonfo sordo di un proiettile che squarciava l’aria. Con una capriola all’indietro lui fu fuori dal raggio, per un pelo. Sentì per un istante il calore del metallo passargli sulla fronte, lasciando un’invisibile striscia che rimase impressa solamente nella sua testa. Non avrebbe dimenticato neppure questo, probabilmente, fatto sta che corse via per evitare che un altro pezzetto di metallo lo raggiungesse, toccandolo. Si sentì talmente stupido e codardo da pensare per una sola frazione di secondo di licenziarsi dall’FBI. Ma poi gli tornò in mente Bones, e allora la mente tornò a ragionare, il cuore a battere, tutto come pochi istanti prima. Lei era l’unica cosa che contava. 
   
 
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