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Autore: Panda_chan    13/08/2011    9 recensioni
Ma quella volta, solo quella volta, prese a quattro mani il suo coraggio e gli scrisse una lettera che terminava con ti amo.
Aveva creduto, non appena imbucata la busta, che non le avrebbe nemmeno risposto; invece la replica era arrivata, e neppure tanto tempo dopo; sorprendentemente, pur essendo ferma e decisa, manteneva anche una certa delicatezza di fondo che l’avrebbe commossa se il messaggio non fosse stato inequivocabile:
ti ringrazio, ma non intrometterti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Salve! ^^
Non so bene nemmeno io com’è nata questa shot, che è un po’ particolare.
Innanzitutto è una AU: non è ambientata in un tempo e in un luogo precisi, forse, per avere un’idea, potrebbe essere ambientata in Italia tra gli anni ’40 e ’50, quando, appunto, c’erano quelle famose colonie dove i bimbi venivano mandati d’estate.
Il titolo è ovviamente un omaggio al bellissimo romanzo L’amore ai tempi del colera, di Marquez. =)
Buona lettura!

 

**********

 

Quando Sakura e i suoi amici erano piccoli, le città crescevano inesorabilmente e diventavano scure e fumose; le famiglie erano in genere sufficientemente benestanti per vivere dignitosamente ma non abbastanza per potersi permettere una vacanza via da casa, al mare o in montagna.
Per questo, in quel periodo, per fare sì che almeno i bambini respirassero un po’ d’aria sana almeno per qualche tempo, ad opera dei comuni e delle parrocchie erano nate le cosiddette colonie, che si occupavano di accompagnare nutriti gruppi di ragazzi di tutte le età in grandi strutture a loro riservate vicine al mare.
Era proprio andandoci che Sakura aveva incontrato Sasuke, nella calda mattinata del primo luglio nell’anno dei suoi sei anni, giorno in cui era fissata la partenza per le vacanze dei bambini.

 

 

L’amore ai tempi delle colonie

 

 

L’infanzia non è semplicemente un tempo di preparazione alla vita, come sovente siamo portati a pensarla per i nostri figli, ma è già vita essa stessa. 
(Rosagger)

 

Sakura arrivò un po’ in anticipo, quella mattina, assieme a sua madre che le portava la valigetta, e raggiunse subito i suoi amici che già avevano formato un capannello vicino al binario.
Salutò calorosamente Ino, Hinata, Naruto, Tenten, Neji, Lee, Shikamaru, Kiba e Shino, i compagni di giochi dei suoi sei anni di vita; alcuni erano più poveri, altri invece di famiglia socialmente più elevata, ma le colonie erano quelle per tutti e loro in ogni caso non avevano mai fatto caso a quisquilie come la provenienza familiare.
Quando udirono il fischio trapanante dei sorveglianti che avrebbero badato a loro, compresero che era ora di andare, così ognuno corse a salutare i propri genitori e prendere la propria valigia – che loro chiamavano così, ma che agli occhi degli adulti non era in realtà che una piccola sacca stipata di due o tre completi per tutti i giorni più il vestito buono per quando si andava a messa.
Indugiarono un po’ nel vedere i genitori fare due passi indietro e guardarli sorridendo, facendo segni di incoraggiamento; per tutti era la prima volta che trascorrevano così tanto tempo lontani da casa presso qualcuno che non fosse un parente, e se la cosa da un lato li eccitava dall’altro li rendeva tristi ed inquieti.
Spronati dall’ulteriore rumore prodotto da un fischietto lì vicino, salirono infine sul treno; i vecchi vagoni non erano divisi in scompartimenti, ma stipati di file e file di sedili fissati al pavimento.
Ino fu fulminea nell’occupare un gruppetto di sedili vuoti, così tutti i componenti della loro combriccola poterono stare vicini.
Di fianco a Sakura rimase un posto libero, e fu lì che fecero sedere il bimbo minuto e bruno che arrivò all’ultimo momento.
Era stato accompagnato da un ragazzino più grande che gli somigliava e che sembrava non avere nessuna voglia di lasciarlo andare; quello che pareva essere il fratello maggiore l’aveva accompagnato presso la sorveglianza, l’aveva abbracciato, l’aveva colpito delicatamente con due dita sulla fronte e, dopo avergli sussurrato qualcosa all’orecchio, era sceso a malincuore, e il bambino era stato portato accanto a Sakura.
La bimba notò che aveva gli occhi pieni di lacrime, anche se non piangeva apertamente, così, con tatto, distolse lo sguardo da lui.
Poco dopo, una volta che il treno aveva iniziato a sferragliare e a prendere velocità, Sakura smise di prestare attenzione ai discorsi degli amici per rivolgerla al suo vicino di sedile.
Aveva una corporatura abbastanza esile ed era vestito con abiti pregiati e curati, diversamente dalla maggior parte di loro che, pur essendo forniti di tutti i capi necessari, non potevano certo vantarne l’eleganza.
I suoi capelli erano neri, lisci e scompigliati e contrastavano con la pelle chiara del viso rotondo dai tratti delicati.
Sebbene i suoi occhi scuri sembrassero assenti mentre rincorrevano il paesaggio a malapena visibile attraverso i finestrini appannati, Sakura decise di fare un tentativo.
“Ciao. Io sono Sakura Haruno, tu come ti chiami?”
Lui voltò di scatto la testa, guardandola con un che di infastidito; le parve di scorgere un lampo d’arroganza nel suo sguardo, come se stesse decidendo se fosse il caso di rispondere ad una nullità come lei.
Ma alla fine sospirò, in un atteggiamento fin troppo adulto per lui, e si decise a rispondere.
“Io mi chiamo Sasuke Uchiha.”
Fu quello l’inizio di tutto.

 

 

 

L’adolescenza è quell’età in cui i ragazzi non sanno se continuare a picchiare le ragazze o cominciare a baciarle.
(G. Wilder)

 

Quando le avevano detto che sarebbe andata anche lei in colonia, Sakura aveva pianto, urlato, e pestato i piedi, se lo ricordava benissimo.
Non erano serviti a niente i tentativi dei suoi genitori di tranquillizzarla: i bambini più grandi della sua scuola le avevano raccontato di ostili casermoni di cemento, stanzoni enormi in cui si dormiva tutti insieme e insegnanti intransigenti che costringevano a studiare ogni mattina, e lei non voleva assolutamente separarsi dai suoi genitori per andare in un posto del genere.
Sua madre l’aveva rassicurata sostenendo che erano solo sciocchezze che i ragazzi grandi le rifilavano per metterle paura, ma quando Sakura era arrivata la prima volta aveva capito che tutto quello che le dicevano era vero.
Sorprendentemente, però, aveva compreso quasi subito che non le importava: dopotutto erano le vacanze estive e non doveva andare a scuola, i sorveglianti li portavano alla spiaggia tutti i pomeriggi, era in compagnia di tutti i suoi amici e aveva la possibilità di vedere lui.
Sasuke non abitava nella stessa città di Sakura, di Naruto e degli altri; stava in una cittadina non poi così lontana ma assolutamente fuori mano per dei bambini – e anche per dei ragazzini, una volta che furono cresciuti; avevano l’occasione di incontrarlo solo quando si ritrovavano tutti in quella grande casa vicino al mare dove trascorrevano l’estate, ragion per  cui Sakura aveva iniziato ad attendere sempre con frenesia il primo di luglio, quando si ritrovavano tutti alla stazione per prendere il treno.
Aveva compiuto dodici anni a marzo, eppure da quando ne aveva sette nulla era cambiato: al momento di salire sul vagone, si sedeva vicino ad Ino e teneva un posto libero accanto a sé, attendendo il ragazzo dei capelli scuri che, giungendo da più lontano di loro, arrivava sempre un po’ in ritardo; quando lui infine saliva e si accomodava, lo osservava per un po’ prima di iniziare timidamente a parlargli, spinta da un sentimento che non era ancora riuscita ad identificare, ma che la induceva a cercarlo tra la folla quando non lo aveva vicino, ad ascoltare qualunque cosa avesse da dire anche se le pareva non avesse senso, a spiare di nascosto i suoi movimenti quando lui non la guardava.
Quel giorno avevano avuto il permesso di andare alla spiaggia fin dal mattino, così si erano preparati tutti in fretta e furia e vi erano giunti correndo, per non sprecare nemmeno un minuto.
Naruto, Kiba e Lee avevano subito iniziato ad inzaccherarsi con sabbia e acqua di mare, inducendo tutti ad allontanarsi da loro ridacchiando; Shikamaru, Choji, Neji e Shino erano seduti al molo, con le gambe in ammollo, a chiacchierare, quieti, mentre Ino e Tenten, con Hinata che le guardava, avevano iniziato una frenetica partita a pallavolo con uno dei palloni vecchi e sgonfi appartenenti alla colonia.
Sakura aveva preferito passeggiare un po’ nei dintorni, con i piedi nell’acqua bassa, per raccogliere le conchiglie che le onde del mare lasciavano a riva.
Si stava giusto chinando a prenderne una che aveva intravisto, sommersa, vicino al proprio piede quando scorse l’ombra di qualcuno che camminava dietro di lei, lentamente.
Non fu sorpresa, voltandosi, di vedere Sasuke aggirarsi assorto e solo: anche se quando si ritrovavano tutti insieme per l’estate si aggregava quasi automaticamente al loro gruppetto, rimaneva un tipo prevalentemente schivo e di poche parole, che spesso restava in disparte rispetto ad altre personalità più prorompenti.
Ciò che aveva stupito tutti, fin da subito, era stato il particolare feeling, fatto di battibecchi, piccole risse e grande stima reciproca che l’avevano visto sviluppare con Naruto; a Sakura aveva fatto piacere, perché credeva che fosse un legame che permetteva a tutti e due di guadagnare qualcosa.
“Che fai?” il tono di Sasuke pareva un po’ seccato nel momento in cui le pose la domanda, come di chi chiede a qualcun altro come osa trovarsi sulla sua strada; ma Sakura aveva imparato a non farsi impressionare dai suoi modi bruschi, e mormorò placidamente un “Raccolgo le conchiglie, Sas’ke-kun.”
Lui fece un cenno del capo, come ad annuire, poi la osservò mentre si chinava per rubarne un’altra alla corrente di un’onda un po’ più alta.
“E poi cosa te ne fai?”
“Le più belle le conservo come ricordo delle vacanze. Ogni anno compro un piccolo vaso di vetro e ci metto dentro le conchiglie che ho raccolto indicando la data, poi li appoggio tutti allineati su una mensola della mia camera. Questo sarà il settimo.”
“È una cosa stupida da fare.”
Sakura lo squadrò, sentendosi vagamente offesa. “A me piace farlo, è rilassante e lascia qualcosa da tenere da parte.”
Sasuke non le rispose, limitandosi ad alzare le spalle in silenzio, come a dire che se voleva perdere tempo in quelle sciocchezze era libera di farlo; però qualcosa catturò improvvisamente i suoi occhi, o almeno così parve, e Sakura lo vide immergere nell’acqua bassa una mano stranamente esitante e ritirarla chiusa su qualcosa di piccolo.
“Cos’è?”
In risposta lui aprì la mano, rivelando una piccola conchiglia dalla superficie scura e ruvida.
“Oh.”
Sakura rimase un po’ delusa quando realizzò di averlo visto compiere un gesto insolito – per uno come lui – solo per raccogliere quel guscio banale ed un po’ bruttino, o almeno fu delusa finché lui non lo capovolse, rendendo visibile la superficie interna, che era rivestita di scintillante e cangiante madreperla.
Era un guscio d’ostrica, ed era rarissimo trovarne in quelle coste; cercarne uno era un po’ come sperare di trovare un quadrifoglio in un campo di trifogli.
“Posso… Posso tenerla un momento, per vederla?”  gli chiese, con gli occhi spalancati.
Lui gliela porse senza rispondere, e Sakura se la rigirò tra le mani osservando ogni piccolo riflesso colorato della superficie perlacea.
Non aveva ancora terminato di rimirarla estaticamente che sentì uno scampanellio insistente proveniente dalla spiaggia, che indicava l’imminente rientro per la cena.
Profondamente infastidita dall’inopportunità di quel rumore sgradevole, la ragazzina tese la mano per restituire all’altro ciò che aveva trovato, ma quando alzò lo sguardo vide che lui si era già incamminato per tornare a riva.
“Sas’ke…!” chiamò, per attirare la sua attenzione, sventolando contemporaneamente il piccolo guscio che teneva ancora lei.
Lui voltò appena il viso, fermandosi un momento, ma poi le disse un semplice “Sbrigati” e proseguì.
Sakura richiuse la bocca, sorpresa, poi non poté trattenere un sorriso spontaneo.
Le aveva regalato quella meravigliosa conchiglia.

 

 

 

L’adolescenza è quel momento in cui bisogna scegliere tra vivere e morire.
(H. Aggoune)

 

Sakura aveva compreso di essersi indubitabilmente innamorata di Sasuke solo a quattordici anni, e se ne era resa conto perché lui quell’anno non era venuto con loro, durante l’estate, e lei ne aveva sofferto in un modo che non avrebbe mai saputo descrivere, a partire dal momento in cui si erano incontrati tutti in stazione fino a quando non erano ritornati a casa.
Pareva un dolore sordo e indefinito nascosto da qualche parte in fondo al diaframma, non visibile, non distintamente percepibile, ma presente.
Ogni tanto, quando lei vedeva tra i loro compagni qualcuno che gli somigliava, o sentiva nominare per caso il suo nome, il dolore si acuiva; a volte, quando scherzava e rideva con gli altri o chiacchierava a lungo con Ino pareva assopirsi un po’, anche se non scompariva mai del tutto.
Era come avere un tarlo da qualche parte in mezzo al petto, estremamente difficile da estirpare o da uccidere; poteva semplicemente rincorrerlo per cercare di colpirlo e di costringerlo a smettere di divorarle l’anima pezzetto per pezzetto.
Sapeva già in anticipo, prima della partenza, che Sasuke non ci sarebbe stato con loro quell’anno; lo sapeva perché lei e Naruto, anche se d’inverno non lo potevano vedere, gli scrivevano delle lunghe lettere a quattro mani, e così lo tenevano al corrente di tutto ciò che accadeva a loro o agli altri e allo stesso tempo si tenevano aggiornati alle novità che riguardavano lui.
Sakura ricordava quando aveva capito che non l’avrebbe rivisto presto come sperava.
Era stato quando le era arrivata la sua risposta ad una lettera che lei e Naruto gli avevano spedito poco tempo prima.
In quella missiva Sasuke spiegava, senza mezzi termini come faceva lui, ma con un distacco che lasciava intendere una disperazione oltre ogni parola, che i suoi genitori erano stati uccisi mentre lui si trovava a scuola circa una settimana prima e che lui stesso li aveva ritrovati morti, riversi sul pavimento di casa.
Aveva scritto loro che era stato suo fratello maggiore a compiere quell’atto insano.
Sakura sapeva chi era quel fratello: si chiamava Itachi ed era quello che aveva accompagnato Sasuke al treno durante il loro primo anno alle colonie, otto anni prima; ciò di cui né lei né Naruto si capacitavano era come il ragazzo posato e dolce che loro ricordavano avesse potuto trasformarsi nella bestia che aveva distrutto la famiglia a Sasuke.
Ammettevano di averlo appena visto di sfuggita, ma ne avevano sentito parlare da Sasuke e davvero non pareva loro tipo da essere in grado di agire in quel modo.
Eppure, tutti i giornali della regione avevano parlato di quel caso, così, leggendoli, avevano potuto desumere dai vari articoli che le prove erano chiarissime e nessun dubbio permaneva riguardo la colpevolezza di Uchiha Itachi, di cui si era peraltro scoperto che era membro di una pericolosa organizzazione criminale riconosciuta a livello nazionale.
Nella medesima lettera in cui spiegava l’accaduto a Naruto e Sakura, Sasuke scrisse che non sarebbe venuto in vacanza con loro dopo la fine della scuola, ma che avrebbe seguito in giro per il mondo il suo unico parente ancora in vita, un certo Madara Uchiha, per un addestramento militare che gli avrebbe consentito, in seguito, di potersi mettere sulle tracce di Itachi e poter finalmente vendicare la memoria dei loro genitori uccisi.
Sakura, allora, per la prima volta, gli aveva scritto una lettera senza dirlo a Naruto.
Avevano sempre scritto insieme a Sasuke, lei e il suo biondo migliore amico, perché lei, anche se avesse voluto, non sarebbe mai stata in grado di farlo da sola.
La soggezione che nutriva per il suo amore era tale che le impediva di essere spontanea con lui perfino per lettera, invece quando gli scriveva con Naruto le parole uscivano più facili e più allegre dalla penna.
Ma quella volta, solo quella  volta, prese a quattro mani il suo coraggio e gli scrisse una lettera che terminava con ti amo.
Aveva creduto, non appena imbucata la busta, che non le avrebbe nemmeno risposto; invece la replica era arrivata, e neppure tanto tempo dopo; sorprendentemente, pur essendo ferma e decisa, manteneva anche una certa delicatezza di fondo che l’avrebbe commossa se il messaggio non fosse stato inequivocabile: ti ringrazio, ma non intrometterti.
Una volta che lei e i suoi amici si erano ritrovati vicini sul treno per la colonia, aveva fatto passare la risposta di Sasuke di mano in mano; una volta che ciascuno l’ebbe letta tutti alzarono il viso e si lanciarono occhiate significative: Sasuke aveva deciso di provare o morire.
Ciò che si chiedevano Ino e Naruto, che meglio di chiunque conoscevano Sakura, era se sarebbe morta anche lei.

 

 

 

I giovani ridono senza motivo. È una delle loro principali attrattive.
(O. Wilde)

 

Sasuke era tornato.
Era tornato tre anni dopo, incredibilmente, e la sorpresa di tutto il gruppo era stata tale che Naruto non aveva potuto contenere la gioia ed era corso ad abbracciarlo, Ino aveva urlato con euforia, Kiba e Lee si erano lanciati in festeggiamenti sguaiati, Neji e Shikamaru, Shino, Hinata, Choji e Ten non avevano fatto nulla di speciale – ma la felicità nei loro sorrisi era evidente.
Sakura, incredibilmente, non si era nemmeno mossa.
E non lo aveva fatto perché non fosse felice, no, perché dal primo momento in cui l’aveva visto arrivare alla stazione aveva chiaramente percepito le lacrime di commozione velarle gli occhi verdi.
Ciò che la bloccava, nemmeno fosse incatenata, era la terrificante sensazione di trovarsi davanti ad un altro Sasuke.
E forse era proprio così.
D’altronde, dalla risposta al suo ‘ti amo’ che le aveva mandato – che era stato poi l’ultimo contatto che avevano avuto – erano accadute talmente tante cose che era impossibile che lui fosse ancora il ragazzino dal carattere freddo ma ancora normale che tutti loro avevano conosciuto.
Tanto per cominciare, quel ragazzino aveva ucciso.
Come si era giurato tre anni addietro, aveva tolto la vita ad Itachi, fratello disgraziato e figlio degenere, e così aveva avuto la vendetta che desiderava per sé e per la memoria dei suoi.
Ma l’accaduto non si fermava certo a questo, ed anzi era ciò che era avvenuto dopo ad averlo trasformato: la scoperta dell’innocenza di Itachi, dopo che l’aveva ucciso, e della reale colpevolezza di Madara, l’uomo che l’aveva preso con sé dopo la morte dei suoi genitori, avevano sprofondato Sasuke in uno stato di profonda prostrazione che non era stata smorzata dalla sua assoluzione dall’accusa di omicidio e da cui era uscito unicamente imparando a non provare più emozioni.
Sakura non era corsa a salutare Sasuke, quando l’avevano rivisto, perché era certa di avere davanti una macchina che si privava dell’umanità per non annegare nel dolore. E lei non si era innamorata di un robot.
Certo, lui parlava, agiva, forse anche pensava; ma lo faceva in automatico, tanto che a Sakura non era ben chiaro perché avesse deciso di trascorrere con loro l’ultima estate – l’anno successivo avrebbero raggiunto la maggiore età, e niente vacanza alle colonie per i maggiorenni, solo lavori estivi perché si rendessero utili.
Nessuno degli altri pareva porsi il problema, forse perché erano troppo felici per il suo ritorno per pensare ad altro, così Sakura preferì non parlarne apertamente.
Però era troppo sperare che lui, per quanto diverso da un tempo, non si accorgesse del suo atteggiamento.
E infatti così non fu.
La mattina del penultimo giorno di quell’ultimo anno di colonia erano nuovamente tutti alla spiaggia.
Visto che il giorno dopo si sarebbe tornati a casa, i sorveglianti avevano consentito loro di dedicarsi all’attività che preferivano.
Non fu una novità, per chi conosceva Sakura, vederla rimboccarsi i pantaloni e dirigersi verso la riva del mare, immergendo i piedi nell’acqua bassa, in cerca di conchiglie.
La cosa non dovette sorprendere nemmeno Sasuke, visto il modo con cui si era arrestato a poca distanza da lei, guardandola senza palesare alcuna meraviglia.
“Ti piacciono ancora le conchiglie, Sakura.”
Nonostante avesse adorato quella voce, e le fosse mancata oltre ogni dire, la ragazza provò un moto di fastidio quando la udì, distaccata, distante, come senz’anima.
“Sì.”
Dopo che gli ebbe risposto, non vide in lui nessuna reazione.
Semplicemente volgeva attorno a sé i suoi occhi neri, apparentemente assorto, ma senza soffermarsi mai su nulla.
Il suo atteggiamento fece montare in lei una rabbia sorda che non fu in alcun modo in grado di contenere,  e che la portò a biascicare, rivolta a lui, un brusco “Che sei tornato a fare?”
La scortesia della giovane parve risvegliare qualcosa in quel viso marmoreo, che si voltò fulmineo verso di lei con una scintilla superstite dell’antica arroganza, subito smorzata da un sorriso freddo.
“Non vedo perché dovrei non esserci.”
“Dopo tre anni passati a girare il mondo in lungo in largo e a cambiare irreversibilmente te stesso, non vedo perché avresti dovuto tornare in questo buco con noi come se nulla fosse cambiato. Perché le cose sono cambiate.”
“Ti riferisci al fatto che ho fatto fuori a sangue freddo l’uomo che una volta chiamavo con amore ‘fratello’, suppongo.”
“No, credo di poter capire perché l’hai fatto, davvero. Quello credo di poterlo capire. Non capisco ciò che sei diventato ora, però. Perché sei qui? Non c’è più niente che vuoi o non vuoi. Sei come un guscio vuoto.”
Sasuke non le rispose, ma in un replay perfetto di un’azione di parecchio tempo prima si chinò verso l’acqua, da cui estrasse una conchiglia ancora gocciolante.
“Le cose vuote si possono riempire. I lacci strappati si possono riannodare.”
E le porse un piccolo guscio di madreperla, identico a quello che da cinque anni Sakura portava legato al collo.

 

 

**********

 

Spero che la lettura sia stata piacevole!
Sono sempre lieta di ricevere i vostri pareri! ^^
A presto,
Panda

  
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