Non so bene
nemmeno io com’è nata questa shot, che
è un po’ particolare.
Innanzitutto
è una AU: non è ambientata in un tempo e in un
luogo precisi, forse, per avere
un’idea, potrebbe essere ambientata in Italia tra gli anni
’40 e ’50, quando,
appunto, c’erano quelle famose colonie dove i bimbi venivano
mandati d’estate.
Il titolo è
ovviamente un omaggio al bellissimo romanzo L’amore
ai tempi del colera, di Marquez. =)
Buona
lettura!
**********
Quando Sakura e i suoi amici erano piccoli,
le città
crescevano inesorabilmente e diventavano scure e fumose; le famiglie
erano in
genere sufficientemente benestanti per vivere dignitosamente ma non
abbastanza
per potersi permettere una vacanza via da casa, al mare o in montagna.
Per questo, in quel periodo, per fare sì che almeno i
bambini respirassero un po’ d’aria sana almeno per
qualche tempo, ad opera dei
comuni e delle parrocchie erano nate le cosiddette colonie, che si
occupavano
di accompagnare nutriti gruppi di ragazzi di tutte le età in
grandi strutture a
loro riservate vicine al mare.
Era proprio andandoci che Sakura aveva incontrato
Sasuke, nella calda mattinata del primo luglio nell’anno dei
suoi sei anni,
giorno in cui era fissata la partenza per le vacanze
dei bambini.
L’amore
ai tempi delle colonie
L’infanzia
non è semplicemente un tempo di preparazione alla vita, come
sovente siamo portati a pensarla per i nostri figli, ma è
già vita essa stessa.
(Rosagger)
Sakura arrivò un po’ in
anticipo, quella mattina,
assieme a sua madre
che le portava la
valigetta, e raggiunse subito i suoi amici che già avevano
formato un
capannello vicino al binario.
Salutò calorosamente Ino, Hinata, Naruto, Tenten,
Neji, Lee, Shikamaru, Kiba e Shino, i compagni di giochi dei suoi sei
anni di
vita; alcuni erano più poveri, altri invece di famiglia
socialmente più
elevata, ma le colonie erano quelle per tutti e loro in ogni caso non
avevano
mai fatto caso a quisquilie come la provenienza familiare.
Quando udirono il fischio trapanante dei sorveglianti
che avrebbero badato a loro, compresero che era ora di andare,
così ognuno
corse a salutare i propri genitori e prendere la propria valigia
– che loro
chiamavano così, ma che agli occhi degli adulti non era in
realtà che una
piccola sacca stipata di due o tre completi per tutti i giorni
più il vestito
buono per quando si andava a messa.
Indugiarono un po’ nel vedere i genitori fare due
passi indietro e guardarli sorridendo, facendo segni di
incoraggiamento; per
tutti era la prima volta che trascorrevano così tanto tempo
lontani da casa
presso qualcuno che non fosse un parente, e se la cosa da un lato li eccitava dall’altro li rendeva
tristi ed inquieti.
Spronati dall’ulteriore rumore prodotto da un
fischietto lì vicino, salirono infine sul treno; i vecchi
vagoni non erano
divisi in scompartimenti, ma stipati di file e file di sedili fissati
al
pavimento.
Ino fu fulminea nell’occupare un gruppetto di sedili
vuoti, così tutti i componenti della loro combriccola
poterono stare vicini.
Di fianco a Sakura rimase un posto libero, e fu lì che
fecero sedere il bimbo minuto e bruno che arrivò
all’ultimo momento.
Era stato accompagnato da un ragazzino più grande che
gli somigliava e che sembrava non avere nessuna voglia di lasciarlo
andare;
quello che pareva essere il fratello maggiore l’aveva
accompagnato presso la
sorveglianza, l’aveva abbracciato, l’aveva colpito
delicatamente con due dita
sulla fronte e, dopo avergli sussurrato qualcosa
all’orecchio, era sceso a
malincuore, e il bambino era stato portato accanto a Sakura.
La bimba notò che aveva gli occhi pieni di lacrime,
anche se non piangeva apertamente, così, con tatto, distolse
lo sguardo da lui.
Poco dopo, una volta che il treno aveva iniziato a
sferragliare e a prendere velocità, Sakura smise di prestare
attenzione ai
discorsi degli amici per rivolgerla al suo vicino di sedile.
Aveva una corporatura abbastanza esile ed era vestito
con abiti pregiati e curati, diversamente dalla maggior parte di loro
che, pur
essendo forniti di tutti i capi necessari, non potevano certo vantarne
l’eleganza.
I suoi capelli erano neri, lisci e scompigliati e
contrastavano con la pelle chiara del viso rotondo dai tratti delicati.
Sebbene i suoi
occhi scuri sembrassero assenti mentre rincorrevano il paesaggio a
malapena
visibile attraverso i finestrini appannati, Sakura decise di fare un
tentativo.
“Ciao. Io sono Sakura Haruno, tu come ti chiami?”
Lui voltò di scatto la testa, guardandola con un che
di infastidito; le parve di scorgere un lampo d’arroganza nel
suo sguardo, come
se stesse decidendo se fosse il caso di rispondere ad una
nullità come lei.
Ma alla fine sospirò, in un atteggiamento fin troppo
adulto per lui, e si decise a rispondere.
“Io mi chiamo Sasuke Uchiha.”
Fu quello l’inizio di tutto.
L’adolescenza
è
quell’età in cui i ragazzi non sanno se continuare
a picchiare le ragazze o
cominciare a baciarle.
(G. Wilder)
Quando le avevano detto che sarebbe andata anche
lei
in colonia, Sakura aveva pianto, urlato, e pestato i piedi, se lo
ricordava
benissimo.
Non erano serviti a niente i tentativi dei suoi
genitori di tranquillizzarla: i bambini più grandi della sua
scuola le avevano
raccontato di ostili casermoni di cemento, stanzoni
enormi in cui si dormiva tutti
insieme e insegnanti intransigenti che costringevano a studiare ogni
mattina, e
lei non voleva assolutamente separarsi dai suoi genitori per andare in
un posto
del genere.
Sua madre l’aveva rassicurata sostenendo che erano
solo sciocchezze che i ragazzi grandi le rifilavano per metterle
paura, ma
quando Sakura era arrivata la prima volta aveva capito che tutto quello
che le
dicevano era vero.
Sorprendentemente, però, aveva compreso quasi subito
che non le importava: dopotutto erano le vacanze estive e non doveva
andare a
scuola, i sorveglianti li portavano alla spiaggia tutti i pomeriggi, era
in
compagnia di tutti i suoi amici e aveva la possibilità di
vedere lui.
Sasuke non abitava nella stessa città di Sakura, di
Naruto e degli altri; stava in una cittadina non poi così
lontana ma
assolutamente fuori mano per dei bambini – e anche per dei
ragazzini, una volta
che furono cresciuti; avevano l’occasione di incontrarlo solo
quando si
ritrovavano tutti in quella grande casa vicino al mare dove
trascorrevano
l’estate, ragion per cui
Sakura aveva
iniziato ad attendere sempre con frenesia il primo di luglio, quando si
ritrovavano tutti alla stazione per prendere il treno.
Aveva compiuto dodici anni a marzo, eppure da
quando ne aveva sette nulla era cambiato: al momento di salire sul
vagone, si
sedeva vicino ad Ino e teneva un posto libero accanto a sé,
attendendo il
ragazzo dei capelli scuri che, giungendo da più lontano di
loro, arrivava
sempre un po’ in ritardo; quando lui infine saliva e si
accomodava, lo
osservava per un po’ prima di iniziare timidamente a
parlargli, spinta da un
sentimento che non era ancora riuscita ad identificare, ma che la
induceva a
cercarlo tra la folla quando non lo aveva vicino, ad ascoltare
qualunque cosa
avesse da dire anche se le pareva non avesse senso, a spiare di
nascosto i suoi
movimenti quando lui non la guardava.
Quel giorno avevano avuto il permesso di andare alla
spiaggia fin dal mattino, così si erano preparati tutti in
fretta e furia e vi
erano giunti correndo, per non sprecare nemmeno un minuto.
Naruto, Kiba e Lee avevano subito iniziato ad
inzaccherarsi con sabbia e acqua di mare, inducendo tutti ad
allontanarsi da
loro ridacchiando; Shikamaru, Choji, Neji e Shino erano seduti al
molo, con le
gambe in ammollo, a chiacchierare, quieti, mentre Ino e Tenten, con
Hinata che
le guardava, avevano iniziato una frenetica partita a pallavolo con uno
dei
palloni vecchi e sgonfi appartenenti alla colonia.
Sakura aveva preferito passeggiare un po’ nei dintorni,
con i piedi nell’acqua bassa, per raccogliere le conchiglie
che le onde del
mare lasciavano a riva.
Si stava giusto chinando a prenderne una che aveva
intravisto, sommersa, vicino al proprio piede quando scorse
l’ombra di qualcuno
che camminava dietro di lei, lentamente.
Non fu sorpresa, voltandosi, di vedere Sasuke aggirarsi
assorto e solo: anche se quando si ritrovavano tutti insieme per
l’estate si
aggregava quasi automaticamente al loro gruppetto, rimaneva un tipo
prevalentemente schivo e di poche parole, che spesso restava in
disparte
rispetto ad altre personalità più prorompenti.
Ciò che aveva stupito tutti, fin da subito, era stato il
particolare feeling,
fatto di battibecchi, piccole risse e grande stima reciproca che
l’avevano
visto sviluppare con Naruto; a Sakura aveva fatto piacere,
perché credeva che
fosse un legame che permetteva a tutti e due di guadagnare qualcosa.
“Che fai?” il tono di Sasuke pareva un
po’ seccato nel
momento in cui le pose la domanda, come di chi chiede a qualcun altro
come osa
trovarsi sulla sua strada; ma Sakura aveva imparato a non farsi
impressionare
dai suoi modi bruschi, e mormorò placidamente un
“Raccolgo le conchiglie, Sas’ke-kun.”
Lui fece un cenno del capo, come ad annuire, poi la
osservò mentre si chinava per rubarne un’altra
alla corrente di un’onda un po’
più alta.
“E poi cosa te ne fai?”
“Le più belle le conservo come ricordo delle
vacanze.
Ogni anno compro un piccolo vaso di vetro e ci metto dentro le
conchiglie che
ho raccolto indicando la data, poi li appoggio tutti allineati su una
mensola
della mia camera. Questo sarà il settimo.”
“È una cosa stupida da fare.”
Sakura lo squadrò, sentendosi vagamente offesa. “A
me
piace farlo, è rilassante e lascia qualcosa da tenere da
parte.”
Sasuke non le rispose, limitandosi ad alzare le spalle
in silenzio, come a dire che se voleva perdere tempo in quelle
sciocchezze era
libera di farlo; però qualcosa catturò
improvvisamente i suoi occhi, o almeno
così parve, e Sakura lo vide immergere nell’acqua
bassa una mano stranamente
esitante e ritirarla chiusa su qualcosa di piccolo.
“Cos’è?”
In risposta lui aprì la mano, rivelando una piccola
conchiglia dalla superficie scura e ruvida.
“Oh.”
Sakura rimase un po’ delusa quando realizzò di
averlo
visto compiere un gesto insolito – per uno come lui
– solo per raccogliere quel
guscio banale ed un po’ bruttino, o almeno fu delusa
finché lui non lo
capovolse, rendendo visibile la superficie interna, che era rivestita
di
scintillante e cangiante madreperla.
Era un guscio d’ostrica, ed era rarissimo trovarne in
quelle coste; cercarne uno era un po’ come sperare di trovare
un quadrifoglio
in un campo di trifogli.
“Posso… Posso tenerla un momento, per
vederla?” gli
chiese, con gli occhi spalancati.
Lui gliela porse senza rispondere, e Sakura se la
rigirò tra le mani osservando ogni piccolo riflesso colorato
della superficie
perlacea.
Non aveva ancora terminato di rimirarla estaticamente
che sentì uno scampanellio insistente proveniente dalla
spiaggia, che indicava l’imminente
rientro per la cena.
Profondamente infastidita dall’inopportunità di
quel
rumore sgradevole, la ragazzina tese la mano per restituire
all’altro ciò che
aveva trovato, ma quando alzò lo sguardo vide che lui si era
già incamminato
per tornare a riva.
“Sas’ke…!” chiamò,
per attirare la sua attenzione,
sventolando contemporaneamente il piccolo guscio che teneva ancora lei.
Lui voltò appena il viso, fermandosi un momento, ma
poi le disse un semplice “Sbrigati” e
proseguì.
Sakura richiuse la bocca, sorpresa, poi non poté
trattenere un sorriso spontaneo.
Le aveva regalato quella meravigliosa conchiglia.
L’adolescenza
è
quel momento in cui bisogna scegliere tra vivere e morire.
(H. Aggoune)
Sakura aveva compreso di essersi indubitabilmente
innamorata di Sasuke solo a quattordici anni, e se ne era resa conto
perché lui
quell’anno non era venuto con loro, durante
l’estate, e lei ne aveva sofferto
in un modo che non avrebbe mai saputo descrivere, a partire dal momento in cui si erano
incontrati tutti in stazione fino a quando non erano ritornati a casa.
Pareva un dolore sordo e indefinito nascosto da
qualche parte in fondo al diaframma, non visibile, non distintamente
percepibile, ma presente.
Ogni tanto, quando lei vedeva tra i loro compagni
qualcuno che gli somigliava, o sentiva nominare per caso il suo nome,
il dolore
si acuiva; a volte, quando scherzava e rideva con gli altri o chiacchierava a lungo con
Ino pareva
assopirsi un po’, anche se non scompariva mai del tutto.
Era come avere un tarlo da qualche parte in mezzo al
petto, estremamente difficile da estirpare o da uccidere; poteva
semplicemente
rincorrerlo per cercare di colpirlo e di costringerlo a smettere di
divorarle
l’anima pezzetto per pezzetto.
Sapeva già in anticipo, prima della partenza, che
Sasuke non ci sarebbe stato con loro quell’anno; lo sapeva
perché lei e Naruto,
anche se d’inverno non lo potevano vedere, gli scrivevano
delle lunghe lettere
a quattro mani, e così lo tenevano al corrente di tutto
ciò che accadeva a loro
o agli altri e allo stesso tempo si tenevano aggiornati alle
novità che
riguardavano lui.
Sakura ricordava quando aveva capito che non l’avrebbe
rivisto presto come sperava.
Era stato quando le era arrivata la sua risposta ad
una lettera che lei e Naruto gli avevano spedito poco tempo prima.
In quella missiva Sasuke spiegava, senza mezzi termini
come faceva lui, ma con un distacco che lasciava intendere una
disperazione
oltre ogni parola, che i suoi genitori erano stati uccisi mentre lui si
trovava
a scuola circa una settimana prima e che lui stesso li aveva ritrovati
morti,
riversi sul pavimento di casa.
Aveva scritto loro che era stato suo fratello
maggiore a compiere quell’atto insano.
Sakura sapeva chi era quel fratello: si chiamava
Itachi ed era quello che aveva accompagnato Sasuke al treno durante il
loro
primo anno alle colonie, otto anni prima; ciò di cui
né lei né Naruto si
capacitavano era come il ragazzo posato e dolce che loro ricordavano
avesse
potuto trasformarsi nella bestia che aveva distrutto la famiglia a
Sasuke.
Ammettevano di averlo appena visto di sfuggita, ma ne
avevano sentito parlare da Sasuke e davvero non pareva loro tipo da
essere in
grado di agire in quel modo.
Eppure, tutti i giornali della regione avevano parlato
di quel caso, così, leggendoli, avevano potuto desumere dai
vari articoli che
le prove erano chiarissime e nessun dubbio permaneva riguardo la
colpevolezza
di Uchiha Itachi, di cui si era peraltro scoperto che era membro di una
pericolosa organizzazione criminale riconosciuta a livello nazionale.
Nella medesima lettera in cui spiegava l’accaduto a
Naruto e Sakura, Sasuke scrisse che non sarebbe venuto in vacanza con
loro dopo
la fine della scuola, ma che avrebbe seguito in giro per il mondo il
suo unico
parente ancora in vita, un certo Madara Uchiha, per un addestramento
militare
che gli avrebbe consentito, in seguito, di potersi mettere sulle tracce
di
Itachi e poter finalmente vendicare la memoria dei loro genitori uccisi.
Sakura, allora, per la prima volta, gli aveva scritto
una lettera senza dirlo a Naruto.
Avevano sempre scritto insieme a Sasuke, lei e il suo
biondo migliore amico, perché lei, anche se avesse voluto,
non sarebbe mai
stata in grado di farlo da sola.
La soggezione che nutriva per il suo amore
era tale che le impediva di essere
spontanea con lui perfino per lettera, invece quando gli scriveva con
Naruto le
parole uscivano più facili e più allegre dalla
penna.
Ma quella volta, solo quella volta,
prese a quattro mani il suo coraggio e
gli scrisse una lettera che terminava con ti
amo.
Aveva creduto, non appena imbucata la busta, che non
le avrebbe nemmeno risposto; invece la replica era arrivata, e neppure
tanto
tempo dopo; sorprendentemente, pur essendo ferma e decisa, manteneva
anche una
certa delicatezza di fondo che l’avrebbe commossa se il
messaggio non fosse
stato inequivocabile: ti ringrazio, ma
non intrometterti.
Una volta che lei e i suoi amici si erano
ritrovati vicini sul treno per la colonia, aveva fatto passare la
risposta di
Sasuke di mano in mano; una volta che ciascuno l’ebbe letta
tutti alzarono il
viso e si lanciarono occhiate significative: Sasuke aveva deciso di
provare o
morire.
Ciò che si chiedevano Ino e Naruto, che meglio di
chiunque conoscevano Sakura, era se sarebbe morta anche lei.
I giovani
ridono senza motivo. È una delle loro principali attrattive.
(O. Wilde)
Sasuke era tornato.
Era tornato tre anni dopo, incredibilmente, e la
sorpresa di tutto il gruppo era stata tale che Naruto non aveva potuto
contenere la gioia ed era corso ad abbracciarlo, Ino aveva urlato con
euforia,
Kiba e Lee si erano lanciati in festeggiamenti sguaiati, Neji e
Shikamaru,
Shino, Hinata, Choji e Ten non avevano fatto nulla di speciale
– ma la felicità
nei loro sorrisi era evidente.
Sakura, incredibilmente, non si era nemmeno mossa.
E non lo aveva fatto perché non fosse felice, no,
perché dal primo momento in cui l’aveva visto
arrivare alla stazione aveva
chiaramente percepito le
lacrime di
commozione velarle gli occhi verdi.
Ciò che la bloccava, nemmeno fosse incatenata, era la
terrificante sensazione di trovarsi davanti ad un altro
Sasuke.
E forse era proprio così.
D’altronde, dalla risposta al suo ‘ti
amo’ che le
aveva mandato – che era stato poi l’ultimo contatto
che avevano avuto – erano
accadute talmente tante cose che era impossibile che lui fosse ancora
il
ragazzino dal carattere freddo ma ancora normale
che tutti loro avevano conosciuto.
Tanto per cominciare, quel ragazzino aveva ucciso.
Come si era giurato tre anni addietro, aveva tolto la
vita ad Itachi, fratello disgraziato e figlio degenere, e
così aveva avuto la
vendetta che desiderava per sé e per la memoria dei suoi.
Ma l’accaduto non si fermava certo a questo, ed anzi era ciò che era
avvenuto dopo ad averlo
trasformato: la scoperta dell’innocenza di Itachi, dopo che
l’aveva ucciso, e
della reale colpevolezza di Madara, l’uomo che
l’aveva preso con sé dopo la morte dei suoi genitori, avevano sprofondato Sasuke in uno stato di profonda
prostrazione
che non era stata smorzata dalla sua assoluzione dall’accusa
di omicidio e da
cui era uscito unicamente imparando a non provare più
emozioni.
Sakura non era corsa a salutare Sasuke, quando
l’avevano rivisto, perché era certa di avere
davanti una macchina che si
privava dell’umanità per non annegare nel dolore.
E lei non si era innamorata
di un robot.
Certo, lui parlava, agiva, forse anche pensava; ma lo
faceva in automatico, tanto che a Sakura non era ben chiaro
perché avesse
deciso di trascorrere con loro l’ultima estate –
l’anno successivo avrebbero
raggiunto la maggiore età, e niente vacanza alle colonie per
i maggiorenni,
solo lavori estivi perché si rendessero utili.
Nessuno degli altri pareva porsi il problema, forse
perché erano troppo felici per il suo ritorno per pensare ad
altro, così Sakura
preferì non parlarne apertamente.
Però era troppo sperare che lui, per quanto diverso da
un tempo, non si accorgesse del suo atteggiamento.
E infatti così non fu.
La mattina del penultimo giorno di quell’ultimo anno
di colonia erano nuovamente tutti alla spiaggia.
Visto che il giorno dopo si sarebbe tornati a casa, i
sorveglianti avevano consentito loro di dedicarsi
all’attività che preferivano.
Non fu una novità, per chi conosceva Sakura, vederla
rimboccarsi i pantaloni e dirigersi verso la riva del mare, immergendo
i piedi
nell’acqua bassa, in cerca di conchiglie.
La cosa non dovette sorprendere nemmeno Sasuke, visto
il modo con cui si era arrestato a poca distanza da lei, guardandola
senza
palesare alcuna meraviglia.
“Ti piacciono ancora le conchiglie, Sakura.”
Nonostante avesse adorato quella voce, e le fosse
mancata oltre ogni dire, la ragazza provò un moto di
fastidio quando la udì,
distaccata, distante, come senz’anima.
“Sì.”
Dopo che gli ebbe risposto, non vide in lui nessuna
reazione.
Semplicemente volgeva attorno a sé i suoi occhi neri,
apparentemente assorto, ma senza soffermarsi mai su nulla.
Il suo atteggiamento fece montare in lei una rabbia
sorda che non fu in alcun modo in grado di contenere,
e che la portò a biascicare, rivolta a lui,
un brusco “Che sei tornato a fare?”
La scortesia della giovane parve risvegliare qualcosa
in quel viso marmoreo, che si voltò fulmineo verso di lei
con una scintilla
superstite dell’antica arroganza, subito smorzata da un
sorriso freddo.
“Non vedo perché dovrei non esserci.”
“Dopo tre anni passati a girare il mondo in lungo in
largo e a cambiare irreversibilmente te stesso, non vedo
perché avresti dovuto
tornare in questo buco con noi come se nulla fosse cambiato.
Perché le cose sono
cambiate.”
“Ti riferisci al fatto che ho fatto fuori a sangue freddo
l’uomo che una volta chiamavo con amore
‘fratello’, suppongo.”
“No, credo di poter capire perché l’hai
fatto,
davvero. Quello credo di poterlo
capire. Non capisco ciò che sei diventato ora,
però. Perché
sei qui? Non c’è più niente che vuoi o
non vuoi. Sei come un
guscio vuoto.”
Sasuke non le rispose, ma in un replay perfetto di
un’azione di parecchio tempo prima si chinò verso
l’acqua, da cui estrasse una
conchiglia ancora gocciolante.
“Le cose vuote si possono riempire. I lacci strappati
si possono riannodare.”
E le porse un piccolo guscio di madreperla, identico a
quello che da cinque anni Sakura portava legato al collo.
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Spero che la lettura sia stata piacevole!
Sono sempre lieta di ricevere i vostri pareri! ^^
A presto,
Panda