Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |      
Autore: Yami_Yume    13/08/2011    6 recensioni
E’ quella situazione in cui si suppone nasca qualcosa tra sequestratore e sequestrato.
Dicono si chiami “Sindrome di Stoccolma”.
E’ vero? Si può amare chi ti fa del male?
-Alternate Universe-
[Sasuke/Sakura centric] # [Lievi accenni Naruto/Hinata e Suigetsu/Karin]
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
kik

 

 

  

Premessa: Primissima sperimentazione di una long-fiction, di cui la coppia principale sarà naturalmente il SasuSaku, ma non mancheranno accenni ad altri parinig quali NaruHina e SuiKa. Inoltre è anche la mia prima AU. Dunque, i personaggi sono stati letteralmente catapultati nel nostro mondo; per l’appunto, si tratta di una storia pensata dando un piccolo sguardo alla realtà dei giorni nostri, in cui i casi di sequestro, oramai, hanno davvero stomacato.

Buona lettura ^^

 

 

 

 

** Dicono si chiami **

 ** Sindrome di **

** Stoccolma **

 

 

Prologo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fissare in continuazione tutti i dettagli della stanza fuorché la pagina del libro che aveva sotto gli occhi non sarebbe servito poi a molto.

Il cervello ormai stava per surriscaldarsi, aveva bisogno di quella pausa – la stessa che il padre le aveva consigliato decine di volte – che, tuttavia, la sua ostinazione per il perfezionismo si rifiutava di accogliere.

E il suono di un paio di nocche che udì bussare contro la porta avrebbe solo rappresentato l’ennesima distrazione - e, probabilmente, quella che viene definita la ciliegina sulla torta - per farle totalmente abbandonare tutto quanto.

“Sakura…” la voce profonda della madre suonava come quella di chi vuole apparire seccato per aver ripetuto diverse volte lo stesso avvertimento.

“… sono entrata qui dentro almeno un’ora fa e sei ancora sulla stessa pagina. Avanti, riponi quel libro e mettiti a letto.”

Ecco, appunto. Sakura aveva perso il conto di quante volte, spartite tra sua madre e il marito, le fosse stata ripetuta la stessa cosa, solo con parole diverse. Due pigroni come i suoi genitori non potevano capire, per questo li cacciava e, a dispetto del suo cervello che non riusciva più ad elaborare nuove informazioni, si rimetteva per orgoglio su quei dannati pezzi di carta assemblati in un ennesimo, noiosissimo libro.

E la urtava ulteriormente quell'assurda posa che la madre aveva assunto con fare esigente, con le mani sui fianchi, come ad indicarle che non si sarebbe mossa da lì fino a quando non avrebbe visto quel santissimo libro chiuso una volta per tutte.

Sakura si domandava semplicemente quali potessero essere gli affari suoi.

La prospettiva che mancasse meno di una settimana al sostegno di quella prova di ammissione non era granché positiva, anzi, le faceva salire un senso di angoscia e di ansia inevitabili.

Scosse il capo, arrendendosi alla caparbietà di sua madre. Si decise finalmente a chiudere quel libro, davanti agli occhi soddisfatti della donna, che sorrise compiaciuta.

“Contenta?” naturalmente, quella era una domanda retorica, fuoriuscita dalle sue labbra per essere sarcastica.

“Era ora. Dai, mettiti sotto le coperte, è tardi. Guarda che tra poco vengo a controllare che sia tutto spento.”

Da non crederci. Le venne quasi da ridere per il modo di fare assurdo di sua madre, ma non volle farlo fino a quando non avrebbe sentito la porta richiudersi alle spalle della donna.

Ad illuminare la stanza c’era soltanto quella tenue luce del lampadario sul suo comodino, con accanto la sveglia che il giorno dopo sarebbe suonata nelle sue orecchie per ricominciare un’altra monotona giornata di studio. E dire che sua madre avrebbe dovuto comprendere meglio di chiunque altro il suo stato di perenne premura. Perché lei era Tsunade, il sindaco di un’intera città e la donna più ricca del mondo; insomma, la sua era una posizione elevata e che richiedeva anche un certo impegno.

Suo padre, invece, era uno scrittore di grande talento, o almeno così le veniva detto da chi era molto più grande di lei; perché lei non aveva mai neanche osato leggere i suoi libri, anche perché suo padre stesso gliel’aveva fino ad allora vietato. Diceva che doveva pazientare la maturità, ma neanche allora, che possedeva oramai 18 anni e stava per andare incontro all’esperienza universitaria, glielo permetteva. Insomma, Sakura ci aveva praticamente perso ogni interesse.

Si ritrovò a scuotere il capo, da sola - come se stesse interagendo con se stessa -, in quello che pareva un atteggiamento di autocorrezione: come non detto, sua madre non poteva capire; apparteneva ad una generazione che si era creata da sé. Suo nonno era stato un grande uomo politico. In una parola, Tsunade era una di quelle persone facilmente definibili raccomandate.

La ragazza si ritrovò a sorridere, perché in fondo era conscia di tutti gli sforzi che la madre, per quanto svogliata potesse apparire, stava compiendo nel suo lavoro, perché lei amava la sua città e i cittadini amavano lei.

Ed improvvisamente, la propria espressione si fece determinata, pensando agli sforzi che da sola aveva sempre fatto per arrivare fin dove era arrivata, convincendosi che quel dannato test d’ingresso non avrebbe costituito alcun ostacolo e che tutte le energie impiegate sarebbero state certamente compensate. La sua indole di perfetta sognatrice le diede libero accesso alle immagini più assurde che la fantasia di cui era dotata le permetteva di rendere nitide davanti agli occhi. E ognuna di queste immagini era accomunata da un unico aspetto: il suo corpo che rivestiva la fantomatica uniforme bianca da medico aperta davanti, in modo da rendere visibile il proprio petto prosperoso; la tipica cartella, tra le mani pallide, contenente i documenti che registrano tutte le informazioni anagrafiche e sanitarie di una persona malata; infine, l’immancabile tesserino di riconoscimento con inciso il proprio nome, appeso con fierezza al taschino del camice, in bellavista a colleghi, pazienti e superiori. Niente a che vedere con quel sottile tessuto della sua camicia da notte, di un celeste dalla tonalità simile all’acqua limpida, che si era già rifilata qualche ora prima per puro sfizio, dal momento che amava girare per la casa con indosso gli indumenti per dormire; ma forse doveva iniziare a mettere addosso qualcosa in più - come un pigiama, perlomeno -, dato che l’autunno era ormai prossimo.

Lasciò il libro sulla leggera trapunta che rivestiva il materasso e stava per alzarsi, quando i suoi occhi si posarono per puro caso sul comodino disposto sul lato destro del suo letto. Poi sembrò quasi che una forza neutra e misteriosa concatenasse del tutto il colore smeraldino dei suoi occhi all’unico cassetto che il comodino in legno possedeva. Ed improvvisamente, sul viso comparve la tipica espressione intrisa di amarezza che nel giro degli ultimi giorni stava in tutti i modi cercando di non dare a vedere, né ai suoi genitori né ai suoi amici.

Tornò con lo sguardo sul proprio libro. In realtà, ultimamente nello studio rivedeva una sorta di rifugio. Si rendeva conto che il tempo trascorso su quelle pagine dalle parole monotone sembrava non passare mai.

Aveva spesso sperato che attraverso lo studio i suoi occhi potessero stancarsi e dare segni di voler restare serrati per qualche ora, ma non appena ci provava quell’incubo che la stava tormentando da poco più di una settimana si faceva sentire, sbarrandole gli occhi, come se ci fosse una forza misteriosa ad aprirle di colpo le palpebre.

A quanto parve, anche quella notte sarebbe trascorsa così, insonne.

Si sollevò, alleggerendo il materasso dal suo peso, e andò ad aprire il cassetto, osservandone con timore il contenuto. Il giorno in cui ricevette la prima di quella lunga serie di lettere contenenti pure minacce nei suoi confronti, aveva ironicamente pensato che si potesse trattare di qualche suo compagno di classe evidentemente invidioso della sua condotta e rendimento scolastico, o di qualche altro tipo di scherzo, insomma. Eppure, aveva già concluso il liceo da parecchio. Al di là di ciò, quando il numero di quelle lettere era aumentato in maniera sempre più vertiginosa, il senso di panico che iniziava ad avvolgerla divenne palpabile.

Aveva giurato che se gliene fosse arrivata anche solo un’altra sarebbe andata alla polizia. Ma fino ad allora si era rifiutata di parlarne con chiunque, persino con Naruto che, seppure fosse dalle scuole elementari che le andava dietro, si era sempre mostrato un grande amico, disposto all’ascolto, comprensivo e, anche se talvolta la contraddiceva in un modo anche burbero, non era mai critico nei confronti delle sue scelte.

Richiuse lentamente il cassetto, per poi tirare verso il basso la cordicella del lume sul comodino e lasciare che la penombra la inghiottisse. E si sarebbe tranquillamente infilata sotto le coperte - confidando nel fatto che la stanchezza dovuta all’eccessivo studio di quella giornata l’avrebbe fatta piombare finalmente nel mondo dei sogni -, se non avesse udito un rumore sordo provenire dalla grande finestra alle sue spalle, quella di fronte al suo letto e che dava al balcone della sua enorme abitazione.

Si voltò di scatto senza curarsi di mascherare lo spavento che quel suono le aveva arrecato, stringendo con le dita il bordo di legno del comodino. Notò il riflesso della pallida luce lunare illuminare la finestra che, in qualche modo, era stata aperta e le tende bianche che svolazzavano come dei fantasmi, mosse dal vento.

Un’atmosfera abbastanza inquietante, pensò con sarcasmo, forse in un misero tentativo di sdrammatizzare il tutto. Pertanto, prese un profondo respiro e si avvicinò alla finestra, varcandone la soglia. Ma, per quanto intelligente, una mente distratta come la sua non poteva che affermare con risolutezza che fosse tutto apposto. Motivo per cui, rientrò in fretta in casa richiudendo la finestra alle sue spalle e legando le tende agli angoli della parete. Percorse passi lenti e tranquilli verso il proprio letto.

Non avrebbe potuto notare, nel buio pesto della stanza, l’ombra di qualcosa o qualcuno comparirle alle spalle, bloccarle il respiro con una mano e lasciare che le sua narici fossero pervase dall’odore forte di cui il fazzoletto premuto sul suo volto era stato imbevuto.

Cloroformio.

E quando aveva sbarrato i suoi occhi smeraldini, illuminati dal pallido chiarore lunare, non avrebbe neanche saputo spiegare il motivo per il quale aveva percepito quella mano esitare un istante. Poi la presa fu rafforzata e, prima che le forze l’abbandonassero del tutto, l’ultima cosa che riuscì a vedere fu un paio di occhi di una tonalità che ricordava molto l’ametista.

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Yami_Yume