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Autore: sam_dannson    16/08/2011    0 recensioni
In un mondo in cui la chiesa e la fede cieca oscurano tutto il resto, l'uomo e la sua razionalità diventano inutili. Ciò che è inutile va eliminato ed è questa la missione dell'angelo Uriel. Ma la specie umana riserva sorprese persino per gli esseri celesti... forse non tutto è perduto... forse l'Uomo merita una seconda possibilità... forse...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Darkness in Heaven - Il Signore manderà i Suoi angeli, che raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e gli operatori d'iniquità, e li getteranno nella fornace del fuoco. -

Era freddo il mondo. E buio. La mia essenza tremò di dolore quando uno strappo violento mi allontanò da casa per lanciarmi nel vuoto della materialità. Per un momento non fui più in grado di pensare a nulla che non fosse ghiaccio e notte eterna, inclemente. Mi rannicchiai, le ginocchia strette contro il petto nudo ansimante. Dovevo muovermi altrimenti sarei morto congelato. Morire. Era qualcosa di nuovo per me, qualcosa che non avrei mai voluto sperimentare. Mi alzai in piedi e caddi. Una, due volte, poi riuscii a trovare l'equilibrio sulle mie fragili gambe. Ero in trappola, chiuso tra pareti di ossa e carne, con il rumore sordo del sangue che scorreva attraverso le mie vene e l'umido battere del cuore. Volevo urlare ma ancora la gola e le corde vocali non rispondevano alla mia volontà. Feci qualche passo esitante appoggiandomi a un esile alberello, che ondeggiò sotto il mio peso, contribuendo a ricordarmi la mia materialità. Controllai la vista. Gli occhi funzionavano anche se la visione era oscurata, come se un velo opaco fosse sceso sul mondo. E' notte. Realizzai. Probabilmente mancavano ore al sorgere del sole e io avevo urgentemente bisogno di vestiti che mi tenessero caldo. Improvvisamente seppi cosa fare. Mi accovacciai a terra dietro allo stesso albero che mi aveva offerto un sostegno, quando udii un rumore di passi. Le mie orecchie funzionavano alla perfezione e anche gli altri sensi stavano acquisendo più nitidezza. Tirai un sospiro di sollievo. Respiravo? Altra stranezza, ma non avevo tempo per pensarci in quel momento. Quando il rumore fu abbastanza vicino scattai con un'agilità che non credevo possibile per due gambe così esili e mi avventai contro il passante, stendendolo con una botta dietro al collo. L'uomo crollò a terra senza un gemito. Iniziai a spogliarlo cercando di capire come dovevano essere indossati i vari vestiti che mano a mano gli sfilavo, non senza una certa difficoltà. Concluso il lavoro trascinai il corpo dietro all'albero. Era ancora vivo. Si sarebbe svegliato dopo qualche ora, sempre che il freddo non lo avesse ucciso prima. Ma davvero, in quel momento la sorte dello sfortunato passante era l'ultimo dei miei pensieri. Mi aggiustai la giacca, che cadeva scomposta sulla camicia sbottonata e provai per un pò ad allacciare una specie di corda di stoffa che l'uomo aveva legata intorno al collo in un elegante nodo, ma poi rinunciai e la gettai a terra. Ero pronto. "E' il nostro momento" sussurrò una voce calda nell'oscurità. Una voce che mi fece sentire meglio. "Buona fortuna"disse ancora e sparì nella notte.

Samuel Black era in ritardo per la sua lezione di Fisica all'università e non sembrava importargli granchè. Selezionò la solita "Highway to Hell" dal suo iPod e si mise a canticchiare indifferente agli sguardi infastiditi degli altri passeggeri. A quell'ora l'autobus era pieno e qualsiasi movimento costava fatica e sudore. Impostò la ripetizione automatica e si preparò a una mezzora buona di AC/DC. La signora appoggiata alle porte automatiche accanto a lui gli disse qualcosa, Sam interpretò come una richiesta di farsi da parte. Evidentemente la vecchietta doveva scendere. Alzò gli occhi al cielo e diede una mezza spinta a un grassone che masticava patatine da sopra la sua spalla. La signora affannata gli lanciò un'occhiata riconoscente e si gettò nell'aria aperta, fresca, di una New York sempre troppo affollata. Il ragazzo guardò le porte chiudersi con la noia e il fastidio dipinti sugli occhi e riprese a canticchiare. Intanto guardava il grassone, che sembrava aver saccheggiato un camion di provviste. Non sapeva bene dire quanti pacchetti di patatine e quante canzoni dopo, finalmente apparve la sua fermata. Scese di corsa e respirò con sollievo l'aria mattutina. Entrò nell'aula universitaria a metà lezione, quando, per sua fortuna, il professore era di spalle, intento a scrivere una serie di formule e calcoli apparentemente interminabile. Si accomodò vicino a un ragazzo alto e allampanato, che indossava un'elegante giacca blu e due occhiali enormi, dal di sotto dei quali gli lanciò un'occhiata di fastidio. Il solito secchione figlio di papà. Sam sospirò e gli chiese a che pagina dovesse aprire il libro. Il ragazzo non lo degnò di un'occhiata ma sussurrò "Non lo so". Una bugia chiara quanto impertinente visto che aveva il libro aperto davanti. E per sottolineare la sua scarsa disponibilità, il secchione coprì la pagina con il gomito cosicchè Sam non potesse vedere. Il ragazzo gli lanciò allora un sorriso sarcastico, quindi alzò la mano richiamando l'attenzione del professore. "Mi scusi" iniziò "io e il mio compagno ci chiedevamo a quale pagina del manuale possiamo trovare la lezione". Il secchione sbiancò. L'ometto pelato, che aveva girato la testa infastidito al richiamo di Sam, insieme a una cinquantina di studenti divertiti, rimproverò entrambi con un'occhiataccia, quindi riprese imperterrito a spiegare. "Ma sei matto?" gli sussurrò il compagno di banco ora rosso di vergogna. "Io la so la pagina". Sam gli fece l'occhiolino "Mi spiace, pensavo servisse anche a te." e scoppiò a ridere, guadagnandosi altre occhiatacce.
La lezione lo aveva annoiato come al solito e, tornato a casa, Sam si cambiò di fretta per andare a correre. Scese dalla metropolitana a Manhattan nel West Side e si lanciò nel Central Park. Gli piaceva quel parco, e ancora di più gli piaceva la sensazione di non avere limiti, preoccupazioni. Con gli auricolari alle orecchie lasciava che Bon Scott, Axl Rose e altri grandi musicisti lo fomentassero brano dopo brano. Durante la corsa si imbattè in un ragazzo più o meno della sua età che lo colpì per l'aspetto trasandato. Aveva profonde occhiaie e camminava come se fosse ubriaco, cosa piuttosto strana in pieno giorno. I vestiti erano tutti della taglia sbagliata e sembrava se la passasse abbastanza male. Si avvicinò per chiedergli se fosse tutto a posto ma questo lo ignorò sparendo in una macchia di vegetazione. Sam scrollò le spalle. Non era giornata per i rapporti umani. Dopo una lunga doccia si gettò sul divanetto della stanza che divideva con il suo coinquilino, Daniel, che sembrava non essere in casa. Sam aprì il frigo alla ricerca di una birra, ma tutto quello che trovò fu un succo di frutta scaduto e una bottiglia d'acqua minerale. In quel momento sentì la porta di casa sbattere. "Dan!" urlò "hai finito di nuovo tutta la birra!". L'amico lanciò il cappotto sul divano, "avrei preferito un ciao come ti va la giornata, ma anche così va bene" rispose infastidito. "Quante volte devo ripeterti che se qualcosa finisce bisogna ricomprarla e CHI la finisce lo deve fare?" continuò imperterrito Sam. "Okay okay, ho ricevuto il messaggio grande capo. Oggi pomeriggio esco e faccio scorte. Ora però se non ti dispiace vado a riposarmi un pò, al contrario tuo io ho lavorato stamattina." e se ne andò in camera da letto sbattendo la porta un pò più di quanto non fosse necessario.
La televisione non funzionava quella sera e dopo una breve verifica Sam notò che anche il telefono era fuori uso. Un calo di corrente. Bussò alla porta della stanza dell'amico. Dopo un attimo arrivò l'invito ad entrare. "Dan" disse allora "la TV non funziona, il telefono nemmeno e io ho fame. Io stasera ceno fuori, tu che fai? Vieni?". Daniel scosse la testa "No Sam, non posso, aspetto degli amici, anzi visto che me ne hai parlato, prenditela comoda. Si fermeranno fino a tardi."Sam sospirò. Fece per dire qualcosa ma poi scosse la testa e rinunciò. "Va bene. A dopo" e uscì. Era un rituale. Cenava da solo da una vita ormai e niente faceva pensare che la situazione sarebbe cambiata. Non aveva molti amici e per la maggior parte non potevano nemmeno essere definiti tali.
Arrivò al pub che era ormai quasi mezzanotte e, con solo un panino sullo stomaco, aveva tanta voglia di ubriacarsi. Si sedette al bancone e richiamò il barista ordinando una tequila, la prima di una lunga serie. I soldi non gli mancavano e aveva tutta l'intenzione di investirli in alchool. Aveva perso il conto dei bicchieri quando qualcuno gli si sedette vicino. La mente annebbiata dai numerosi drink impiegò un pò di tempo per riconoscere lo sconosciuto che aveva attirato la sua attenzione al parco quella mattina. "Hai l'aria di non reggere un altro bicchiere." disse il giovane con un sorriso tendendogli una mano, "Piacere, Joe Silver". Sam completamente ubriaco la ignorò. Biascicò invece qualcosa come "Ti sei sistemato i vestiti" strappando all'altro una risata. "Eh già. Ti ricordi di me. Ci siamo visti al parco, non è così?". Sam annuì con troppa convinzione rovesciandosi così la tequila addosso. Un barlume di coscienza gli ricordò che si stava rendendo ridicolo davanti a un completo estraneo, ma in quel momento non era abbastanza lucido da considerarla una cosa importante. "Io sono Samuel... Sam" precisò dopo un attimo. "Beh è stato un piacere Sam. Magari ci si rivede quando saremo tutti e due un pò più lucidi." disse Joe sorridendo. Sam annuì vagamente contento di sapere che anche il ragazzo era ubriaco. Non avrebbe ricordato nulla.
Joe Silver uscì dal pub barcollando leggermente. Colpito dall'aria fresca della notte raddrizzò la schiena e interruppe la recita. Il suo sguardo si fece più fermo e il passo più sicuro. "Trovato" pensò. E in quel momento non sembrava affatto ubriaco. 
  
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