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Autore: Gipsy Danger    16/08/2011    3 recensioni
#00. Temibili, silenziosi compagni perduti: noi, che abbiamo rischiato la vita, vi rendiamo onore.
#01. Ma a me piace pensare che abbia trovato quella piccola misura di pace che tutti noi cerchiamo - e pochi di noi mai troveranno.
#Extra chapter. Illumina la strada. Io sono pronto.

Otto one-shots,otto uomini, otto punti di vista prima di dire addio una volta e per sempre.
[Raccolta interrotta, vedi avviso all'interno]
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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01.  (I have nothing left to give
I have found the perfect end)

Now life has killed the dream I dreamed

*

[I dreamed a dream in times gone by,
When I was young, and life worth living
I dreamed that hope would never die,
I prayed that God would be forgiving
When I was young and unafraid
And dreams were made and used and wasted]

Susan Boyle, I dreamed a dream, Les Miserables

*

Un minuto a mezzogiorno: il più lungo della sua vita - l’ultimo.

Inginocchiato sul bordo della buca, l’uomo socchiude gli occhi nella calura che grava sullo stretto cortile come una cappa d’acciaio.

Per i timidi standard della primavera, questo Aprile del 1868 si prospetta insolitamente caldo: sotto il copricapo a cono, i soldati che montano la guardia ai quattro angoli del cortile faticano a non assopirsi, irrigiditi sull’attenti; i funzionari del nuovo governo aspettano sotto l’ombra vuota lanciata sul terreno dal tetto della casa; i polsi dello stesso prigioniero, avviluppati dalle corde, sono scivolosi di sudore e del sangue.

Sangue. Fuori posto, ma forse non poi così tanto. Di certo non è una sensazione nuova, per lui, sentirselo addosso: ne ha versato così tanto, in vita sua. Che venga dalla ferita alla spalla, quella che lo tormenta da mesi? O magari è la canapa, ad incidergli profondi solchi nella carne?

Da qualche parte dentro di sé, sente che è la seconda.
Stretto. Lo hanno legato stretto, fin troppo. Davvero temono che scappi? Che i suoi compagni lo vengano a salvare, irrompendo nello stretto riquadro sabbioso del cortile un attimo prima che la spada cada su di lui?
Un debole sorriso gli incurva le labbra. La crudeltà nel disprezzarlo, nel negargli la possibilità di suicidarsi come il samurai che non è mai stato è sensata; tanta precauzione, no.

Non si salverà.
Non verrà nessuno.

Ormai sono alla fine.

Souji, chiuso in una stanza ad appassire giorno per giorno, mentre la malattia gli corrode i polmoni e lo spirito.
Harada e Nagakura, lungo la strada che si sono scelti, a combattere e morire per gli ideali che hanno deciso di difendere.
San’nan, incapace di esporsi alla luce solare e ai loro stessi compagni, dopo che la battaglia a Koufu ha mostrato i Rasetsu per quello che sono: mostri, aberrazioni senza parte.
Saitou, occupato a convivere con il disperato, gravoso incarico di comandante delle truppe rimaste, su al nord. Ad Aizu, dove tutto sarà deciso.
Toshi-kun. Hijikata. Il demone, lo stratega. Solo.

Lui. Loro. Tutti.

Fine.

Ballano sul filo del rasoio, come l’acqua che il boia sta versando sulla lama con cui gli taglierà la testa. La sua figura proietta una lunga ombra scura a terra; là dove il kaishakunin* risulterebbe una visione pietosa, quella del carnefice non comunica altro che angoscia, amplificando l’eco di quella parola.

Fine.

Nessuno, tra i pro imperialisti,  mette in dubbio che moriranno tutti, uno per uno: piuttosto, le scommesse ruotano intorno al quando e al come.
Per quanto concerne il condannato, anche quest’ultimo punto è noto.
La pena per aver difeso la pace di Kyoto, mettendosi contro i clan Tosa, Chooshu, Satsuma e i sostenitori del mikado, è la decapitazione.


Come un comune criminale.

Il sorriso dell’uomo si allarga. Negli ultimi mesi ha trovato difficile, quasi amaro regalare ai suoi compagni la propria risata confortante… e, adesso che non ha nessuno a cui dedicarla, nessuno da tirare su di morale, gli esce stranamente facile.
Ironia della sorte.

Sarà decapitato. Come Guan Yu nel suo racconto preferito, il Romanzo dei Tre Regni, quello che suo padre gli raccontava sempre.
Quanto tempo fa?
Sembra un’ altra vita. Prima di Kyoto, prima dello Shieikan, quando lui era soltanto un bambino e i desideri che nutriva in fondo all’anima gli si presentavano come creature timide e sfuggenti che non mordevano, non facevano sanguinare il cuore ed erano invincibili.
 
Prima della rovina e della fine del loro mondo.
Prima di tutto.

D’altra parte, le leggende devono pur nascere da qualche parte, no?
Nascere e morire.

Solo ora, a un passo dall’abisso, il condannato si accorge che è tutto collegato: ogni parola dei racconti con cui è cresciuto, ognuna delle ferite che lui e i suoi capitani hanno sopportato, ogni singola goccia di sangue sparso. La disperazione, la gioia.

Tutto è unito in un unico arazzo, tutto è Sogno e Carne insieme. Lì dove esiste uno, è presente anche l’altra.
La vita dei suoi compagni è racchiusa in un cerchio che, infine, si chiude- il simbolo del seppuku, il suicidio purificatore che gli è stato proibito, e allo stesso tempo l’emblema della loro storia.

Come Sung Chiang e i suoi compagni, niente più che banditi e fuorilegge in una Cina a lungo dimenticata, sono stati decimati alla fine de “Il margine dell’acqua”, così la Shinsengumi – o quel che ne resta- marcia verso la rovina e la morte.
Così come il suo eroe prediletto nel “Romanzo dei Tre regni”, lui attende il fendente che porrà fine alla sua vita.

Non può essere una semplice coincidenza. Nulla accade per caso.
È spettrale, certo. Pauroso. Ai limiti del possibile, da un certo punto di vista.
Ma risulta anche logico, dall’altro.

È partito tutto da un sogno. Con un sogno tutto si chiude.
Resta solo un debito da saldare.

Il rintocco del gong, cupo, doloroso.
Mezzogiorno.

È ora.

Il delegato del nuovo governo si fa avanti da sotto la tettoia, impettito nella sua divisa all’occidentale.
Con la coda dell’occhio, il condannato lo sbircia:  il sole rifulge sui bottoni argentei della giacca e i capelli neri sono stati tagliati corti, pettinati in maniera ordinata; i baffi che sovrastano la bocca sottile e aspra sono ben curati e la catenella di un orologio da taschino, penzolante da una tasca del panciotto, ammicca ai raggi solari.
L’incarnazione del nuovo Stato, perfetto e trasfigurato fino ad essere irriconoscibile.

Questo non è più il mio Paese.’

«In nome dell’Imperatore, siamo qui convocati oggi per eseguire la condanna a morte di-»

Per la terza volta, il prigioniero sorride. Si è sempre dato un gran da fare per convincere tutti – sé stesso per primo- di non avere paura della morte, ma, com’è naturale, si è sempre fatto domande. Come sarebbe stato? Cos’avrebbe sentito? Dolore? Rimpianto? Rabbia?

Anche quella risposta gli si para davanti agli occhi, in questo momento, così semplice da stupirlo come un bambino davanti alla prima fioritura dei ciliegi.
Niente.

È saldo. È sereno. È calmo.

Ha fatto tutto quello che poteva. Dopo mesi di frustrazioni inutili e momenti di depressione che lo avevano consumato, riconosce questo.
Lo accetta.

Il Giappone per il quale una manciata di giovani coraggiosi ha lasciato un semplice dojo di provincia, incaricandosi di proteggere la Capitale devastata, è morto nonostante i loro sforzi, cedendo il posto a un Paese che rigetta le proprie origini, costruendo nuove basi sulle armi da fuoco e un’economia incalzante.
Non c’è altro che possano fare.

Il boia prende posizione di fianco a lui, a gambe larghe.

Per un attimo, la voce di Hijikata risuona nella mente del prigioniero.
«Questa non è più l’epoca di lance e spade».

No. Non più.
Non c’è più posto per loro. Non resta che onorare fino in fondo la propria lealtà all’ideale che li aveva mossi e uniti sotto la bandiera Makoto, e seguire l’era dei samurai nel mondo dei morti.

Kondou Isami, comandante della Shinsengumi, raddrizza le spalle e china il busto in avanti, sporgendosi sulla buca nel terreno sabbioso. Prende un respiro profondo, avvertendo l’acciaio temprato della katana graffiargli il collo mentre il suo carnefice prende la mira.

Morirà.
Ed è giusto così.

Il sogno ha dato la vita a tutti loro.
Adesso non deve far altro che restituire la vita al sogno.

*

“And so the days of the Samurai had ended. Nations, like men, it is sometimes said, have their own destiny. ò
(…)But I like to think he may have at last found some small measure of peace, that we all seek, and few of us ever find.”


“ E così finirono i giorni dei Samurai. Le nazioni, è detto di tanto in tanto, hanno il loro destino, così come lo hanno gli uomini.
Ma a me piace pensare che lui abbia trovato, infine, quella piccola misura di pace che tutti noi cerchiamo, e pochi di noi mai troveranno…”


Simon Graham, “The Last Samurai”


#

Nota dell'autrice:

Kondou Isami fu giustiziato nel 1868, il 25 Aprile del calendario lunare. Non è il primo e non sarà l'ultimo uomo di una Shinsengumi ormai sul sentiero della rovina a morire, ma senz'altro uno di quelli che fu ricordato.
Non tanto per l'ignomigna della sua esecuzione, quanto per il sogno della Makoto.
E per la statua che Shinpachi e Saitou fecero costruire quando il nuovo governo Meiji "perdonò" i sostenitori vinti del Bakufu e acconsentì a ricordarli come eroi.

Avevo detto che avrei aggiornato in tempi lunghi, ma dato che come ha fatto giustamente notare Ellie_x3 nella sua recensione il prologo non ha nulla di mio, se non la nota, mi pareva giusto far seguire la prima shot piuttosto velocemente così da rimediare.
So, eccomi qui. Spero che questo capitolo non sia una schifezza, e che sia riuscita a trasmettervi se non altro una piccola parte di quello che volevo.

Musiche: The Chairman Waltz, Memories of a Geisha; Way of Life, The Last Samurai.
*Kaishakunin: addetto alla decapitazione durante il seppuku, solitamente l'amico più stretto del suicida; entrava in azione nel caso il colpo all'addome non fosse stato mortale, e per assicurare che il volto del defunto non assumesse smorfie grottesche.
*Romanzo dei Tre regni: traduzione di uno dei grandi classici cinesi, il cui protagonista, Guan Yu, subisce una sorte speculare a quella di Kondou. Uno dei romanzi preferiti del comandante.
*Il confine dell'acqua: traduzione di un altro grande classico cinese, incentrato su una banda di fuorilegge, e altro punto d'ispirazione per Kondou. La loro sorte è inquietantemente simile a quella della Shinsengumi reale.

Come al solito ringrazio chi ha commentato, chi ha inserito tra le preferite\seguite e chi ha letto e basta <3. Ci rivediamo alla prossima shot.

   
 
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