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Autore: Padme Undomiel    17/08/2011    2 recensioni
Strinse più forte al petto il fagotto immobile, coperto perché non dovesse essere scoperto. Pregava con tutta se stessa che le sue aspettative riuscissero ad essere appagate: almeno lui doveva sorridere.
Anche senza di lei. Probabilmente per sempre.
Perché il suo cuore era ancora intatto, mentre si aspettava che scoppiasse da un momento all’altro?
Sempre più vicina, sempre più vicina.
Non riusciva a fermarsi. La sua parte razionale stava vincendo su quella dei sentimenti. Non riusciva a smettere di correre a perdifiato, con il respiro corto, l’ansia visibile in ogni tratto del suo viso bianco come un cadavere, il dolore straziante nei suoi occhi scuri.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei, Takeru Takaishi/TK
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Purity 23
23.



Carte in tavola





“Sei troppo teso, Ken. Non pensavo che la mia decisione di venire con te ti avrebbe spiazzato tanto.”

Non aveva fatto altro che sorridere, con quella specie di ghigno storto che sembrava sempre prendersi gioco di lui. Ken si rabbuiò, sentendosi nuovamente scoperto. Pareva non mostrarlo con altri che non fosse suo fratello minore.

“Lo sapevi benissimo, invece”, ribatté, lanciandogli uno sguardo in tralice e cercando di rilassare i muscoli delle spalle. “E non vedevi l’ora di osservarmi mentre metabolizzavo la tua trovata teatrale, Osamu.”

Osamu, in tutta risposta, allargò il ghigno, continuando a salire per la scalinata senza guardarlo, apparentemente incurante dell’irritazione di Ken. Detestava non sapere mai che pesci pigliare con lui, o come smettere di essere il suo giullare preferito. Detestava sentirsi sempre sotto esame, perché era una delle poche cose al mondo che più lo innervosivano.

Ma la cosa che più detestava, in quel momento, era sapere per certo che suo fratello ci aveva preso, come al solito. Era teso come una corda di violino.

Non che non lo fosse almeno un po’ ogni volta che si presentava a casa di qualche conoscente di Inoue Miyako, certo; ma le altre volte, almeno, non si sentiva sotto esame. Sotto lo sguardo attento e critico del detective Ichijouji –suo modello da seguire in campo investigativo, da sempre-, le cose si complicavano. E Ken non era sicuro che la sua calma avrebbe retto per molto.

Arrivato al quarto piano dell’alto condominio, Osamu si arrestò. “Quelle che tu chiami trovate teatrali forniscono dei dati che nemmeno t’immagini”, commentò, osservandolo mentre lo raggiungeva sul pianerottolo. “Dalle reazioni dell’altro capisci molte cose, vedi.”

Di nuovo quel tono. Come se fosse sempre in grado di prevedere le sue mosse. Ken alzò un sopracciglio, scettico. “Mi studi?”

Osamu alzò gli occhi al cielo, come esasperato. “Si capisce. Ricorda che questo caso è la tua occasione per testare le tue abilità, e che io ho bisogno di vedere quanta sicurezza hai nel muoverti nell’indagine.”

Ken si sentì avvampare. La sua reazione smarrita davanti alla decisione dell’altro di accompagnarlo nell’indagine di quella mattina era stata indice di ben altro che sicurezza. Eppure si ricompose in fretta: con Osamu non bisognava mai mostrarsi troppo deboli.

“O forse vuoi studiare meglio il tuo rivale”, insinuò, e vide la sua espressione diventare marmorea, impenetrabile, tutto d’un colpo. Come pensavo. “Questi tuoi giochetti psicologici sono sleali, Osamu.”

“Sleali, ma efficaci”, rispose Osamu, imperturbabile.

Faceva sul serio: pareva non lo stesse solo provocando. L’espressione tranquilla dei suoi occhi non era una delle solite coperture. Incredulo, Ken scosse la testa, e lo superò, diretto verso la porta d’ingresso dell’appartamento che si trovava di fronte a loro. “Penso che tu stia prendendo questa faccenda troppo sul personale”, sospirò, leggendo il cognome Inori sotto il campanello.

“Io invece penso che nulla ti vieti di fare lo stesso. Di studiare me, intendo.”

Ken si irrigidì, sul punto di suonare il campanello. Era sconcertante la tranquillità con cui proponeva soluzioni del genere: da come ne parlava, sembrava la cosa più normale del mondo.

Si voltò, trovandolo ancora fermo accanto alla scalinata, le braccia incrociate, lo sguardo fisso su di lui. E gli fece un sorriso, più ironico di quanto non volesse. “Ti ringrazio della proposta, ma non credo sia il caso. Io preferisco essere chiaro in quello che faccio.”

E preferiva non giocare con suo fratello solo per avere dati dalla sua. Preferiva non iniziare affatto quella rivalità, che a suo parere non faceva che esasperare la loro situazione e allungare i tempi di indagine. Preferiva essere ancora un fratello, prima ancora che un detective.

Ma tutto questo non lo aggiunse, non ne valeva neppure la pena. Lui non avrebbe capito, comunque; non avrebbe voluto capire.

Osamu tacque, sembrava meditabondo. Uno di quei suoi momenti di riflessione che non andava mai interrotto, se non si voleva irritarlo. Ken attese, immobile.

Infine, lo vide avvicinarsi a lui, ed emettere un lungo, tranquillo sospiro. Allungò una mano verso il campanello, si voltò verso di lui, lo fissò negli occhi, serio. “Come pensavo. Non sai sfruttare le situazioni a tuo vantaggio.”

Un’altra frecciatina. “Di quali situazioni …?”

Ma non riuscì a completare la frase: Osamu premette il campanello, e a quella breve distanza il suono all’interno dell’appartamento si sentì chiaramente, così come il vivace “Arrivo, arrivo!” femminile e i passi frettolosi che si avvicinavano.

Questo poneva fine alla conversazione, come sempre con più punti interrogativi di quando avevano iniziato a parlare. Poteva davvero dirsi di essere sorpreso, in fondo?

Non pensarci. Recupera la calma. Sii rilassato ma attento.

Diede uno sguardo di sottecchi a Osamu, osservandone il cipiglio sicuro e l’assoluta padronanza di sé che mostrava. Quasi involontariamente, Ken cercò di imitarlo.

La porta si aprì di colpo, rivelando una figura sorridente sulla soglia.

“Oh, il detective Ichijouji! Ti aspetto da un po’, sai?”

Ci fu un momento, quando la giovane donna si scostò una ciocca di ricci rossi dal viso,  che erano sfuggiti dalla coda di cavallo nella corsa per arrivare alla porta, in cui Ken non poté fare a meno di fissare incredulo quella figura, senza nemmeno comprenderne il motivo. Fu solo quando i suoi occhi castani si fissarono, curiosi, su di lui, che capì.

Brillavano di gioia, entusiasmo. Sembravano essere loro la fonte dalla quale si irradiava il sorriso largo che le si apriva sul viso, spruzzato di efelidi.

Nessun conoscente di Inoue Miyako era mai stato così vitale, così sereno.

Questa ragazza è davvero atterrita dalla cartolina che ha appena ricevuto?

Si voltò verso Osamu, incerto, ma si accorse ben presto che lui non ne sembrava sorpreso. Era anche fin troppo naturale, in effetti.

Sfoggiava un sorriso affabile, nonostante gli occhi rimanessero, penetranti, fissi in quelli della donna. Un sorriso tanto affabile che non sembrava il suo. “Sono imperdonabile, Harumi-san. Non riesco mai ad essere puntuale come vuole lei.”

Fu solo grazie al suo ferreo autocontrollo che si limitò a fissarlo con gli occhi sgranati, impedendosi di spalancare anche la bocca. Conosceva Osamu da ventiquattro anni, e mai l’aveva visto comportarsi in quel modo. Come se sapesse esattamente come affascinare la sua interlocutrice, e lo stesse dimostrando.

Yamanaka Harumi in Inori sorrise maliziosa, appoggiandosi a braccia incrociate allo stipite della porta, portando con totale disinvoltura l’attenzione alle sue gambe, coperte solo da un paio di shorts molto corti. “Perdonato. Era da un sacco che non venivi a trovarmi, detective. E il tuo accompagnatore chi è?”

“Mio fratello, Ken”, rispose Osamu, e infine si voltò a guardarlo. La sua espressione sembrava tentare ancora di studiare le sue reazioni. “E’ qui per indagare insieme a me.”

Ken fece un breve inchino, preferendo evitare lo sguardo fin troppo curioso della donna. Il suo atteggiamento lo metteva a disagio. “Piacere di conoscerla, Inori-san.”

Quando fu costretto a sollevare lo sguardo, Harumi stava ridendo tra sé. “Siete tutti così, in famiglia? Anche tuo fratello è carino, detective.”

E mentre Ken avvampava, incapace di comprendere come questo dettaglio potesse avere un senso per l’indagine, lei si tirava indietro, tornando a rivolgersi a suo fratello. “Ma nessuno ti batte. Sai che preferisco sempre te.” La vide fargli un occhiolino, per poi voltargli le spalle e prendere a camminare verso l’interno. “Forza, entrate!”

Era sicuramente una persona sicura di sé. Non riteneva necessario nemmeno fare gli onori di casa. Si chiese se si comportasse sempre in quel modo informale o solamente in presenza di suo fratello. Come se si trattasse di una vecchia conoscenza, non di un detective incaricato di sospettare anche di lei stessa, se necessario.

Si voltò verso Osamu, lo sguardo confuso, pronto a chiedergli spiegazioni nei pochi secondi nei quali potevano ancora indugiare sulla soglia, ma ancora una volta fu deluso: l’altro sorrise, tranquillo. “Che ti prende, Ken? Ci hai ripensato? Posso entrare solo io, se vuoi.”

L’aveva di nuovo incastrato, e di nuovo sfidato. Oltraggiato, Ken si voltò verso la porta, ed entrò nell’appartamento a testa alta.

Cosa gli importava, dopotutto, che ci fosse quella strana atmosfera tra i due? Aveva del lavoro da fare, e doveva pensare solo a quello.

Non mi mostrerò debole davanti a te.

Osamu lo seguì dopo appena qualche istante, e chiuse da porta dietro di sé. Lo raggiunse a passi misurati, mentre Ken osservava attento il disordine che regnava in quella casa.

C’erano block notes dappertutto, pieni di schizzi e di disegni a carboncino, tutti raffiguranti modelli di abiti da sposa di ogni genere e curati nel minimo dettaglio. Alcuni pizzi e merletti erano caduti a terra dal piano di lavoro in legno, arrotolandosi scompostamente accanto ai piedi dei due detective. Una scatola piena di aghi, fili e spilloni era abbandonata sul divano bianco sulla loro destra, e alcuni busti ospitavano lunghi abiti bianchi ancora in lavorazione.

“E’ una stilista?” Domandò Ken a mezza voce, più a se stesso che al suo compagno.

Ma lui decise di rispondergli lo stesso. “Sì, specializzata in abiti da sposa. Lavora in un atelier abbastanza rinomato, a trenta minuti circa da qui.”

Ken sospirò, esausto. “Quest’informazione potevo saperla, allora”, lo punzecchiò, ironico.

“Non come il resto delle cose che preferisci tacermi.”

L’arrivo repentino di Harumi interruppe la replica di Osamu. “Allora, cosa ci fate lì in piedi? Non preferite sedervi un po’?” Disse loro, guardando solo ed unicamente Osamu con un sorriso largo, che metteva in mostra due file di denti piccoli e bianchi. “Potrei offrirvi del sakè, se avete sete.”

Osamu si sedette con nonchalance sul divano, sollevando educatamente una mano. “Preferisco non bere, Harumi-san: rischierei di perdere completamente il filo del discorso, ed è meglio che io rimanga quanto più possibile concentrato sul mio lavoro”, disse, e il suo tono fu così allusivo che Ken se ne sentì imbarazzato. Distolse lo sguardo da lui, perplesso e vagamente disgustato, e fu con stupore che vide le guance della donna colorarsi all’improvviso, mentre sorrideva lusingata giocherellando con la fede che portava all’anulare sinistro.

L’illuminazione gli arrivò in un istante, proprio osservando la sua reazione.

Inori-san ha una simpatia per mio fratello, nonostante sia sposata.

E mio fratello se ne approfitta per indagare meglio.

Si trattenne a stento dall’alzarsi in piedi ed allontanarsi da quella scena inammissibile, nauseato, e se ci riuscì fu solo per Inoue Miyako, e per il suo orgoglio. Ma non poté non scoccare uno sguardo di pura disapprovazione a Osamu.

Era o non era il più grande detective in Giappone? Come poteva abbassarsi a certi livelli, pur di avere le informazioni che cercava? Era assurdo che non ci fossero altri sistemi, non avrebbe voluto nemmeno pensarci. Gli pareva immorale.

Osamu colse il suo sguardo, e lo osservò in risposta, impassibile. Non una punta di imbarazzo balenò sul suo viso. Ken se ne sentì ancora più oltraggiato, e si voltò nuovamente.

Harumi rise, sedendosi accanto a lui e spostando la scatola con gli spilli. A Ken non rimase che stare in piedi, dal momento che nessuno aveva provveduto a procurare una sedia anche per lui. Sospirò.

“Allora, se sei così ligio al dovere, ti mostrerò subito la cartolina che ho ricevuto stamattina”, disse, sporgendosi verso il tavolino di vetro e afferrandola con le unghie lunghe laccate di rosso. La porse a Osamu, ammiccando, perché lui la leggesse. “Sono sicura che mi darai una spiegazione soddisfacente: io ero così confusa quando l’ho letta …”

Ken allungò il collo per osservare la reazione di suo fratello, mentre, accigliato e immobile, scorreva le parole scritte dietro quella cartolina di Liverpool. Gli parve che un lampo nei suoi occhi gli stesse rivelando in anticipo che c’era qualcosa di molto interessante in quella nuova prova.

Si avvicinò a lui a passi rapidi, proprio nel momento in cui Osamu, voltandosi, gli passava la cartolina, lo sguardo serio e la fronte corrugata. Ken la afferrò, impaziente.

La prima cosa che notò, osservandone il retro, fu il colorito ingiallito della cartolina. Meccanicamente lesse la data di produzione in basso, in cerca di spiegazioni: 1972. Come può essere tanto antica se è arrivata solo adesso? Possibile che cartoline del genere siano ancora in commercio?

Il contenuto era scritto con la calligrafia tondeggiante di Inoue Miyako. Sembrava non esserci errore. L’aveva letta e studiata per così tante volte che avrebbe potuto riconoscerla tra mille, ormai.

Ha detto che non mi rivolgerà mai più la parola se lo incontrerò di nuovo. Gli ho detto che esagerava, che si stava comportando come un bambino, ma Daisuke-kun è sempre stato un bambino: non ha voluto capire. E io non ce l’ho fatta più. Gli ho urlato contro che non mi importava, perché ormai la sua amicizia era una farsa. Soffro anche adesso solo a scriverne … ma lui non si è girato indietro, mentre usciva dalla mia stanza. Proprio come uno stupido.

Il cuore di Ken aveva ripreso ad accelerare i battiti nel momento in cui aveva iniziato la lettura. Era appena un frammento, selezionato da una pagina di diario per qualche criterio a lui totalmente sconosciuto, ma ciò che era scritto era interessante.  Daisuke-kun … Doveva trattarsi di Motomiya Daisuke. I dati coincidevano: lui e Miyako litigavano spesso, prima della scomparsa di lei. Ma questo litigio, tutto in funzione di un rapporto di Miyako con un ragazzo di cui non si faceva il nome …

“Harumi-san, diceva che non ha mai ricevuto altre lettere del genere, prima d’ora. Corretto?” Osamu ruppe il silenzio all’improvviso, sistemandosi meglio sul divano per poter fronteggiare meglio la donna.

“Certo! Era la prima volta davvero”, rispose Harumi, con un tono così spaventato e affranto da risultare palesemente falso. Ken alzò gli occhi al cielo, seccato. Quando l’avrebbero smessa con quella farsa? “E non riesco a capire perché sia arrivata proprio a me, e dopo tanto tempo … voglio dire, perché Miyako avrebbe dovuto scrivermi un racconto della sua giovinezza prima di sparire?”

“E’ quello che stiamo cercando di scoprire”, fece Osamu, con tono caldo e rassicurante. Ma ancora la trapassava con lo sguardo, cercando di analizzarla. “E’ probabile che stiano cercando di incastrarla in qualche modo, inviandole per posta prove compromettenti che lei non sa spiegarsi. Anche la grafia della cartolina può non essere quella di Inoue Miyako: non sarebbe il primo caso in cui mi trovo a che fare con falsificatori abilissimi di grafie altrui. Non rappresenta un problema per chi è esperto di giochetti del genere, le pare?”

Vide Harumi sgranare gli occhi, e pendere completamente dalle sue labbra. “L’ho pensato anche io, detective”, sussurrò, chiaramente esagerando l’apprensione che, ad ogni modo, balenava sul suo viso. “Ma lo sai, non vedo più Miyako da un sacco di tempo prima della sua sparizione, non c’entro nulla, io! Vorrei solo essere lasciata in pace …”

“Motivo in più per dirci tutto ciò che sa, Harumi-san. Se lei è innocente, le sue parole potranno solo aiutarla, perché ci permetteranno di arrivare al colpevole.”

Il tono basso e sicuro di Osamu parve avere un grande effetto sulla donna, che tacque, osservandolo come se si fidasse ciecamente di lui. E nel cogliere quell’impercettibile cambiamento, la posa disinvolta di suo fratello, l’espressione estremamente credibile nei suoi lineamenti, Ken non poté che provare un’improvvisa ammirazione per lui. Sa quello che vuole, e lo ottiene. Sfrutta davvero le situazioni al meglio.

Metodo discutibile o no, Ichijouji Osamu era un osso duro.

“Ecco tutto ciò che so”, riprese lei, animandosi con un sorriso vagamente cospiratorio. “Non so cosa sia successo in quell’episodio in particolare, ma so che Miyako e Daisuke avevano preso a trattarsi freddamente da quando lei aveva iniziato a frequentare una specie di bullo della sua scuola … per carità, un gran bel ragazzo, alto, con ricci scuri e occhi grigi, ma aveva un’espressione terrificante, certe volte. Comunque, lei stravedeva per lui, e Daisuke lo odiava con tutte le sue forze. Non so … gelosia? L’ho sempre pensato, comunque.” Rise, con tono leggero. “E la cartolina me lo conferma, ho ragione? Pare che stiano litigando per lui …”

Ken stesso non se n’era accorto, ma si era avvicinato maggiormente ai due mentre ascoltava, per poter cogliere ogni particolare. C’era un ragazzo di mezzo, avrebbe dovuto immaginarlo. Un ragazzo del quale Miyako adolescente si era perdutamente innamorata. Un ragazzo che - ma certo. Che i genitori non vedevano di buon occhio. Perché era una specie di bullo.

Che c’entrasse lui con la sparizione di Miyako?

“Come si chiamava la persona che ha causato questo litigio, Inori-san? Lo sa?” Intervenne Ken, incurante del fatto che la donna lo stesse osservando come se fosse appena apparso nella stanza. Non aveva tempo per i corteggiamenti. E Osamu sembrava non volergli rivelare i dettagli che conosceva: doveva cercare di ottenerli da sé.

“Beh, ma certo”, rispose lei, senza fare una piega. “Si chiamava Ono. Ono Satoshi.”

Ono Satoshi. Ken annotò il nome nel suo block notes, promettendosi di fare delle ricerche anche sul suo conto. Magari il prossimo indiziato da interrogare sarebbe stato proprio lui.

“Quindi non sa se dopo questo litigio Inoue Miyako e Motomiya Daisuke si siano più parlati”, tornò a parlare Osamu, e Harumi fu ben felice di tornare a dargli tutta l’attenzione.

Lei scosse il capo. “Quei due avevano caratteri molto instabili, poteva darsi che si giurassero di non vedersi più un attimo prima e un attimo dopo tornassero a becchettarsi come se nulla fosse accaduto; potrebbe anche darsi che questo litigio non sia stato così determinante. Ma”, e qui sorrise di nuovo, maliziosa, “c’è quello che alcuni chiamano sesto senso femminile, che non sbaglia mai. In virtù di questo ti dico, detective, che quando c’è di mezzo l’amore, e la gelosia, le amicizie più salde si sfaldano. E io sono quasi sicura che si tratti di entrambi.”

Più che sesto senso, sembrava trattarsi di un’inclinazione naturale al pettegolezzo. Comprenderlo, e metabolizzarlo, gli diede una strana sensazione. Se fosse stato Osamu, non avrebbe avuto problemi ad usarlo a suo favore. Ma lui poteva mai esserne in grado, senza sentirsi in colpa?

No. Non in questo modo subdolo, pur se efficace.

“In un gruppo, l’amore può risultare davvero un problema, soprattutto se non corrisposto”, sospirò ad un tratto Osamu, come riflettendo tra sé. Ma aveva lo sguardo sveglio, come se stesse attendendo.

“Oh, sì. E ti dirò di più: per me d’amore, in quel gruppo, ce n’era anche troppo. Hida Iori te lo ricordi? Ho sempre pensato che anche lui fosse innamorato di lei. Era sempre troppo protettivo, troppo attaccato a lei … Cosa mai vorrà dire questo? Non ho mai creduto nell’amicizia tra uomo o donna, si finisce sempre per essere coinvolti sentimentalmente. Non vorrei sbagliarmi, ma secondo me con questa sparizione possono essere coinvolte due persone: Motomiya Daisuke e Hida Iori. Per amore si farebbero pazzie, sai.”

E quando l’ombra di un compiacimento passò sul viso di Osamu, Ken comprese che si aspettava proprio che lei parlasse a ruota libera delle sue supposizioni. Come poteva prevedere così bene le sue reazioni? Scosse la testa, continuando a prendere appunti.

Osamu si alzò, sorridendo. “Sempre utilissima, Harumi-san”, commentò, scatenandole un altro rossore compiaciuto. “Le prometto che ci vedremo chiaro, in questa storia. Per intanto, prenderemo la cartolina con noi. Per cercare di capirci di più.”

Lei si imbronciò. “Non dirmi che vai già via! Mio marito tornerà solo stasera, non mi va di stare da sola …” Si lamentò, avvicinandosi ancora a lui.

Per un istante, uno soltanto, Ken temette che Osamu potesse cedere, sacrificando la sua moralità per le indagini, per fare il falso amante di Yamanaka Harumi in Inori. Quando si rimproverò per quel pensiero, scandalizzato, Osamu si era già allontanato di un passo, con un sorriso di scusa. “La prossima volta, Harumi-san. Può sempre contattarmi se ha altre notizie da darmi.”

“Oh, lo farò di certo, detective”, si illuminò lei, estasiata. “Già mi mancano le nostre conversazioni.”

Osamu le fece un breve inchino col capo, per poi lanciare a lui un’occhiata che sembrava dirgli che era ora di andare, ed allontanarsi verso la porta principale.

Ken fece per seguirlo, lanciando un ultimo sguardo alla donna che seguiva con gli occhi il passo di suo fratello, ma si fermò di colpo, non appena un pensiero attraversò la sua mente.

“Secondo me con questa sparizione possono essere coinvolte due persone …”

Si voltò, accigliato. “Che ne è stato di Ono Satoshi?” Chiese. “Perché lei lo escluderebbe dai sospetti, se frequentava Miyako?”

Harumi lo guardò con stupore, e poi con sospetto. “Mi prendi in giro?” Fece, scettica, ricambiando la sua occhiata interdetta. “Ono Satoshi è morto sette anni fa!”

***

Osamu gli aveva spiegato, una volta usciti da quel condominio, che la morte di Ono Satoshi rappresentava uno dei maggiori misteri della vicenda di Inoue Miyako.

“Naturalmente non te ne ho parlato per lo stesso motivo per cui non ti do tutte le informazioni di cui avresti bisogno: voglio vedere come ti muovi nelle indagini.” Gli rivelò, continuando a camminare mentre gli gettava uno sguardo di sottecchi. “E nemmeno ora ho intenzione di dirti di più. Tuttavia, se avrai bisogno di documentazioni, fotografie e quant’altro riguardo Ono e la sua morte, chiedi. E’ a disposizione tutto quello che chiederai specificatamente, capisci?”

Ken non aveva detto una parola da quando aveva lasciato l’appartamento di Harumi. Aveva continuato a camminare al suo fianco, a testa bassa, silenzioso, mentre ascoltava suo fratello spiegargli ciò che non aveva nemmeno tentato di chiedergli. Non che avesse bisogno di ascoltare le sue giustificazioni: lo aveva immaginato, d’altronde.

Era tipico di Osamu.

Annuì. “Ti chiederò tutto il necessario sicuramente, e a breve”, rispose. “Pare che le piste si siano moltiplicate, dopo questa cartolina.”

“Cos’hai intenzione di fare adesso?”

Sollevò lo sguardo, totalmente privo di esitazioni. Si aspettava la domanda, e aveva già una risposta pronta. “Prima di tutto, è necessario verificare se altri conoscenti di Miyako hanno ricevuto una cartolina sospetta. Poi bisogna considerare le informazioni che ci ha fornito Inori Harumi, verificarle, quindi porre molta più attenzione a Motomiya Daisuke e a Hida Iori. Nel frattempo, la cartolina va analizzata, e studiata … e dovrò iniziare a documentarmi su Ono Satoshi e Royama Hideki.”

“Perché anche Royama?” Chiese ancora Osamu, interessato.

Ken alzò le spalle. “Perché ancora non capisco come mai tu l’abbia inserito tra i sospettati.”

Suo fratello gli parve, d’un tratto, compiaciuto. “Avrai un bel daffare, allora.”

Ken non rispose: lasciò che un momentaneo silenzio facesse da sottofondo ai loro passi. Non conosceva il motivo per cui non riusciva a parlargli chiaramente, sebbene avesse tante domande che quasi premevano sulle sue labbra per poter uscire: probabilmente sapeva già in anticipo che non ne sarebbe valsa la pena, che sarebbe stato deluso ancora.

E in fondo, non sapeva nemmeno più se potesse permettersi di essere franco con suo fratello, se ancora ci fosse un legame di intimità tale da farlo.

Fu così che si decise a parlare solo per i fini dell’indagine. “Credevi davvero in quello che dicevi a Inori-san, prima?” Domandò.

Osamu alzò un sopracciglio. “A cosa ti riferisci?”

Esitò. A tutto. A tutta quella farsa che hai messo in scena. “Quando le hai detto … Che può non essere stata Inoue Miyako a scrivere quella cartolina, che si tratta del lavoro di qualcuno abile nel falsificare la scrittura.”

Non parve sorpreso dalla domanda. “Certo che sì”, rispose tranquillo. “Tu stesso, nel mio ufficio, ti sei mostrato scettico all’idea che Miyako avesse deciso di mandarci un indizio sul suo passato dopo otto anni di silenzio. Comunque, credi che io menta quando faccio il mio lavoro?“

Ken si fermò di colpo. Aveva anche il coraggio di chiederglielo, di fare lo gnorri quando lo aveva costretto ad assistere alle sue false avances. “Oh, no, Osamu. Io non lo credo, ne sono sicuro. Non esserlo dopo le prove che mi hai fornito oggi sarebbe davvero sconcertante.”

Si era detto che non avrebbe parlato, che avrebbe taciuto per il bene di una cooperazione pacifica; ma aveva fallito di nuovo. Non riusciva davvero a tenere le distanze.

Osamu si voltò, fermandosi a sua volta, e nei suoi occhi svegli balenò un lampo di divertimento. Ridacchiò tra sé, senza scomporsi. “Sai? Sapevo che avresti tirato fuori un discorso del genere. Sei abbastanza prevedibile.”

Ken arrossì, indignato per essere stato sottoposto ad un altro gioco psicologico, e infuriato con se stesso per esserci cascato di nuovo. “Potresti, per favore, smetterla di prenderti gioco di me, e in generale di chi ti circonda?” Sbottò infine, incapace di trattenersi oltre. “Volevi che ti studiassi? Ebbene, l’ho fatto. E non mi piace quello che ho visto. Parlavi di questo, quando sostenevi che nelle indagini bisognasse sfruttare le situazioni a proprio vantaggio? E sfrutti davvero le situazioni? A me sembra che tu stia sfruttando le persone a tuo vantaggio, Osamu. E lo trovo meschino, soprattutto se si tratta di te.”

Osamu fece una smorfia. Ancora una volta, non sembrava sorpreso, come se stesse aspettando dal primo momento in cui erano entrati in casa Inori che suo fratello gli avrebbe detto quello che pensava. “Credi che quella donna avrebbe sul serio parlato apertamente, se non si fosse infatuata della mia figura?” Chiese retoricamente. “Lo sai anche tu che non l’avrebbe fatto. Lo sai, perché lo hai visto tu stesso, non è vero? Tu ti sei comportato in maniera del tutto pulita, e lei era restia a parlarti, ad aprirsi con te.”

Ken si irrigidì, momentaneamente senza parole. Lo aveva notato, lo aveva fatto dal primo momento, ma non aveva voluto accettarlo. Perché non poteva essere così. Scosse la testa, risoluto. “Non c’è altro modo, allora? Nemmeno per Ichijouji Osamu, il più affidabile detective del Giappone, c’è altro modo per indagare? Non posso credere che questo sia l’unico sistema …”

“Ken, io non le ho fatto nulla.” Sospirò Osamu, vagamente esasperato. “Le ho solo ispirato fiducia, le ho sorriso, ho giocato in modo pulito. Lei è una donna adulta, si presuppone che sia responsabile delle sue libere scelte. E poi, non mi sembra che voglia davvero una storia con me: vuole solo una compagnia interessante per sfuggire alla sua costante solitudine. Vuole giocare anche lei, e se la cosa conviene ad entrambi, non vedo dove sia il problema.”

Ad ogni parola che sentiva, l’indignazione di Ken aumentava. “Il problema”, replicò, “è che Inori Harumi non è solo un’indiziata, è una donna. Con sentimenti, paure e desideri come tutti. Magari biasimabili, certo, ma sono sempre sensazioni umane, e non riesco a capire come tu possa passarci sopra in vista dell’utile.”

“Tu credi che io mi diverta a comportarmi così”, fu la risposta di Osamu, mentre un sorriso disincantato compariva sulle sue labbra. Ken ammutolì, colpito da quella breve confessione, che pareva essere la cosa più vicina all’espressione dei sentimenti del fratello. “Ti sbagli. Sono passati tanti anni da quando ho iniziato il mio lavoro, e mi è ormai chiaro che la tua correttezza, Ken, non ha riscontro nella realtà: l’uomo non è pulito e retto come tu vorresti. Con certe persone non ho scelta.”

Disillusione, rassegnazione, freddezza. Era questo, allora, che aveva reso suo fratello quello che era? Era per questo che Osamu aveva trincerato i suoi sentimenti dietro quel muro impenetrabile?

Ken provò repulsione di quella realtà, e si allontanò inconsciamente di un passo. “Se essere investigatori significa perdere la fiducia nei valori, non è questa la mia strada”, fece, serio. E desiderò, per una volta, che lo ascoltasse davvero, che mettesse da parte quella sicurezza che mostrava per sottoporre le sue disillusioni al dubbio. “Credevo che un investigatore dovesse conoscere più di ogni altro i sentimenti umani, e non parlo solo di quelli disdicevoli. Se hai perso fiducia nelle passioni umane più nobili, perché troppo nascoste da quelle più vili, come fai a sopportare il peso del crimine e del dolore di chi perde qualcuno a lui caro? Riesci a farcela sul serio?”

Si aspettò che replicasse, di essere contestato, di essere deriso. Ma Osamu non fece nulla di tutto ciò. Rimase immobile, imperscrutabile, a fissarlo in silenzio, come se stesse valutando l’emozione trattenuta negli occhi di Ken, come se volesse analizzarla fino in fondo.

Ken non aveva idea di come l’avesse presa. Probabilmente non lo aveva nemmeno ascoltato fino in fondo. Eppure non ruppe il contatto visivo, né il silenzio.

Finché la suoneria del suo cellulare non risuonò all’improvviso, facendoli sussultare entrambi.

Si affrettò ad afferrare l’apparecchio, confuso, leggendo sul display un numero sconosciuto. “Ma che …?” Fece, tentando di riconoscere, dalle cifre, il mittente.

“Oh. La tua avventura?” Sentì dire a Osamu con tono vagamente irrisorio. Ken sollevò di scatto la testa.

“Eh?” Fece, sull’attenti.

Osamu si aggiustò gli occhiali sul naso, sorridendo. “Non credere che non me ne sia accorto, Ken: è da qualche tempo che ti comporti in maniera strana, assente, e non penso di sbagliarmi quando penso che si tratti di una donna. Hai una relazione?”

Fu un attimo: sorpresa per essere stato scoperto e imbarazzo più vivo per essere stato scoperto riguardo al suo rapporto con Rumiko lo costrinsero ad arrossire violentemente, a tirarsi ancora indietro e a balbettare qualcosa di indistinto. “Non … non è come … Non sono affari tuoi.”

Il cellulare, tra le sue mani, continuava a suonare, imperterrito.

Osamu si strinse nelle spalle, noncurante. “Difesa interessante, ma inutile”, disse, voltandogli le spalle e alzando una mano in saluto. “Torno a lavoro. E tu rispondi.”

Decisamente, detestava quel suo modo di fare saccente, si disse Ken, nella confusione più profonda. Sbuffò, avviando meccanicamente la chiamata.

“Pronto?” Fece, il più neutrale possibile, per mettere da parte la sua irritazione.

E intanto seguiva ancora con lo sguardo Osamu, mentre si allontanava verso il suo ufficio. Logico, si era sentito attaccato e aveva pensato bene di metterlo a disagio, ecco com’era andata. Possibile che non riuscissero mai ad avere una conversazione tranquilla?

Stupido, si rimproverò poi, voltando le spalle a quella visione. Sei tu che dai alla cosa troppo peso.

Improvvisamente, si rese conto che dall’altra parte della cornetta non provenivano che strani rumori in sottofondo: nessuno aveva ancora parlato. Aggrottò le sopracciglia.

“Pronto? Chi parla?” Fece ancora, perplesso. Al nuovo silenzio che seguì, Ken si disse che doveva trattarsi di uno scherzo telefonico. Fece per mettere giù, quando una voce, infine, si decise a parlare.

“Uhm, pare che non sia un buon momento, vero?”

Qualcosa, dentro di lui, fece un buffo sobbalzo.

“Rumiko-san!” Fece, incredulo, e ancora si aspettava che non fosse reale. Non poteva esserlo.

“Già. Buongiorno, Ken-kun”, fece la voce attraverso l’apparecchio, vagamente incerta. E pure nella sua incertezza, Ken si sentì sollevato nel sentirla, terribilmente sollevato. “Contavo di parlare un po’, ma dalla voce terribile con cui mi hai risposto deduco che dovrei lasciar stare, forse?”

Ken si maledisse, e maledisse Osamu per essere stato complice della sua voce seccata. “No, davvero non è così”, fece con impeto, arrossendo. “E’ che mi hai colto di sorpresa … non pensavo avresti chiamato sul serio, Rumiko-san. Pensavo …”

“… che avrei davvero buttato il post-it?” Completò Rumiko per lui, e rise. “Sai, Ken-kun, mi sembra che tu pensi troppo, riguardo a me. Finisci sempre per pensare in negativo.”

Ken rise con lei, impacciato. Solo in quel momento si rese davvero conto che la rassegnazione con la quale aveva immaginato quel post-it gettato in un cestino era persino peggio dei pensieri negativi. Non aveva voluto nemmeno credere che l’avrebbe chiamato. “Hai ragione. E’ già la seconda volta che sbaglio pronostici”, rispose. Poi, all’improvviso, ricordò il motivo per cui dovevano sentirsi solo telefonicamente, quel giorno. “Sono passato in libreria stamattina, e ho sentito che non te la sentivi di lavorare oggi. Stai bene, Rumiko-san?”

“Sei passato in libreria?” Il tono di Rumiko ebbe uno strano tremito, come di piacere. Sembrava che fosse felice di saperlo, e qualcosa dentro Ken tremò assieme alla voce di lei nel sentirlo. Ma non aveva senso. Lei non sembrava mai troppo felice di vederlo. “Mi … ecco, mi dispiace di non averti salutato oggi. Di solito preferisco soprassedere su malesseri di ogni genere –può sembrare strano, ma preferisco lavorare, il più delle volte, anche perché non è un lavoro impegnativo, dato che puoi parlare con i clienti, e poi vado molto d’accordo con …”

“Ehi, Rumiko-san, calmati”  fece Ken, perplesso dall’improvvisa parlantina della giovane. Ma cosa sta succedendo, oggi?, si chiese, sgomento. “Non c’è bisogno che ti giustifichi se non stai bene, non sono il tuo datore di lavoro.”

“D’accordo, dammi un secondo e vedo di esprimermi in maniera comprensibile, così non va!” Di secondi ne passarono cinque, riempiti dai profondi respiri di lei. Lui attese, e per la prima volta nella sua mente un aggettivo come buffa sembrò descrivere alla perfezione Miyazawa Rumiko. Ebbe il tempo emettere uno sbuffo divertito, prima che lei riprendesse a parlare. “Ci sono. Lo so che non sei il mio datore di lavoro, ma credo ci sia bisogno di dirtelo. Voglio dirtelo, più che altro. Puoi starmi a sentire? Non ci metterò molto”, disse Rumiko, e la sua voce esprimeva ansia, pur essendo vagamente arrochita. “Ti prego.”

Che bisogno aveva di pregarlo? Lui non aspettava altro che un segnale, da parte sua, che gli facesse capire che anche lei aveva bisogno di sentirlo più vicino. Come poteva essere un problema, se voleva dirgli qualcosa?

Fremette, in aspettativa, prendendo a camminare per non lasciare che questo sentimento lo sopraffacesse. “Certo. Ti ascolto.”

La sentì trarre un respiro profondo, come a voler trovare la calma necessaria. “E’ che mi dispiace di non averti detto nulla, riguardo al fatto che non sarei venuta … sono stata male stamattina, non potevo muovermi dal letto. Ho solo chiamato il mio datore di lavoro per avvertire, ma tu sei sempre lì a rivolgermi parole gentili, e non posso che sentirmi in colpa per non averlo detto anche a te. Sono davvero felice quando vieni in libreria. Oh, lo so che non ci credi perché non te lo dimostro … ma lo sono, Ken-kun. E’ davvero bello vederti lì.”

Schietta, diretta, senza imbarazzo. Fu così che glielo disse, e sembrava sorpresa lei stessa di quelle parole, come se lei stessa avesse compreso quella verità nel parlare con lui, in quel momento. E Ken si sentì strano, e assaporò per un istante la sensazione di essere pieno di gioia, e di esserlo inaspettatamente.

E di sorridere involontariamente, e troppo. “Non devi esagerare solo per essere gentile.”

“Ma è vero! Lo sapevo, ti ho fatto capire tutt’altro …” Esclamò, per poi cambiare tono improvvisamente. “Ma tu non devi pensare male, devi starmi a sentire, Ken-kun!”

“Scusami”, fece lui, e non smise di sorridere. Non sapeva cosa le fosse successo, non sapeva cosa stesse cercando di dirgli di preciso, né il motivo per cui Rumiko sembrasse tanto diversa, ora, più spontanea e meno frenata dai suoi stessi scrupoli; riusciva solo a focalizzarsi su un sollievo che ancora non riusciva a spiegarsi.  

“Bene.” Rumiko trasse un altro sospiro. “Mi sono accorta solo ultimamente che … hai fatto tanto per me, senza chiedermi nulla in cambio. E io mi sono comportata come una stupida, e ti avrei allontanato, se tu non ti fossi intestardito tanto ad essere buono con me. Ti devo chiedere scusa, Ken-kun: la verità è che avevo paura.” Si interruppe, confusa, e non riuscì a continuare. A Ken parve che si stesse rivelando per la Rumiko che era davvero per la prima volta.

“Di me?” Osò chiedere, tentando di capire.

“No … O meglio, non del tutto. Avevo paura di stringere un rapporto … confidenziale con qualcuno, e di restarne troppo coinvolta. Non posso spiegartene il motivo, quindi ti prego, non me lo chiedere.” La supplica nella voce fu così sentita e accorata che lo turbò. Aveva avuto la sensazione che spogliarla dei suoi segreti avrebbe potuto rappresentare una ferita vera e propria per lei. La mano che stringeva il cellulare si serrò maggiormente.

“Ci mancherebbe altro, Rumiko-san”, si sentì di rassicurarla, pur non comprendendo. “Nessuno ti costringerà a parlare, se non vuoi.”

Ma se solo avesse voluto …

“Grazie”, la sentì sospirare di sollievo, e il suo tono riprese colore. “Il punto è che … non voglio più allontanarti. Se tu ancora vuoi, vorrei passare altro tempo con te, senza più fuggire da te come una ladra. Sai che non posso parlarti apertamente di tutto, e questa è l’unica condizione che ti pongo … ma mi permetterai di iniziare col piede giusto, questa volta?”

Aveva forse ripensato all’appuntamento del giorno prima, e sentito quell’emozione che aveva sentito anche lui? Aveva forse pensato anche lei che, stando così le cose, quello sarebbe stato il loro primo e ultimo appuntamento fuori dalla libreria?

E il pensiero le aveva forse causato la stessa fitta di perdita che aveva sentito lui il pomeriggio precedente, la stessa che quasi l’aveva costretto a lasciarle il numero di telefono, nella speranza che la partita non fosse chiusa?

Era stato tutto questo a farle desiderare di ricominciare tutto daccapo?

Se lo chiese, non trovò risposta e mise da parte il problema. Non contava niente, niente, pensarci: contava solo che non era finita. Contava avere la possibilità di stare con lei.

Cercò di frenare la sua emozione con la razionalità, ancora. “Domani ti pentirai di avermi parlato così, Rumiko-san”, fece, cercando di recuperare il controllo.

Uno sbuffo dall’altra parte, che ruppe tutta la tensione. “Ancora non mi credi? Non sarai quel tipo di persona che se non ha le prove non prova nemmeno a crederci?” Fece, scandalizzata.

Ken pensò ad Osamu, alla faccia che avrebbe fatto se l’avesse sentito parlare di prove in campo decisamente diverso da quello lavorativo, e ridacchiò. “Temo di sì”, ammise. “Ma dubito che tu possa davvero provarmelo ade-“

“E invece lo farò! Ti va di uscire domani?”

Le parole gli morirono in gola. “C-che?”

No, questa volta no. Non era assolutamente considerabile l’idea di aver sentito bene.

“Sì, domani. Domani sera, magari, così non dovremo cambiare granché dei nostri programmi giornalieri, dopotutto io ho il lavoro, tu studi e aiuti tuo fratello …”

Era partita in quarta, adesso stava persino pianificando l’orario e tenendo conto degli impegni. Interdetto, Ken cercò di dire qualcosa di coerente, senza risultato. “Rumiko-san, ma la tua malattia …”

“Cosa da poco, mi passerà entro domani! Tranquillo. Magari possiamo andare a vedere qualcosa in particolare, che so … - oh, questi cosa sono?- Ho due biglietti per un concerto di un pianista che si terrà domani alle nove al … Eh?

Questo nuovo cambiamento inspiegabile lo fece sussultare. “Cosa succede?” Chiese, confuso.

Rumiko esitò per qualche istante. “Ehm … aspetta un attimo, Ken-kun. La mia amica qui si comporta in maniera inspiegabile.” Fece, in fretta, e la sentì allontanare la cornetta dalla bocca, per poter parlare con l’anonima amica che era accanto a lei. Lui arrossì, chiedendosi da quanto tempo lei stesse ascoltando la loro conversazione.

“Perché hai dato quei biglietti a me? A te non servono? Pensavo ti piacesse il piano …” La sentì dire a bassa voce, accorata. E solo allora capì che quei due biglietti le erano stati dati in quello stesso istante, per qualche motivo.

Ken si sforzò di ascoltare la risposta dell’altra, ma dalla cornetta non arrivò che un mormorio indecifrabile. Si accigliò.

“D’accordo, ma potevi usarli anche tu per svagarti un po’! Potevi anche andarci con …” Rumiko disse un nome, ma lui non riuscì a sentirlo. Doveva aver abbassato la voce.

Ancora una risposta a mezza voce, un “Come sarebbe, capirà? Aspetta, te ne vai così?”, poi un sospiro, e un rumore di porta sbattuta. Infine, la voce di lei si fece più chiara alla cornetta.

“Bene, la mia amica mi ha appena regalato due biglietti per un concerto di domani”, gli disse. “E non ha voluto sentire ragioni, tant’è vero che se n’è andata per evitare che glieli nascondessi nella giacca. Spero ti piaccia la musica classica, Ken-kun.”

Era incredula anche lei come lui, come se qualcosa di più grande avesse fatto sì che avessero un appuntamento, e una meta precisa, per incontrarsi. Per ricominciare.

Annuì, ricordandosi in seguito che lei non poteva vederlo. “Mi piace molto”, si affrettò ad aggiungere. “Ma non sarà un problema per la tua amica?” E mentre lo diceva, sperava davvero che non ce ne fossero. Lo sperava con tutto il cuore.

Rumiko rise. “Macché. E poi dice che io sono matta …” commentò, ma si sentiva che era felice. “Allora, verresti con me?”

Ken si fermò, e per un istante, rapido, si disse che era di nuovo cambiato tutto, quando ormai credeva di sapere come lei si comportava di solito. Fu lieto di essersi sbagliato. “Mi farebbe davvero piacere, Rumiko-san. Davvero”Arrossì come uno sciocco, ma si sentì sollevato nell’averglielo detto. Voleva dirglielo davvero.

Lei rimase in silenzio per un momento. “Allora è tutto a posto?” Chiese, e c’era un sorriso in ogni parola, erano le parole più vive che avesse mai sentito. Lui si fermò di colpo.

“Non ho mai avuto problemi con te. Temevo solo che tu ne avessi con me.” Le disse, come a scacciare un brutto pensiero per non doverci fare più i conti. “Ti passo a prendere con la macchina a casa, se vuoi.”

“No, io …” Esclamò subito Rumiko, agitata, ma si interruppe.

Ken si accigliò, chiedendosi quale fosse il problema. “Non va bene?”

Un altro silenzio, questa volta più lungo. “No, no. Va benissimo.” Rise piano, incerta. “Scusami, non so cosa mi sia preso. Allora a domani.”

Ken non capiva, ma non le chiese altro a riguardo. Sentiva che non era il caso di forzarla, perché era la sua condizione. “A domani.” Fece per chiudere, ma si fermò, colto da un pensiero e da una speranza. “Ehm, Rumiko-san?”

“Cosa?” Fece lei, curiosa.

Per l’ennesima volta, si sentì uno sciocco. “Il numero da cui mi stai chiamando”, tentò, impacciato. “Posso … posso salvarlo?”

E il silenzio che seguì gli fece desiderare di aver chiuso la chiamata prima di dire quella sciocchezza. Perché, perché devo sempre strafare?

Poi Rumiko rise, e rise a lungo, finché non si interruppe per un attacco di tosse. Ma l’aveva sentita divertita, non canzonatoria. Il pensiero lo rassicurò. “Se non lo salvi, domani non potrai rintracciarmi”, gli disse, dolce. “Buona serata, Ken-kun.”

Riattaccò, prima che lui avesse il tempo di risponderle. E Ken stette a sentire per un po’ il suono acustico del telefono. Chiuse la chiamata lentamente, cercando di pensare lucidamente.

Gli sembrava tutto irreale. Tutto dannatamente illusorio, come se fosse avvenuto solo nella sua testa.

Fu per questo che si affrettò a salvare il suo numero, e nel momento in cui terminò di digitare quel nome –Rumiko- e di salvarlo sulla memoria, seppe che era successo davvero.

Un ampio, largo sorriso gli si aprì sulle labbra, e lì rimase, incapace di andar via nemmeno quando riprese il cammino verso casa.

Sono tornata dopo tempi d'attesa interminabili -santo cielo, sono davvero quattro mesi che non aggiorno? ^^' in realtà avevo il capitolo pronto da un po', ma vuoi le vacanze estive, vuoi la mancanza di una connessione internet... Spero di non avervi stancato troppo con l'attesa!

Ma parliamo del capitolo. Come avrete notato, le indagini si fanno più serrate, e Ken e Osamu avranno un bel po' da fare, da adesso in poi ... vale a dire che le piste si fanno sempre più interessanti e che li troveremo ad indagare insieme più spesso! E forse adesso sarà più facile iniziare a intuire cosa sia successo, dopo avervi torturato per ventidue capitoli xD abbiate ancora un po' di pazienza e saprete tutto! Compreso quello che succederà a Osamu e Ken, e al loro difficile rapporto :)

L'appuntamento di Ken e Miyako lo tratterò a breve -è un piacere riprendere il personaggio di Miyako con i suoi tratti caratteristici, mi mancava ^^

Al prossimo capitolo, che vedrà il ritorno di Takeru e una proposta che potrebbe cambiare tante cose...

Padme Undomiel

   
 
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