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Autore: ponlovegood    18/08/2011    4 recensioni
Raccolta di cinque storie, una per ognuno di loro.
«Certo che ci farebbe davvero comodo un altro musicista per la band» sospirò e lentamente iniziò a raccogliere le sue cose per poi rimetterle nella borsa.
«Ehi, solo perché sbavi dietro a quel tipo io non acconsentirò a fargli far parte della band. Poi un chitarrista c’è già» esclamò Ryo con convinzione.
«Uno, io non gli sbavo dietro e due, era solo un commento generale. So perfettamente che un altro chitarrista non serve» replicò l’altro un po’ stizzito.
«Ah ok, mi stavo già preoccupando»
La campanella suonò. Era ora di ritornare alla triste realtà scolastica.

[da cap. 1 Sveglia pt. 4]
«Il mese prossimo vado a trovare i miei. Voglio presentarti a loro»
Al suono di quelle parole mi andò di traverso il the che stavo bevendo; lui invece continuò a guardarmi con tutta tranquillità.
«C-che… che cosa?»

[da cap. 2 La porta di casa pt. 1]
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aoi, Kai, Reita, Ruki, Uruha
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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La porta di casa

 

[pt. 3]

Era senza senso.

Senza senso il fatto che, nel giro di pochi minuti –sì, proprio minuti- mi fossi ritrovato a provare seri istinti omicidi sia verso il mio ragazzo sia verso il mio migliore amico. Magari i miei genitori volevano chiamarmi e dirmi che mi diseredavano?

Sinceramente, in quel momento, non mi interessava che non fosse stato Ryo a far saltare il forno; solo per il fatto di essersi installato abusivamente in casa mia, lo inseriva automaticamente nella mia lista nera. Lista creata in quell’istante, tra l’altro, e contenente due soli nomi.

Inoltre iniziò a sorgere in me il dubbio su come fosse riuscito ad entrare. Si era dato alla carriera di scassinatore?

 

«Ryokun, non mi sembra una buona idea» mormorai preoccupato mentre mi guardavo intorno.

Era notte ed eravamo chiusi fuori casa.

I nostri piani, miei e del biondo ossigenato, erano di passare una serata in giro a non fare niente di particolare e poi tutti a casa sua a dormire.

Piccolo dettaglio: Ryo aveva dimenticato le chiavi chissà dove.

Bisognava quindi trovare un modo per entrare, perché, di svegliare i suoi, non se ne parlava, casa mia era troppo lontana e non c’erano neanche più treni da prendere.

Però non avevo mai proposto di scassinare la porta; quella era stata una sua idea.

«Ti dico che funzionerà»

Avevo i miei dubbi. Seri, seri dubbi.

Serrai gli occhi quando udii il suono metallico della graffetta –opportunamente deformata- che entrava in contatto con la serratura.

Non avevo il coraggio di pensare a ciò che sarebbe successo di lì a pochi istanti, però lo sapevo perfettamente.

Il grido stridulo e artificiale dell’allarme risuonò per il quartiere buio e deserto.

La luce della camera da letto dei genitori di Ryo si accese.

Ecco, era fatta.

 

Era impossibile che avesse riprovato a usare quel trucco, non era così stupido infondo. O almeno lo speravo per lui.

Iniziai a sospettare che si fosse fatto un duplicato delle chiavi oppure che avesse corrotto in qualche maniera –della quale non volevo assolutamente venire a conoscenza- la padrona di casa e si fosse fatto aprire la porta.

Avevo aspettato con ansia l’inizio di quella settimana di vacanza, ma in quel momento avrei preferito trovarmi in studio ad ascoltare Takanori che si lamentava dell’acustica che non valorizzava al pieno la sua voce.

Volevo una birra e il mio bel divano dai cuscini verdi, non un sedile in finta pelle e una bevanda energetica comprata all’area di sosta.

Volevo ascoltarmi un benedetto CD, non il navigatore che mi avvisava di un probabile rallentamento del traffico a causa delle condizioni atmosferiche.

Inoltre quel viaggio cominciava a ricordarmi spiacevolmente le lunghe trasferte con la mia famiglia per andare a trovare i nonni; io pigiato sui sedili posteriori in mezzo alle mie oneesan che litigavano. Poi c’era mio padre, lui che se ne veniva fuori con i suoi commenti totalmente fuori luogo. Pover’uomo, cercava anche di calmare le acque, ma era proprio un disastro. Ed infine si aggiungeva mia madre che iniziava a strillare parole a caso su che razza di figlie degeneri avesse.

Così si passava il resto del viaggio in completo silenzio e gli unici momenti di sfogo erano quando ci si fermava alle stazioni di rifornimento. A quei tempi mi chiedevo se un qualche automobilista sarebbe stato così gentile da darmi un passaggio e portarmi il più lontano possibile dai miei familiari.

 

«Aah, Kouyou. Mi sei rimasto solo tu. Come farei a vivere con tre donne se non ci fossi tu?»

 

Ecco ciò che mio padre mi ripeteva fin troppo spesso ostentando il suo orgoglio di avere un figlio maschio.

Tuttavia ero sempre stato convinto che non lo pensasse veramente. Insomma, come poteva essere orgoglioso di avere un figlio che da solo era molto più femminile delle sue due sorelle messe insieme?

Mi faceva un po’ pena; non aveva mai avuto il maschietto che desiderava tanto, per portarlo a vedere il baseball e a fare tutte quelle cose tra padri e figli.

Non che io non avessi provato ad essere un bravo figlio, ma quella parte non faceva proprio per me. Poi con due sorelle che si erano sempre divertite a infilarmi i loro vecchi vestiti, cosa si aspettava che diventassi?

 

«Kouchan, vieni qui che ti aggiusto il fiocco»

«No, Kouchan. Vieni da me; voglio provarti la gonna verde»

 

Cercate di capirmi; potevo avere sì e no due, tre anni e a quel tempo mi sembrava più che logico dover fare quello che le mie oneesan mi dicevano di fare. Anche se, bisogna ammettere, le gonne non erano affatto scomode.

In poche parole ero cresciuto sotto l’ombra di quelle due stangone delle mie sorelle, mentre mio padre progettava il mio futuro da uomo medio giapponese e mia madre che cercava, almeno lei, di trattarmi per il bambino di due anni che ero. Forse era un tantino incline all’isterismo, soprattutto con le mie sorelle, ma per il resto era una mamma a posto. Ricordavo perfettamente tutte le volte che mi prendeva in braccio e, con un panno imbevuto, mi toglieva delicatamente l’ombretto azzurro che Naoko mi aveva applicato seguendo il suo gusto da bambina di nove anni. Poi mi portava in camera e mi rivestiva facendomi indossare una delle mie tante magliette con sopra un qualche personaggio degli anime che mandavano in onda il sabato mattina. E puntualmente, dopo avermi ficcato in mano una manciata molto generosa di caramelle, chiamava a rapporto le figlie per dare inizio all’ennesima ramanzina di dimensioni bibliche. Ormai i vicini non si spaventavano più delle urla, né chiamavano più la polizia.

Quanto potenza della voce le mie oneesan avevano preso dalla mamma e se lei da sola era spaventosa, loro due messe insieme facevano concorrenza al frastuono negli aeroporti.

Naoko e Sayuri erano state l’incubo di ogni sensei e di mia madre.

Al termine delle scuole medie, il loro curriculum scolastico conteneva voci come ‘aggressione’, ‘linguaggio scurrile’, ‘incendio a danno di proprietà scolastiche’, ‘minacce agli insegnanti’.

Come si fossero poi trovare dei mariti rimaneva un mistero.

Probabilmente, dire che la mia famiglia pareva uscita da un drama era poco e a volte mi chiedevo come fossi potuto crescere così bene in un tale ambiente. Perché io ero cresciuto bene, no?

Che poi fossi diventato amico di un mezzo teppista era tutta un’altra storia.

 

In quel preciso istante, il cellulare squillò brevemente annunciandomi l’arrivo di una nuova mail.

Era lui, me lo sentivo. Dai, non poteva non esserlo, no?

Con cautela lo presi in mano ormai certo di quale nome avrei visto comparire sullo schermo.

Ruki.

Eh? Eeh?!

Era una presa per il culo?

No, probabilmente non lo era e ormai dovevo rassegnarmi all’idea che quel cretino non mi avrebbe chiamato, né contattato in qualche altro modo.

Per rispetto nei confronti nel nostro vocalist aprii la mail, ma potevo ben immaginare quale sarebbe stato il suo contenuto.

-Kou… c’è un qualcosa che dovrei dirti… però è un qualcosina ina, non spaventarti. Forse Ryo te l’ha già detto, ma magari le nostre versioni sono un po’ diverse…-

Oh, eccome se Ryo me lo aveva già detto e avrei quasi preferito non saperne nulla.

Le mie possibilità erano due: o non rispondere o rispondere, c’era poco da fare. La prima era facile, facile e i miei poveri neuroni non sarebbero stati stressati più di quanto già non fossero. La seconda invece implicava il sorbirsi scuse e piagnistei di Taka, cosa decisamente negativa per la salute dei miei neuroni.

Alla fine mi trovai a scegliere la seconda, un po’ perché mi dispiaceva per Taka; doveva essere sommerso dai sensi di colpa in quel momento. Effettivamente, però, era a causa sua se mezza cucina era saltata in aria. Tuttavia ero più in collera con Ryo, che neanche si era degnato di chiedermi il permesso per installarsi abusivamente in casa mia.

-So già tutto, ma ascolterò la tua versione. Ah Taka, fai attenzione agli errori di ortografia-

Inviai la mia risposta e mi lasciai scivolare sconfortato sul sedile, un po’ perché quell’idiota non sembrava preoccuparsi di me e un po’ perché mi aspettava il lungo sproloquio di Takanori.

L’unica cosa positiva era che sarei riuscito a passare un po’ il tempo.

 

~

 

Ce l’ho fatta çOç *si accascia a terra*

Scrivere questo capitolo mi ha impiegato un tempo lunghissimo, un po’ per la poca voglia dovuta al caldo infernale, un po’ per la mancanza di ispirazione.

Alla fine è venuta fuori questa mezza schifezza. Vi chiedo perdono çOOç

Non so, non c’è molto da dire xDD

Non sono per niente soddisfatta. Se anche per voi è così, vi prego di farmelo sapere così che io possa aggiustarlo un po’ e far venir fuori qualcosa di decente. Mi farebbe davvero, davvero piacere poter leggere le vostre impressioni, positive, negative o neutre che siano *^^*

Vi ringrazio di essere arrivati al fondo di questa cosa –non voglio chiamarlo capitolo- ♥

 

Un abbraccio,

pon ♥

 

*va a fare i bagagli per uno di quei paesi asiatici dai nomi assurdi*

  
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