Ossessione.
Quella di Holmes per le mani di Watson era un’ossessione.
Avrebbe passato giorni interi a stringerle, studiarle, capire cosa
fossero in
grado di fare. Quelle mani che lui, di nuovo, stava fissando mentre
reggevano
il giornale che il legittimo proprietario stava leggendo.
Quelle mani avevano tolto tante vite quante ne avevano salvate, eppure
(seppur
non appoggiasse granché le azioni belliche inglesi) non
riusciva a pensare a
Watson come ad un assassino perché
quelle mani, uccidendo in guerra, avevano
permesso che Watson tornasse vivo a Londra e lui aveva potuto
conoscerlo. Sì, quella
era l’unica guerra che in passato avrebbe potuto appoggiare.
Rimase a fissare quelle mani finché Watson piegò
il giornale per cambiare
pagina e, vedendo Holmes con la coda dell’occhio, si
voltò verso di lui.
“Holmes, che sta facendo?” chiese.
“Lavoro” rispose.
Prima che Watson potesse aggiungere altro, afferrò la sua
mano sinistra, la più
vicina, e la avvicinò per l’ennesima volta agli
occhi.
“Mi sono appena accorto che, nonostante lei sia un chirurgo,
non l’ho mai vista
operare. Che cosa è in grado di fare con le mani?”
Watson sorrise, cogliendo un doppio senso che, per una volta, in
realtà non
c’era. Si alzò, obbligando Holmes a fare lo stesso
e lo spinse verso la sua
camera.
“Lasci che glielo mostri” sussurrò.
Quel giorno, l’ossessione di Holmes crebbe esponenzialmente.