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Autore: JulsBellss    19/08/2011    0 recensioni
Questa storia narra di una ragazza che ha molto sofferto, di un licantropo che continua a soffrire e di un barlume di felicità che si sta per affacciare alla loro finestra dopo il temporale burrascoso svoltosi nella loro vita. Ma questa storia non è una favola, non terminerà proprio con il "felice e contenti" della Meyer in Breaking Dawn, perchè la vita reale non è una favola.
Quindi, fate finta per un attimo che Jacob non abbia avuto l'impriting con Renesmee. Provate ad immaginare un finale felice anche per lui, non solo un contentino per rendere tutto più facile.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
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Capitolo 1
Cambio di prospettiva, ancora una volta.





«Così, domani parti».
Amy aprì la sua grande borsa di pelle sintetica e vi tirò fuori una bottiglia di wisky, che aveva da quando l’avevo conosciuta, ‘per necessità’ diceva lei.
Me la porse con il suo solito sorrisetto enigmatico da Monnalisa di Leonardo Da Vinci. Mi scansai.
Lei fece spallucce e ne bevve un sorso, pulendosi poi la bocca con la manica del cardigan, si tirò indietro la ciocca viola di capelli che le copriva il viso e infine disse: «mi mancherai».
«Non lo dici veramente», la conoscevo troppo bene, sapevo che di me non le era mai importato nulla, mi teneva nella compagnia solamente perché ero una ragazza carina e potevo attirare più ragazzi di quanti non ne potesse attirare lei.
Però alla fine era sempre Amy a rintanarsi con i ragazzi nei luoghi più schifosi, mentre io me ne stavo in disparte aspettando che lei avesse finito. Non mi importava dei ragazzi, né dell’incolumità della mia ‘amica’, l’unica ragione per la quale restavo in quel gruppo di malfamati era perché potevo starmene lontana da casa, il più possibile. E Amy lo sapeva perfettamente. Non era stupida, come si fingeva a volte.
La guardai mentre barcollando si alzò in piedi dal marciapiedi sul quale eravamo sedute e si portò una mano alla fronte prima di vomitare. Tossì due volte poi ritornò a guardarmi.
«Forse hai ragione, non mi mancherai, neanche un po’, se ti devo dire la verità non mi sei mai piaciuta, ma va bene così». Disse prima di andarsene e lasciarmi lì da sola su un marciapiede sporco e che puzzava di pipì di cane e vomito fresco.
I capelli mi caddero sul viso mentre mi alzavo. Non feci in tempo ad accorgermi che Amy era tornata che lei mi diede uno scossone quasi a vedere quanto ero stabile. Io rimasi immobile a fissarla, zitta e stupita. Scoppiò a ridere, tenendomi il braccio con la mano tozza e con lo smalto nero sulle unghie.
«Ecco il perché: sei una sfigata, mai una bevuta, mai una sbronza, mai una tirata, che cazzo ci sei entrata a fare nel nostro gruppo, eh?». Il tono della sua voce aumentò fino a diventare un grido rauco. Io non le risposi, mi limitavo a guardare la sua mano stretta intorno al mio braccio.
«Fai schifo come ribelle, sei la tipica ragazza che libera le farfalle, non una di strada, ma voglio essere buona con te, come ho fatto in questo ultimo anno, tutte le sere e tutte le notti…», mentre parlava mi porgeva una boccetta di quelle dove metti gli alcolici che teneva stretta nella mano libera. Me la strinse tra le dita fredde e finalmente se ne andò, urlando: «Ciao, Juls, divertiti dal tuo paparino!» e ridendo come una pazza.
Venni presa da un conato di vomito misto a rabbia e mi accovacciai tenendomi il ventre con le mani, ma niente, io non avevo motivo di vomitare, non avevo motivo di fare niente, solo di camminare, fino a che le gambe non avessero ceduto.
La notte era buia e senza una stella in cielo a Los Angeles, ma quella notte sembrava ancora più nera al pensiero di quello che il giorno dopo avrei dovuto affrontare.


                                                                         ****

Le urla di mio fratello arrivavano dal salotto. Saltava e sbraitava tutto contento. Quasi per farmi un dispetto.
Mi tappai le orecchie con il cuscino e mi rigirai nel letto aprendo gli occhi.
La stanza senza tende era illuminata dai raggi del sole Californiano che si mostrava fuori in tutta la sua bellezza. Strizzai le palpebre, accecata.
La mia stanza aveva tutto un altro aspetto nuda e spoglia di ogni mia cosa. Ora sembrava una camera d’albergo più che altro. Sbuffai e mi misi seduta sul letto, sapendo che non sarei riuscita a dormire. Qualcuno bussò alla porta.
«Juls, tesoro, partiamo tra un’ora, alzati e splendi, è mattina!».
«Fanculo», borbottai tra me e me.
Chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi. Avevo il collo tutto indolenzito e mi faceva male il braccio. Lo osservai. Aveva un grosso livido nero e viola della grandezza di un pugno.
«Oh, merda».
Era spuntato proprio nel punto in cui Amy mi aveva afferrato la notte precedente. Dovevo coprirlo o mia madre se ne sarebbe accorta e il viaggio più brutto della mia vita allora sarebbe diventato un incubo.
Mi alzai dal letto per un’ultima volta e rovistai nella mia valigia in cerca di un golfino abbastanza lungo che potesse coprirmi la vistosa botta che mi era spuntata sull’avambraccio. Quando lo trovai, Kyle entrò dalla porta facendomi sobbalzare. Si andò a sedere sul letto, sorridendo come un idiota.
«Ciao! Allora sei ansiosa quanto me di rivedere papà?», chiese.
Io lo ignorai e incominciai a vestirmi.
«Hey, mi rispondi? Io sono qui mi vedi? Eh?».
«Sì, ti vedo», risposi seccata mentre mi infilavo i pantaloni.
«Bene, mi stavo preoccupando, sai com’è, sei già miope pensavo ti ci volessero anche gli occhiali per vederci da vicino!», ridacchiò.
«Perché, marmocchio, non sei giù a saltellare e a esprimere la tua grande felicità con gente che è ancora più entusiasta di te all’idea di scaraventarci come pacchi postali nel primo posto che a loro pare sicuro?».
La mia affermazione colpì il mio fratellino che rimase pietrificato sul letto con lo sguardo perso.
Mi avvicinai al letto e mi ci sedetti sopra, prendendo mio fratello tra le braccia.
«Scusami, Kyle, non volevo, è che sai quanto io sia contraria ad andarmene».
«Certo, certo, la ragazza che non ha amici né un ragazzo è triste di abbandonare il posto dove vive per andare in uno più tranquillo e pulito, ti capisco sai deve essere dura per te abbandonare tutto quello che ti sei creata qui». Il suo sarcasmo mi fece vedere rosso.
«Kyle!».
«No, Juls, questa volta non starò a sentire le tue baggianate, e non capisco proprio come tu faccia a odiare così papà!», scivolò giù dal letto e se ne andò sbattendo la porta. Sospirai. La sveglia suonò rompendo il silenzio. La presi dal comodino e la lanciai contro la porta.
«Fanculo!», questa volta lo urlai.
Presi gli altri vestiti li indossai e prendendo tutte le mie valigie e borse, scesi al piano di sotto.
Tutta la casa era piena di scatoloni messi uno in pila all’altro. Mia mamma Bonnie se ne stava vicino alla porta e la teneva aperta per gli uomini del trasloco che facevano avanti e indietro.
«Juls! Buongiorno, tesoro! Ben svegliata, vuoi qualcosa da mangiare per colazione?», mi chiese con quella sua vocetta stridula da gallina.
«No, grazie».  La mia voce le apparve subito troppo fredda e seccata in confronto allo ‘sforzo’ che stava facendo lei per sembrare allegra e felice.
«Juls, non incominciare, ho visto che Kyle era furibondo, cosa gli hai detto?», mi parlò sommessamente, senza alzare troppo il tono, per non farsi sentire arrabbiata e per non fare una scenata davanti ai traslocatori. Non risposi, appoggiai i miei bagagli a terra e mi andai a sedere sulle scale, controllando se qualcuno mi avesse mandato dei messaggi sul cellulare. La ignoravo, e questo la faceva diventare blu di rabbia.
«Rispondimi!», ancora una volta trattenne l’urlo che era pronto a scoppiare nella sua gola, lo avrebbe sicuramente lasciato a briglie sciolte se fossimo state da sole. Mi divertivo a vederla impazzire davanti ai miei occhi. Alzò il dito indice pronta a colpire ma un traslocatore entrò dalla porta d’ingresso proprio vicino a lei e le chiese se poteva prendere anche il divano dal salotto. Lei annuì con gli occhi da gatta puntati su di me. Pensai che mi stesse mandando delle maledizioni o che stesse cercando di fulminarmi, di rendermi cenere per potermi pulire con scopa e palettina. Mi venne da ridere, ma esitai. Bonnie trasse un lungo respiro prima di parlare di nuovo.
«D’accordo, ne riparliamo dopo». Poi se ne andò in cucina a ripulire i piatti della colazione per infilarli anch’essi negli scatoloni.
Al posto di mia madre, davanti alla porta, arrivò Roby, il nuovo marito di Bonnie. Era alto, capelli biondi, occhi marroni, l’uomo dei sogni, insomma, ma a me non piaceva. Non mi piaceva quel suo modo di mettere bocca in ogni piccola cosa, dal vestito che indossavo, al colore delle pareti di casa. Voleva sempre avere tutto sottocontrollo lui. Era un guasta feste impiccione. Mia madre voleva persino costringere me e Kyle a chiamarlo papà, era già tanto che chiamo così il mio vero padre, figurati un estraneo che conosceva Bonnie da nemmeno un anno e se l’era già sposata. Non lo volevo nella mia vita, e quello era uno dei lati positivi di andarmene a vivere da mio padre. Forse l’unico.
La testa mi pulsava. Non avevo dormito molto quella notte e in più durante il sonno mi ero rigirata nel letto per l’agitazione.
L’idea di un viaggio mi aveva sempre emozionato, ma non quello.
Quella mattina infatti mia madre avrebbe accompagnato me e mio fratello Kyle a vivere da mio padre, dato che era riuscita ancora una volta a complicarci la vita, era la cosa che sapeva fare meglio. Lei e Roby sarebbero partiti per L’Australia, mentre io avrei passato l’estate da mio padre James in una piccola città nel centro dello stato di Washington.
Non ce la facevo più, volevo sfuggire a tutto ciò che mi stava capitando, volevo andarmene da sola, scappare e vivere in pace almeno una piccola parte della mia vita.
Kyle scese dalle scale e mi colpì la testa con un borsone.
«Ahi!».
Lui si voltò e ridacchiò.
«Ops».
Abbozzai un sorriso cercando di sembrare convincente. Non volevo che anche lui fosse arrabbiato con me. I traslocatori finirono di spostare tutte le nostre cianfrusaglie sul camion e se ne andarono.
«Roby, per favore assicurati che non abbiano lasciato niente in casa», disse mia madre prendendo borsa e chiavi della macchina.
«Certo, torno subito». Lo spilungone sparì in salotto lasciando me e Kyle da soli con quella matta di mia madre. Lei mi guarda con occhi di fuoco. Io la ignoravo giochicchiando con una ciocca di capelli.
«Io non ti capisco, Juls, perché ti comporti così?», mi chiese quasi sconfortata.
«Comportarmi come? come una che è presa e spostata in un posto all’altro come se niente fosse, oppure come una che è stata allontanata dal proprio padre per dieci anni e ora è costretta a rivederlo per i capricci della madre e dello spaventapasseri che ha come marito?».
Mentre parlavo Roby ritornò e, esterrefatto, rimase davanti a me, immobile.
«Non permetterti più!», sbraitò Bonnie«dovresti ringraziarci che invece che farvi cambiare ambiente e paese vi stiamo mandando a vivere da vostro padre, non da un estraneo!».
«Per me lo è diventato, un estraneo! Ma è ovvio che a te non interessa! Vero? Certo che no, sei stata tu la causa per la quale non viviamo ancora insieme!», sbottai.
«Non dire cazzate! L’amore non è una cosa eterna! Non è come vivere nelle favole!».
«Lo so bene». Avevo un sacco di cose da dirle ancora che mi ronzavano in testa, ma non volevo tirarla troppo per lunghe. Tanto sapevo che non sarebbe cambiato nulla. la decisione era presa e si faceva quello avevano deciso loro. Almeno fin quando non avessi compiuto gli anni a settembre. Sbuffai, presi le mie valigie e mi avviai verso la macchina sbattendo la porta.
Sentii mia madre ringhiare dietro di me.
Infilai i miei bagagli nel cofano e mi andai a sedere. Lei salutò Roby con un bacio  e insieme a Kyle, che era rimasto zitto per tutto quel tempo, salì in macchina.
Non aprimmo bocca per le prime due ore. Poi non so perché mi addormentai.
D’altra parte la notte prima non avevo dormito gran ché!



                                                                     * * *


Due occhi gialli, ecco cosa vedevo.
Solo quelli nel buio della notte. Cercai di avvicinarmi a quei due fari dorati, ma più mi avvicinavo, più sembravano lontani.
Crack.
Qualcosa sotto ai miei piedi scricchiolò. Un bastoncino di legno. Mi accovacciai a terra senza vedere nulla se non quelle due iridi. A differenza di poco prima, ora mi sembrava di vederle avanzare, piano, piano, verso di me, fino a che non furono a pochi centimetri di distanza dal mio naso. Quell’essere si accovacciò di fianco a me. Era peloso, come un cane, ma il triplo più grande. Una ventata di freddo mi colpì la schiena e solo allora mi accorsi di non avere nessun vestito addosso. Strisciai fino ad abbracciare quella specie di lupo enorme, il quale mi appoggiò il muso sulla testa per tenermi al caldo.
«Non preoccuparti, ci sono io adesso», soffiò il vento nel mio orecchio, quasi come una melodia, come il richiamo di un ricordo meraviglioso perso nella mia memoria.

Mi svegliai di soprassalto. Allungai le mani in cerca di quel pelo morbido e caldo, ma inutilmente. Non c’era più. Al suo posto di fianco a me c’era Kyle che mi guardava con un punto di domanda stampato sulla fronte.
«Hai dormito un bel po’», disse. «ben tornata tra noi».
«Grazie», mi stropicciai gli occhi mettendomi seduta comoda sul sedile.
«Dove siamo?».
«Quasi arrivati, ormai», invece che rispondere mio fratello, rispose mia madre con un tono più dolce rispetto al solito. Guardai fuori dal finestrino: l’intera strada era circondata da alberi, proprio come me la ricordavo.
Avevo vissuto in quei luoghi con mio padre, mia madre e mio fratello per i primi sette anni della mia vita. Conoscevo ogni casa, ogni negozio, ogni albero persino.
Non mi piaceva per niente l’idea di tornare nel luogo della mia infanzia; i ricordi fanno male, troppo.
Abbassai il finestrino per respirare aria pulita. Il vento soffiava e si infrangeva sul mio viso dandomi fastidio. Lo richiusi subito.
«Juls, possiamo parlare un attimo?», mia madre aveva il tono di un cane bastonato.
«Che vuoi?».
«Vorrei chiederti perdono, capisco di aver sbagliato dieci anni fa a prendervi e a portarvi via da vostro padre, ma quel che è fatto è fatto, e non si può tornare indietro, perciò ora ti chiedo di perdonarmi se puoi e di perdonare tuo padre e comportarti bene con lui, non sai quanto gli sei mancata».
«Io non ti prometto proprio niente, e nemmeno ho intenzione di dimenticare».
Abbassò lo sguardo sconfortata. Kyle la imitò.
Io continuai a fissare gli alberi fuori dalla macchina che scorrevano frenetici.
In lontananza avvistai un cartello.
Avvicinandoci lessi cosa c’era scritto: “Benvenuti nella riserva di LaPush”.
Fantastico. Eravamo arrivati.
«Guarda, guarda, Juls! La città! Che bella, non me la ricordavo!», disse Kyle entusiasta, rompendo il silenzio imbarazzante che si era creato.
«Ci credo, avevi un anno appena quando ce ne siamo andati, come potresti ricordartela?», gli risposi dandogli un buffetto sulla guancia. Lui ridacchiò.
Vidi mia madre che ci guardava dallo specchietto con un’espressione un po’ strana che non avevo mai visto prima, forse orgoglio nei confronti dei propri figli. Non riuscivo a capirla.
Attraversammo il centro abitato, c’erano un sacco di ragazzi e ragazze che si dirigevano verso la spiaggia con i teli da mare sotto braccio, ridevano, si spintonavano, e ancora ridevano. Abbozzai un sorriso.
Passammo davanti alla spiaggia e deviammo per il lungo mare. I negozi si diradarono e rimasero solo alcune case che si affacciavano sulla spiaggia.
L’ultima del gruppo era quello di mio padre James.
Serrai le labbra, nervosa.
Mio fratello appena la macchina si fermò nel vialotto davanti alla casa, si fiondò fuori. In quel momento un uomo magro e smunto uscì dalla porta d’ingresso. Kyle emozionato, si lanciò nelle sue braccia. A differenza mia, il rapporto tra lui e James era molto forte, ogni estate andavano in vacanza insieme e si scambiavano lettere e telefonate spesso nel corso dell’anno; io invece avevo sempre rifiutato qualsiasi occasione per poter rivedere mio padre. Non ci tenevo per niente.
Provavo per lui gli stessi sentimenti che provavo per mia mamma.
Bonnie scese dall’auto e andò ad abbracciarlo. Io rimasi titubante in macchina. Infine, traendo un lungo respiro, uscii facendomi forza ad affrontare quella situazione.
Appena mi vide fu come se i suoi occhi azzurri e puri riprendessero vita, come se avesse appena visto la sua ancora di salvezza nel bel mezzo del mare. Sarebbe certamente stato più facile trattarlo in malo modo se non avesse avuto quello sguardo.
«Juls, tesoro, ciao, quanto mi sei mancata!», esclamò allargando le braccia nella mia direzione.
«Posso appoggiare questa in camera mia?», chiesi mostrando la borsa, e ignorandolo completamente.
«Ma certo, entra pure, spero che tu ti ricordi la strada, è un po’ che non vieni qui», sorrise cercando di attirare la mia attenzione, senza risultato.
Percorsi il corridoio fino ad arrivare in camera mia.
La casa era uguale a come me la ricordavo. I mobili vecchi riempivano l’intero salotto, la cucina e la mia camera, nella quale era stato aggiunto solo un letto nuovo, quello vecchio doveva essere diventato troppo piccolo evidentemente.
Appoggiai la valigia e la borsa per terra e mi sedetti sul letto in ascolto.
Mio fratello si stava sistemando nella camera di fronte alla mia. Era fin troppo felice per i miei gusti. Non capivo come riusciva ad esserlo sempre, in ogni occasione. Sbuffai  e mi concentrai sul salotto. Mio padre e mia madre stavano chiacchierando ma non riuscivo a sentire bene cosa si dicessero. Ad un certo punto iniziarono a bisbigliare e io mi avvicinai ripercorrendo il corridoio.
Erano seduti sul divano uno a debita distanza dall’altra e non si guardavano nemmeno negli occhi.
«Non puoi capire, James. Sono stati i dieci anni più lunghi della mia vita. Capisco quanto li abbiamo fatti soffrire, Juls, in particolar modo, e ora non so cosa farà».
«Bon, non preoccuparti di questo, okay? Piuttosto, raccontami, come va con la scuola?».
«Ah, dici il college? Ha svolto tre esami di ammissione, che le ho imposto io  di fare. Dopo la fine del liceo disastrosa che ha fatto, con tutti quei brutti voti, non l’avrebbero presa nemmeno per fare la cameriera. È un miracolo che si sia diplomata».
«Per quali college ha fatto domanda?». A James non sembrava importare dei voti bassi e questo mi fece piacere, non volevo che qualcun altro rincarasse la dose.
«Due college con dei buoni corsi di musica, e ovviamente, la Juilliard, in realtà hanno mandato loro una lettera dicendo che avrebbero voluto avere nella loro scuola Juls. È stato bello vedere che si ricordavano ancora di lei, dopo tanti anni».
Mio padre sorrise.
«Sì, lo è».
«Ma ha sbagliato tutte le risposte, non so se la vorranno ancora, si saranno accorti di quanto è indolente!».
La rabbia mi salì alle stelle. Andai a prendere la borsa e mi fiondai fuori dalla porta senza dire una parola.
Dietro di me mia mamma mi chiamò ma James la fermò.
«No, lasciala». Fu l’unica cosa che sentii prima di uscire dalla vecchia casa di legno.
Incrociai le braccia al petto. Non sapevo dove andare. Il sole era alto nel cielo, una cosa insolita per la penisola di Olympia, lì pioveva la maggior parte dell’anno. La spiaggia sotto di me era affollatissima. I ragazzi facevano surf e mi parve di vedere quel gruppo di ragazzi che avevo notato poco prima.
Sospirai e proseguii lungo il marciapiede, un passo dopo l’altro, per cercare di trovare pace ai miei pensieri.




Autrice:

Salve a tutti, mi chiamo Giulia, ma per gli amici io sono sempre stata Juls. la ragazza ribelle e autonoma che  avrete modo di conoscere nei prossimi capitoli (se mi darete la possibilità di raccontarvi la mia storia) è tutto ciò che sono, o tutto ciò che vorrei essere in certe situazioni. lascio la mia immaginazione a briglie sciolte per raccontarvi una storia nuova. per alcuni di voi, questa situazione non sarà nuova, infatti questa fanfiction avevo incominciato a scriverla proprio un anno fa. ma trovandola banale e noiosa ho deciso di riscriverla, anche se mi costerà molta fatica, con un po' di pazienza, mia e vostra, riusciremo ad arrivare alla conclusione insieme. Fidatemi di me, e io non vi deluderò.

Grazie a tutti quelli che leggeranno. -J




  
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