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Autore: breath_    20/08/2011    2 recensioni
Océan, diciannovenne, e Cleveland, ventiquattrenne, hanno una storia speciale che si frantuma tristemente alla scopera di una piccola creatura in arrivo.
Fletcher è il piu' grande amore di Océan e si ritrova a far parte dei gruppo invitati alle nozze di lei, non riuscendo a salvarla e trascinarla fuori da un matrimonio mai desiderato.
E gli anni passano, passano e danno vita a rancori, rabbia, lacrime e piccole creature.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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http://www.youtube.com/watch?v=m4FvJYPAHqk
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«Coraggio, Océan. Dobbiamo entrare».
Un sorriso nacque sulle labbra di mio padre mentre fissava con attenzione l'immensa entrata della grande chiesa.
«Sì» sussurrai con la speranza che si trasformasse in una risposta piu' sicura. O magari avrebbe potuto trasformarsi in un no, secco, imprevedibile.
Annuii a non so cosa di preciso e mi posai la mano sinistra sulla piccola pancia che teneramente sporgeva dall'abito nuziale. C'era una piccola creatura che lentamente nasceva dentro me, e la cosa mi inquietava quando mi emozionava. Non sarebbe dovuta nascere in quel contesto famigliare a cui andavamo incontro, ma si sa, gli errori non accadono mai soli, c'è sempre qualcuno che accende la scintilla prima di dare fuoco al granaio in brutte condizioni.
Avevo solo diciannove anni e non amavo l'uomo che mi aspettava all'altare.
Cleveland era sempre stato il migliore per me, migliore di chiunque altra persona fosse mai stata al mio fianco, almeno fino al giorno in cui si scoprì che il mio ventre ospitava un tenero gioiello. Ricordo ancora bene quel momento, è quì impresso nel fondo dei miei ricordi piatto e solido come il marmo. I suoi gesti dolci rimasero immutati, ma i suoi occhi tracciarono percorsi molto diversi dai miei.
«Andiamo».
Le parole di mio padre erano piu' marcate di quelle precedenti, quasi come avesse fretta di vedermi sposata. Si era reso conto che i miei passi erano istabili, forse retorici, per niente sicuri di attraversare un corridoio pieno di facce sorridenti e felici. Forse per questo strinse un po' il mio braccio e quasi mi trascinò dentro quella chiesa tutta decorata e quasi finta come fosse una casa in porcellana dove tutto è rosa e fiori.
Una leggera, quasi impercettibile, melodia invase la grande entrata e tutti, proprio tutti gli invitati appariscenti, si voltarono nella direzione di una giovane donzella insicura e incinta che sorrideva tristemente. Cominciai a marciare verso l'ignoto buco nero che era appena apparso davanti ai miei occhietti spenti. Era tutto nero, poche luci, poca speranza. La mia vita era davvero tutta quella?
Insomma, avrei davvero dovuto sposare l'uomo che non amavo e crescere un bambino a diciannove anni?
Concentrazione. Mi sarebbe servito un minimo immaturità per scappare da tutto, ma ci voleva ben altro dopo i centoventotto invitati e i loro stupidissimi regali costosi.
Mi guardai intorno alla ricerca di altri occhi. Eccoli lì. Gli occhietti vispi e allo stesso tempo tristi di Fletcher mi intimorirono maggiormente.
"Allora ci sei..." riflettei sperando che la lacrima in equilibrio sulle ciglia non scappasse giu' verso la libertà.

Quasi speravo che non arrivassi più,
quasi credevo che non mi mancassi... eppure stavo aspettando.


 

Il suo carattere così tempestoso mi aveva quasi stregata, attratta verso di lui senza nemmeno avere il tempo per pensare. La sua pelle così setosa e calda, il portamento da cavaliere armato e il collo sempre teso, dritto, come fosse in posa. E gli occhi gelidi. Uno dei migliori laghi blu dove tuffarsi.
Ero sempre stata innamorata di lui, dei suoi occhi chiari e del suo sorriso impeccabile. Ed era così anche in quel momento, e per tutti quelli successivi.
Continuai con i miei passi indecisi, infuriati forse, a percorrere quel lungo corridoio che pareva non finire mai. Poi però lo fece, finì, come un lento dileguarsi e sparire, e con lui tutte le mie speranze.
Raggiunsi l'altare lasciando la mano a mio padre e sorridendogli tristemente, come per ringraziarlo di avermi accompagnata.
Il prete cominciò a parlare. Si dice che i preti siano spirituali, che capiscano cose che altri non possono. Loro, daltronde, hanno un collegamento diretto con Dio. O sbaglio? Forse mi sbaglio...
Nessuno, lì, sapeva cosa me e Cleveland ingoiavamo a fatica mentre lacrime invisibili spazzavano via il ricordo di una dura adolescenza.
Continuò a parlare gesticolando e sorridendo. Faceva quei sorrisi odiosi. Pieni di denti e qualsiasi cosa ci sia in mezzo. Alle volte c'è il menù che si è mangiato a pranzo, altre addirittura quello della sera prima, e il contorno.
Prima di pronunciare quel dannatissimo mi contorsi un po'. Lo stomaco mi bruciava, la gola era totalmente secca e qualsiasi parola avessi detto sarebbe stata come una frustata in pieno volto. Le facce dei presenti non erano per niente confortanti.
Voltai lo sguardo verso Fletcher un'ultima volta per vedere quale delle sue espressioni piu' preziose stava facendo. Aveva le labbra contratte come se dovesse parlare al posto mio e il viso rivolto verso il basso. Solitamente portava i capelli spettinati, ma quel giorno ero sicura che li avesse così di proposito, in ricordo alla prima volta che ci eravamo conosciuti.
Socchiusi gli occhi e li riaprii pronunciando quella parola che avrebbe cambiato radicalmente la mia vita mentre altre lacrime mi rigavano le guance scheggiandole di un sapore acre.
«Adesso siete Marito e Moglie».
Il prete sorrise, entusiasta di aver distrutto un'altra giovane coppia.
E tutti furono felici e contenti. Tutti gioirono fino a piangere senza motivo, tutti festeggiavano con gli occhi e quasi assaporavano già le prelibatezze del ristorante prenotato.

Five years later.
«Evelyn, attenta! Stai con papà!» esclamai osservando la mia bambina che correva verso il mare.
Si voltò sorridendomi con quei dentini bianchi e incompleti e si affrettò a correre incontro al papà. Aveva i piedi bagnati, i capelli ricci e leggermente scompigliati e le manine piccole, tenere e sporche si sabbia. I suoi capelli rossi, sotto i raggi solari, sembravano ancora piu' brillanti, ricordavano delle fiamme ardenti sotto un cielo calmo, estivo. I suoi occhietti verdi avevano dei riflessi piu' chiari, quasi biancastri, che li rendevano una meraviglia. Erano furbi, divertenti. Raccoglievano tutte le meraviglie del mondo in un solo, speciale sguardo.
La dolcezza e la sensibilità di Evelyn non l'avevo mai riconosciuta in me nè in Cleveland; non riesco dunque a credere come potesse essere così affabile. Le piaceva sorridere, sbellicarsi dalle risate e trasportare dietro sé tutti coloro che le stavano attorno.
In cinque anni aveva strappato via il mio dolore e l'aveva reso bello da morire, quasi adorabile.
Voltai il capo e mi concentrai un po' sul mare, che aveva un colore davvero prezioso e ispirava una tranquillità ultraterrena. I bambini schizzavano l'acqua, giocavano con la sabbia, ridevano, scherzavano. Alcuni piangevano non appena i loro genitori li immergevano nell'acqua un po' gelida, erano i piu' piccolini, quelli di appena qualche anno.
Il mare mi ricordava una cosa talmente assurda che, involontariamente, voltai il capo di scatto e vidi il vuoto. Sgranai gli occhi non appena mi resi conto di cosa, realmente, era apparso di fianco al mio ombrellone. Subito un gemito mi sfuggì dalle labbra ed un enorme senso di colpa invase ogni singola cellula del mio corpo.
"Non puo' essere".
Il mio respiro faticava a venire fuori, le labbra mi si incresparono fino a diventare bianche e gelide, la testa lottò a lungo contro un capogiro tremendo e lo stomaco cominciò a dolermi in un modo talmente forte che per poco non scivolavo dalla sedia dove mi trovavo.
Quello sguardo lo conoscevo. Era uno dei pochi sguardi che conoscevo veramente a fondo. Quasi agghiacciante, intenso, blu come il mare gelido, invadente, possessivo come lo era sempre stato.
"Fletcher".
Il mio cuore faticava a crederci, ma dopo cinque immensi anni di distanza e rancore adesso lui era lì e mi fissava, dubbioso, forse un po' incerto.
"E' davvero Lui...".
Un rantolo soffocato spezzò il silenzio del mio corpo e una leggera lacrima mi scivolò via. Era lei, quella lacrima che anni prima non era riuscita a scappare.
I suoi occhi mi giudicavano colpevole. Forse era stato un errore, ma la mia vita era davvero stata tutta quella e a diciannove anni ero già moglie e madre.
«Perdonami».
Dai miei occhi cominciarono a scivolare altre piccole lacrime, ma dubito fortemente che lui riuscì a vederle.
Quel momento era di certo il migliore e il peggiore della mia vita. Ero così vicina a lui che quasi mi sembrava di sfiorare la sua pelle, assaggiare il suo sapore, ed ero anche così distante che non riuscii a sentire nemmeno il suo respiro irrequieto.
Ogni volta mi ripetevo che quando stavo in sua compagnia, quando il calore dei suoi occhi e quello dei suoi gesti mi erano vicini, decidevo sempre quale fosse la cosa migliore da fare. La cosa migliore per me stessa. Ed ogni volta sentivo un rifiuto, una spinta all'indietro che mi strattonava verso altri orizzonti opachi. Qualcuno mi indicava la strada, e la mia strada non era alla stessa intensità di quella di Fletcher.
«Allora sei felice...».
NO. Non lo sono mai stata in delle braccia che non fossero le sue. Non giudicarmi per quello che mi è accaduto, non ho scelto sempre il meglio lungo il percorso della mia vita.
«Anche tu».
Un sorriso malinconico mi si dipinse sul volto. Sì, ero diventata piuttosto malinconica negli ultimi tempi. O forse lo ero sempre stata? Con Lui il tempo si arrestava, mutava, cambiava forma e ritornava allo stato iniziale. Con Lui il tempo non era un problema nè un ostacolo, era come se proprio non esistesse. Ero sempre stata malinconica, ma in sua presenza non si notava nemmeno.
Noi il tempo lo disperdevamo per i giardini immensi dei nostri momenti. E quei giardini sempre fioriscono, e non invecchieranno mai.
«Ci saremmo potuti dedicare alla nostra felicità».
Il suo sguardo diventò cupo, piu' ingiusto e ingrato di un istante prima. Come se volesse dirmi cosa fare, come farlo. Lo faceva spesso in passato, ed io lo lasciavo fare perchè gli appartenevo.
«Non so cosa sia, quella parola».
Chinai lo sguardo e riflettei aggrappandomi agli invisibili granelli di sabbia.
«Guardami».
I suoi occhi sussurravano parole incerte. Era coraggioso fissare le sue labbra, lo era per me che non ero mai riuscita a farlo in precedenza.
Qualcosa stava cambiando.
«Non ti vedo piu', non ci sei piu' nella mia vita».
C'era un richiamo nel profondo dei miei silenzi che nasceva dalla mia gola. Un righiamo gutturale, come un ruggito di ricordi.
«Adesso abbiamo altre vite».
Fletcher mi fissò a lungo, ancora, insistendo con i suoi occhi a far sì che parlassi, che svelassi il mio segreto della mia infelicità e che scappassi via con lui. Non potevo piu' farlo, il comportamento da bambina non mi riusciva piu' così bene.
«Non mi hai piu' salvata...».
"Cosa sto dicendo?".
«Océan...».
Forse un sussurro...?
«Non sei riuscito a salvarmi, quel giorno, cinque dannatissimi anni fa>>.
Altre lacrime, altro rancore, altri rantoli strozzati. Quella vita diversa era salpata già da un po' e mai piu' tornata.
«Per favore, perdonami».

Il bello di quella giornata estiva, soleggiata e serena era che quelle parole, tutte quelle scuse, e il perdono e i ricordi, io avrei voluto dirle. Avrei voluto sputare il vuoto e liberarmi. Avrei voluto urlargli che lo amavo ancora e sempre, avrei voluto avvicinarmi e stringerlo, mi sarei fatta stringere tra le sue braccia. Avrei voluto piangere nelle vicinanze del suo petto, così che potesse ascoltarmi veramente.
Ma lui, purtroppo, aveva già una famiglia. La sua bambina dai capelli scurissimi e folti saltellava birbante verso una donna alta e bella, dai capelli lunghi e biondi. Ridevano, si divertivano, i loro occhi erano la felicità in piccole pillole luccicanti.
Era meglio mollare, lasciare scivolare via tutto il passato. Ho dovuto chiudere in un incavo di pelle tutti i miei ricordi, e i rancori, e la rabbia, e le lacrime amare.
Ho dovuto lasciare che corresse verso la sua vita, e le sue splendide donne.

 

"Sei o non sei come t'ho pensato,
ed in un giorno credevo di averti perso ed invece ti ho trovato.
Chissà cosa avevi da dire..."

   
 
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