Il
tramonto sulla collina
Emma nacque
l’otto maggio, sorrideva quando venne al mondo.
Vide per
la prima volta il viso della madre in un piccolo ospedale di campagna,
poco
distante dalla casa dove sarebbe vissuta negli anni a seguire. Era una
donna
bellissima, quella che l’aveva fatta nascere. Poco dopo fece
il suo primo
incontro anche con il padre, uomo alto, un po’ tozzo, con
lunghi baffi neri e
capelli arruffati. Fu l’unica volta che Emma lo vide.
Nel
reparto maternità quella notte si sentì un forte
pianto, i bambini stavano
dormendo.
Emma e
la madre furono dimesse dall’ospedale l’undici
maggio, quello stesso giorno
Emma fece il primo ingresso in casa sua. La loro era una minuscola
villetta
nascosta tra i campi di grano, isolata dal resto del mondo, solo dopo
trenta
kilometri si poteva trovare un piccolo centro abitato. La madre di Emma
lavorava in quel paesino. Poco distante da loro vi era soltanto
un’altra casa, lì
viveva la signora Melini. La signora Melini era una donna anziana,
paffutella e
sempre con un gran sorriso sulle labbra. Aveva perso il marito un anno
prima
che Emma nascesse.
La madre
di Emma ricominciò a lavorare a giugno, gestiva una piccola
ferramenta. Ogni
mattina portava la figlia a casa della signora Melini e la andava a
riprendere
il pomeriggio alle sei. Emma aveva cominciato a provare un grande
affetto per
l’anziana donna, poco tempo dopo avrebbe iniziato a chiamarla
nonna Giovanna. I
primi anni di vita scivolarono su Emma troppo rapidamente
perché lei riuscisse
a prenderne atto.
All’età
di tre anni cominciò la scuola materna, abbandonando con
grande rammarico i
giorni passati con nonna Giovanna passeggiando per la campagna e
facendo dolci.
Emma si svegliava la mattina alle sette, poi partiva con la mamma che
la
portava all’asilo, e tornava a casa con lei alle sei, mentre
il resto della
giornata la passava in ferramenta. Emma adorava sua madre. La domenica
e il
lunedì di ogni settimana – i giorni liberi della
mamma – lei, Emma e nonna
Giovanna facevano un pic-nic vicino il ruscello. Partivano a
mezzogiorno e
tornavano solo la sera. Durante quei pic-nic Emma si arrampicava sempre
su una
piccola collina, da lì osservava affascinata il panorama
fino a quando il sole
lentamente cominciava a calare, e la mamma la richiamava per tornare.
Emma
amava i pic-nic.
Quando
Emma cominciò le elementari la madre iniziò a
lavorare anche di notte. Emma
piangeva quando di sera la lasciava da nonna Giovanna, ma lei la
baciava e le
diceva che era necessario, che lo faceva per il suo bene. “Mentre sono via prenditi cura del Signor Orecchie.
Ormai sei una
bambina grande, devi essere responsabile”. Il
Signor orecchie era un
coniglietto di peluche che la mamma le aveva regalato la prima sera che
era
andata a lavorare. Da quel giorno Emma non se ne separò
più.
A scuola
Emma fece amicizia con una bambina di nome Rebecca, andavano in classe
insieme
ed erano inseparabili. Spesso Rebecca veniva a giocare a casa sua, o
nella ferramenta
della madre, ma lei non vide mai la casa dell’amica.
Durante
la seconda elementare la mamma aveva cominciato ad assentarsi ai
pic-nic
dicendo di essere troppo stanca. Dalla terza elementare non ci venne
più. Le
domeniche e i lunedì erano diventati per Emma molto
più noiosi, si sentiva
triste senza la mamma, e nonna Giovanna aveva iniziato ad addormentarsi
subito
dopo pranzo. Emma allora correva verso la collina nascondendo il Signor
Orecchie sotto la maglietta – a scuola le avevano detto che
era troppo grande
per i peluche – e una volta lì iniziava a giocare
con gli animali e il pupazzo.
Immaginava di essere la protagonista di un film che una volta aveva
visto con
la mamma, ed anche se i suoi capelli non erano biondi, ma castani, i
suoi occhi
marroni, non azzurri come quelli di Alice, si creava un suo Paese delle
Meraviglie nel quale passava interi pomeriggi, dimentica di tutto il
resto. Si
addormentava infine su quella collina, osservando il magnifico
spettacolo del
tramonto. Emma doveva ancora capire che la vita non è un
film.
Un
lunedì pomeriggio nonna Giovanna raggiunse Emma sulla
collina, dicendo che
doveva parlarle. Le spiegò che a una certa età le
persone hanno bisogno di cure
e che lei era troppo vecchia per riuscire a mantenere una casa da sola.
Le
accennò anche qualcosa su una casa di riposo. Passarono due
settimane prima che
la macchina grigia andasse a prendere nonna Giovanna insieme ad alcuni
scatoloni. Quella fu l’ultima volta che Emma la vide.
Emma
aveva appeso in camera una foto di lei e nonna Giovanna fatta durante
quegli
interminabili pomeriggi trascorsi a fare torte e a raccontare
barzellette.
Teneva moltissimo a quella foto. I pic-nic della domenica e del
lunedì si erano
trasformati per Emma in passeggiate solitarie, con la sola compagnia
del Signor
Orecchie. Spesso Emma si fermava davanti casa di nonna Giovanna e si sedeva di fronte al
cancello chiuso,
tenendo il pupazzo stretto tra le braccia. Vedeva oltre la finestra
della
cucina lei e nonna Giovanna che mangiavano le famose lasagne
dell’anziana
signora, sentiva l’odore dei dolci che preparavano insieme,
udiva le risate
provenire dal suo salotto, e si immaginava la nonna andarle incontro,
aprire il
cancello e sedersi accanto a lei, raccontandole una delle sue
interminabili
storie, stringendola di tanto in tanto. Quando veniva la sera la casa
ridiventava inanimata, sparivano le lasagne, i dolci e le risate. Nonna
Giovanna si alzava e senza salutarla si dirigeva verso la porta Solo
quando la
apriva si voltava e le sorrideva lievemente, svanendo poi oltre le
mura. Emma
tornava a casa correndo e – spesso senza mangiare –
si chiudeva in camera sua,
a volte fingendo di cucinare, a volte osservando per ore la foto, a
volte
piangendo lacrime amare sotto le calde coperte.
Non
c’era notte in Emma cui non sognasse la nonna. Dei giorni
erano al ruscello,
altri sulla collina, altri ancora in casa sua, spesso giocavano a
rincorrersi
tra le spighe di grano. Ogni volta che arrivava il tramonto nonna
Giovanna
faceva sedere Emma di fronte a lei, cominciando a parlarle. Le diceva
che lei
in quel momento doveva andare, ne era costretta, ma non doveva
rattristarsi,
sarebbe tornata la notte seguente, come quelle a venire. Dopo
l’estate della
terza elementare nonna Giovanna non mantenne più la promessa.
Durante
la quarta elementare la mamma di Emma cominciò ad ammalarsi
spesso. Un giorno
di dicembre sentì uno strano rumore provenire dalla cucina,
lì la vide stesa a
terra. All’ospedale le comunicarono di avere
l’AIDS. Emma aveva cominciato a
non andare più sulla collina e a non fare più
pic-nic. Persino il suo Paese
delle Meraviglie era scomparso. Lentamente perse l’usanza di
visitare casa di
nonna Giovanna.
La mamma
era spesso in ospedale, doveva fare controlli, e quando Emma riusciva a
vederla
era sempre troppo stanca o troppo malata per poter giocare con lei.
Emma era
diventata una bambina solitaria, non giocava neanche più con
Rebecca.
In un
giorno di quinta elementare la mamma di Emma non andò a
lavoro e non accompagnò
lei a scuola. Le disse che quello era un giorno speciale. Verso le
dieci di
mattina salirono in macchina, portandosi dietro panini e tramezzini.
Emma
sapeva dove la stava portando, dopo tanto tempo avrebbero fatto un
altro
pic-nic. Quella giornata al ruscello passò velocemente, ma
prima che il
tramonto arrivasse la mamma le chiese di portarla sulla collina. Era
stanca,
Emma lo notava dalla pelle troppo chiara, e ultimamente aveva perso
peso. Sulla
collina Emma rivide tutti i suoi amici di un tempo. La mamma quella
sera la
abbracciò con la poca forse che le era rimasta in corpo, e
anche lei iniziò a
parlarle. Le disse che la amava, più di ogni altra cosa, che
avrebbe dato la
sua vita per lei, che qualunque cosa fosse successa non sarebbe
importata, lei
doveva andare avanti. Le diede una lettera e le disse che ogni volta
che avesse
sentito la sua mancanza avrebbe solo dovuto leggerla, perché
le persone, diceva, erano immortali
nelle parole e nella memoria. Pianse e le ridisse che la amava, che per
lei era
la cosa più importante al mondo. Quella notte Emma e la
mamma andarono a
dormire insieme. Solo Emma si svegliò.
Emma ora
è cresciuta, ha ventisette anni. Vive in un piccolo
appartamento in città,
lontana dalla collina, lontana da dove è vissuta. Lavora in
una pasticceria
poco distante da casa sua, di cui ne è la proprietaria. Emma
è bravissima a
fare dolci.
«Nonna,
questa torta è buonissima!»
disse la bambina sorridendo.
L’anziana
signora la le accarezzò
la testa, porgendole un’altra fetta.
«Perché
c’è un ingrediente segreto»
rispose fingendosi indifferente.
«Davvero?
Qual è?»
La
donna si abbassò all’altezza della bambina,
avvicinandole
la bocca a un orecchio.
«È
l’amore»
Emma
adesso è innamorata. Ha un ragazzo poco più
grande di lei con il quale ha
deciso di sposarsi. Emma e il ragazzo si vedono ogni giorno, lui le
dice sempre
che la ama.
«Mamma
mamma! Chi è San Valentino?»
La
bambina era appena tornata da
scuola, quel giorno le avevano detto che il quattordici febbraio era
una data
speciale.
«San
Valentino è una festa, la
festa di tutti gli innamorati» rispose la donna davanti a lei.
«E
chi sono gli innamorati?» chiese
ancora la bambina.
La
madre si sedette sul divano con
fare pensoso.
«Un
persona è innamorata quando
vuole tanto bene ad un’altra persona, e farebbe di tutto per
renderla felice»
Anche
la bambina si sedette sul
divano abbracciando la donna.
«Allora
io sono innamorata! Perché
ti voglio tanto bene mamma, e voglio renderti felice»
Emma
negli ultimi diciassette anni ha cambiato molte famiglie. Ha avuto
molte madri,
molti padri e molti fratelli, ha fatto anche diverse amicizie. Emma non
ha più
rivisto Rebecca e tutti i suoi compagni delle elmentari.
«Ciao,
io sono Emma» disse
avvicinandosi al banco di una bambina imbronciata.
Questa
incrociò le braccia alzando il
viso per non guardarla.
«Perché
sei triste? Hai litigato
con qualcuno?» le chiese parandosi davanti.
La
bambina lasciò cadere le braccia lungo i fianchi,
cominciando a parlare.
«Sono
arrabbiata con la mia mamma.
Io non volevo venirci qui, non conosco nessuno!»
Emma
sorrise prendendole la mano.
«Se
vuoi io posso essere tua amica.
Però solo se prometti di non andartene mai»
Anche
l’altra bambina cominciò a
sorridere.
«Va
bene, allora amiche per sempre»
Emma
ultimamente ha ricominciato a sognare. Sogna la mamma e nonna Giovanna.
Il più
delle volte fanno un pic-nic, poi la sera salgono sulla collina e
osservano il
tramonto. La mamma e nonna Giovanna non spariscono più,
è solo Emma che si
sveglia.
«Guarda
che bello!» disse la
bambina indicando il cielo.
La
madre le accarezzò la testa.
«È
il tramonto, amore»
«Il
sole la notte deve riposarsi,
così va a dormire» disse la donna seduta accanto a
loro.
«È
bellissimo, voglio restare per
sempre qui»
La
bambina si alzò in piedi con gli
occhi puntati al cielo.
«Allora
facciamo una cosa» cominciò
la madre «Ad ogni pic-nic potrai venire a vedere il tramonto,
poi quando
diventa buio andiamo via»
«A
tutti tutti?» chiese incrociando
le braccia.
«A
tutti tutti»
Accanto
al letto di Emma, sul comodino, c’è un piccolo
coniglietto di peluche. Emma lo
tiene sempre lì, accanto a una foto e una lettera. Se
qualcuno le chiede perché
non le butta lei risponde che sono le cose più importanti
che ha. Emma non ha
mai aperto la lettera
«Ma
mamma, io non voglio che tu
vada via!» disse la bambina con le lacrime agli occhi.
«Mi
dispiace tanto amore, ma la
mamma deve lavorare»
La
bambina le si aggrappò alla giacca.
«E
io ora cosa faccio senza di te?!»
La
mamma si abbassò tirando fuori
un pupazzo dalla borsa.
«Questo
è il Signor Orecchie, si
sente tanto solo» disse dandole il peluche «Mentre
sono via ti potresti prendti
cura di lui?»
Le
lacrime avevano smesso di
cadere, e ora la bambina sorrideva.
Emma
ogni anno va a fare un pic-nic. A mezzo giorno va al ruscello, mangia
alcuni
panini, e poi corre, salendo sulla collina. Emma sulla collina torna
bambina. Rivede
il suo Paese delle Meraviglie, i suoi amici di infanzia, corre per il
prato
finché non è stanca. Quando Emma va sulla collina
incontra la mamma e nonna
Giovanna. Parla, racconta le novità e promette loro che
tornerà come ogni anno,
dicendo che nel frattempo possono vedersi durante la notte. La sera
Emma si
siede sull’erba, stringe il Signor Orecchie tra le sue
braccia e osserva il
sole calare, poi lentamente si addormenta, cullata dalla ninna nanna
della madre.
Sa che tornerà ogni anno a contemplare quello spettacolo.
Emma
ha sempre amato il tramonto, perché sa che nonostante la
lunga notte, nonostante
l’oscurità, il sole tornerà a splendere
in cielo, forte e luminoso come prima,
senza che nulla possa abbatterlo.
Proprio
come lei.