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Autore: Kiyomi    20/08/2011    0 recensioni
[...] Emma allora correva verso la collina nascondendo il Signor Orecchie sotto la maglietta – a scuola le avevano detto che era troppo grande per i peluche – e una volta lì iniziava a giocare con gli animali e il pupazzo. Immaginava di essere la protagonista di un film che una volta aveva visto con la mamma, ed anche se i suoi capelli non erano biondi, ma castani, i suoi occhi marroni, non azzurri come quelli di Alice, si creava un suo Paese delle Meraviglie nel quale passava interi pomeriggi, dimentica di tutto il resto. Si addormentava infine su quella collina, osservando il magnifico spettacolo del tramonto. Emma doveva ancora capire che la vita non è un film.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tramonto sulla collina

 

Emma nacque l’otto maggio, sorrideva quando venne al mondo.

Vide per la prima volta il viso della madre in un piccolo ospedale di campagna, poco distante dalla casa dove sarebbe vissuta negli anni a seguire. Era una donna bellissima, quella che l’aveva fatta nascere. Poco dopo fece il suo primo incontro anche con il padre, uomo alto, un po’ tozzo, con lunghi baffi neri e capelli arruffati. Fu l’unica volta che Emma lo vide.

Nel reparto maternità quella notte si sentì un forte pianto, i bambini stavano dormendo.

Emma e la madre furono dimesse dall’ospedale l’undici maggio, quello stesso giorno Emma fece il primo ingresso in casa sua. La loro era una minuscola villetta nascosta tra i campi di grano, isolata dal resto del mondo, solo dopo trenta kilometri si poteva trovare un piccolo centro abitato. La madre di Emma lavorava in quel paesino. Poco distante da loro vi era soltanto un’altra casa, lì viveva la signora Melini. La signora Melini era una donna anziana, paffutella e sempre con un gran sorriso sulle labbra. Aveva perso il marito un anno prima che Emma nascesse.

La madre di Emma ricominciò a lavorare a giugno, gestiva una piccola ferramenta. Ogni mattina portava la figlia a casa della signora Melini e la andava a riprendere il pomeriggio alle sei. Emma aveva cominciato a provare un grande affetto per l’anziana donna, poco tempo dopo avrebbe iniziato a chiamarla nonna Giovanna. I primi anni di vita scivolarono su Emma troppo rapidamente perché lei riuscisse a prenderne atto.

All’età di tre anni cominciò la scuola materna, abbandonando con grande rammarico i giorni passati con nonna Giovanna passeggiando per la campagna e facendo dolci. Emma si svegliava la mattina alle sette, poi partiva con la mamma che la portava all’asilo, e tornava a casa con lei alle sei, mentre il resto della giornata la passava in ferramenta. Emma adorava sua madre. La domenica e il lunedì di ogni settimana – i giorni liberi della mamma – lei, Emma e nonna Giovanna facevano un pic-nic vicino il ruscello. Partivano a mezzogiorno e tornavano solo la sera. Durante quei pic-nic Emma si arrampicava sempre su una piccola collina, da lì osservava affascinata il panorama fino a quando il sole lentamente cominciava a calare, e la mamma la richiamava per tornare. Emma amava i pic-nic.

Quando Emma cominciò le elementari la madre iniziò a lavorare anche di notte. Emma piangeva quando di sera la lasciava da nonna Giovanna, ma lei la baciava e le diceva che era necessario, che lo faceva per il suo bene. “Mentre sono via prenditi cura del Signor Orecchie. Ormai sei una bambina grande, devi essere responsabile”. Il Signor orecchie era un coniglietto di peluche che la mamma le aveva regalato la prima sera che era andata a lavorare. Da quel giorno Emma non se ne separò più.

A scuola Emma fece amicizia con una bambina di nome Rebecca, andavano in classe insieme ed erano inseparabili. Spesso Rebecca veniva a giocare a casa sua, o nella ferramenta della madre, ma lei non vide mai la casa dell’amica.

Durante la seconda elementare la mamma aveva cominciato ad assentarsi ai pic-nic dicendo di essere troppo stanca. Dalla terza elementare non ci venne più. Le domeniche e i lunedì erano diventati per Emma molto più noiosi, si sentiva triste senza la mamma, e nonna Giovanna aveva iniziato ad addormentarsi subito dopo pranzo. Emma allora correva verso la collina nascondendo il Signor Orecchie sotto la maglietta – a scuola le avevano detto che era troppo grande per i peluche – e una volta lì iniziava a giocare con gli animali e il pupazzo. Immaginava di essere la protagonista di un film che una volta aveva visto con la mamma, ed anche se i suoi capelli non erano biondi, ma castani, i suoi occhi marroni, non azzurri come quelli di Alice, si creava un suo Paese delle Meraviglie nel quale passava interi pomeriggi, dimentica di tutto il resto. Si addormentava infine su quella collina, osservando il magnifico spettacolo del tramonto. Emma doveva ancora capire che la vita non è un film.

Un lunedì pomeriggio nonna Giovanna raggiunse Emma sulla collina, dicendo che doveva parlarle. Le spiegò che a una certa età le persone hanno bisogno di cure e che lei era troppo vecchia per riuscire a mantenere una casa da sola. Le accennò anche qualcosa su una casa di riposo. Passarono due settimane prima che la macchina grigia andasse a prendere nonna Giovanna insieme ad alcuni scatoloni. Quella fu l’ultima volta che Emma la vide.

Emma aveva appeso in camera una foto di lei e nonna Giovanna fatta durante quegli interminabili pomeriggi trascorsi a fare torte e a raccontare barzellette. Teneva moltissimo a quella foto. I pic-nic della domenica e del lunedì si erano trasformati per Emma in passeggiate solitarie, con la sola compagnia del Signor Orecchie. Spesso Emma si fermava davanti casa di nonna Giovanna  e si sedeva di fronte al cancello chiuso, tenendo il pupazzo stretto tra le braccia. Vedeva oltre la finestra della cucina lei e nonna Giovanna che mangiavano le famose lasagne dell’anziana signora, sentiva l’odore dei dolci che preparavano insieme, udiva le risate provenire dal suo salotto, e si immaginava la nonna andarle incontro, aprire il cancello e sedersi accanto a lei, raccontandole una delle sue interminabili storie, stringendola di tanto in tanto. Quando veniva la sera la casa ridiventava inanimata, sparivano le lasagne, i dolci e le risate. Nonna Giovanna si alzava e senza salutarla si dirigeva verso la porta Solo quando la apriva si voltava e le sorrideva lievemente, svanendo poi oltre le mura. Emma tornava a casa correndo e – spesso senza mangiare – si chiudeva in camera sua, a volte fingendo di cucinare, a volte osservando per ore la foto, a volte piangendo lacrime amare sotto le calde coperte.

Non c’era notte in Emma cui non sognasse la nonna. Dei giorni erano al ruscello, altri sulla collina, altri ancora in casa sua, spesso giocavano a rincorrersi tra le spighe di grano. Ogni volta che arrivava il tramonto nonna Giovanna faceva sedere Emma di fronte a lei, cominciando a parlarle. Le diceva che lei in quel momento doveva andare, ne era costretta, ma non doveva rattristarsi, sarebbe tornata la notte seguente, come quelle a venire. Dopo l’estate della terza elementare nonna Giovanna non mantenne più la promessa.

Durante la quarta elementare la mamma di Emma cominciò ad ammalarsi spesso. Un giorno di dicembre sentì uno strano rumore provenire dalla cucina, lì la vide stesa a terra. All’ospedale le comunicarono di avere l’AIDS. Emma aveva cominciato a non andare più sulla collina e a non fare più pic-nic. Persino il suo Paese delle Meraviglie era scomparso. Lentamente perse l’usanza di visitare casa di nonna Giovanna.

La mamma era spesso in ospedale, doveva fare controlli, e quando Emma riusciva a vederla era sempre troppo stanca o troppo malata per poter giocare con lei. Emma era diventata una bambina solitaria, non giocava neanche più con Rebecca.

In un giorno di quinta elementare la mamma di Emma non andò a lavoro e non accompagnò lei a scuola. Le disse che quello era un giorno speciale. Verso le dieci di mattina salirono in macchina, portandosi dietro panini e tramezzini. Emma sapeva dove la stava portando, dopo tanto tempo avrebbero fatto un altro pic-nic. Quella giornata al ruscello passò velocemente, ma prima che il tramonto arrivasse la mamma le chiese di portarla sulla collina. Era stanca, Emma lo notava dalla pelle troppo chiara, e ultimamente aveva perso peso. Sulla collina Emma rivide tutti i suoi amici di un tempo. La mamma quella sera la abbracciò con la poca forse che le era rimasta in corpo, e anche lei iniziò a parlarle. Le disse che la amava, più di ogni altra cosa, che avrebbe dato la sua vita per lei, che qualunque cosa fosse successa non sarebbe importata, lei doveva andare avanti. Le diede una lettera e le disse che ogni volta che avesse sentito la sua mancanza avrebbe solo dovuto leggerla,  perché le persone, diceva, erano immortali nelle parole e nella memoria. Pianse e le ridisse che la amava, che per lei era la cosa più importante al mondo. Quella notte Emma e la mamma andarono a dormire insieme. Solo Emma si svegliò.

 

Emma ora è cresciuta, ha ventisette anni. Vive in un piccolo appartamento in città, lontana dalla collina, lontana da dove è vissuta. Lavora in una pasticceria poco distante da casa sua, di cui ne è la proprietaria. Emma è bravissima a fare dolci.

 

«Nonna, questa torta è buonissima!» disse la bambina sorridendo.

L’anziana signora la le accarezzò la testa, porgendole un’altra fetta.

«Perché c’è un ingrediente segreto» rispose fingendosi indifferente.

«Davvero? Qual è?»

La donna si abbassò all’altezza della bambina, avvicinandole la bocca a un orecchio.

«È l’amore»

 

Emma adesso è innamorata. Ha un ragazzo poco più grande di lei con il quale ha deciso di sposarsi. Emma e il ragazzo si vedono ogni giorno, lui le dice sempre che la ama.

 

«Mamma mamma! Chi è San Valentino?»

La bambina era appena tornata da scuola, quel giorno le avevano detto che il quattordici febbraio era una data speciale.

«San Valentino è una festa, la festa di tutti gli innamorati» rispose la donna davanti a lei.

«E chi sono gli innamorati?» chiese ancora la bambina.

La madre si sedette sul divano con fare pensoso.

«Un persona è innamorata quando vuole tanto bene ad un’altra persona, e farebbe di tutto per renderla felice»

Anche la bambina si sedette sul divano abbracciando la donna.

«Allora io sono innamorata! Perché ti voglio tanto bene mamma, e voglio renderti felice»

 

Emma negli ultimi diciassette anni ha cambiato molte famiglie. Ha avuto molte madri, molti padri e molti fratelli, ha fatto anche diverse amicizie. Emma non ha più rivisto Rebecca e tutti i suoi compagni delle elmentari.

 

«Ciao, io sono Emma» disse avvicinandosi al banco di una bambina imbronciata.

Questa incrociò le braccia alzando il viso per non guardarla.

«Perché sei triste? Hai litigato con qualcuno?» le chiese parandosi davanti.

La bambina lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, cominciando a parlare.

«Sono arrabbiata con la mia mamma. Io non volevo venirci qui, non conosco nessuno!»

Emma sorrise prendendole la mano.

«Se vuoi io posso essere tua amica. Però solo se prometti di non andartene mai»

Anche l’altra bambina cominciò a sorridere.

«Va bene, allora amiche per sempre»

 

Emma ultimamente ha ricominciato a sognare. Sogna la mamma e nonna Giovanna. Il più delle volte fanno un pic-nic, poi la sera salgono sulla collina e osservano il tramonto. La mamma e nonna Giovanna non spariscono più, è solo Emma che si sveglia.

 

«Guarda che bello!» disse la bambina indicando il cielo.

La madre le accarezzò la testa.

«È il tramonto, amore»

«Il sole la notte deve riposarsi, così va a dormire» disse la donna seduta accanto a loro.

«È bellissimo, voglio restare per sempre qui»

La bambina si alzò in piedi con gli occhi puntati al cielo.

«Allora facciamo una cosa» cominciò la madre «Ad ogni pic-nic potrai venire a vedere il tramonto, poi quando diventa buio andiamo via»

«A tutti tutti?» chiese incrociando le braccia.

«A tutti tutti»

 

Accanto al letto di Emma, sul comodino, c’è un piccolo coniglietto di peluche. Emma lo tiene sempre lì, accanto a una foto e una lettera. Se qualcuno le chiede perché non le butta lei risponde che sono le cose più importanti che ha. Emma non ha mai aperto la lettera

 

«Ma mamma, io non voglio che tu vada via!» disse la bambina con le lacrime agli occhi.

«Mi dispiace tanto amore, ma la mamma deve lavorare»

La bambina le si aggrappò alla giacca.

«E io ora cosa faccio senza di te?!»

La mamma si abbassò tirando fuori un pupazzo dalla borsa.

«Questo è il Signor Orecchie, si sente tanto solo» disse dandole il peluche «Mentre sono via ti potresti prendti cura di lui?»

Le lacrime avevano smesso di cadere, e ora la bambina sorrideva.

 

Emma ogni anno va a fare un pic-nic. A mezzo giorno va al ruscello, mangia alcuni panini, e poi corre, salendo sulla collina. Emma sulla collina torna bambina. Rivede il suo Paese delle Meraviglie, i suoi amici di infanzia, corre per il prato finché non è stanca. Quando Emma va sulla collina incontra la mamma e nonna Giovanna. Parla, racconta le novità e promette loro che tornerà come ogni anno, dicendo che nel frattempo possono vedersi durante la notte. La sera Emma si siede sull’erba, stringe il Signor Orecchie tra le sue braccia e osserva il sole calare, poi lentamente si addormenta, cullata dalla ninna nanna della madre. Sa che tornerà ogni anno a contemplare quello spettacolo.

 

Emma ha sempre amato il tramonto, perché sa che nonostante la lunga notte, nonostante l’oscurità, il sole tornerà a splendere in cielo, forte e luminoso come prima, senza che nulla possa abbatterlo.

Proprio come lei.

  
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