_______________ Edelweiss
________________________ Stella Alpina
Il mio nome è Edelweiss ed il mio animo
era freddo, come il mio nome… Come il ghiaccio e le bufere di neve in pieno
inverno, quando anche muovere un dito è faticoso, quando il freddo penetra
dentro. Egli è sottile, abile come serpenti d’acqua.
Il mio nome è Edelweiss
ed odiavo l’estate. Il Sole era come acido sulla
pelle, corrodeva e non lasciava spazio per le lugubri ombre, corvine, sensuali.
Io ero sua nemica e lui era sempre sorridente nel riscaldarmi..
Nello sciogliermi, nell’ustionarmi meglio che poteva.
Il mio nome è Edelweiss
ed ho provato un odio viscerale verso l’estate che solo l’amica neve può
comprendere.
L’ho provato, davvero... Almeno fino a
quel giorno. Fino a che non conobbi lui.
O per
essere più precisi, fino a che
lui non mi uccise.
***
La
neve quella notte scendeva ferocemente agguerrita, sulle ali del vento glaciale
proveniente da Nord, si aggrappava a qualsiasi cosa incontrasse. Gli alberi
erano muti quella sera, non un sibilo leggero, nemmeno un mormorio, non un respiro.
Sembravano morti, ma lei sapeva che
preferivano rimanere silenziosi, immobili si lasciavano ricoprire di vesti
bianche e pure. Quando questi erano troppo stanchi o
non erano inclini a parlare, erano suscettibili al minimo rumore. A Edelweiss
questo dava noia, erano buoni conversatori quando più
gli aggradava, essi avevano pazienza; ma erano testardi quasi quanto la roccia:
semplicemente inamovibile.
Il
Sovrano di Ghiaccio quell’inverno
aveva disposto fino all’ultimo le sue volontà e con o senza l’antica arte degli
alberi di far compagnia alle anime più solitarie, non restava che ubbidire; non
importava se per riuscire ad adempiervi bisognava
morire, anche la morte stessa poteva divenire un ordine, nonché un onore per le
Creature dell’Inverno.
Quella
notte il vento portava un solo messaggio, arpie dalla voce
tagliente riferivano le stesse parole del Re tra grida di dolore e
sadismo:
Che l’ira del reame
glaciale sia funesta,
che le ultime tenebre non
abbiano sosta.
Lugubre nero e bianco candor,
il Sole è nemico,
trafiggetelo al cuor.
Ora Streghe, Ninfe e creature incantate,
ghiaccio infernale e null’altro
lasciate!
Erano
le ultime ore di vita che rimanevano a Padre Inverno, fra non più di qualche
ora le creature che erano al lavoro in quella notte febbrile e oscura sarebbero dovute fuggire... O i Figli di Regina Estate le avrebbero trovate, catturate,
probabilmente torturate e uccise.
Edelweiss
era fra queste. Forse non era una delle Ninfe più belle e graziose, ma era
sicuramente una delle più glaciali, decise e spietate. Soprattutto con le
creature raggianti e solari di Estate, soprattutto con
gli Adoni di fuoco e oro che vagavano per i boschi lì vicino, pronti a dar
battaglia e usurpare senza ritegno i loro territori: monti, valli e distese di
ghiaccio a perdita d’occhio.
Tra
gli alleati che Estate poteva vantare vi era Primavera, frivola Regina con più ninfette stupide e giocose che sudditi
realmente leali. L’amore nell’aria che portavano con i loro
canti e balli faceva ribollire il sangue nelle vene alla ninfa che stava
percorrendo gli irti sentieri della Valle
del Risveglio. Riusciva a sentirli in lontananza, quelle risate
leggere e quella musica allegra e spensierata che
profumava di rinascita e calore… Per lei significava solo disfatta e se era
fortunata esilio o morte, se lo era meno e la fortuna l’aveva abbandonata lasciandola
sola col suo stesso fato, significava tortura.
L’abbandono
di questo mondo sarebbe stata cosa da niente a
confronto delle torture tra carboni ardenti e fenici di fuoco.
Edelweiss
richiamò alla memoria Autunno, egli
era loro alleato ma ormai era passato il tempo in cui
combattevano insieme, e fra poco sarebbe arrivata l’alba, la fine dell’inverno
era vicina, spaventosamente vicina.
Ad
ogni passo che compiva altra neve si posava al suolo su quella che lentamente
andava sciogliendosi, la temperatura scendeva vertiginosamente e stelle alpine
dai petali morbidi e leggeri ma taglienti come lame affilate crescevano
tutt’intorno alla sua figura. I lupi la seguivano, fedeli, feroci e in
quel momento estremamente bramosi di carne fresca,
sentivano l’odore delle ninfe e dei satiri; Edelweiss poteva sentire la loro
fame come se fosse la propria e sarebbe stata la prima a dargli in pasto quelle
miserabili gioiose creature, ma stava diventando debole e sempre più stanca.
Era la terza volta che aveva dovuto fermarsi, gli occhi le bruciavano, lacrime
che poco dopo gelavano sulla sua stessa pelle brillavano come diamanti alle
prime luci dell’alba e lei era troppo stanca per andare
avanti, ma lo era anche per tornare indietro.
Le
rimaneva poco da fare se non appoggiarsi al tronco di un albero e lasciarsi
scivolare giù, sull’immacolata neve soffice e aspettare. Che
cosa? Il Sole, i satiri, la Primavera e l’Estate insieme, le
ninfe dei boccioli e dei primi germogli… Che importanza aveva ormai? Qualsiasi
cosa aspettasse per lei non ci sarebbe stato un altro Inverno. La morte sarebbe
stata il culmine di una secolare vita di ghiaccio e fiori incantati, lacrime
cristallizzate all’interno di un’anima fiera, ma sola,
estremamente vuota. Tutto
considerato, a lei andava bene così: forse la Dea del Non Ritorno
avrebbe avuto pietà di un’anima come la sua… Aveva sempre pensato di trovarsi
dalla parte sbagliata, la sua stessa pelle la costringeva e opprimeva, a volte
togliendole il respiro, ma non era la sua natura ad aver commesso i peccati di
cui si era macchiata. La speranza era l’ultimo sentimento a cui si aggrappava,
il desiderio di essere perdonata era diventato devastante per Edelweiss: aveva
fatto sì che molti villaggi venissero distrutti,
diviso famiglie, devastato focolari d’amicizia e dolcezza, aveva ucciso persone
innocenti, colpevoli unicamente di essere troppo deboli per resistere al suo
gelo… Eros l’aveva trafitta con le sue frecce d’amore innumerevoli volte, e
innumerevoli erano le volte che aveva sofferto per le perdite che si
susseguivano nel tempo: poiché ogni suo amante, era mortale.
Edelweiss era quel
fiore che non sarebbe mai morto con l’amore ancora fresco fra le labbra.
Sulle
sue spalle si aggrappavano spettri con artigli affilati, era da più di trecento
anni che le stavano scorticando l’anima, pezzo per pezzo,
inesorabilmente.Petalo per petalo.
L’Immortalità
era una maledizione, lo era sempre stata: le creature incantate, gli Dei, gli
Spiriti della Natura… Erano tutti dannati,
fin dall’alba dei tempi.
Intanto
nella Valle, al limitare del bosco, i lupi le rimanevano accanto, cercavano di
rasserenarla, rincuorarla come meglio potevano, ma ormai era tardi e lei non
voleva più essere salvata. Andava bene così.
Quel giorno, in quell’alba
neonata,
incontrò colui che avrebbe
posto fine al suo tormento
e al suo esser glaciale
creatura incantata.
Chiuse
gli occhi, le sembrava di sentire fiamme ardenti penetrarle nelle iridi
glaciali, la pelle che era esposta al Sole si ustionava; le sembrava che
milioni di fuochi prendessero vita ovunque, le membra sembravano ardere imperterrite
anche all’interno del suo corpo e riusciva a sentire quell’odore di carne alla
brace che le provocò un forte senso di nausea. Voleva risparmiare le forze, voleva cercare l’ombra, non avrebbe mai immaginato che la
sua morte sarebbe stata così ardente
e disonorevole.
In
quel momento, però, qualcosa cambiò, e lei lo percepì chiaramente. Quella sensazione
era così forte che sentì vibrare anche le più piccole particelle di nuova vita, scrollarsi il gelo di dosso e abbracciare il
calore.
I
suoi polmoni si riempirono dell’odore del
Sole, di spighe di grano, fiori di campo, germogli e muschio, di luce intensa,
nuvole e oceano: una Creatura dell’Estate.
Le
palpebre le dolevano per il bagliore troppo intenso, non riuscivano a
proteggerla, portò una mano al viso per poter riaprire gli occhi… Se la morte
era venuta a prenderla, voleva vedere chi le avrebbe tolto
quel poco che le rimaneva.
I
lupi cominciarono a ringhiare, mostravano i denti e
suoni spaventosamente gutturali si accrescevano nell’aria, uno sopra l’altro. Per
Edelweiss era un crescendo di rumori, odori ed emozioni; il cuore le batteva ad
un ritmo rapido e vertiginoso e quando vide chi
si stava avvicinando si tirò su in pochi secondi e fece materializzare una
lancia di ghiaccio tra le sue mani mettendosi in posizione di
attacco, lo sforzo di pochi istanti prima le aveva provocato un giramento
di testa. Si sentiva talmente calda che pensava potesse
prendere completamente fuoco e tramutarsi in cenere da un momento all’altro.
Anche
se soffriva il suo viso rimase fiero e non l’ombra di
una smorfia comparve a spezzare quella maschera di gelo; nel mentre, i lupi si
misero davanti al suo corpo, ma con un semplice gesto gli ordinò di andarsene.
Loro non centravano, Edelweiss voleva semplicemente salvarli da morte certa… Lui,
quella solare creatura, non ne avrebbe fatto altro che
pellicce e trofei per il suo ego, ne era convinta.
Ubbidirono
restii e quando li sentì abbastanza lontani la sua concentrazione si fissò
sulla figura maschile che ormai era a pochi passi da lei. Una cosa gliela
doveva comunque: morire per mano di una creatura tanto
celestiale poteva non essere così spaventoso come credeva. Ma
era un nemico e non lo doveva dimenticare, e lei voleva combattere per la sua morte, era una guerriera, in fondo… Voleva
almeno credere che fosse una giusta causa per dar battaglia.
Non
doveva dimenticare che era un nemico nemmeno quando i
suoi occhi incontrarono quelli di Edelweiss, erano argento, puro argento fuso,
disciolto in due pozzi di astri dai mille riflessi. Non lo doveva dimenticare nemmeno quando guardò la sua setosa e ribelle chioma bruna,
il colore dei tronchi e della terra rovente, calda… Non lo doveva dimenticare
nemmeno quando vide la perfezione dei suoi lineamenti, il suo corpo marmoreo, i
muscoli tesi e ben in vista, le mani grandi e forti. Era così piacevole
guardarlo che dovette concentrarsi a fondo per
visualizzare ciò che doveva fare: impugnare con fermezza la lancia e ucciderlo,
squarciargli la gola o trafiggergli il cuore, anche se pensava che deturpare
cotanta bellezza sarebbe stato davvero un violazione della natura, e non dimenticando:
sempre se non l’avesse uccisa prima lui.
Ma non c’era spazio per la paura o l’insicurezza,
non in quel momento. Lui stava portando l’estate con prepotenza e arroganza:
fiori dai colori vivaci spuntavano dove prima candida neve era posata affabilmente,
gli alberi… Poteva sentirli risvegliarsi e gioire, i piccoli roditori, le cerve
con i loro piccoli…
Persino quelle
meravigliose stelle alpine stavano appassendo per il troppo calore.
«Fuggi»
Disse. Edelweiss sorrise e strinse con più forza la sua arma.
«Mai.
Dovrai mandarmi negli Inferi se vuoi
che me ne vada».
«Rimembra quando sarai giunta lì che hai deciso da sola il
tuo destino, Ninfa di Ghiaccio».
«Edelweiss,
se permetti la precisazione».
La
ninfa lo raggiunse in pochi istanti e fece per affondargli la lancia nel torace,
ma in un battito di ciglia era stesa a terra, la splendente creatura era stesa
sopra di lei, la lancia evaporò e si ritrovo un
pugnale puntato alla giugulare. I loro occhi erano incatenati, la pelle doleva terribilmente quando veniva sfiorata dall’altra, così incandescente… Così glaciale.
«Fallo…
Ti prego» Edelweiss lo voleva, voleva che quella lama la trapassasse. Una lacrima le scese lungo la guancia, evaporò subito. Un rivolo di sangue
scarlatto scese per la pressione dell’arma tagliente sulla sua gola. Allora la
creatura alzò il braccio per l’affondo finale, ma
quella lama non raggiunse mai il corpo di Edelweiss, qualcosa negli occhi di
quel giovane uomo si era accesso, chiunque avrebbe potuto scambiarla per una
stella cadente. Egli si alzò e con rapidi gesti quanto inaspettati, si
ricompose e le voltò le spalle.
La
ninfa rimase scioccata tanto che per qualche secondo non riuscì a muovere un
muscolo, appena si riprese si mise in ginocchio, reggendosi a stento con le
braccia, stremata.
«…Perché?!» Gridò con
tutto il fiato che aveva in gola «Perché mi
risparmi? Non… Non capisco. Chi sei?».
«Helios, questo è
il mio nome. Io sono uno dei quattro Spiriti di Vita Eterna, Massimo Consigliere
di Regina Estate».
«Uccidimi».
La sua, era una preghiera anche se suonava più come un
ordine. In realtà era solo una supplica a uno Spirito.
Sapeva
che per quanto forte potesse essere, non avrebbe mai potuto,
e non lo voleva, vincere contro di lui, era un
Dio. Non puoi uccidere un Dio, per lo meno, quando sei una Ninfa… E questo Edelweiss lo sapeva benissimo.
«No.
Non sarò io a porre fine alla tua
vita». Lo sguardo di Helios era
severo, ma non crudele, non c’era odio né rabbia in lui. I suoi occhi
erano così limpidi che lei non riusciva nemmeno a sostenerli. Guardò le sue
mani, così malconce e doloranti e pensò che se lo meritava,
meritava ogni singola ustione.
«In
questo caso… Voglio che tu sappia, Helios, che tra le ninfe sono una
delle più forti e combattive. Non ti lascerò andare così facilmente. Abbiamo
regole ferree che dobbiamo rispettare. A
costo della vita!» Edelweiss si alzò, sapeva che non era del tutto vero, ma
poco importava. Le gambe tremavano sotto il suo peso, ma il suo
sguardo era più fermo che mai.
Helios la osservò: era una figlia dall’aspetto piuttosto
giovane di Padre Inverno, anche se alle sue spalle sapeva avere molti più anni
di quelli che dimostrava e anche molte più sofferenze di quanto qualsiasi umano
potesse sopportare. Era forte, non c’era dubbio, dura ed estremamente
fragile; ma era una Stella Alpina e lui un Raggio di Sole, sarebbe morta se si
sarebbero scontrati ancora, lo sapeva. Il Sole l’aveva già avvelenata prima che
lui potesse arrivare per poter fare qualsiasi cosa.
La
ninfa riformò una lancia di ghiaccio e si lanciò in un disperato attacco contro
il Dio, finalmente avrebbe avuto la sua punizione definitiva, aveva provato
molte volte a uccidersi, e sempre con scarsi risultati.
Nella
sua mente una bufera di neve con queste parole trascinate dal
vento dei suoi pensieri continuavano a turbinare:
Raggio di Sole dal cuore gentile,
estirpa con grazia il fiore e
ringrazia
la musa di ghiaccio che
il cuore
gli dona con lacrime amare
e ferite d’amore.
L’Inverno ora giace sul suolo bruciato.
L’estate ora danza, e il vero amor ricambiato.
Queste
piccole composizioni poetiche venivano narrate alle
giovani ninfe neonate come ammonimenti. Edelweiss non sapeva perché gli fosse
venuto in mente proprio quel verso,
ma lo stava ripetendo come un mantra, con un filo di voce, mentre si stava avvicinando
sempre di più ad Helios, che
restava immobile, come una statua di marmo.
Provò
un affondo e come era prevedibile andò a vuoto, gli
arti erano pesanti e nemmeno la fresca neve che ancora resisteva ai caldi raggi
di Sole leniva il bruciore che sentiva in tutto il corpo. Attaccò ancora, e
ancora… Tutti i colpi che sferzava finivano con lei ansante e lui splendente
nelle sue vesti che la osservava, un velo sugli occhi di pietà e misericordia,
le sembrò di catturare ammirazione e rispetto ma sapeva che li stava scambiando
con semplice stupore.
«Tu
mi hai chiesto perché ti risparmio. Io ora ti chiedo: perché vuoi morire per
mano mia?» Era malinconia quella che sentiva nella sua voce? Edelweiss si
appoggiò alla sua arma prendendo grandi respiri, non le erano rimaste più
forze, la gola ardeva come se l’aria stessa si fosse trasformata in lava.
«Ho fatto cose miserabili nella mia esistenza, i miei peccati sono
innumerevoli e le mie mani imbrattate di sangue puro, sangue innocente. Come tu ben sai, le Ninfe non muoiono anche se esposte al Sole. Dolori
atroci attendono le creature dell’Inverno che vengono
torturate in questo modo: il Fuoco Eterno brucia il corpo e la mente. Ma questa
non è morte».
«Edelweiss,
tu vuoi morire per porre fine al tuo dolore. Sei sicura che Morte saprà lenire
ciò il Tempo non riesce a risanare?».
«Ho
amato. Amato forse frivolamente, ma ho amato esseri umani che Tempo mi ha poi portato via. Sono
un’anima sola e fredda, lo so… Ed è la solitudine senza le radici di un amore
puro a punirmi. Voglio solo che tutto questo finisca». Edelweiss cadde a terra,
non riusciva più a reggersi in piedi e quando Helios
la prese tra le sue braccia si preparò a sentire dolore, ma di
fatto non sentì nulla se non un dolce torpore, le sembrò semplicemente
di evaporare.
«Helios… Ti prego, salva ciò che rimane di me … O poni fine
a tutto, poni fine a… Me». La ninfa non avrebbe mai pensato di supplicare nessuno, men
che meno un Dio dell’Estate. Era
d’animo forte ma desiderava il perdono. Desiderava un
amore caldo, un amore puro. Un amore che in vero,
riusciva a intravedere nel Dio.
Se solo non fosse appartenuto alla Corte dell’Estate…
Tuttavia, avrebbe voluto poter sfiorare quella
perfezione celestiale, avrebbe davvero voluto condividere ogni respiro con lui.
Sorrise
amara, la morte sarebbe stata dolce e tiepida, dopotutto.
Eros
aveva un senso dell’umorismo a scegliere i suoi amanti
davvero non trascurabile.
«Ti
salverò, Edelweiss». Con queste ultime parole, che forse la ninfa non udì, la
fragile Stella Alpina cadde in un sonno profondo
abbandonandosi completamente fra le braccia del Figlio del Sole che lentamente
si chinò sul suo corpo esanime e la baciò con quanta più grazia possedesse.
Allora
capì ogni cosa, capì chi lei fosse e chi sarebbe
diventata.
E
sorridendo cantò al vento caldo la lieta notizia mentre
fra le sua braccia si compiva l’Antica Profezia.
Un’anima per i peccati commessi pagherà,
un’anima fragile d’amore
soffrirà.
La freccia scoccata con ali d’argento
Trafiggerà quel cuore gremito di tormento.
E la pace su candidi
petali si poserà…
e il fiore sterile nuovi
figli genererà.
Quel
giorno la Morte arrivò su ali di tiepido calor, nebbiose e impalpabili come
preghiere nel vento. Scura in viso guardò il Dio prima
di procedere con l’esecuzione, egli sicuro fece cenno d’assenso e in pochi
istanti la rossa e tagliente falce recise ogni
legame che la Ninfa avesse mai avuto con la Corte d’Inverno.
Niente
sarebbe mai stato più come prima, forse nemmeno l’essenza stessa della Natura.
Helios rimase lì, a cullare la dolce ninfa che piano piano moriva nel suo abbraccio…
Rimase
lì, ad attendere e pregare il risveglio della sua Sposa.
***
Il
primo aroma che Edelweiss percepì fu l’odore del Sole, un profumo che scoppiettava di vita e calore, frizzante e
puro. Semplice.
La
prima cosa che sentì fu delle braccia che strette la
proteggevano, le mani grandi posate sul suo ventre. Poi una carezza fra i
capelli e un bacio sulla fronte.
Il
primo suono che udì fu il canto delle fenici, potente
e aggraziato, come inni di gioia e risurrezione.
La
prima cosa che vide fu il volto del suo amante, ne aveva
la certezza. Non seppe dire come ne venne a conoscenza,
ma era qualcosa che sentiva inciso dentro,
come mai nulla prima di allora…
Quando
il suo compagno le sorrise ricolmo di felicità, il
primo sapore che provò sulla punta delle labbra, fu l’Amore.
Un
amore così incontaminato che lacrime dorate le caddero senza che se ne accorgesse.
Il Perdono le fu
finalmente concesso.
***
Passarono
molti Inverni, e molte Estati.
Bufere
di neve e tormente. Tifoni e acquazzoni dalla violenza inaudita.
Ma Helios
e la sua Edelweiss rimasero insieme, fino alla fine
dei tempi… Ed io lo so.
Passarono
gli anni e i secoli, forse anche i millenni… Ma quando li vidi insieme fu una
tale gioia ritrarli che quella tela fu per me la realizzazione
di un sogno: in una vallata di spighe di grano, il canto dell’oceano racchiude
luce e fiori variopinti. Allora ninfa sterile, ora futura madre poggia la mano
sul grembo gonfio e sorride radiosa, occhi dalle iridi
glaciali ma ricolmi d’affetto guardano in lontananza, e le dita protratte nel
vento sfiorano il Compagno seguite da un tenero bacio a fior di labbra, appena
accennato.
L’Estate è rinata.
***
Questo è
il mito di Edelweiss ed Helios.
La storia
di una fragile Stella Alpina che al fiorire dell’Estate trovò il suo Raggio di
Sole.
In
fondo, io sono solo un cantastorie, colui che tutto
osserva in silenzio e che narra ai popoli di terre lontane.
Solo
un umile pittore al servizio del Ricordo e della Memoria.
Io
sono al servizio di me stesso e di tutti voi perché nessuno dimentichi ciò che
fu e che tutt’ora vive dentro la stagione che il Sole stesso
ha per Consorte.
Notes________________
Non
sono pienamente soddisfatta, sono più “donna dalla
tragica fine”.
Ma
ad Edelweiss e Helios ho concesso il lieto fine, forse è l’Estate a rendermi più dolce, chi lo
sa.
Ho
pochi chiarimenti in realtà da fare, più che altro sui nomi:
Edelweiss: Stella Alpina
Helios: Figlio o Dono del Sole.
Forse
era chiaro, ma volevo sottolineare più che altro che
non sono stati scelti a caso.
Un’ultima
cosa: le micropoesie. Spero siano quantomeno accettabili.
Grazie
infinite per la vostra attenzione! J
El.