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Autore: abby_morns    21/08/2011    2 recensioni
Le cose cambiano.Mutano forma,s'ingrandiscano,si rimpiccioliscano,si allargano e tanto altro.
E' come la nascita di una nuova vita.Può cambiare la tua,di
vita.E tu devi prenderti cura di quell'esserino che nasce da
te,perchè è compito tuo.Sta a te cambiargli la
vita.E non potrai mai sapere se lo stai facendo bene o male.(tratto dal prologo).
Il destino sembrava aver regalato a Gail tutto quello che voleva e desiderava fin da quando è nata: una famiglia, una casa, qualcuno da amare. Ma le sorprese della vita sono infinite; l'arrivo di una piccola creatura le sconvolgerà la vita, e non in meglio...
Dopo Justice*,continuano le avventure della diciassettene Gail.Che, per una come lei, non potranno mai avere fine...
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Justice*: la serie completa'
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You’re the only one I wish I could forget
The only one I’ve loved to not forgive
And though you break my heart, you’re the only one.
[Beyoncè – Broken Hearted Girl]
 
 
- Abigail Anderson?
La voce del professore risuonò a vuoto nella stanza. L’uomo si guardò intorno una volta, due. Poi ripetè: - Abigail Anderson, presente o no?
- Sì, presente – sbuffai, aprendo la porta di scatto. Lui mi lanciò un’occhiataccia.
- Bene, signorina. Può giustificare il suo ritardo? – fece, severo.
- No, signore.
- Bene. Le costerà una nota d’ammonimento. E la prossima volta veda di essere in aula in orario.
Non lo guardai nemmeno. Non ero proprio dell’umore per sorbirmi le uscite isteriche di un povero quarantenne in crisi mistica. Filai al mio posto in silenzio, sotto i soliti sguardi curiosi degli altri studenti. Incontrai gli occhi scuri di Hillari, ma ero infuriata con lei. Mi aveva mentito ed aveva causato solo guai.
- Che è successo? Avevi smesso di arrivare in ritardo – mi chiese, bisbigliando. Il professore fece “shhh” e lei aprì il quaderno fingendo di seguire.
- Ho litigato con mia madre, mi ha messa in punizione – feci, secca. Lei mi lanciò un’occhiata alla “ehi, che c’è?” ma io la ignorai. Avrebbe dovuto darmi delle spiegazioni, più tardi. Anche se prevedevo che non sarebbe stata una conversazione placida e tranquilla. Il mio umore era già pessimo, dopo la sfuriata di Kath, quella mattina: insomma, avevo diciotto anni, non ero più una bambina da educare; e poi, sapevo che non potevo usare i poteri in casa, ma era stata un’emergenza.
Quella punizione era alquanto ingiusta, a parer mio. Così, ero uscita di casa arrabbiata, consapevole di dover affrontare un’altra litigata a breve. La mia vita si stava di nuovo incasinando.
All’ora di pranzo, raggiunsi con le altre la mensa e mi misi in fila, il più lontano possibile da Hillari. Lei provò ad attirare la mia attenzione, ma io la ignorai di nuovo, chiacchierando animatamente con Celeste.
Purtroppo, non riuscii più ad evitarla quando ci sedemmo al nostro solito tavolo. Come ogni giorno, mi accomodai accanto ad Asia, ed Hillari, come niente fosse, prese posto alla mia destra, come sempre. Mi girai verso Asia, succhiando rumorosamente la mia Coca Cola. Avevo riempito il vassoio fino a scoppiare: ero venuta a scuola senza fare colazione, ed adesso stavo morendo di fame. Addentai una mela lucida e rossa, sempre ignorando la mia amica, e cominciai a masticare.
- Andiamo, non sono cretina – sbottò. – So che mi stai evitando. E credo anche di sapere il perché.
Riluttante, incrociai il suo sguardo. Sembrava dispiaciuta.
- E’ per Daniel? – domandò. – Mi ha detto che ieri è venuto da te e… Ti ha spiegato la situazione. Però poi è arrivato Mirko e non avete risolto niente.
- Una specie – borbottai. – Solo che mi ha raccontato una cosa che mi ha deluso un po’.
Si arrotolò un ricciolo intorno al dito e sospirò.
- Non dici niente? – l’accusai. – Dopo come mi hai trattata l’anno scorso per aver mentito sul mio passato, hai il coraggio di dirmi una bugia come questa?
- Era una bugia innocente! – esclamò. – Cosa sarebbe cambiato? Dopo aver parlato con me, lui se n’è andato di nuovo. Come facevo a sapere che sarebbe tornato?
- Io… Se l’avessi saputo…
- Non sarebbe cambiato niente – concluse.
- Ora ho la testa confusa! Tutte quelle sue belle paroline del cazzo… non hanno fatto altro che crearmi un groviglio di pensieri e di dubbi! – replicai. – Se lo avessi saputo, avrei potuto evitarlo.
- No – negò lei. – Lo sai meglio di me. Davvero non gli avresti aperto la porta? Ti conosco troppo bene e so che sei ancora troppo innamorata di lui.
- Era mio diritto saperlo.
- Ero convinta di illuderti. Te l’ho detto, non avevo idea che sarebbe tornato all’attacco – si giustificò lei. Cominciò a giocherellare con i denti della forchetta di plastica. – Ascolta, lo sai che Mirko mi piace e trovo che stiate bene insieme, ma è ovvio che rimanga Team Daniel, non trovi?
- Non è questo il punto. Non importa da che parte stai – sospirai. – Ascolta, sono tremendamente, irrimediabilmente e pazzamente innamorata di Daniel, ma non è una cosa giusta, ok?
I suoi occhi si rabbuiarono. – Perché? Perché non dovrebbe esserlo? Siete stati insieme cinque mesi. Vi siete amati, anzi, vi amate. Lui è pronto a tutto pur di stare con te. Hai paura che non funzioni?
- Non ho paura. So che non potrebbe funzionare – precisai. – Hillari, io e Daniel non possiamo tornare indietro. Perché io non reggerei il colpo, se lui se ne andasse di nuovo. Come potrei vivere in un’insicurezza simile?
- Lui non avrebbe mai il coraggio di lasciarti di nuovo. Ne morirebbe anche lui.
Mi tappai le orecchie con le mani. Ma che senso aveva continuare a premere su quel tasto dolente? Qual era il suo scopo? Farci tornare insieme?
- Senti, non posso spiegartelo io, no? – sbottò infine. Per un secondo credetti che avrebbe ceduto. – Dovete parlare, voi due, ma seriamente. Niente belle paroline e tantomeno, insulti. Parlatene come se lo vedeste da fuori. Come se non vi riguardasse. Penso che solo a quel punto potrai davvero essere sicura di ciò che vuoi.
 
Dopo la scuola, mi trascinò a casa sua, convinta di poter davvero risolvere i mie problemi. Mi dispiaceva che ci credesse così fermamente. Daniel ed io, il nostro “noi”, si era infranto per sempre, e tutto ciò che ne rimaneva era nostro figlio, ben protetto nel mio pancione.
Entrammo in una stanza che avevo visto solo da fuori, la lavanderia. Una melodia allegra proveniva dalle labbra rosa di Amélie, la madre di Hillari e Daniel.
- Ciao, ma’ – la salutò la figlia. La donna, che, a parte per l’altezza, somigliava molto alla mia amica, si voltò con un gran sorriso sulle labbra… che si spense non appena mi vide.
- Ah. Buongiorno, ragazze – mormorò. Mi lanciò un’occhiata, come per squadrarmi. C’ero abituata: l’avevo già notato, il modo in cui mi fissava da un po’. Sembrava non apprezzare la mia presenza, e avevo sempre creduto che fosse perché in qualche modo avevo allontanato suo figlio da casa. Quanto mi sbagliavo: l’avrei scoperto solo molti anni dopo gli avvenimenti che sto raccontando. Ma torniamo alla nostra storia.
Amélie spostò lo sguardo sulla figlia. – Tutto bene a scuola, tesoro?
- Sì, ma’. Il solito – disse, guardandomi. Anche lei aveva notato lo strano comportamento di sua madre.
- Ha chiamato di nuovo quel tipo, Joseph – la informò, voltandosi di nuovo per piegare qualche abito. – Ha detto di richiamarlo.
Hillari scosse la testa. Joseph era un ragazzo che era arrivato in città da qualche settimana. Era carino, e da un po’ sbavava dietro ad Hilly. Però lei non l’aveva mai considerato, troppo impegnata a preoccuparsi per me e per suo fratello. Ma lui ancora non si era arreso.
- Sì, sì, ci penso dopo – sospirò amareggiata la mia amica. – Senti, Daniel è in casa?
Deglutii, arrossendo. Amélie lasciò cadere la maglietta che stava sistemando. Si riprese in fretta, e la raccolse da terra.
- Sì, è tornato una mezz’ora fa – mormorò, secca e improvvisamente fredda. – E’ nella sua stanza.
- Bene – fece Hillari, ignorandola e regalandomi un gran sorriso. – Allora noi andiamo. Grazie mamma.
- Beh, magari non vuole essere disturbato – sibilò la donna. Si voltò di nuovo, e i suoi occhi nocciola mi fissarono, velati di rabbia. – Che ne dici, Abigail? Magari vuole stare un po’ da solo.
Spalancai gli occhi e cominciai a sudare freddo. Istintivamente, mi allontanai e misi una mano sul pancione. Quella donna mi spaventava, non capivo il suo odio incondizionato verso di me. Ricordai che, quando comunicai alla famiglia di Daniel che ero incinta, lei mi aveva consigliato, quasi ordinato, di liberarmi di quel bambino. A suo parere, ero troppo giovane per fare la madre e non avrei potuto combinare niente di buono. Con quale coraggio aveva osato dire una cosa del genere? Lei, che non si era accorta che suo figlio stava diventando uno sbandato, prima che arrivassi io?
Non la capivo. Prima che mi mettessi con Daniel, le stavo abbastanza simpatica. Era sempre cordiale, carina e gentile. Cos’era cambiato? Le avevo forse rubato il “suo bambino”?
- Sono convinta che non è così – esclamò Hillari, interrompendo il flusso dei miei pensieri. – Gail, perché non ti avvii? Credo che Daniel sarà molto contento di vederti.
Annuii, e, silenziosa, uscii dalla stanza. Ricordavo bene dove fossero le camere da letto, soprattutto quella di Daniel. Ci avevo passato un sacco di tempo, quando mi aveva aiutato a fare delle ricerche su mia madre, l’anno prima. Rallentai comunque il passo, curiosa di ciò che Hilly avrebbe detto a sua madre.
- Ti sembra il modo di comportarti, mamma?! – la sgridò la biondina. Dal tono arrabbiato capii che la pensava come me.
- Quella ragazza non mi piace. E’ stata lei a far scappare tuo fratello. Vuoi che succeda di nuovo? Non mi sembra che tu sia stata così bene in questi ultimi mesi.
- E’ stata lei?! Mamma, Daniel ha un cervello tutto suo. Se è un cretino la colpa non è certo di Gail. Lei ha sofferto molto quando se n’è andato.
- Non parlare così di tuo fratello! – sbottò la donna. – Mi farebbe piacere se entrambi cercaste di starle lontani. E’ un’Anderson, no? Ha nel sangue la pazzia di sua madre.
Immaginai la bocca spalancata della mia amica. – Mamma, Gail non è assolutamente come sua madre. E ti ricordo che è stata lei a salvarlo dalla follia di quella donna, nemmeno un anno fa.
- Sarà, ma ha anche rischiato di farlo uccidere.
- Anche lei è rimasta ferita! – ribadì Hill. – Dio santo, ma’! Gail è la mia migliore amica, le voglio bene. E Daniel è innamorato pazzo di lei. Non credo che te ne libererai così facilmente.
- Non posso credere che mio figlio sia davvero innamorato di quella.
- Beh, è così. Fattene una ragione.
Avevo sentito abbastanza. A quanto pare, la madre di Daniel non aveva assolutamente una bella opinione di me.
Salii le scale a passo svelto. La prima porta che mi ritrovai davanti fu quella della stanza di Hillari, ben riconoscibile per l’enorme H rosa incollata sopra. Sapevo benissimo che la mia meta era lì accanto.
Con attenzione, raggiunsi la porta socchiusa della stanza di Daniel. Timorosa, sbirciai dentro.
Lui era lì. Stava seduto sul suo vecchio letto, la testa bassa e lo sguardo fisso su una cornice che teneva in mano. Era un po’ meno trascurato dell’altra volta, si era rasato e indossava una vecchia felpa che gli avevo già visto. I capelli erano ancora troppo lunghi, continuavano a cadergli sul viso. Sembravano più scuri del solito, quasi neri, ma forse era solo la luce.
All’improvviso, scosse la testa e posò la foto sul letto. Si alzò, andò alla finestra e la aprì. Pescò qualcosa dalla tasca. Un accendino e un pacchetto di sigarette.
- Da quando fumi, tu? – chiesi, aprendo del tutto la porta. Daniel si voltò, e quando mi vide un sorriso gli spuntò sulle labbra. Cercai di trattenermi dal saltargli addosso.
- Era comunque un modo per scappare dal dolore, e… è diventato un vizio – spiegò. – Sto cercando di smettere.
Non dissi niente. Entrai nella stanza e chiusi la porta alle mie spalle. Mi sedetti sul letto e presi la foto che lui vi aveva lasciato. Era la stessa che io avevo in salotto, fino a qualche mese fa… e che ora giaceva in una buca in giardino, insieme a tanta altra roba che mi ricordava lui. Ci ritraeva felici, come non eravamo più entrambi da un po’ di tempo.
Lui rimise accendino e pacchetto in tasca e mi raggiunse. Si sedette vicino a me, scatenando un brivido che mi corse leggero lungo la schiena.
- E’ una bella foto – osservò.
Annuii, incapace di parlare. Continuavo a fissare la cornice, ma vedevo solo delle immagini sfocate. Cercai di trattenere le lacrime.
- E’ strano come tutto qui sia rimasto intatto per sei mesi, non trovi? – domandò, pur sapendo che non avrei risposto. – Nessuno è più entrato nella mia stanza da quando me ne sono andato.
Posai la foto sul letto e mi stropicciai gli occhi. Alzai lo sguardo e incontrai il suo, intenso, dolcissimo. Mi sentii sciogliere.
- Beh, ma non parliamo di questo. Tu come stai? – domandò.
- Come dovrei stare. Bene – mentii. Ero stata meglio.
- Hai passato un brutto periodo, però. Mi dispiace – disse.
- Mi sto lentamente riprendendo. Mirko mi ha aiutata molto – feci, pentendomene poco dopo, quando i suoi occhi si rabbuiarono.
- Beh, immagino come ti abbia “aiutata” – sibilò, cattivo.
- Non sono qua per litigare, va bene? Sono qua per parlare.
- Di cosa? Di quanto tu sia felice col tuo nuovo ragazzo?
Distolsi lo sguardo. – Avevo bisogno di andare avanti. E comunque io e Mirko stiamo solo uscendo insieme.
Scosse la testa. Beh, non ci credeva?
- Io non sono felice, va bene? – confessai. – Non al cento per cento. Non da quando mi hai lasciata.
Il silenzio calò tra di noi. Non mi accorsi nemmeno delle lacrime che cominciarono a bagnarmi le guance. O forse volevo solo ignorarle.
Daniel mi abbracciò. Rimasi sorpresa dall’effetto che quel contatto mi provocò: il fiato mi si mozzò in gola, e le farfalle cominciarono a danzare nel mio stomaco. Mi lasciai avvolgere da quella sensazione.
- Io… Mi sento davvero uno schifo per quello che ti ho fatto. Non lo meritavi. Non dopo tutto quello che hai fatto per me, non in quel modo. Mi hai salvato la vita. Più di una volta – osservò. Posò la guancia sulla mia testa, e ne avvertii subito il calore. – Tu mi amavi, io continuo a farlo, ma non me lo merito. Ti amo però so che non è giusto.
Di nuovo il discorso sulle cose giuste o su quelle sbagliate. Ne sarei mai venuta a capo?
Avrei voluto solo voltarmi, baciarlo, stringerlo a me e rassicurarlo, dirgli che anch’io lo amavo. Ma non potevo.
Piansi, stretta tra le sue braccia, e lui rimase lì, fissando le mie lacrime, non potendo fare niente per fermarle, per impedirmi di sfogarmi.
- Come faremo ad uscirne? – chiesi infine, singhiozzando. – E’ andato tutto storto, cazzo.
- No. Tutto no – disse. Posò delicatamente la mano sul mio pancione. - Il discorso che ti ho fatto vale ancora, Gail. Sono disposto a lottare, per riaverti. Anche se, come ho già detto, non è giusto. Ma ti amo troppo per lasciarti andare senza nemmeno provare a riconquistare il tuo cuore. E… Sono pronto a fare il padre. Più o meno.
Sorrisi di fronte a quelle parole. Però non dissi che il mio cuore era sempre suo. – “Più o meno”?
- Insomma. Non me la cavo proprio per niente con i bambini. Non mi sopportano – spiegò. – Quando era più piccola facevo sempre piangere Hillari, e lei mi tirava sempre i giocattoli in testa.
Immaginai la scena e riuscii a ridere.
- E non sono per niente un tipo responsabile. Ho paura che... potrei… Oh, cazzo – sospirò. – Senti, devo spiegarti a fondo i motivi della mia fuga. La notizia della tua gravidanza mi ha travolto troppo in fretta. E’ come se… come se un’onda mi avesse colto di sorpresa. Mi sono sentito soffocare. Ho vent’anni ma la mentalità è quella di un quindicenne. Facevo fatica ad accettare il fatto che di lì a poco avrei dovuto cambiare pannolini, alzarmi in piena notte, sentirmi sempre completamente a terra… Ci ho pensato un giorno intero, una notte intera. Ho girato mezza Boston nel tentativo di mettere in ordine i miei pensieri. A un certo punto credevo che ce l’avrei fatta: ci amavamo, e insieme ci saremmo riusciti. Ero pronto a tornare da te ed affrontare la questione, ma poi sono passato dall’ Olmsted Park e c’erano tutti questi padri con i loro bambini e… Loro erano tutti così attenti, correvano dietro al figlio in bicicletta per impedire che cadesse, lo spingevano sull’altalena… Mi sono convinto che non sarei mai stato capace di essere così premuroso e responsabile, che avrei rovinato la vita a te e a nostro figlio, e che prima o poi me ne sarei andato. Così ho deciso di farlo prima, un taglio netto, in modo che la sofferenza potesse essere minore. Mi sono sbagliato. Avrei dovuto tentare.
- L’hai fatto per me? E’ questo che stai dicendo? – domandai, in tono acido. Ero davvero sorpresa dal fatto che avesse preso in considerazione l’idea di rimanere.
- In un certo senso. L’ho fatto soprattutto per il bambino. Se mi avesse avuto come padre, un pessimo padre poi, e infine me ne fossi anche andato, mi avrebbe odiato per sempre. Invece, non conoscendomi, un giorno forse avrebbe capito. Ero convinto che saresti riuscita ad andare avanti e a dimenticarmi, anche se la cosa mi spaventava, anche se non lo desideravo assolutamente. E sei andata avanti…
- Ma non ti ho dimenticato – aggiunsi. – Non l’avrei mai fatto, lo sai benissimo. Saresti sempre rimasto nei miei pensieri.
Sorrise, una nota di malinconia negli occhi. – Era quello che speravo, in fondo. Non volevo tornare, te lo assicuro, ma… Non ce l’ho fatta. La tua mancanza mi stava lentamente uccidendo.
- E’ stato così anche per me – confessò. – E’ bello, insomma. Che tu sia tornato, alla fine.
Rise. – Beh, se lo dici tu, allora ci crederò. Ma parliamo d’altro. Maschio o femmina? – domandò, riferendosi al mio bambino… al nostro.
- Non ne ho la più pallida idea – feci, ridendo e asciugandomi gli occhi.
Sorpreso, mi guardò con quei suoi occhi nocciola che tanto amavo. – E, ehm, tutte le ecografie eccetera eccetera non dovrebbero servire anche a questo?
- Sì, ma non ho voluto saperlo. Pensavo che sarebbe stato ancora più bello se l’avessi saputo subito dopo la nascita. E poi è timido, si nasconde.
- Almeno ai nomi ci avrai pensato.
- Ma a te cosa interessa? – feci, seria. – Hai detto che…
- Ho detto che se riuscirò a riaverti, farò il padre. E anche se dovessi lasciarti andare, non voglio scomparire dalla vita di mio figlio. Non più – affermò. Uh, bravo. Un punto in più per Daniel Healt.
- Oh, beh, se la metti così possiamo parlarne insieme. Vedi, non ho fatto una lista o cose del genere. Vado abbastanza sul sicuro.
- Dimmi pure.
- Femmina, Tori. Maschio, Gabriel. Tori era il nome della mia nonna paterna, e Gabriel, beh… E’ una specie di mix dei nostri due nomi.
- Sono entrambi molto belli. Davvero. Comunque, io per le femmine adoro il nome Phoebe – mi informò.
Annuii. – Potrebbe essere il suo secondo nome. Tori Phoebe. E’ carino, no? Per Gabriel invece pensavo a James.
Non disse niente. Sapeva che ancora mi faceva male parlare della mia famiglia, e gliene fui grata.
- Il cognome, che farai? Gli darai il tuo? Tori Phoebe Anderson o Gabriel James Anderson? – mi chiese, e la sua voce era triste. Era consapevole dell’eventualità che io non lo scegliessi.
- In realtà, in qualunque caso, farò di tutto per lasciargli il tuo. Almeno avrà qualcosa di suo padre.
- Sai quale sarebbe un altro nome stupendo? – disse, dopo un po’. Alzò lo sguardo di scatto e mi osservò. La sua mano si posò leggera sulla mia guancia. – Abigail Justice Anderson Healt.
Arrossii. Lui si avvicinò ancora, ma io mi scostai in fretta.
- Come puoi… come puoi dire una cosa del genere? Dopo avermi chiesto di sposarti ed essere scappato via al primo problema!
Mi alzai. La sua promessa di matrimonio mancata bruciava ancora dentro di me. E dire che all’inizio l’idea nemmeno mi era piaciuta.
- Mi… Mi dispiace. Pensavo che…
- No. Non pensavi – sospirai. – Senti, è tardi. Mi ha fatto piacere parlare con te, passare del tempo insieme, ma… In realtà io sarei in punizione. Ho il coprifuoco alle sei e sono già le sei e mezzo. Kath mi squarterà viva.
Alzò un sopracciglio. – In punizione? Kath? Cos’hai fatto, hai dato fuoco alla cucina?
- Sai che non vuole che usi i miei poteri in casa – spiegai. Non avevamo mai toccato l’argomento “poteri della morte” da quando era tornato. – E… diciamo che ho disubbidito. Ho aperto un Portale, è una cosa che non dovrei saper fare, ma che invece a quanto pare mi riesce benissimo.
- Un… che?!
- Un Portale. Una via d’accesso al mondo dei morti. Una delle tante cose che ho scoperto mentre tu non c’eri.
Ci pensò un attimo. Il mio mondo strano e sovrannaturale lo lasciava sempre un attimo interdetto. Ma sorrise. – Riesci sempre a sorprendermi. Anche se so benissimo quanto tu sia unica e speciale.
Il sorriso contagiò anche le mie labbra. Daniel si alzò e si mosse in fretta, stringendomi mio malgrado in un abbraccio da orso.
- Mi sei mancata terribilmente. Non ti libererai così facilmente di me – mormorò. – Volevo chiederti… Resteremo amici, se le cose non…
Sapevo cosa voleva dire. Se le cose non avessero funzionato, cosa che era ben più che possibile. Stare con Daniel era ingiusto, era quasi pericoloso, per la mia salute mentale. Non era esattamente la mia prima scelta… o no? Cavolo. Quella conversazione mi aveva ulteriormente confuso le idee.
- Certo, Dan – lo rassicurai, usando il nomignolo che gli dava sempre sua sorella. Non potevo essere sicura che avrei mantenuto quella promessa, ma in quel momento desideravo solo far sparire quell’ombra di tristezza dal suo volto.
Ci riuscii, almeno per qualche secondo. Poi ricomparve di nuovo.
- Beh, allora… Io vado.
Annuì, lasciandomi andare. La sua mano rimase sospesa a mezz’aria, come se volesse trattenermi.
- Ci rivediamo.
- Certo che sì – confermò lui.
Aprii la porta e mi dileguai in fretta, timorosa che la voglia di stare con lui che mi stava divorando il cuore mi costringesse a restare.
La sua voce mi giunse chiara e sottile, anche attraverso la porta chiusa: - Non ne faccio mai una giusta. Cazzo.
Eh già, caro Daniel. È difficile fare sempre la cosa giusta.
 
 
La situazione con Daniel era leggermente migliorata, dovevo confessarlo. Il peso che si era depositato sul mio cuore quando se n’era andato stava sparendo, segno che cominciavo a non provare più astio verso di lui. Non sapevo se esserne spaventata o meno, visto che la mia stabilità cominciava a traballare.
Ora dovevo parlare con Mirko. Doveva sapere che le cose non erano più le stesse, e che forse ci sarebbe stata la possibilità che la nostra storia finisse prima ancora di cominciare.
Però non potevo fare a meno di pensare all’equilibrio che una vita con lui avrebbe potuto donarmi. L’unico neo in tutta questa perfezione era che lui non sapeva niente del mio passato, e quindi rischiava la vita ogni secondo che passava con me. Certo, avrei potuto informarlo, ma se Daniel aveva reagito abbastanza bene, non voleva per forza dire che anche Mirko avrebbe fatto lo stesso. C’era il serio rischio - serio quasi quanto quello di rimanere ucciso per colpa mia - che non lo accettasse. E a quel punto sarei rimasta sola.
Decisi di chiamarlo e informarlo intanto della situazione con Daniel. Ci accordammo di incontrarci in centro, ad uno Starbucks vicino al supermercato. Presi la metropolitana e ignorai gli sguardi curiosi degli altri passeggeri. Sapevo quali fossero i loro pensieri, ma cercai di scacciarli dalla mia mente. Per fortuna, le fermate si susseguirono in fretta, e arrivammo presto alla mia. Scesi con calma e mi diressi al locale. Ordinai un frappuccino e mi sedetti di fronte alla finestra principale, guardando la gente passare. Per questo quando arrivò lo vidi. Sembrava scocciato. Entrò facendo scampanellare lo scacciapensieri attaccato vicino alla porta. Mi notò subito, e io gli feci il più sincero dei sorrisi. Mi raggiunse zigzagando tra i tavoli, scusandosi quando urtava qualcuno e evitando con cura di dare noie agli stressati lavoratori seduti lì per la loro pausa.
- Questi cavolo di locali sono sempre pieni da scoppiare – commentò, sistemandosi sulla sedia accanto alla mia. Una ciocca un po’ più lunga di capelli biondi gli tagliava la fronte come una cicatrice. Si avvicinò per baciarmi, ma io lo respinsi con l’indice.
- Sembri annoiato, qualcosa non va? – domandai, appoggiandomi allo schienale e ignorando la sua espressione perplessa. Del resto, Mirko si riprese in fretta, scostando la sedia vicino a me e mettendomi un braccio intorno alle spalle. Sospirò. – Beh, in effetti. Il meccanico mi ha detto che deve cambiare un pezzo all’Harley. Mi costerà una fortuna e non so nemmeno per quando sarà pronta. E poi mi ha chiamato il mio capo. Ha detto che se non mi decido a tornare mi licenzia.
- Mi dispiace – dissi. Afferrai il bicchiere di plastica e, come di mio solito quando ero nervosa – perché lo ero – cominciai a giocare con i grumi di cioccolato sul fondo.
Lui mi lanciò un’occhiata. – Mi aspettavo una cosa del genere. Sì, insomma. Dobbiamo parlare, giusto?
Annuii. Con una smorfia appoggiai di nuovo il frappuccino sul tavolo. L’odore mi stava dando la nausea.
- Che ti ha raccontato quell’idiota? Sei distante. Davvero ti bastano due o tre parole in fila per caderci di nuovo?
- Non cominciare.
- Perché? E’ di questo che devi parlarmi. Vuoi rimetterti con lui – disse, traendo le sue conclusioni. Scossi la testa energicamente.
- Cavolo, no! Dico solo… Ci ho parlato, e lui mi ha detto che vuole rimanere vicino al bambino. D’altronde non posso tenerlo a distanza.
- Si è deciso ora a fare il padre? E’ un po’ tardi, non ti pare?
Gli lanciai un’occhiata di fuoco. – Perché dici così? Sei geloso, per caso?
- Certo che lo sono! – esclamò. – Dio santo, Gail, apri gli occhi! Quello lì ti ha lasciata, e adesso con un po’ di lacrime di coccodrillo riesce a incantarti un’altra volta! Non mi eri sembrata così sprovveduta.
- Non hai nessun diritto di dire così! – m’infiammai. Sapevo che stavo difendendo Daniel a spada tratta, e questa era solo una delle tante cose da aggiungere alla lista di ciò che era sbagliato. – Non lo conosci. Tu non sai niente di lui, non sai come si è sentito, non sai niente di niente!
- Diciamo allora, che mi ricordo in che condizioni ti ho ritrovata – fece, la voce triste e arrendevole. Non mi guardava, ma riuscivo a vedere i suoi occhi, di quell’azzurro acquoso. Erano rassegnati.
- Non vuol dire niente… Mirko, ti ho chiamato qua per dirti che la situazione potrebbe cambiare. Io… Tu sai che sono ancora innamorata di lui.
Sospirò. Con un gesto lento, alzò lo sguardo verso di me. – Allora hai già scelto. Non trovi? Lo difendi dalle mie accuse, e dici di essere ancora innamorata di lui.
- No, non ho scelto! – negai. – Mirko, Daniel non è adatto a me. Anche se lo amo da impazzire, lui… Potrebbe farmi soffrire di nuovo. Io so che tu non la farai mai.
Qualcosa scintillò nei suoi occhi. – E’ vero.
Lo abbracciai, appoggiando la testa sulla sua spalla. – Ho bisogno di tempo. Per capire.
- Sì. Va bene – confermò. Mi diede un bacio sulla fronte. Fui sollevata nel vedere che si stava calmando.
- Un anno fa non avrei mai immaginato di potermi ritrovare in una situazione del genere – osservai. Era vero. L’anno prima ero molto più convinta dei miei sentimenti.
- Voi donne siete tremendamente volubili – scherzò lui.
Gli diedi uno spintone, rischiando di farlo cadere dalla sedia. – Ma smettila!
 
- Buono, questo cibo umano.
Lanciai un’occhiataccia a Will. Lui, seduto sulle sedie dell’Attesa, nel mondo dei morti, a qualche centimetro da me, continuò tranquillo a sgranocchiarsi il mio pacchetto di patatine.
- Ma tu non sei, tipo, morto? Non dovresti aver bisogno di mangiare – borbottai.
Le mie visite all’Aldilà, negli ultimi tempi, erano raddoppiate. In quelle due settimane che seguirono il ritorno di Daniel continuai ad uscire con Mirko, evitando accuratamente il mio ex ragazzo. Però era sempre nei miei pensieri, nel mio cuore. Invece di uscire da questa situazione, mi sentivo sempre più confusa.
Perché in fondo, sapevo cosa volevo.
- Beh, ma le papille gustative rimangono, no? E queste patatine sono deliziose – affermò.
Scossi la testa. Mi rifugiavo spesso lì, soprattutto la notte. Per quanto quel mondo sovrannaturale al quale appartenevo di malavoglia mi inquietasse, era sempre meglio della mia incasinata vita umana. E poi mi piaceva chiacchierare con Will, anche se si mangiava sempre le piccole scorte di cibo che portavo con me. Soprattutto le patatine e il cioccolato.
Certo, all’inizio era stato difficile portare qualcosa di così umano come cose da mangiare attraverso il Portale. Quando arrivavo nell’Attesa e tiravo fuori lo spuntino, era diventato immateriale e quindi immangiabile. Ma avevo fatto progressi e adesso riuscivo a trasportarli con tranquillità. Peccato che non avessero vita lunga, con Will.
- E’ incredibile – disse lui, masticando. – E’ una cosa davvero complicata trascinare oggetti umani nel mondo delle anime. Certo che, per essere un soggetto instabile, sei stranamente potente.
Non risposi. Avevamo parlato spesso di questa mia “stranezza”. Will non se ne dava una ragione. Aprire Portali, riuscire a tornare più volte nell’Aldilà, trasportare oggetti  con me: a suo parere, nemmeno un soggetto su cui fosse stato completato l’esperimento sarebbe riuscito a farlo.
Beh. Ero più stramba di quanto pensassi.
- A proposito, è venuto qualcuno dei… - non completai la frase. Will era ormai abituato a quella domanda.
- Mmm, sì, una ragazza. E’ la prima dopo ben due anni. Beh, se escludiamo te, ma stai diventando un’ospite fissa.
Sorrisi. Mi sarebbe piaciuto conoscere un’altra ragazza o un altro ragazzo come me. Will aveva detto che, almeno una volta, ognuno di noi avrebbe dovuto visitare l’Aldilà. L’ultimo, prima di me, era stato lì un sacco di tempo fa. Adesso, dopo un paio d’anni, era toccato ad un’altra ragazza.
- Beh? E com’è? – chiesi. Naturalmente, sapevo al novantanove per cento che non sarebbe mai tornata. Io ero l’eccezione. L’unica.
- Nevrotica, ecco com’è – sbottò. – Appena arrivata ha cominciato a strillare. Ho cercato di calmarla, e lei ha cominciato a fare: “la mia vita fa già abbastanza schifo. Ora vedo pure i fantasmi?”. Ha reagito quasi peggio di te. Beh, almeno non mi ha dato un pugno.
Ignorai il commento maligno e lo incitai ad andare avanti.
- Si chiama Mirasol ed ha diciannove anni. E’ del Sud Dakota.
- Interessante – osservai. – Forse è meglio che vada.
Will annuì. – Ok, torna quando vuoi. Tanto sai come fare… Ah, e porta ancora un po’ di cibo, ok?
- Va bene, va bene – dissi, sorridendo.

Il mio caro angoletto personale :3
Sono tornata! Madrid era favolosa, peccato che sia stata male per tutta la settimana ç_ç ma, come promesso, ho lavorato sodo, e quindi eccovi un bell'aggiornamento estivo (e domenicale xD). Allora, qualche spiegazione. Questo capitolo non ha un vero senso: definisce a fondo la situazione del triangolo Daniel - Gail - Mirko e presenta minimamente Mirasol, un personaggio importante che apparirà in seguito. I prossimi capitoli saranno decisivi soprattutto per quanto riguarda il famoso triangolo e la gravidanza :3 chi, come me, non vede l'ora di veder nascere questo famigerato bambino? HAhahhah :D
 
  
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