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Autore: Amore    21/08/2011    4 recensioni
Mia cugina aspettò pazientemente una qualsiasi reazione da parte mia, ma io rimasi ferma immobile perché un dolore nuovo mi stava squarciando il petto mozzandomi il fiato.
«Hinata, se ne andato.» Affermo Haruka con un tono piatto che non faceva trasparire emozioni. Poi si mosse avvicinandosi alla porta, la aprii e prima di uscire disse «Torna a casa ora.»
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E' la mia prima one-short siate clementi ^^
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Il sole di marzo 



 
[Questa storia la dedico a _NaruHina_ perchè sopporta la mia pazzia ^^]




























Ero inginocchiata al suolo, con le mani piantate a terra e il fiato corto. Nel dojo l’aria era carica di tensione. Avevo perso la cognizione del tempo. Da quanto mi stavo allenando? Le gambe e le braccia che pulsavano dal doloro me ne diedero una vaga idea. Stavo combattendo da troppo tempo. Avevo appena incassato un brutto colpo al petto e le costole protestavano ancora.
Chiusi gl’occhi e cercai di regolare il respiro, dovevo alzarmi o sarei finita definitivamente al tappeto. Sentii dei passi avvicinarsi a me e portandomi le braccia davanti al viso riuscii a parare il calcio del mio avversario. Non ebbi il tempo neanche di pensare una strategia di difesa che il mio rivale mi aveva già sovrastato. Con la schiena premuta sul legno di mogano e un kunai alla gola, guardavo gl’occhi trasparenti di mia cugina.
 In quel momento tra respiri silenziosi, armi e sangue non riuscii a non pensare che erano due occhi freddi. Tutto il suo corpo trasmetteva ostilità e odio. Ma perché? Provava veramente quei sentimenti? Se si, erano di sicuro rivolti a me.
Quegl’occhi chiari continuavano a fissarmi. Non si mosse dalla sua posizione di attacco, anzi avvicinò di poco la lama alla mia gola facendomi sentire il freddo metallo. Quella mossa così dannatamente prepotente mi face spaventare facendo svanire il byakugan. 
«Haruka..» dissi implorando mia cugina.
Lei non rispose.
Dopo pochi secondi si alzò in piedi liberandomi.
Io d’istinto mi tirai su e portai una mano alla gola. Se fossi stata cosciente di quei movimenti non l’averi compiuti. Sarei rimasta immobile, ferma ad aspettare il responso di mio padre.
Perché in fondo lo sapevo, quello non era un normale allenamento. Mio padre era venuto appositamente lì per assistere e giudicare i miei progressi. Ed io avevo miseramente fallito.
Come sempre.
Gl’occhi iniziarono a pungermi facendomi dimenticare il dolore che ad ondate attraversava il mio corpo. L’unica cosa di cui mi rendevo conto in quel momento era lo sguardo di mio padre dietro le mie spalle. Trattenni le lacrime perché quel giorno lui non le avrebbe viste, per nessuna ragione al mondo. Non se le meritava.
Io immobile sul pavimento del dojo aspettavo le parole che mi avrebbero spezzato il cuore. Ogni volta era sempre la stessa storia. Io mi allenavo per tutta la settimana e mi sforzavo, mi impegnavo, ma poi lui mi etichettava come un completo disastro.
Improvvisamente il rumore degli shoji interruppe il flusso dei mie pensieri.
Girai la desta e l’unica cosa che vidi fu la porta scorrere sui binari.
Smisi di respirare. Questo era peggio di mille parole. Non ero abbastanza neanche per sentire i suoi rimproveri.
Mia cugina aspettò pazientemente una qualsiasi reazione da parte mia, ma io rimasi ferma immobile perché un dolore nuovo mi stava squarciando il petto mozzandomi il fiato.
«Hinata, se ne andato.» Affermo Haruka con un tono piatto che non faceva trasparire emozioni. Poi si mosse avvicinandosi alla porta, la aprii e prima di uscire disse «Torna a casa ora.»
Ed ecco che anche lei mi aveva abbandonato. Lo avevo capito, anche lei mi odiava. Restare da sola in quella camera buia e silenziosa era insopportabile. Sentivo l’aria premere sul mio corpo e schiacciarmi per terra.
Scattai in piedi e mi precipitai fuori. L’aria frasca fu un piccolo toccasana e senza accorgermene incominciai a correre. Prima che il cervello comandasse alle gambe di muoversi, le gambe lo avevano detto al cervello. Avevo bisogno di scappare. Già avevo bisogno di evadere da quel posto, dalla mia famiglia, dalla mia vita, dal mio dolore.
I giardini profumati di villa Hyuga mi sfrecciavano accanto e in pochi minuti mi ritrovai tra le strade di konoha. Per quanto scappassi, il dolore si faceva sempre più forte. Mi schiacciava il petto e non riuscivo ad assopirlo. Le lacrime iniziarono a uscire prepotenti e a bagnarmi le guancie.
Perché non riuscivo a fare mai niente di buono?
Perché non riuscivo a dimostrare quanto valevo?
Tutte quelle ore passate con Kihi-sensei non erano servite a niente?
Perché?
Perché mio padre doveva fare così?
Perché tutto questo doveva capitare a me?
Perché era così freddo e duro con me e con Hanabi?
Papà quand’è l’ultima volta che mi hai detto qualcosa di bello?
Quando c’era la mamma lo facevi sempre, mi dicevi che mi volevi bene e mi rimboccavi le coperte. Perché ora non lo fai più?
Papà, papà.. io sono la stessa bambina di due anni fa..ho bisogno di te.
Qualcosa di duro si scontrò con la mia testa. Inciampai nei miei piedi e caddi per terrà. Il terreno era duro e mi colorò tutta la tuta nera di giallo. Cosa era successo?
Con una mano mi massaggiai la testa poi l’alzai per vedere cosa avevo urtato.
D’avanti a me un ragazzino giaceva nella mia stessa posizione. Aveva i capelli biondi scompigliati dal vento e una mano che gli sfregava la fronte.
«Ma sei impazzita!» urlò il ragazzo.
Io mi irrigidì. Sentii le guance infiammarsi. Non volevo urtarlo.
«S-scusa» bisbiglia forse troppo piano per farmi sentire.
Il ragazzo si era alzato e si stava pulendo i pantaloncini blu dalla polvere.
Io abbassai lo sguardo, mi dispiaceva non avevo alcuna intenzione di far del male a quel ragazzo. Come una stupida stavo correndo senza guardare. Ma ero capace di fare qualcosa di giusto?
«Beh che fai non ti alzi!» dissi il ragazzo. La voce così vicina mi fece sussultare.
Un viso tondo e paffuto si era pericolosamente avvicinato al mio. Aprii la bocca per la sorpresa e arrossii dall’imbarazzo.
Due occhi celesti mi guardavano curiosi.
«Ti sei fatta male?» chiese il ragazzo. La sua bocca si incurvò verso il basso. Sembrava.. preoccupato?
Per un po’ rimasi ferma per lo shock. Ma chi era?
Scossi la testa per rispondere.
Lui che con quegl’occhi controllava ogni mia mossa, mi sorrise e piegò la testa di lato.  «Bene»
Si alzò allontanandosi un po’ da me, poi mi tese la mano. «Dai.. ti aiuto ad alzarti.» mi disse continuando a sorridermi.
Io completamente impacciata ci misi un’eternità per capire quello che mi aveva detto.
Poi presi la sua mano. Era bollente e mentre cercavo di alzarmi non riuscii a staccare gli occhi da quel contatto. La sua carnagione era scura e la mia mano vicino alla sua stonava parecchio. Sembrava quella di un morto. Feci presa sulle gambe e in un attimo fui in piedi. Poi staccai subito quel legame.
Sentivo così tanto caldo, era marzo e quella sensazione non era normale. Che fosse quel ragazzo? Cercai di allontanarmi un po’ da lui per prendere aria ma i miei piedi non me lo permisero perché si intrecciarono tra loro.
“Ora cado!” Chiusi gl’occhi aspettando di toccare per la seconda volta terra, ma qualcosa mi tenne in equilibrio. Una mano chiusa sul mio polso destro e un'altra premuta sulla mia schiena. Nuovamente mi ritrovai quel viso pericolosamente vicino. Quegl’occhi erano aperti e mi guardavano con attenzione.
Il mio cuore iniziò a martellare nel mio petto, era troppo vicino!
Io oramai non riuscivo ne a pensare ne a muovere un muscolo. Guardavo solo quegl’occhi e quel viso sconosciuto. Aveva un naso piccolino e degli strani graffi sulla guancia. La sua espressione sembrava così tranquilla e felice. Chi era? Da dove veniva? Come si chiamava? Perché mi stavo facendo tutte quelle domande? Però era bello..
Ad un certo punto le sue guanci si infiammarono e lui si stacco da me. Con la mano con cui mi aveva sorretto la schiena iniziò a scompigliarsi i capelli d’orati.
«Ma.. tu cadi sempre!» dissi il ragazzo con un sorriso un po’ tirato.
Non mi aveva ancora lascito il polso, pensava che inciampassi di nuovo?
«Scusa» un filo di voce uscii dalla mia bocca.
«Non fa niente..»
Aprì la bocca per ringraziarlo quando una voce mi chiamò.
«Lady Hinata finalmente l’ho trovata! Deve tornare a casa. » Kihi-sensei nel suo chimono nero mi stava facendo cenno di avvicinarmi.
Io mi girai verso il ragazzo dagl’occhi azzurri. «Scusa..» iniziai a parlare ma fui subito interrottà.
«Allora ti chiami Hinata» mi chiese sorridendo.
Io annuii.
«Io Naruto Uzumaki» Io suoi occhi si illuminarono.
«Lady Hinata.. suo padre.. deve tornare a casa!»
Attirata di nuovo dalla voce di Kihi-sensei mi voltai, si stava avvicinando.
Prima che potesse arrivare li per prendermi di peso, dovevo salutare.. lui.
Mi girai di nuovo verso il biondino, sentii le mie guancie bruciare. Poi abbassai la testa e gli dissi «Grazie per.. avermi aiutato» e poi ricominciai a correre.
«Ciao Hinata» la sua voce mi raggiunse calda come il sole.
Girai la testa per vederlo un’ultima volta. Mi stava salutando sventolando la mano in aria. Il suo sorriso si vedeva anche da li, bello e sereno. E i suoi occhi brillavano visti da lontano.
“Ciao Naruto” pensai.
E non mi accorsi di niente quando un sorriso si disegnò anche sulla mia faccia. 










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Angolo della sperduta autrice:
 
Ciao popolo di Epf, beh io mi presento sono Amore e sono la causa di questa schifezza qui sopra. u.u
Queste 1476 parole mi sono uscite in un pomeriggio assolato e torrido di qualche giorno fa. Abbiate pazienza con me sono una novellina, spero che qualcuno la legga e la recensisca (ovviamente accetto qualsiasi tipo di critica!)

                                                                                                                                                                                            Amore
   
 
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