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Autore: SFLind    21/08/2011    1 recensioni
VECCHIO TITOLO: La Terra ha le dimensioni di Cuba
Una trentina di persone, amici e non, conoscenti e non, con i loro problemi, i loro mestieri e le loro ragioni, storie, tante storie diverse intrecciate (per caso) tra loro. Chi per scelta, chi per un caso fortuito, chi per errore, condivideranno un periodo della loro vita con persone che mai si sarebbero aspettate di incontrare. Si conosceranno nuovi intrighi, mentre vecchi elemosineranno chiarimenti. Tra notti di fuoco e altre in cui si pianificherà di appiccarlo, una cosa è certa, ciò che accadrà , non lo scorderanno facilmente.
FrUK; GerIta, UsUK; Germancest; Spamano; Bad Trio; Nordic5; SuFin; PruAus; TurEgi; RuLat; Rochu; LietPol; Asian Countries e tanti(issimi) altri..
Vi prego di leggere e commentare, grazie :) Mi farebbe piacere!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA TERRA HA LE DIMENSIONI DI CUBA
 
1 – Il capitolo della pioggia;
 
 
Quella mattina pioveva a Londra.
Il cielo era grigio come non mai e sembrava che lassù qualcuno non facesse altro che lamentarsi.
Guardare fuori dalla finestra, sconsolato, era l’unica cosa che gli era rimasta da fare.
 
Quel giorno anche il cielo era contro di lui.
 
Almeno questo m’impedirà di prendere l’aereo..” pensò alzandosi pigramente dal letto di quella camera, cercando un’inutile luce di conforto.
 
Le pareti di quella stanza, come nel resto della casa, erano ornate da una carta da parati vecchia e scolorita, ma che non aveva ancora intenzione di cambiare.
Il colore originale era un verdone, se non ricordava male, decorato con fiori di un dolce color rosa. Ma quel che ne rimaneva era un chiaro prato verdognolo e delle sbiadite rose di un tristo color carne.
Il pavimento era di uno scuro parquet d’ebano, coperto quasi interamente da grandi tappeti Rococò dalle tonalità inadeguatamente scure.
 
Quella casa era ciò che di più vecchio potesse immaginare, ma il giorno in cui l’avrebbe cambiata era ancora molto lontano.
 
Era letteralmente “una vita” che ci abitava e ogni singolo oggetto in quella stanza raccontava una sua storia.
 
Però, certamente mancava qualcosa in quella casa.
 
La carestia di foto era difficile da ignorare.
 
Quadri e dipinti erano appesi ovunque. Ritratti di individui dalle pose esageratamente snob e vestiti ampollosi assalivano quelle vecchi pareti.
Ma di foto ve n’erano davvero poche.
Tutte ritraevano un piccolo bimbo dal viso imbronciato e piagnucolone.
Tutte tranne una. La più recente.
Era posta su uno degli scaffali più alti della libreria, in una cornice impolverata che nessuno prendeva in mano da anni.
Sotto quel vetro sporco, nel bianco e nero della foto, un altro bambino guardava l’obbiettivo con una smorfia sorpresa, mentre accanto a lui un ragazzino gli poggiava una mano sulla spalla, sorridendo posato.
 
Lo scrosciare della pioggia sulle finestre continuava imperterrito e per un momento si confuse con quello della doccia.
 
L’acqua fredda frantumò violentemente l’aria assopita che regnava quella mattina, e bestemmie e parolacce volarono sofferenti in quel bagno di marmo e oro.
Nel giro di qualche minuto un corpo seminudo girava per casa in asciugamano.
Nervoso, bagnato, ma sveglio.
 
- Che giornata di merda – si ripeteva sconfortato.
 
Poi suonò il campanello.
Nonostante quel giorno la sua agenda non prevedesse impegni.
 
Attraversò il corto corridoio d’ingresso e raggiunse la porta.
Dimenticò completamente di guardare dallo spioncino chi potesse venire a fargli visita di prima mattina e con un tempo del genere a rovinare la normalmente quieta aria londinese.
Poggiò la mano destra sulla maniglia e girò il pomello dorato.
Con un cigolio, la porta che portava inciso in oro massiccio il nome di “Arthur Kirkland” si aprì cautamente.
 
Dall’altra parte del porticato due sottili occhi blu lo fissavano furenti.
 
- Lo sapevo! – urlò l’uomo puntandogli l’indice contro.
- Il Russo ci aveva visto giusto! Sei ancora nudo! –
 
Il diretto interessato lo fissava sconcertato.
 
L’uomo aveva un viso bellissimo, una folta chioma di capelli biondi che scendevano ondulati e aggraziati sul collo, due occhi mare e della barbetta che gli cresceva curata sul mento.
 
Emanava eleganza e grazia da tutti i pori.
 
- Che cazzo fai lì impalato sulla porta?! – disse.
- Fammi entrare schifoso di un inglese! O dobbiamo restare a fissarci per tutta la giornata?! – diede una spinta al giovane sulla porta, ed entrò come una furia.
 
Il ragazzo alle sue spalle, ancora a bocca aperta, si chiuse dietro la porta, seguendo l’ospite inaspettato con lo sguardo.
 
L’altro continuava a sbraitare e imprecare con un marcatissimo accento francese contro una certa persona che si era fatta trovare in asciugamano al suo arrivo.
 
Poi, finalmente, anche il giovane attivò la zona del cervello riservata agli insulti.
 
- Aspetta un attimo! – urlò anche lui – Ma che minchia ci fai tu a casa mia?! Perché cazzo stai gridando come una checca isterica?! –
 
- Non è colpa mia se voi inglesi schifosi siete così prevedibili! –
 
- Ma di che parli Vinofilo del cacchio?! –
 
Si quella sarebbe decisamente stata una giornata di merda.
 
 
*
 
 
- Allora.. Mi ripeti con calma perché sei qui? – chiese visibilmente irritato.
 
- Te lo dirò ancora una volta, va bene? Sono qui per assicurarmi che tu ti prepari e venga all’aeroporto per prendere l’aereo delle 11:30 am – rispose rilassato Francis Bonnefoy mentre sorseggiava una tazza di thè alle rose.
 
Arthur Kirkland si massaggiò le tempie sotto i capelli color grano, mentre l’espressione corrucciata sul suo viso portava le folte sopracciglia a corrugarsi sugli occhi verde smeraldo, nascosti dalle palpebre chiuse.
 
- E tutto questo perché…? – continuava, sempre con maggiore irritazione.
 
- Perché oggi è il 4 di Luglio – concluse secco l’altro, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Poggiò la tazzina di porcellana a fiori sul tavolino e alzò lo sguardo alla ricerca di quello del ragazzo di fronte a lui.
 
Arthur lo resse, mentre nella sua mente tutto cominciava ad acquistare una sua logica.
 
- Sinceramente credevo di conoscerti meglio – riprese il francese, abbassando ancora lo sguardo sulle mani incrociate sulle ginocchia, poi rialzandolo nuovamente per continuare.
- Non mi sarei mai aspettato un tale infantilismo.. E’ stato Ivan a farmi venire il dubbio.. E a quanto pare aveva ragione! – un forte tono di disappunto.
- Tu non saresti venuto! –
 
- Onestamente, - ghignò Arthur – è come mandare ad un morto l’invito per l’anniversario della sua morte.. Non m’ispira per niente – ammise ancora con quel sorriso amaro sulle labbra.
 
- Avevo dimenticato fossi così pessimista – notò provato Francis.
 
- Non si tratta di pessimismo, ma di realismo –
 
- Com’è la tua tazzina? –
 
- Non ci casco in questi cliché. Ti pensavo più originale! –
 
- Visto? Guardi sempre tutto dal lato negativo! Tu, pensala così: una normale serata tra amici, una torta di compleanno, qualche regalo e una canzoncina di “Tanti Auguri”.. Tutto qui! Poi potrai tornare a casa tranquillo.. –
 
- Credimi, riuscirebbe meglio se non venissi! –
Non che pensasse davvero che qualcosa potesse riuscire meglio senza di lui, ma ciò che poco prima aveva elencato l’amico non lo tentava minimamente.
- Poi non ho nemmeno un regalo! – disse cercando di fingersi un po’ più dispiaciuto di quanto non fosse.
 
- Per quello troveremo una soluzione! – lo incalzò l’altro, prendendo posto accanto a lui sul divano.
Gli diede una leggera pacca sulla spalla.
- Vedrai che ci divertiremo! – disse allargando un grande sorriso.
 
L’inglese sorrise di rimando, poco convinto e combattuto per essersi scavato la fossa da solo.
 
- A proposito.. – riprese il francese con un tono molto più interessato di quello utilizzato prima, come sul punto di star per rivelare un segreto.
 
Arthur si voltò per guardarlo in faccia. Quegli occhi blu brillavano, mentre un sorriso malizioso compariva sul suo viso.
 
Un campanello d’allarme trillò nella sua testa.
 
- Non avevo mai notato avessi un tanto bel fisico.. – diceva mentre di avvicinava pericolosamente.
- Un po’ magrolino forse, ma non male.. –
 
Arthur scattò in piedi.
 
- Stammi lontano! Vinofilo di merda! Già ubriaco a quest’ora?! – disse facendo per andarsene.
 
- Non essere così repulsivo, cherì! – continuava l’altro, afferrandolo per l’asciugamano.
 
- Lasciami andare! Francese maniaco! –
 
Non si sa bene cosa accadde, ma urla e strani rumori volarono per la casa quella mattina.
 
 
*
 
 
Tutto vestito di tutto punto, Arthur Kirkland si guardava riflesso nello specchio, mentre nella sua mente la speranza di poter rimanere a casa si faceva sempre più lontana.
 
Dietro di lui, Francis Bonnefoy osservava distrattamente le foto poste sulla scrivania.
 
- Parlo sinceramente, - disse rompendo il silenzio della camera – secondo me te le sei presa troppo a cuore –
 
Volse lo sguardo sul piano più alto della libreria, lì dove una cornice si consumava dalla solitudine.
 
- Si.. Decisamente troppo –
 
Il biondo nello specchio non diede cenno di aver ascoltato.
 
- Credimi, capisco fin troppo bene che la situazione è difficile, e so anche che i vostri rapporti non sono buoni.. Ma mi pare che adesso sia passato tempo a sufficienza per andare oltre.. –
 
I due si rivolgevano le spalle.
 
- Non so davvero di cosa tu stia parlando. Ho visto che il tempo era brutto e ho pensato che non sarebbe stato il caso di rischiare –
 
- Buona scusa, complimenti – ridacchiò Francis.
Incrociò le dita dietro la nuca.
- Ma siamo amici da cos’ tanto tempo che non me la berrò.. Non hai nemmeno comprato il regalo! –
 
- L’ho solo dimenticato –
 
- E ho anche acquisito abbastanza esperienza da sapere che se fosse stato così non lo avresti mai ammesso –
Sorrise.
 
Dove vuoi arrivare?
 
- Vedi, non sono venuto qui apposta da Parigi solo per trascinarti ad una stupida festa di compleanno –
 
- No? – disse ironico l’altro.
 
L’Arthur nello specchio e quello fuori non si rivolgevano più lo sguardo, improvvisamente interessato al pavimento d’ebano.
 
- No, esattamente – disse.
- Sono qui per farti capire che è arrivato il momento di voltare pagina, ormai è passato troppo tempo per stare ancora a rimuginarci sopra.
 
Ma di che diavolo parli?!
 
Francis s’incamminò verso l’amico in piedi di fronte allo specchio.
 
- Tu ed io ne abbiamo passate tante, ma ancora adesso siamo amici.. E’ la vita! A volte si vince e a volte si perde.. E tu quella volta hai definitivamente perso. Punto –
 
- Non mi stai affatto consolando –
 
- Non era mia intenzione farlo! – rise e gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
 
L’inglese si voltò verso di lui.
 
- C’est la vie! – ammiccò sorridente.
Probabilmente si sentiva compiaciuto e commosso del discorso che aveva fatto.
 
- Già.. – disse l’amico, con poca convinzione e molta rassegnazione.
- C’est la vie.. – l’accento inglese rovinò il celebre francesismo.
 
Il silenzio che scese aveva un che d’imbarazzante.
 
- Sai che spari veramente tante cazzate? -  rise.
 
- Si, lo so! -
   
 
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