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Autore: Moony3    22/08/2011    3 recensioni
Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction: "La Chiave del Tempo" (quindi, essendo un Antefatto, può essere letta da tutti).
È strettamente legata al Tempo, ma non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo.
Vi ritroverete infatti a passeggiare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte famosi (ma non troppo) altre no - che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata la scusa ideale per immaginarmi quello che potrebbe essere successo prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Se anche voi siete afflitti da questa curiosità, liberate la fantasia e partite per questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo Terzo

L'Orda del Tempo


York, notte tra il 2 e il 3 di maggio 1382 A.D.

La luna brillava alta e piena, quella notte, disegnando dense ombre sul selciato sconnesso dell'angusto vicolo.
La giovane donna, dopo averle scoccato un'occhiata pensosa, si avvolse meglio nel mantello e affrettò il passo.
Sedici anni, pensò sconcertata, sfiorando il massiccio medaglione che portava al collo.
Sedici anni, e lei davvero non capiva il perché.
Avrebbe giurato che gli anni sarebbero stati venti. Lo avrebbe anche capito, in quel caso. Ma così...
Scosse il capo, turbata, schivando con eleganza un ratto grosso come Balthazar - il suo adorato gatto - e chiedendosi, per l'ennesima volta, dove potesse essere andato quell'uomo esasperante.
Costringerla a intraprendere una simile avventura all'insaputa di Aurelius e dell'intera Orda!
Ma ci avrebbe pensato lei a farlo rinsavire. Si sarebbe pentito di quel gesto scriteriato. Lo avrebbe strigliato per benino, altroché! Gli avrebbe...
Oh, ma chi voleva prendere in giro!
Non gli avrebbe fatto proprio niente, questa era la triste verità.
Si sarebbe limitata a sorridere con quell'aria ebete che le si appiccicava in faccia ogni volta che John incrociava la sua strada.
Cosa inevitabile visto che, dai tempi di Hogwarts, era innamorata persa dell'irritante soggetto in questione.
Già, lei, Althea Black, innamorata persa di un nato Babbano. Smistato a Grifondoro, per di più.
E, giusto per rincarare la dose, allevato da un membro dell'Ordine di Merlino.
Non che a lei importasse; ma ai suoi amorevoli parenti sarebbe venuto un accidente se lo avessero saputo.
O forse no.
I suoi amorevoli parenti si aspettavano cose assolutamente turpi, da lei.
Erano preparati.
Aveva gli occhi grigi. E ogni Black degno di questo nome sapeva bene che non ci si poteva aspettare nulla di buono da un Black con gli occhi grigi. Erano strani i Black con gli occhi grigi. Propensi a devianze insensate.
E Althea non faceva eccezione.
Lo aveva dimostrato fin dalla più tenera età, raccogliendo tutti i randagi che le capitavano a tiro e portandoli nell'avita dimora.
La conferma più eclatante l'aveva poi data al suo arrivo a Hogwarts, quando era stata smistata niente meno che a Tassorosso.
Tassorosso!
Sua madre era sopravvissuta a stento alla crudele notizia. Il padre era parso meno provato: dove altro avrebbe potuto essere smistata, in fondo, una Black con gli occhi grigi che raccoglieva tutti i randagi che le capitavano a tiro?
Stringendosi rassegnata nelle spalle, Althea alzò lo sguardo: il centauro incontrato nella radura in cui si era aperto il Portale del Tempo non si era sbagliato.
L'oscurità stava già cominciando ad ammantare il disco argenteo della luna: un'eclissi.
Un fatto assolutamente naturale, come ogni buon astronomo sapeva.
Ma i Babbani non erano affatto buoni astronomi. Non più.
Avendo dimenticato come spiegare fenomeni del genere, si rifugiavano in tetre e superstiziose leggende "ispirate", per lo più, da maghi privi di scrupoli e colmi di odio - Aurelius sosteneva fosse paura - verso i Babbani o, meglio, verso i maghi nati da Babbani.
Althea saltò con agilità una pozzanghera maleodorante e sbuffò esasperata: detestava la situazione creatasi grazie al comportamento irresponsabile dei succitati maghi ispiratori di leggende.
I Babbani provavano da sempre un sospetto istintivo per i maghi e quelle tetre storie, alimentandolo sapientemente, li spingevano a comportamenti inconsulti e violenti che si stavano rivelando devastanti per gli stessi Babbani.
Solo per loro.
Erano i loro bambini che, se si rivelavano dotati di poteri magici, venivano sistematicamente trucidati - assieme ai genitori se questi tentavano di difenderli - da vicini di casa inferociti e terrorizzati.
Erano le loro donne, del tutto prive di ogni potere magico, a venire arse vive.
Assieme ai loro gatti, naturalmente. Althea era stata adottata da Balthazar proprio dopo averlo strappato dalle mani di uno zelante ciabattino.
L'emaciato omuncolo le aveva urlato stizzito che non sapeva cosa stava facendo; che i gatti erano animali pericolosi e demoniaci.
L'emaciato omuncolo aveva seriamente rischiato di vedersi trasfigurato seduta stante in un vaso da notte, ricordò Althea, scalciando rabbiosa un sasso che colpì un ratto ancora più grosso di quello incontrato in precedenza.
Eccola la conseguenza più diretta del dissennato sterminio dei gatti: topi grossi come volpi scorrazzavano indisturbati per la città, nutrendosi degli abbondanti rifiuti e portando malattie aggressive come la Grande Pestilenza che, decenni prima, aveva decimato la popolazione di York. E dell'Europa intera.
Ancora una volta, erano stati i Babbani a pagare il prezzo più alto.
Quasi esclusivamente i Babbani.
E, come era immaginabile, dopo la Grande Pestilenza la situazione era precipitata.
I roghi venivano innalzati con una frequenza inquietante: chiunque veniva sorpreso a fare qualcosa di strano, o di supposto tale, era tacciato come untore - o come strega - e condannato ad ardere sulla pubblica piazza.
Ma nessuna vera strega era mai arsa sulla pubblica piazza, di conseguenza alla comunità magica interessava molto poco la questione.
Solo i membri dell'Ordine di Merlino - che avevano giurato di proteggere i Babbani - tentavano di limitare i danni. Agendo nell'ombra, naturalmente.
Molti maghi non avrebbero gradito, no.
E neppure i Babbani sarebbero stati entusiasti della cosa.
Per fortuna, i membri dell'Ordine avevano molta fantasia...
In ogni città d'Inghilterra esisteva ormai un gruppo di maghi che si era prefisso il compito di salvare gli innocenti dai roghi usando tutti i mezzi - magici e non - a disposizione.
Aurelius era a capo del gruppo di York. Anche Althea faceva parte di quella manciata di maghi, di quell'Orda, come amava definirla lei.
I fieri membri della nobile casata dei Black ne erano all'oscuro, ovviamente.
Ma, del resto, lei era una Black atipica, come il suo antenato prediletto: Aldebaran Black.
I suoi genitori non parlavano volentieri di Aldebaran. Per svariati motivi.
Era stato un Black assai poco affidabile: come tutti i Black dagli occhi grigi.
Ma Althea sapeva molte cose su di lui. Era stata proprio una pergamena scritta da Aldebaran a condurla da Aurelius. Una pergamena che parlava delle Chiavi del Tempo.
Aldebaran aveva custodito le Chiavi per decenni, senza più utilizzarle dopo la sua prima, fallimentare esperienza e, con l'aiuto del centauro Iskander, aveva posto le basi per la creazione delle sorelle minori delle Chiavi: le Giratempo.
Quelle stesse Giratempo che permettevano ai membri dell'Orda di addentrarsi nel passato per salvare le vittime innocenti di quella follia collettiva scatenata dai maghi ossessionati dalla purezza del sangue.
Althea osservò pensosa il medaglione che portava al collo: nessun membro dell'Orda aveva mai viaggiato così lontano nel tempo, però.
Le Giratempo non lo permettevano.
Le Giratempo concedevano solo qualche ora. Qualche giorno, nel caso di quelle più potenti. Ma anni... no, nessuno aveva più tentato un'impresa del genere dai tempi di Aldebaran Black.

Un rumore di passi frettolosi distolse Althea dalle sue elucubrazioni.

Torce. Molte torce.

Un gruppo di persone - uomini, donne e bambini - si era riversato in strada dirigendosi, a passo sostenuto, verso la Piazza della Cattedrale.
Althea lo seguì silenziosa, coprendosi scrupolosamente la testa con il cappuccio del mantello.
La Chiave ronzava sommessa, indicando che anche John doveva essere nei paraggi. Althea non ne comprendeva il motivo, però.
Sbucata nella piazza, la strega si guardò attorno.
La folla si accalcava, accerchiando frenetica un palco improvvisato con qualche asse di legno e scrutando impaurita il cielo: metà luna era già stata coperta, come inghiottita dall'immonda bestia che popolava gli incubi superstiziosi di quella povera gente.
Sul palco, un uomo alto e massiccio arringava la folla terrorizzata: «Nulla di male potrà accadere ai buoni cittadini, figli miei» proclamava stentoreo con la sua piacevole voce baritonale. «La luna tornerà ad illuminare le notti delle persone virtuose, se queste continueranno a temere il Maligno e a consegnare alle autorità i suoi adoratori».
Althea sbuffò, tentata dall'idea di colpire con uno Schiantesimo il loquace oratore.
Fortunatamente per lui venne distratta dalla Chiave del Tempo che cominciò a ronzare con maggiore intensità; sorpresa, Althea distolse gli occhi dal predicatore e scrutò con attenzione la piazza.

Un uomo dai capelli chiari se ne stava spavaldo lontano dalla folla.

Non tremava, non salmodiava nenie lamentose, non si avvicinava al predicatore in cerca di conforto.
Se ne stava semplicemente lì, in disparte, appena lambito dal chiarore rassicurante delle torce. Solo.
Althea gli si avvicinò rapida, nascondendo sotto il mantello la Chiave del Tempo che, accesasi di bagliori dorati, proclamava imperiosa di avere finalmente ritrovato la propria gemella.
«John?» mormorò sollevata la donna, odiandosi per il sorriso ebete che, ne era certa, le stirava le labbra.
L'uomo si voltò di scatto, sbigottito.
Poi abbassò con decisione il cappuccio che nascondeva il viso della donna e gemette esasperato: «Al...»
Althea ridacchiò: Al. Solo lui osava chiamarla in quel modo assurdo; l'aveva sempre chiamata in quel modo assurdo, incurante, come un vero, ardimentoso Grifondoro, delle minacce da lei propinategli per convincerlo ad abbandonare quella deprecabile abitudine.
L'uomo le scoccò uno sguardo contrariato e sospirò: «Dovevo immaginarlo. Ma come hai fatto a...»
«Me lo aspettavo. Da quando so che Aurelius è il Custode delle Chiavi ti tengo d'occhio».
L'uomo inarcò un sopracciglio, sconcertato. Poi proseguì: «Non ti permetterò di fermarmi, Al. Devo farlo. E questa notte avrò l'occasione perfetta. Devo solo aspettare il momento giusto».
«Temo tu abbia sbagliato anno, John...» sussurrò la donna osservando il predicatore che continuava, imperterrito, ad arringare la folla.
John scosse il capo, fissando nervoso il cielo. «No. Non ho sbagliato anno».
«Ma...»
Con un gesto secco l'uomo l'azzittì e, proprio mentre la luna veniva completamente avvolta dall'oscurità, estrasse dal mantello una balestra incoccando, rapido, un piccolo dardo piumato.
Althea trattenne il respiro, disorientata.
La folla attorno a loro gemeva, impaurita, e il predicatore indicò ieratico il cielo, gridando: «Che io possa venire trapassato proprio ora da un dardo di balestra, se vi sto mentendo!».
Allora Althea capì e, agendo d'impulso, si scagliò contro il compagno con tutta la forza del suo peso.

Non fu la sola.

Un grosso maiale bianco, sbucato da solo Merlino sapeva dove, la anticipò, colpendo deciso John con la massiccia testa irsuta.
L'uomo, sbilanciato, cadde scoccando involontariamente il dardo che rimbalzò contro il muro di pietra della Cattedrale. Ben lontano dall'ispirato predicatore.
Guardandosi attorno preoccupata, Althea notò che nessuno si era accorto della comparsa del suino o del dardo scoccato: erano tutti troppo impegnati a scrutare, con affascinato terrore, la vellutata oscurità che aveva ammantato la luna.
Sollevata, Althea osservò il maiale che, curioso, stava annusando con entusiasmo l'umano borbottante trovatosi sulla sua strada.
Il mantello dell'uomo, soprattutto, sembrava incontrare i gusti della bestiola, per lo meno a giudicare dalla bramosia con cui tentava di addentarlo sedendo, leggiadra, sulla balestra sfuggita dalle mani di John.
Imprecando, l'uomo si sollevò a sedere, sottraendosi con mala grazia alle attenzioni del suino che, vistosamente oltraggiato, diede un ultimo strattone al mantello e se ne andò a grufolare altrove.
«E' opera tua, Al?» chiese l'uomo, guardando mesto la balestra ammaccata dal ragguardevole peso del suino.
Althea fu un po' sorpresa dalla calma dimostrata dal compagno. Si sarebbe aspettata una reazione decisamente più rabbiosa. «Certo che no! Non ho la capacità di richiamare i maiali, mio caro, mi hai preso forse per la maga Circe?»
«La maga Circe non richiamava i maiali. Si divertiva a trasformarci gli uomini, in maiali. E tu sei sempre stata bravissima in Trasfigurazione».
«Grazie per il complimento. Ma tu sei ancora umano, mi pare, quindi no, direi che quel maiale non è opera mia...»
John ridacchiò sommesso. «Sì, te lo concedo. Deve essere stato mandato da Atreus, allora».
«Da chi?»
«Un centauro amico di Aurelius. Un tipo interessante. Convinto di dover vigilare sul Custode delle Chiavi».
«Oh. Un affascinante centauro biondo che vaga nella foresta blaterando di eclissi di luna, di stelle particolarmente loquaci e di anomalie temporali?»
«Non l'ho mai considerato affascinante, a dire il vero, ma è biondo, sì. E vaga nella foresta snocciolando assurdità astronomiche e temporali. Mi sono imbattuto in lui nel futuro, prima di attraversare il Portale del Tempo. E ci sono andato a sbattere anche qui, nel passato, ahimè. Sono sicuro che quel dannato coso grufolante è stato mandato da lui».
Althea scrollò le spalle e, visto che John non pareva intenzionato ad alzarsi, gli si sedette accanto.
«Sai, mi aspettavo una reazione più rabbiosa da parte tua».
«Davvero?»
«Sì. Sembri quasi sollevato».
L'uomo si strinse le ginocchia contro il petto e vi appoggiò il mento. «Suppongo di esserlo, infatti».
«Davvero?»
«Davvero. Non ho mai ucciso un mio simile, Al. Non è facile come pensavo...»
La strega gli scostò i capelli dal viso con una carezza. «Volevi davvero uccidere il predicatore?»
L'uomo le afferrò la mano portandosela con dolcezza alle labbra, poi sospirò amareggiato. «Dovevo. Ed era il momento perfetto».
«Ma perché uccidere un Babbano?»
«Non è un Babbano, Al».
Althea cercò con lo sguardo la sagoma massiccia del predicatore.
Era sceso dal palco e stava venendo lentamente verso di loro; la folla, adorante, si apriva al suo passaggio mormorando ringraziamenti sinceri e guardando sollevata la luna che, lentamente, ricompariva nel limpido cielo color inchiostro.
La torce illuminavano i radi capelli scuri e il volto pallido dell'uomo; ad Althea ricordava qualcuno, ma non riusciva a decidere chi.
John parve accorgersene e, quando l'uomo fu a pochi passi da loro, sussurrò: «Guarda il suo medaglione, Al».
Althea ubbidì. Un grosso medaglione dorato - che ricordava per forma e dimensione una Chiave del Tempo - riluceva sulla tunica scura dell'uomo; la luce calda delle torce giocava con l'elaborato arabesco che ne decorava il centro, traendone intensi bagliori di smeraldo.
La strega sussultò: conosceva quel medaglione.
Tutti i membri dell'Ordine di Merlino lo conoscevano.
Era antico quanto l'Ordine stesso. Apparteneva da sempre ai Serpeverde e, al momento, era affidato alle cure di Siegmund, un mago potente, orgoglioso rampollo di quell'antica famiglia Purosangue: il più fiero e accanito persecutore dei nati Babbani!
«Dovevo tentare, Althea» proseguì John, un'ombra di dolorosa rabbia nella voce. «Quell'uomo sarà la causa della morte di molti innocenti. Quell'uomo è già stato la causa della morte di molti innocenti».
Althea scrutò incuriosita il compagno stringendogli con dolcezza la mano che ancora tratteneva la sua. «E' stato lui che ha...»
«Sì» la interruppe secco lui, mostrando chiaramente di non volere affrontare quel discorso.
Non voleva mai affrontare quel discorso. Non con lei, almeno.
«Come facevi a sapere che avrebbe detto proprio quella cosa del dardo di balestra?»
John sorrise, scorrendo con lo sguardo la folla che osservava rapita la lenta ricomparsa della luna.
«Non lo immagini, Al? Aspetta, non è facile con tutta questa gente ma...» indicò vittorioso uno smilzo ragazzino di una decina d'anni che osservava la scena restandosene, imbronciato, in disparte. «Eccomi lì».
«Ma... razza di incosciente! Sei venuto qui sapendo che anche il tuo alter ego passato vi si trovava? E se ti avesse incontrato? E se...»
«Guardalo, Al. E poi guardami. Lui non mi avrebbe certo riconosciuto. E io sapevo esattamente dove non andare, ti pare?» tacque per un istante, poi spiegò: «Ricordo questa notte come fosse appena trascorsa».
«E' l'anniversario della...»
«Già».
«In effetti pensavo che saresti andato più indietro nel tempo, John».
L'uomo girò il capo, guardandola sorpreso. «Davvero?»
«Sì, davvero. Pensavo che avresti tentato di salvare i tuoi genitori».
John si ritrasse di scatto, come se Althea lo avesse colpito con uno schiaffo. Poi balzò in piedi, sconvolto. «Io non credevo... loro sono... Aurelius mi ha sempre detto che nessun incantesimo può riportare indietro i morti» si azzittì, guardando pensoso la Chiave del Tempo che portava al collo.
Althea si alzò a sua volta, spiegando con tutta la dolcezza di cui era capace: «E' vero, John. Nessun incantesimo è abbastanza potente per quello. Ma pensavo che tu, usando la Chiave, tentassi di impedire la loro morte come ha fatto Aulo».
«Io... non ci ho proprio pensato...» sussurrò John, serrando rabbioso la Chiave tra le dita. «Ma posso ancora rimediare!»
«Cosa? John non...»
«Aurelius è appena diventato il Custode delle Chiavi. Devo solo andare a casa e prenderle».
«No! Potresti incontrarlo».
«Lo escludo. Lui sta venendo qui a recuperarmi. E poi sarà impegnato fino all'alba per tentare di impedire catture di Babbani innocenti. E' solo, Al. Non esiste ancora quella che tu ami definire l'Orda e non possiede neppure una Giratempo. Questa sarà una notte di intenso lavoro, per lui» indicò la folla che, ormai rassicurata, si accalcava attorno a un gruppo di uomini vestiti con lunghe tuniche scure impreziosite da sinuosi ricami d'argento. «L'eclissi ha terrorizzato questa gente. Molti nomi saranno proposti ai Ghermidori».
«Ma...» prima che la strega potesse finire la frase, John era già corso via, inghiottito da un vicolo buio.
Althea, scoccando un'ultima occhiata alla folla, lo rincorse, arrivando giusto in tempo per assistere alla sua Smaterializzazione.
Sbuffando contrariata e assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi, lo imitò.

***

Althea respirò a pieni polmoni l'aria fresca e balsamica del bosco: il vento era benigno quella notte, non trasportava l'odore pungente del fiume.
La luna, ormai completamente liberatasi dall'oscurità, inondava con la sua morbida luce argentata la casetta di legno e pietra di Aurelius.
I Babbani si chiedevano sconcertati come mai quell'uomo gentile e socievole - che per loro era solo un ottimo speziale - preferisse abitare fuori dalle mura della città, ma Althea lo capiva benissimo.
Aurelius era dotato di una natura solare, amava la gente e sapeva integrarsi alla perfezione con i Babbani.
Alcuni dei suoi amici, però, avrebbero avuto seri problemi a passare inosservati dentro le mura di York.
Il centauro biondo che sostava sulla soglia della casa in quel momento era sicuramente uno di questi.
Althea non riuscì a trattenere un sorriso quando notò il grosso maiale bianco che trotterellava allegro tra gli zoccoli del centauro. John aveva indovinato, a quanto pareva: era davvero Atreus colui che si dilettava a imitare le discutibili gesta della maga Circe.
Il centauro scalpitò, agitando con energia la folta coda nel tentativo di allontanare la caparbia bestiola, poi guardò Althea, indicando con un lieve cenno del capo l'interno della casa.
Althea si avvicinò, decisa a varcarne la soglia, ma il centauro la fermò con un gesto imperioso. «Non con quella» disse serio, fissando la Chiave del Tempo della donna. «Non è saggio. Non so di preciso cosa potrebbe succedere se una Chiave del Tempo entrasse in contatto con se stessa. E non desidero scoprirlo».
«Ma John...»
Il centauro sorrise, mostrandole il medaglione che gli cingeva il collo. «Il puledro di Aurelius è testardo e impulsivo... ma non è del tutto stolto».
Althea annuì sollevata, affidando anche la sua Chiave al centauro, quindi attraversò decisa la soglia.
Fu sorpresa da quanto familiare le sembrasse quel posto.
Praticamente nulla era cambiato in quei sedici anni.
John sedeva sul pavimento di terra battuta, davanti al focolare spento, una vecchia lanterna un po' ammaccata gli fluttuava sopra la testa, accendendo di riflessi dorati i suoi capelli color sabbia.
Althea si avvicinò, silenziosa e gli si accovacciò accanto, osservando incuriosita il vecchio scrigno di lucido legno scuro che l'uomo reggeva tra le mani: lo scrigno delle Chiavi del Tempo.
«Sono strane» mormorò confuso John, senza alzare lo sguardo.
Era vero. Le due Chiavi del Tempo contenute nello scrigno erano effettivamente molto strane.
Il serpente ne ornava il bordo, come sempre, ma della fenice scarlatta che sorgeva, maestosa, da fiamme d'argento non vi era traccia.
Il centro dei monili non era neppure vuoto come in una Chiave attivata, però.
No, al centro di quelle due Chiavi erano rimaste le fiamme argentate che sfolgoravano più vivide e alte dell'usuale: come alimentate dal sacrificio della fenice scomparsa.

«Non potete usarle. Sono già in funzione». Spiegò la voce profonda e distaccata di Atreus. «Voi due le avete azionate».

Althea alzò di scatto il capo, osservando incredula il centauro che, ancora fermo oltre la soglia della casa, dava loro le spalle e osservò: «Sì, ma nel futuro. Qui nessuno le sta usando...»
«Non esistono Chiavi del passato e Chiavi del futuro» spiegò paziente il centauro, la voce resa ancora più distaccata e misteriosa dalla lontananza.
Althea ci pensò un istante. Aveva un suo senso, doveva ammetterlo.
John si alzò con impeto, serrando i pugni rabbioso e scalciando lo scrigno delle Chiavi.
Per un istante la donna temette che potesse colpirla. O per lo meno urlarle qualcosa di assai poco piacevole.
Ma, naturalmente, non lo fece: era pur sempre il suo John, quello...
L'uomo si avvicinò invece al muro e sferrò, furente, un pugno alla parete. Poi si voltò, massaggiandosi le nocche e, guardando la donna senza apparentemente vederla, appoggiò le spalle al muro. Sconfitto.
Althea gli si avvicinò allungando una mano per una carezza, ma John si scostò come scottato, rifuggendo il suo tocco.
La strega si sentì morire.
Avrebbe preferito mille volte che John urlasse con lei. Che sfogasse la sua rabbia. Avrebbe preferito qualsiasi cosa a quell'ostile, dolorosa apatia.
«John, perdonami...»
John alzò bruscamente la testa, come se solo in quel momento si fosse ricordato di non essere solo. «Tu chiedi perdono? Oh, Althea...» scosse il capo, incredulo, scostandosi dalla parete e, raccolto lo scrigno, lo ripose in una massiccia cassapanca di legno.
«Althea?» chiese la strega, afflitta.
«E' il tuo nome. E' così che hai sempre voluto essere chiamata» rispose il mago, tentando un sorriso che non riuscì però a nascondere il disgusto che trasudava dalla sua voce. «Io direi di andare, ora. Non c'è più nulla che possiamo fare qui».
«John. Mi dispiace, davvero. Capisco che tu sia arrabbiato con me, ma...»
«Arrabbiato con te? Merlino, Althea! Se tu non fossi venuta io avrei ucciso Siegmund Serpeverde!»

«No che non lo avresti fatto, puledrino, fidati. Ti avrei fermato io» lo contraddisse il centauro, prima di venire azzittito da un deciso grugnito di protesta. «Sì, maiale, va bene. Lo avresti fermato tu, tecnicamente. Ma su mio consiglio, no?»

John sbuffò, uscendo dalla casa. «Pensavo che i centauri fossero creature nobili e discrete, Atreus, incapaci di origliare le conversazioni altrui».
«Infatti io non stavo origliando. Ma tu urlavi. E noi centauri siamo dotati di un udito finissimo».
Il mago gemette esasperato, poi, dando ostinatamente le spalle alla donna, afferrò la Chiave che gli porgeva il centauro e si avviò deciso verso il bosco.
Althea abbassò lo sguardo, addolorata.
Atreus le si avvicinò sussurrando con gentilezza. «E' molto cresciuto. E la sua rabbia è cresciuta con lui».
«Non è rabbia. E' dolore» constatò lei abbassando gli occhi avvilita. «E disprezzo...»
Il centauro corrugò le sopracciglia, scrutandola assorto. «Dolore e disprezzo sono stati generati dalla rabbia, nel suo caso».
Althea si strinse nelle spalle. Ormai non le interessava granché scoprire cosa avesse generato il disprezzo che John riversava su di lei.
«Mi chiedo solo se riuscirà a superarlo».
Il centauro la guardò intensamente, poi indicò vago la volta stellata. «Se è destino...»
«Il destino si può cambiare!»
«Solo se decide di lasciarlo fare».
Althea gli strappò la Chiave dalle mani: «Tu non preoccuparti» additò il maiale che stava allegramente degustando le rigogliose piantine di erbe officinali che prosperavano nel piccolo, curato orto di Aurelius. «Rimanda, piuttosto, questo maiale dove lo hai preso, prima che si mangi anche la casa, e lascia che a John e al suo destino ci pensi io! Il destino non ha mai spaventato un Black. Tanto meno un Black con gli occhi grigi!» e, dopo un ultimo buffetto affettuoso al vorace suino, la donna s'inoltrò a sua volta nel folto del bosco, alla ricerca del Portale del Tempo.


York, notte tra il 2 e il 3 di maggio 1398 A.D.

«Anche il secondo Portale si è richiuso, Aurelius».

Una voce profonda e distaccata raggiunse Althea, riportandola alla realtà.
Conosceva quella voce, ne era sicura. Doveva solo associarla al proprietario. Non sembrava una cosa tanto difficile, in fondo.
Ma si sentiva così strana...
Nelle sue orecchie riecheggiava ancora un canto dolce, melodioso; un canto che aveva attutito il suo dolore.
Ora erano altri i suoni che la circondavano, però.
Il rumore del vento che frusciava tra i rami, il mormorio lontano del fiume e il sussurro pacato di voci maschili.
Sospirando, Althea si decise ad aprire gli occhi e osservò confusa il medaglione massiccio che stringeva tra le mani, poi scrutò il centauro biondo che la sovrastava, studiandola con distaccata curiosità.
«Atreus?» chiese un po' incerta.
Il centauro annuì.
Non era cambiato molto in quei sedici anni, notò Althea mettendosi a sedere e tentando di riordinare i propri pensieri.
Quando i ricordi del viaggio nel passato divennero più nitidi si alzò, barcollando leggermente e ringraziando grata Atreus che, con perfetto tempismo, l'aveva sorretta con una mano.
«John?» chiese poi, angosciata, tentando di recuperare l'equilibrio.
Atreus sorrise rassicurante, indicando un punto alla sua destra.
A pochi metri di distanza, John sedeva su un grosso tronco, il capo chino, le mani strette in grembo.
Un uomo gli stava inginocchiato accanto, parlandogli con voce sommessa e tranquillizzante: «John, non sei certo stato il primo a distruggere una Chiave del Tempo. La sola cosa che importa è che tu sia tornato».
John scosse il capo, caparbio, avvolgendosi nel mantello come se volesse isolarsi dal resto del mondo.
Ricordando il disgusto percepito nella voce del compagno, Althea esitò un istante, ma alla fine si decise ad avvicinarsi ai due, stringendo gentilmente la spalla dell'uomo inginocchiato.
«Oh, Althea» la accolse lui, sorridendo sollevato e picchiettandole affettuosamente la mano posata sulla spalla. «Bentornata. Stai bene?»
La strega annuì. «Sì, Aurelius».
John sollevò lo sguardo, posandolo brevemente sulla donna, quindi tornò a fissarsi ostinato gli stivali infangati.
«John» sussurrò lei. «Sono spiacente, davvero. Se non ti avessi inseguito nel passato tu avresti avuto a disposizione un'altra Chiave e avresti potuto salvare i tuoi genitori...»
Aurelius la guardò sorpreso, mentre John si massaggiava la fronte, svuotato. «Althea, se tu non mi avessi seguito...» sbirciò il centauro che si era avvicinato silenzioso. «Forse non avrei ucciso un uomo perché sarei stato travolto da un affare grufolante inviato da un centauro impiccione che si crede la maga Circe ma, ti assicuro, non mi avrebbe neppure sfiorato l'idea di tentare di salvare i miei genitori».
«Ma...»
«Ma niente» esclamò l'uomo, alzandosi lentamente dal tronco e dando la Chiave ad Aurelius. «L'unico che deve dispiacersi qui sono io. Mi sono comportato da perfetto idiota. Accecato dal mio odio infantile mi sono catapultato nel passato con la riprovevole intenzione di uccidere un essere umano; quando avrei potuto usare la Chiave per salvarne due. Ho fatto la mia scelta. Ho sbagliato. E sono stato punito. Come Cormiac. La Chiave è inutilizzabile, ormai. E, comunque, anche se non si fosse danneggiata, non potrei più evitare la morte dei miei genitori. Sono passati esattamente vent'anni da quella notte e la Chiave non permette di tornare più indietro nel tempo».
Aurelius prese la Chiave e posò una mano sulla spalla del giovane che si scostò bruscamente, sottraendosi al suo tocco proprio come si era sottratto a quello di Althea.
«John» mormorò carezzevole Aurelius. «Non è la fine del mondo. Hai commesso uno sbaglio. Capita. Sei umano ed è molto umano odiare colui che ti ha costretto a crescere senza il calore di una famiglia».
«Forse. Ma questo non giustifica me. Io l'ho avuto il calore di una famiglia. Non della mia famiglia naturale, è vero. Ma l'ho avuto» si fermò, esitante, poi aggiunse in un sussurro imbarazzato: «Ho avuto te, Aurelius».
Il mago più anziano si immobilizzò, sorpreso, e John, abbozzando un sorriso triste, si avvicinò ad Althea. Sollevò lento una mano, come volesse accarezzarla, ma l'abbassò subito, distogliendo lo sguardo. «Sto bene. Non ti preoccupare, Althea. Non per qualcuno come me. Non ne vale la pena. Davvero».
E, con una stretta al cuore, Althea capì che il disgusto che aveva percepito in John non era rivolto a lei. No, il disprezzo di John era tutto per se stesso.
Pensando alacremente, la donna cercò qualcosa di intelligente da dire, o di sensato, almeno. Qualcosa che impedisse a John di frantumarsi davanti ai suoi occhi, insomma. Non poteva essere così difficile...
Il suo ammirevole sforzo creativo venne però interrotto dall'improvvisa irruzione di Damien nella radura.

«Aurelius!» gridò il ragazzo, tenendosi il fianco destro e ansimando in cerca di aria. «Sia benedetta la tua mania di lasciare sempre messaggi che dicono dove rintracciarti... un'emergenza. Tristram e Guen sono a casa tua, ti aspettano per decidere come intervenire».
Aurelius annuì grave: «Va bene. Questo ha la precedenza. Ma dopo dovremo parlare un po' noi due, figliolo» precisò, scoccando un'occhiata a John prima di Smaterializzarsi.
John sospirò, incamminandosi mesto lungo il sentiero che portava alla casa di Aurelius. Alla sua casa.
Althea, dopo aver salutato Atreus, afferrò per un braccio Damien - che, ripreso fiato, fissava a bocca spalancata il centauro – e si incamminò a sua volta sul sentiero, troppo stanca per tentare una Smaterializzazione.
«Ma era davvero un centauro? Un centauro vero, insomma?» chiese Damien con la voce vibrante di meraviglia.
«Sì» rispose la strega, suo malgrado divertita dall'entusiasmo del più giovane membro dell'Orda.
«Per la scopa di Merlino! Non ne avevo mai visto uno vivo. Cioè, non che ne abbia visti morti... è solo...» si azzittì osservando preoccupato l'amica. «Stai bene, Althea?»
«Sì. Sono solo un po' stanca».
«Questo lo avevo intuito da solo, pensa un po'. Stiamo camminando quando potremmo Smaterializzarci...»
«Oh, giusto. Ma se tu preferisci...»
«Fossi matto!» protestò il ragazzo, sfoggiando un sorriso smagliante. «Rinunciare a una romantica passeggiata al chiaro di luna in compagnia di un'incantevole damigella par tuo?»
Althea ridacchiò, scompigliandogli i capelli rossi e ricciuti. «Questa era carina, Damien, devo ammetterlo, stai facendo progressi».
«Owen è un ottimo maestro» ammise il ragazzo con sincera ammirazione.
Althea soffocò una risata e, stringendo con più energia il braccio di Damien, affrettò il passo, impaziente di scoprire in cosa consistesse l'emergenza.

Quando varcarono la soglia della casa, Tristram, in piedi al centro della stanza, stava parlando velocemente. Tristram parlava sempre velocemente quando era arrabbiato.
John se ne stava appoggiato al caminetto, cupo, ascoltandolo in silenzio, mentre Aurelius e Guendalina sedevano sulla cassapanca che custodiva lo scrigno delle Chiavi.
Tristram, accortosi dell'arrivo dei compagni, si azzittì scoccando un'occhiata interrogativa ad Aurelius.
«Continua pure da dove sei arrivato, Tristram. Non avranno difficoltà a seguirti» lo incoraggiò il mago.
Tristram annuì, scostandosi i capelli neri dagli occhi. «E' un Babbano. Ma la figlia è una strega e lui, per difenderla, si è addossato la responsabilità delle stramberie provocate dalla piccola; i vicini hanno avvisato i Ghermidori e l'uomo è stato arrestato. Sarà giustiziato all'alba».
John imprecò, voltandosi bruscamente verso il muro.
«Senza processo?» chiese pacato Aurelius.
Tristram si strinse nelle spalle. «I vicini hanno visto oggetti volare e il rissoso cane del fabbro è tuttora di un bel blu lapislazzulo. Non serve un processo».
«Dov'è ora la bambina?» chiese John, fissando torvo le fiamme che danzavano nel camino.
«Oh, lei è al sicuro. L'ho portata a casa mia. Rowena è rimasta con lei».
Aurelius annuì soddisfatto. «Marcus e Owen?».
«Marcus ha seguito l'uomo spacciandosi per un frate. Owen è corso nella piazza a controllare la pira» spiegò Tristram, bevendo un sorso dal calice fumante che teneva tra le mani.
«Va bene, Tristram, sai cosa fare. Prendi una Giratempo e della Pozione Polisucco e porta con te...»
«Io!» implorò Guendalina, alzandosi dalla cassapanca con un'agilità ragguardevole per una donna della sua età e della sua stazza. «Oh, ti prego Aurelius, lascia che sia io a prendere il posto del Babbano che salirà sul rogo! E' da tanto che non provo l'ebbrezza di un Incantesimo Freddafiamma! Ti prego, Aurelius!»
Althea scosse il capo sorridendo e Aurelius mormorò, cauto: «Sì, Guendalina, ma si tratta di un uomo e...»
«E dove sta il problema? Con la Pozione Polisucco avrò il suo aspetto e la sua voce!»
«Sì, ma... ecco...» disse incerto Aurelius, sfregandosi la nuca a disagio.
«Sì, Guendalina...» intervenne Damien, irriverente e per nulla a disagio. «Ma poi va a finire che ti comporti come se fossi tu, come l'ultima volta. Ti assicuro che è stato inquietante vedere un omaccione grande, grosso e tutto barbuto e peloso mandare baci al boia e saltellare eccitato attorno alla pira su cui stava per essere legato!»
«Oh, mi sono solo distratta un pochino, quella volta».
«Sì, certo. Solo distratta un pochino» sottolineò il ragazzo dai capelli rossi alzando gli occhi al cielo. «Abbiamo passato quattro ore - no, dico, quattro ore - a modificare memorie perché tu ti eri distratta un pochino
Aurelius annuì prudente, ma poi concluse: «Va bene. Ti daremo un'altra possibilità, Guendalina. Ma vedi di non distrarti un pochino, intesi?»
«Sì!» trillò la donna entusiasta, scoccando un bacio sulla testa brizzolata di Aurelius e cominciando a saltellare allegra attorno al tavolo, trascinando con sé il povero Tristram, reo di trovarsi sulla sua traiettoria.
«Credo sia meglio prepararsi a una lunga seduta di manipolazione di memorie» profetizzò Damien, avvilito.
«No!» si riprese la strega, mollando Tristram che si lasciò cadere, ansimante, su uno sgabello. «Non manderò baci al boia e non saltellerò, davvero! Al massimo, se sarò troppo eccitata per trattenermi, escogiterò qualcosa di più... virile, ecco. Tipo una sfida a chi sa fare pipì più lontano».
Un silenzio attonito scese sulla stanza, interrotto solo dalle risate soffocate di Althea.
«Uh. Ripensandoci sarà meglio rivalutare i baci al boia, mi sa» proclamò convinto Damien qualche istante più tardi.
«Sa anche a me» approvò Tristram.
«Quesito difficile e intrigante, indubbiamente» convenne Aurelius, sfregandosi il mento, pensoso. «Chiedo quindi venia se mi vedo costretto a ritornare a questioni meno filosofiche: chi distrarrà il carceriere? Preferirei che Althea e John riposassero questa volta. Ma, se Althea sarà così gentile da donarmi un suo capello, sarò oltremodo felice di provvedere io stesso».
«No, Aurelius. L'indubbio fascino di Althea non servirebbe a molto, temo» informò Tristram, rivolgendo un sorriso malizioso a Damien. «Il carceriere di turno è Fitzwilliam».
«No!» esclamò Damien, contrariato.
«Eh, temo di sì. E sappiamo tutti che Fitzwilliam si lascia distrarre soltanto dall'irresistibile malìa del nostro Damien!»
«Suvvia, Damien» intervenne sbrigativa Guendalina, afferrando il ragazzo per un braccio. «Smettila di fare i capricci e sacrificati per il Bene Superiore. Devi solo convincere il giovanotto a bere un po' di Sidro corretto, in fondo. E che ci vorrà mai».
«Che ci vorrà mai, dice lei! Che ci vorrà mai! Ma perché non esistono carceriere femmine dico io... sia chiaro però che, se quell'energumeno si azzarda ad allungare le mani, lo sistemo con un bel Diffindo!»
«Bravo. Tanto di mani ne ha due» convenne la donna con ammirevole senso pratico.
«E chi pensava alle mani» precisò Damien, prima di venire trascinato all'esterno dall'energica strega.
Tristram sogghignò, prese la Giratempo e le ampolline affidategli da Aurelius e raggiunse rapido i compagni all'esterno.
«Povero Damien» mormorò Althea reprimendo uno sbadiglio. «Gli preparò un po' dei dolcetti al miele che ama tanto, per consolarlo».
Quindi appoggiò la sua Chiave del Tempo sul tavolo e, augurando la Buona Notte, uscì anche lei dalla casa.
Il cielo all'orizzonte stava già schiarendo. L'alba era vicina.


York, 3 maggio 1398 A.D.

Althea intinse la piuma d'oca nell'inchiostro e fissò la pagina inviolata.
Voleva raccontare la sua esperienza con la Chiave del Tempo. Proprio come aveva fatto Aldebaran secoli prima.
All'improvviso un grosso gatto nero balzò sul tavolo e si accomodò, elegante, proprio al centro della pagina inviolata, leccandosi signorile una zampina anteriore.
«Balthazar!» esclamò esasperata la strega, tentando di spostare il felino che si limitò a guardarla distratto prima di riprendere la sua scrupolosa pulizia.
Quando qualcuno bussò alla porta, il gatto abbassò le orecchie e arruffò il pelo, indispettito, ma mantenne la sua evidentemente confortevole postazione.
Althea scoccò un'occhiata al pezzetto di cielo limpido che si intravedeva dalla finestra: doveva essere passato da poco mezzogiorno, a giudicare dalla posizione del sole. Probabilmente Damien era venuto a mendicare qualcosa da mangiare.
«Entra pure, Damien» lo invitò la donna, ingaggiando un'aspra battaglia con Balthazar nel vano tentativo di convincerlo a spostarsi. «Ho preparato i dolcetti al miele che ti piacciono tanto. Ma te li darò solo se mi racconterai tutto della missione e di Fitzwilliam».
«Non sono Damien, temo» rispose una voce dolce e profonda, stranamente incerta. «Ma i tuoi dolcetti al miele mi piacciono molto. E sarò ben felice di raccontarti come è andata la missione, sempre che l'invito sia valido anche per me».
Althea si voltò sorpresa verso la porta: John sostava sulla soglia, titubante, quasi temesse di vedersi sguinzagliato contro un branco di lupi affamati.
Aveva anche le sue buone ragioni, a essere sinceri; spesso si facevano strani incontri a casa di Althea. Ma in quel periodo l'unico ospite era Balthazar. Che sapeva anche essere dignitosamente feroce, talvolta, ma mai con John, come dimostrava la solerzia con cui l'infido felino si era precipitato a strusciarsi contro le gambe del nuovo venuto.
«Certo che l'invito è valido anche per te» chiarì la donna, agitando la bacchetta magica e osservando il piatto colmo di dolcetti che, fluttuando leggiadro attraverso la stanza, andò a posarsi davanti a lei.
L'uomo annuì, si tolse il mantello e le sedette accanto. Immediatamente Balthazar gli saltò in grembo, reclamando carezze che non tardarono ad arrivare. Althea sospirò: non era normale invidiare un gatto. Ma non poteva impedirsi di pensare che anche lei avrebbe potuto fare le fusa se si fosse trovata al posto di Balthazar.
«Allora» cominciò l'uomo, accarezzando con distratta gentilezza il gatto con una mano e prendendo un dolcetto al miele con l'altra. «Il Babbano è salvo. Guendalina non si è comportata troppo male, questa volta. Abbiamo dovuto modificare solo un paio di memorie: un vero successo. Ora il Babbano e la bimba sono in viaggio verso Londra. Tristram e Rowena sono con loro. L'Orda locale è già stata avvisata, ci penserà lei ad aiutarli, in attesa che la piccola raggiunga l'età adatta per frequentare Hogwarts. L'uomo è un orafo. Potrà continuare a svolgere la sua professione anche a Londra e... avrà due pezzi molto speciali da aggiungere alla sua mercanzia».
«Scusa?»
«Le Chiavi del Tempo. Sono state date a lui. Ovviamente non sa cosa sono. Pensa siano solo due medaglioni... nel caso di quella utilizzata da me è anche vero, ormai. Quella che hai usato tu è ancora intatta, invece».
Althea lo guardò sorpresa. «Davvero? Chissà perché a volte si danneggiano e a volte no...»
John si strinse nelle spalle. «Atreus pensa sia tutta questione di equilibrio, infranto o mantenuto. Credo sia una spiegazione ragionevole».
Althea ci pensò un istante. «Aurelius ha parlato di amore e di odio, se non sbaglio».
«Aurelius è un inguaribile sentimentale, temo» fece notare John con tenera ironia.
«Forse. O forse è un uomo molto saggio».
«Forse».
Althea sospirò. «Ma è prudente? Voglio dire... affidare un oggetto così potente a un Babbano?»
«E' la cosa più prudente, Althea. Per lo meno Aurelius ne è convinto. E Atreus concorda con lui. E' rimasta una sola Chiave. Se qualcuno dovesse azionarla nessuno potrebbe andare a impedirgli di fare sciocchezze. Ma nessun Babbano potrà mai azionarla, ti pare?»
«Perché non distruggerla allora?»
«Perché né Aurelius né Atreus sanno come fare. Senza contare che Atreus è contrario. Dice che se le stelle hanno voluto sette Chiavi è perché sette Chiavi servivano. E ora...» John guardò il gatto che dormiva, beatamente accoccolato sulle sue gambe. «Viene la parte difficile».
«Che vuoi dire? Damien ha davvero usato il Diffindo su Fitzwilliam?»
John rise disturbando Balthazar che sussultò, spaventato. «No, Fitzwilliam è anatomicamente integro, per quanto ne so» tornò serio, districando con delicatezza le unghie del felino che gli si erano impigliate nella tunica. «E' solo che Aurelius mi ha imposto di spiegarti alcune cose che mi riguardano. Dice che meriti di sapere».
«Aurelius è un inguaribile sentimentale, temo».
«Forse. O forse è un uomo molto saggio».
Althea sorrise divertita. «Forse».
John la ricambiò con un sorriso forzato, quindi tornò serio. «Anch'io penso che tu meriti di sapere cosa mi ha spinto a comportarmi come mi sono comportato. Tutto è cominciato esattamente venti anni fa. Come sai io non sono nato da maghi, Althea. Entrambi i miei genitori erano Babbani. Ma io ero un mago e, a volte, come tutti i bambini dotati di poteri magici, facevo accadere cose strane. I miei vicini, terrorizzati, mi denunciarono ai Ghermidori e una notte - quella notte - Siegmund Serpeverde in persona irruppe nella nostra casetta. I miei genitori tentarono di proteggermi in tutti i modi. Mia madre arrivò a dire che era lei quella dotata di poteri magici. Ma Siegmund non le credette e...» si fermò, serrando la mano che teneva appoggiata al tavolo con tanta energia che le nocche divennero bianche. «Li uccise. Entrambi. Davanti ai miei occhi».
Althea allungò una mano coprendogli il pugno. «Lo immaginavo».
John la guardò sorpreso e la donna spiegò: «A Hogwarts riuscivi a vedere i Thestral».
«Sì. E' vero. Come quasi tutti i bambini nati Babbani dell'epoca. Naturalmente ero io il vero obiettivo di Serpeverde. Era me che desiderava uccidere...»
«E' stato Aurelius a impedirlo?»
«No, non esattamente. Lui è arrivato dopo. Sono stato io a impedirlo. Serpeverde non riusciva a vedermi. Ero lì, in piedi davanti a lui, pietrificato dalla paura e dall'orrore, ma lui non mi vedeva. Aurelius dice che avevo istintivamente usato la Magia per nascondermi dallo sguardo di quell'uomo. Sono riuscito a salvare me stesso... ma non i miei genitori» concluse, fissando ostinato il gatto che gli dormiva in grembo.
«Eri solo un bambino, John».
«Allora sì. Ma ora sono un uomo. E con la Chiave avrei potuto tentare di salvarli. Come fece Aulo... ma non l'ho fatto. A differenza di Aulo io ho scelto la vendetta» sollevò gli occhi e aggiunse, amaro: «Ho scelto l'odio, non l'amore».
La donna gli accarezzò gentilmente la mano, guardandolo addolorata.
Lui scosse il capo, incredulo. «Come puoi toccarmi, Althea? Come puoi non provare disgusto per un... essere come me?»
Althea lo fissò, pensosa, avrebbe potuto elencargli decine di motivi. Ma non era quello il momento, John non le avrebbe creduto, quindi si strinse nelle spalle e affermò: «Oh, ci sono molti motivi, John. Per esempio il fatto che sono cresciuta tra i Black: ci vuole ben altro che un... essere come te per disgustarmi».
L'ombra di un sorriso distese il volto del mago che sollevò la mano con cui stava ancora accarezzando Balthazar per sistemarle una ciocca di capelli. «Oh, Alt...»
Althea lo azzittì, posandogli un dito sulle labbra. «Al. Solo Al, per te. Smettila di chiamarmi Althea se non vuoi essere trasfigurato in uno Snaso».
«In uno Snaso?» la donna annuì e lui sorrise più convinto. «E' già un miglioramento, credo. Per anni hai minacciato di trasfigurarmi in un Vermicolo».
«Vero. Probabilmente mi sto rammollendo. Sarà l'età».
L'uomo dischiuse il pugno e, girando il palmo verso l'alto, strinse la mano della donna che ancora copriva la sua. «Grazie, Al. Ho temuto davvero di averti persa, questa volta».
«No. Non hai mai corso il rischio».
Un vero sorriso illuminò finalmente gli occhi di John.
Althea, sollevata, li scrutò assorta. Le erano sempre piaciuti gli occhi di John: avevano un colore caldo, che ricordava quello del miele. Erano dolci. E tristi. Le ricordavano quelli di tutti i randagi che aveva raccolto nell'avita dimora. Certo, forse non era il caso di farlo sapere all'interessato, non era proprio sicura che avrebbe apprezzato il paragone.
Quando l'uomo le lasciò andare la mano Althea si riscosse.
Si rendeva conto del dono immenso che John le aveva fatto quel giorno. Si era aperto con lei come non aveva mai fatto in quasi quindici anni di conoscenza. Althea non lo aveva mai sentito tanto vicino e, temendo che se avesse lasciato passare il momento lui avrebbe rialzato tutte le sue barriere, decise di tentare il tutto per tutto.
Sorridendo ispirata si sporse oltre il tavolo e, afferrando con gentilezza il volto del compagno, gli sfiorò le labbra con le proprie.
Balthazar soffiò oltraggiato, ma Althea non ci badò, piacevolmente sorpresa dalla reazione di John.
Non si era ritratto come aveva temuto, anzi... il suo audace Grifondoro, dopo un  istante di comprensibile sbalordimento, era passato a un lodevole contrattacco.
Improvvisamente nella mente della strega prese forma una fugace visione di lei che presentava John ai fieri membri della nobile casata dei Black: non fu una visione edificante.
John era decisamente poco intonato al mobilio dell'avita dimora; anche in versione attaccapanni...
Si irrigidì un po', preoccupata, ma John, ignaro del serio rischio che correva, reclamò nuovamente la sua attenzione dando maggiore slancio al suo assalto.
Althea sospirò beata: oh, in fondo c'era qualche speranza che i suoi amorevoli genitori non lo trasformassero in un attaccapanni, dopo tutto. Era anzi probabile che lo ignorassero con la stessa fatalistica rassegnazione con cui avevano ignorato ogni altro randagio da lei portato nell'avita dimora.
Del resto, Althea aveva gli occhi grigi e ogni Black degno di questo nome sapeva bene che non ci si poteva aspettare nulla di buono da un Black con gli occhi grigi. Erano strani i Black con gli occhi grigi.
Propensi a devianze insensate.
E lei non faceva eccezione. Per sua fortuna.



Ed eccoci alla quarta tappa del nosto Viaggio.
Una tappa importante, perché conclude la prima parte della nostra avventura: l'inizio della storia di Althea e John coincide, infatti, con la fine della parte "antica" della nostra avventura sulle tracce dei Custodi delle Chiavi del Tempo.
Nel (e dal) prossimo capitolo le cose saranno un po' diverse, faremo la conoscenza di un Custode delle Chiavi del Tempo un po' particolare, che non avrà tanto il compito di custodire la Chiave superstite, quanto quella di riportarla tra i maghi.
E ci troveremo, finalmente, circondati da personaggi a noi già familiari. ^^

Detto questo, permettetemi di aggiungere due parole sulla protagonista di questo capitolo: Althea Black.
Mi sono divertita molto a pensarla, sia perché è stato carino immaginarsi una Black decisamente "alternativa", smistata niente meno che nella nobile Casa di Tosca Tassorosso, sia perché è stato interessante farla muovere in un'epoca particolarmente adatta ad essere intrecciata con il mondo dei maghi.

Per lei ho scelto un nome non astronomico (le mie conoscenze in tale campo si sono esaurite nello sforzo di trovare un nome ad Aldebaran xD) ma floreale. L'Althea Officinalis è infatti una graziosa pianta della famiglia della malvacee, e capita, talvolta, che alle bimbe dell'antica casata dei Black venga imposto un nome di origine floerale (Narcissa è un esempio di questa abitudine e nell'albero genealogico fornitoci dalla Rowling ricordo anche una Lycoris) quindi mi pareva carino accennare anche a questa usanza. ^^
Così come mi pareva carino dare unn passato anche alla figura del Ghermidore. Carino e appropriato, anche.
La Grande Pestilenza di cui si parla in questo capitolo è la tristemente famosa epidemia di Peste Nera che devastò l'Europa tra il 1347 e il 1352.
E, per finire, l'entusiasta Guendalina che non vede l'ora di farsi mettere al rogo per provare la deliziosa sensazione solleticante di un Incantesimo Freddafiamma è quella Guendalina la Guercia di cui ci parla J.K. Rowling (nel terzo, libro, mi pare) e che, come tutte le streghe davvero importanti, ha avuto l'immenso onore di comparire sulle figurine delle Cioccorane. ^^
  
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