Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: 31luglio    23/08/2011    2 recensioni
«I close my eyes and… pray». Justin finì di cantare la sua canzone preferita, ‘Pray’. Lanciò uno sguardo al pubblico del Madison Square Garden. Come sempre, era formato maggiormente da ragazze, erano sempre poche migliaia i maschi presenti ai suoi concerti. Non che si lamentasse, per carità, era così bello vedere così tante ragazze che piangevano dalla felicità, o che cantavano e ballavano e saltavano con lui. Però non riusciva a capire come mai tanti ragazzi lo odiavano. Lui non aveva fatto nulla di male! Aveva seguito il suo sogno fin da piccolo e, alla fine, si era avverato. Cercava di non pensare spesso ai numerosi haters-di-Justin-Bieber, ma non ci riusciva. Era fiero delle sue Beliebers e dei Bieberboys, ma la maggior parte delle sue preghiere andavano alle persone che lo insultavano, o che gli dicevano cose cattive.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due
 
A fine concerto, Justin informò il suo staff di non far uscire la OLLG e l’amica, e le attese nella stanza-relax del backstage. Quando fecero capolino dalla porta di mogano verniciata di bianco, Justin era seduto su / affondato dentro una poltroncina ‘puff’ di colore rosso acceso. Impiegò qualche secondo per alzarsi, poi andò incontro alle due ragazze. L’amica di Abigail era meno magra e più bassa di lei, ma era carina. Aveva i capelli lisci, lunghi fino alle spalle e neri, e gli occhi erano di un azzurro cristallino, che diventava scuro avvicinandosi alla pupilla. Lasciavano trasparire la tanta emozione della ragazza, che aveva un sorriso che andava quasi da un orecchio all’altro. Portava una canottiera lunga e viola, con scritto, probabilmente con un pennarello indelebile, ‘Bieber is my fever’, un paio di shorts di jeans neri e le Supra, anch’esse viola.
«Salve, ragazze», le salutò Justin, sorridendo.
«Hey», rispose di rimando Abigail. Il suo tono di voce era più indifferente di quello usato sul palco.
La sua amica le diede una leggera gomitata sul fianco e, timidamente, sorrise al diciassettenne. «Ciao».
«Io sono Justin, lei è Abigail, e tu sei…?»
«Mi chiamo Sheila, piacere», si presentò l’amica, porgendogli la mano.
Justin la strinse. «Piacere mio, Sheila. Vi è piaciuto il concerto?».
«Eh», esordì Abigail.
Sheila la colpì nuovamente. «Sì, ci è piaciuto molto», rispose lei, per tutte e due, sperando che il cantante non avesse sentito la risposta maleducata dell’amica.
Il cuore di Justin era, però, dolorante. Aveva sentito, eccome. E non era triste solo perché Abigail era una sua hater, ormai l’aveva capito, ma c’era dell’altro… Era quasi sicuro di essersene innamorato. E questo era un bel problema, perché se lei lo odiava non si sarebbe mai innamorata di lui.
«Grazie», disse. «Dove abitate?»
«A Stratford, esattamente come te. Siamo vicini», sorrise Sheila.
Gli occhi del ragazzo si illuminarono e ringraziò mentalmente il Signore. «Oh, che coincidenza. Potremmo diventare amici!», scherzò.
«Speriamo».
«Ditemi, quanti anni avete?», chiese, affondando nuovamente nel puff rosso, e facendo segno con la mano alle ragazze di accomodarsi dove volevano e di servirsi pure. In effetti, la stanza del dopo-concerto era provvista di altri quattro puff, tutti di diversi colori e di due divanetti da tre posti ciascuno, di pelle bianca. Lungo le pareti stavano dei tavolini con sopra bibite di tutti i tipi e vassoi pieni di popcorn, pasticcini, caramelle, patatine, pizzette e salatini. Justin amava rifugiarsi in quella stanza, che tutte le arene avevano, per un’oretta abbondante e mangiare, bere, giocare.
«Io ho sedici anni», disse Abigail, «lei ne ha quindici», concluse, indicando Sheila. Sembravano entrambe più rilassate ora, una dentro un puff azzurro e con a fianco un piattino pieno di pizzette e l’altra dentro uno verde, tutta impegnata a mangiare patatine. Abigail prese una pizzetta e la addentò con cura, come se non volesse farle male.
Il giovane annuì. Trascorsero un’altra ora e mezza così, a parlottare del più e del meno. Justin scoprì che il colore favorito di Abigail era l’azzurro, mentre quello dell’amica era il giallo, i loro cibi preferiti erano rispettivamente le patatine fritte e la pizza. Entrambe adoravano viaggiare. Sheila era stata in gran parte dell’Italia, in Giappone e in Gran Bretagna; l’altra aveva visitato la Germania, la California e l’Australia. E, ovviamente, New York.
Prima che le due ragazze lasciassero la stanza e di conseguenza il Madison Square Garden, si scambiarono i numeri di telefono e Justin fece promettere ad entrambe di non dare mai a nessuno il suo. Poi fece un autografo a Sheila e le lasciò tornare a casa, a Stratford, con l’aereo che sarebbe partito di lì a due ore. Anche lui sarebbe tornato a casa, e ci sarebbe restato per qualche mese. Quando sua madre gli aveva chiesto se voleva andare da qualche parte in vacanza, lui aveva risposto di no: voleva passare del tempo nel posto che lui chiamava casa.
«Justin, andiamo? Tra poco partiamo», lo avvisò la sua mamma. La amava: era rimasta incinta di lui a diciotto anni, e quando lui aveva dieci mesi si era separata. Da lì fino ad ora, lo aveva cresciuto lei da sola, con tanta pazienza. Il ragazzo sapeva di essere un terremoto, ma non riusciva a fermarsi.
«Sì, arrivo, mamma. Però devo preparare la valigia…»
Lei sorrise. «Già fatto, tesoro».
Lui si alzò. Entrò nell’atrio e prese le borse-frigo. Circa dal terzo concerto che aveva fatto, il suo staff gli preparava quattro borse-frigo per permettergli di prendere tutte le calorie rimanenti poggiate sui tavolini della stanza-relax e portarle a casa, o mangiarle durante il viaggio. Le riempì con calma, sapendo che l’aereo sarebbe partito tre ore più tardi. Sua madre lo chiama con largo anticipo per non mettergli fretta.
Finite di preparare le provviste, le caricò sul pullman che l’avrebbe portato all’aeroporto e salì. Tutto lo staff e sua madre lo stavano aspettando da svariate decine di minuti. Justin si lasciò cadere sulla sua poltroncina abituale del pullman, abbandonandosi ai pensieri. Come mai Abigail non lo sopportava? Dopo i primi minuti di tensione si era rilassata, certo, ma aveva detto chiaramente che non sarebbe mai stata sua fan, a circa metà della conversazione. Doveva scoprirlo, a tutti i costi. 
   
 
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