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Autore: _Mimmi_    23/08/2011    1 recensioni
Allora, questo è un tema che avevo fatto a scuola. La traccia era di inserire determinati oggetti e farci poi intorno una storia. Spero vi posso piacere!
Coast.
"È passato troppo tempo dall'ultima volta, ma ho deciso, devo. È per me, per lei. Sto iniziando a dimenticare i suoi lineamenti e ciò che le appartiene, mi serve superare la paura per stare in pace con me stessa."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È passato troppo tempo dall'ultima volta, ma ho deciso, devo. È per me, per lei. Sto iniziando a dimenticare i suoi lineamenti e ciò che le appartiene, mi serve superare la paura per stare in pace con me stessa.

Entro nella camera: una camera chiusa da fin tropo tempo; una camera che nessuno usa più da troppi mesi in questa casa. La osservo e noto come non sia cambiato niente, come ancora i suoi jeans sono appoggiati sulla sua poltrona bordeaux preferita.

Ogni volta che parlavamo Lei si sedeva lì e sembrava una psicanalista, il lavoro che avrebbe desiderato fare, quello che sognava svolgere da sposata e madre di due bambini da accudire, ma no! Questo non è potuto accadere, non è potuto succedere perché non si può nulla contro i tumori, non si possono sconfiggere, non se è un tumore al sangue...non se è una leucemia. Ormai sono passati sette mesi, sette mesi da quel giorno, dal giorno in cui lei, la mia migliore amica, se ne è andata.

<<Lavinia?>>. Mi giro verso Sara, sua madre, che mi guarda afflitta. Sono stata la prima ad aprire questa stanza, la prima ad averne avuto la forza.

<<Sara, vuoi, vuoi rimanere con me?>>. Annuisce insicura e si chiude la porta alle spalle. <<Non è cambiato nulla>>.

<<Già, non ne abbiamo avuto la forza>>. No, non è stato per questo...semplicemente non hanno accettato la morte della loro bambina, non hanno voluto crederci.

Guardo l'area attorno a me e vedo il suo carillon vicino alla lampada che le avevo fatto per il suo ventesimo compleanno. Una semplice lampada da comodino, ma con la lampadina viola: il suo colore preferito. Prendo tra le mani il carillon e, anche se non c'è bisogno di aprirlo per sapere che suono emani, sollevo il coperchio. Immediatamente le scarpette di danza classica incominciano a girare e le soavi note di My heart will go on riempiono la stanza. Era la nostra canzone, mia e sua.

Il dolore preme per sfogarsi, ma io sono più forte, devo vincerla io questa battaglia!

Poso l'oggetto e contemplo la bacheca colma di foto. Dio, era bellissima. I capelli mori mettevano in risalto quegli smeraldi incastonati al posto delle iridi, quegli occhi in grado di farmi fare tutto, di scrutarmi l'anima.

Mi manca. È normale, mi dico per confortarmi, ma lei non doveva morire! Aveva solo ventitré anni e una vita da godersi davanti a lei!

Mi volto verso Sara -seduta sul letto- con una foto di sua figlia in mano.

Mi avvicino e la vedo soffrire, vedo una madre straziata dalla perdita prematura della sua bambina.

Mi siedo sulla poltrona e posso quasi sentire la presenza di Asia accanto a me, starmi vicina e allora capisco di non aver accettato la sua morte neanche io. Perché se l'avessi fatto ora avrei una vita sociale, non me ne starei sempre chiusa in camera a fissare il vuoto o a fare incubi su di lei.

Non è facile superare una cosa di questo genere, superare la morte dell'amica che conosci da ventitré anni, semplicemente perché non hai più una sorella, una compagna di vita a cui dire tutto, con cui fare ciò che vuoi...semplicemente una parte del tuo cuore.

Sara si alza e posa la foto, ma quando si siede ha tra le mani il diario di Asia. Un diario in cui scriveva tutto.

<<Ho sempre voluto leggerlo>>. Il suo è un sussurro pieno di dolore, un sussurro capace di farmi girare la testa. Lo apre andando verso la fine e la vedo -dopo aver letto qualcosa- trattenere il fiato, portarsi una mano al cuore a chiudere il diario.

<<Cosa...? Sara, cosa c'è?>>.

<<Lei...non ci posso credere>>. Il suo sguardo è un mare di disperazione in cui annegare, ma non capisco a cosa sia dovuto. Inizia a respirare con agitazione e in un attimo sono da lei.

<<Sara? Sara calmati!>>. Lei scuote la testa ed io, gentilmente e in preda al panico, le prendo il diario dalle mani e aprendolo alla medesima pagina. Leggo e il respiro mi muore in gola; le lacrime trattenute fino ad ora rompono gli argini e scendono da prima lente sulle mie guance.

Sto male, sto male non solo per la malattia, ma perché ho lasciato Gabriele. L'ho dovuto lasciare. Lui mi ha chiesto di sposarlo, sposarlo! E io non posso, non posso per colpa di questa maledettissima malattia! Gli ho dovuto dire di no, che non lo amo più! Che terribile bestemmia. Ma lui non sa e non voglio che sappia fino all'ultimo, non voglio farmi vedere da lui quando tra la vita e la morte resteranno pochi passi...non voglio farlo soffrire. Preferisco il mio dolore al suo!”.

È impossibile per me trattenere i singhiozzi conditi dalle lacrime, completamente impossibile!

Non ce lo aveva detto, aveva mentito a tutti noi, fino all'ultimo se l'era tenuto dentro, dentro finché per lei è diventato impossibile nascondercelo.

Mi guardo intorno -in preda ad una crisi respiratoria- in cerca di un appiglio, ma non voglio che accada di nuovo. Non un altro attacco di panico!

<<Io...io devo andare. Ciao Sara>>.

<<Ciao Lavinia>>. Ci guardiamo un'ultima volta prima che io scappi da quell'atroce verità. Morta.

   
 
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