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Autore: xNewYorker__    23/08/2011    5 recensioni
Margareth Robinson è una giovane aspirante scrittrice con la passione per le storie drammatiche. Non ha molti amici, e crede nel destino, lo stesso destino che le ha fatto uno scherzo che non perdonerà mai.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho sempre odiato la mia vita e tutto ciò che ne faceva parte.
La mia famiglia mi sembrava un disastro, ma mi sono lentamente resa conto che in realtà è perfetta.
Ho una madre meravigliosa che non fa altro che prendersi cura di me e chiedermi come sto, un padre che mi educa nel migliore dei modi e…una sorella. Ho una sorella, Emily, che ha solo otto anni, ma è la migliore sorella che avessi mai potuto chiedere al destino. Si, credo nel destino.
Ci ho creduto da quando ho iniziato a stare irrimediabilmente male per qualunque cosa facessi. Il destino decide come andrà a finire la tua vita, e nel mio caso è stato ironicamente crudele. Quella dolce ironia con un retrogusto di limone aspro che ho usato nelle storie che scrivevo.
Avevo un sogno, volevo diventare una scrittrice, ma le mie condizioni sembravano peggiorare a vista d’occhio, e allora ho capito che non avrei mai più avuto speranze in questo campo. Non avrei mai più avuto speranze e basta.
Insomma, non sono ancora una malata terminale, ma ci sono vicino.
L’unica mia compagnia, durante le prime due settimane d’ospedale, era un quaderno. Un quaderno, insieme ad una penna, che rappresentava tutto il mio mondo, e quella parte di vita che non ho mai permesso a nessuno di vedere.
Sono sempre stata un’asociale cronica, per questo ho solamente due amiche.
Non mi è mai piaciuto uscire, preferivo rimanere in casa a lavorare sulle mie storie piene di un sadismo disumano che talvolta iniziava a farmi schifo e a seccarmi. Era come se provassi piacere nel distruggere delle vite che infondo erano solamente nelle mie mani.
Muovevo quei personaggi come luridi burattini con dei fili logori. Facevo sempre commettere loro sciocchezze, e le scelte che facevano erano le peggiori della loro vita, finché un giorno non inventai un personaggio col mio stesso nome e con un problema che non avevo ancora.
Margareth Robinson era il mio personaggio preferito, la mia eroina. Era una ragazza forte e con un coraggio innato. Una specie di Wonder Woman quattordicenne, in un certo senso. Il suo cancro emerse da un mio sogno, non saprei ben spiegare con quale dinamica, ma è così.
Per me non è stato stroncarla come facevo coi personaggi che odiavo, tutt’altro. E’ stata una specie di prova di coraggio da parte sua.
Mi chiedevo se una come lei avrebbe potuto superare il cancro e vivere la sua vita fino alla fine con la gioia con cui l’aveva vissuta fino al giorno prima di ammalarsi. Maggie, come la chiamavo, rappresentava un pezzettino di quel mondo visibile solo ai miei occhi.
Era un personaggio fantastico, forgiato con la miglior cura e la maggiore delle attenzioni.
Non era mai stata una Mary Sue, semplicemente una ragazzina coraggiosa, dagli occhi nocciola e i capelli lunghi, lisci e color cioccolato. Mediamente alta e sufficientemente carina. Era goffa, simpatica, imbranata, e aveva una voglia di vivere che chiunque la conoscesse le invidiava. Era socievole fino all’inverosimile, aveva milioni di amici e solo una persona che la odiava, Shelly Peterson, l’oca bionda del liceo.
Maggie frequentava il primo anno di un liceo d’arti classiche, amava quella scuola, ma detestava Shelly con tutte le sue forze.
Da lei veniva trattata come se avesse la peste solamente per pura invidia, e si rifugiava nei bagni a piangere da sola, perché quei milioni di amici avevano altro a cui pensare. Era sola, in realtà. Ma neanche questo per me era un modo di stroncarla, piuttosto un modo di mostrarla come una qualsiasi adolescente con problemi qualsiasi. Era riuscita a superare Shelly parlandole a quattr’occhi, aveva una forza enorme, quella ragazza.

Maggie è sempre rimasta il mio modello di eroina. Una ragazzina qualsiasi senza crisi per amore, senza problemi stupidi, per nulla superficiale, seria e decisa al punto giusto, e sensibile, soprattutto sensibile. Maggie era me. Era la parte di me che neppure Emily conosceva, pur dicendomi che ero una persona dolce e che mi avrebbe sempre voluto bene.
Purtroppo quel destino in cui ho iniziato a credere, come dicevo, è stato ironicamente crudele.
Mi ha dato una punizione, credo, per aver regalato un problema così grande al mio personaggio migliore. Esattamente, la vera Margareth Robinson, studentessa d’un liceo d’arti classiche, quattordicenne, sono io. Sono io, e ho un cancro, lo stesso cancro che ha portato la mia piccola Maggie a morire abbandonata in un letto d’ospedale.

Al momento sono uscita da quell’ospedale, e mi rendo conto, ogni giorno che passa, di non avere la sua stessa forza.
Non sopporterò tutte queste cure, non sopporterò di morire di fronte agli occhi della mia Holly, la mia migliore amica e sorella mancata.
Non sopporterò di dare un dolore immenso ai miei genitori, non sopporterò il fatto che l’ultima cosa che vedrò saranno le trasparenti lacrime che scenderanno dagli occhietti azzurri di Emily.
Non sopporterò neppure di non potere più scrivere, di non potere raccontare le avventure della mia Margareth in Paradiso.
Avevo in programma di raccontare la sua continuazione di vita.
Margareth sarebbe stata un bellissimo angelo, un angelo disposto ad aiutare tutti, e i suoi lunghi e bellissimi capelli castani sarebbero ricresciuti, conferendole un’aria di normale beltà fuori da qualsiasi canone, una beltà anonima dimostrata nei gesti quotidiani di quella ragazzina angelo che si prendeva cura dei bambini la cui vita era stata spezzata troppo presto. La vedevo come una magica babysitter piena di quella voglia di vivere che non l’era mai mancata.
Il giorno in cui ho scritto della sua morte ho pianto proprio come sto facendo adesso, rannicchiata sul mio letto, nella mia camera, a casa.
La mia Maggie non ha pianto neanche un attimo. Ha sopportato tutto con la sua forza sovrannaturale, e alla fine ha visto Shelly accovacciata accanto al suo letto con le lacrime fino al collo. Le ha sorriso, e le sue ultime parole sono state “ti perdono”.
Poi ha chiuso gli occhi come tutte quelle persone che mai meriterebbero una fine così silenziosa. Se n’è andata sparendo in una luce chiara, come una vellutata piuma che esce fuori da una finestra, sospesa dal venticello delle sei e mezza del mattino. In un certo senso direi di volere bene alla mia piccola.
Mi ci sono affezionata talmente, che quando ero costretta a scrivere i suoi momenti di sofferenza sentivo un dolore lancinante alla caviglia destra, quella che s’era rotta in montagna qualche settimana prima di scoprire il cancro.

Io il mio l’ho scoperto due mesi fa. Me ne resta solo un altro.
Rimpiango di non aver voluto passare quelle giornate al mare con la mia famiglia preferendo rimanere al computer, rimpiango quella terribile lite che mi ha portato quasi a perdere Holly, e rimpiango quel giorno in cui ho urlato così forte contro Emily da farla scoppiare in un pianto durato poi ben cinque giorni di fila. Più di tutto rimpiango il fatto di non essere stata sufficientemente capace di amare quelle quattro persone che mi hanno perdonato tutti questi errori.
Mi mancheranno moltissimo, lo so.
Non sono la Margareth Robinson delle mie storie, io piangerò quel giorno, e urlerò, inveendo contro il destino crudele che m’ha fatto questo scherzo malefico. Non mi importa delle conseguenze, ormai mi toccherà morire, morire come qualsiasi persona deve fare prima o poi. Solamente…perché adesso?
Perché devo morire quasi il giorno del mio quindicesimo compleanno? Compirò quindici anni più o meno il giorno prima di quando i dottori prospettano la mia morte. Volevo arrivare al ballo della scuola, quello del terzo anno durante il quale le ragazze indossano vestiti eleganti e baciano il ragazzo che amano sotto le luci fioche della festa, volevo arrivare a sposarmi, e vedere la mia dolce Holly lì accanto a me a tenermi la mano quando avrei avuto il mio primo figlio.
Avrei voluto tanto abbracciare mia madre in lacrime raccontandole del bellissimo viaggio di nozze con il mio amato marito, avrei tanto voluto dire a mio padre che sarei comunque sempre rimasta la sua piccolina, anche a cinquant’anni.
Non voglio morire, per favore! Non ho fatto nulla di male, nonostante i miei errori sono sempre stata una brava studentessa, ho amato i miei genitori con tutte le mie forze, per quanto esse fossero ben scarse, ho abbracciato Emily quando veniva a rifugiarsi accanto a me nel letto durante un temporale, ho accompagnato Holly all’ospedale quando ha avuto l’appendicite e la sua vena melodrammatica le ha fatto credere che dovesse morire.
Non merito di finire uccisa da uno stupido cancro su un letto d’ospedale a quattordici anni, non lo merito! Voglio arrivare a guidare la macchina, a spostare dei bidoni della spazzatura mentre mio padre prima urla e poi scoppia a ridere perché non riesco a fare un parcheggio in retromarcia decente.
Più di tutto voglio continuare ad andare avanti nonostante tutta la gente che non mi sopporta e mi dice che non farò mai nulla di buono.
Non voglio che la mia Shelly Peterson con nome diverso provi pena, non voglio! Preferisco che continui ad odiarmi anche dopo che sarò morta! E non voglio che il fratello di Holly pianga per me prima di chiedermi di mettermi insieme a lui. Non potrà chiedermelo. Mark mi mancherà così tanto.
Ora che ci penso bene lui è stato il mio primo amore, e probabilmente sarebbe quello che bacerei sotto le fioche luci, quello che sposerei e quello per il quale piangerei di gioia al ritorno dal viaggio di nozze abbracciando mia madre.

Voglio tanto vedere Emily chiacchierare con lui riguardo all’anello da regalarmi per la proposta di matrimonio.
Voglio anche solo immaginarli durante un leggero momento di riflessione prima di socchiudere le palpebre in attesa che il sonno s’impossessi di me portandomi nel suo baratro e trascinarmi nella lunga notte.
Voglio…voglio solo vivere. Anche attaccata a qualche apparecchio, ma voglio vivere, per vedere il sorriso di persone che non rivedrò mai più.

Intorno a me stanno solo mobili spostati durante l’ultimo attacco di rabbia della giornata.
Da quando mi hanno diagnosticato il cancro i miei genitori non mi sgridano più quando commetto qualche sciocchezza.
Perché non posso continuare a vivere tranquillamente la vita che vivevo, pur odiandola? Datemi anche una vita terribile e piena di sventure, ma datemi una vita! Per favore, ridatemi la mia vita, voglio tornare indietro, non voglio che questa cosa sia dentro di me, non voglio perdere il controllo, non voglio chiudere gli occhi con la consapevolezza che non li riaprirò mai più.
Non voglio essere la causa delle lacrime di nessuno, e una stupida malattia non può portarmi via da quel liceo, da questa magnifica casa a tre piani, dalla mia famiglia e dalla mia Holly! Non può, le ordino di fermarsi! Deve andarsene, non so come, ma deve andarsene! Non la voglio più dentro di me, deve traslocare, deve trasferirsi da qualcun altro, non la voglio, non la voglio! Portatemi via da qui, per favore! O svegliatemi, fatemi capire che è stato tutto un incubo, l’unico incubo di questi anni che non potrò mai dimenticare. Portatemi via da questa realtà, trasferitemi nelle mie storie, lì sarò al sicuro.

Vorrei tanto essere la Margareth dei miei pensieri adesso.
La voce di mia madre mi giunge alle orecchie mentre butto giù qualche parola riguardo alla mia piccoletta in Paradiso.
Riposa in pace, tesoro mio, sappi che mi sono veramente affezionata a te, anche se pensandoci bene questa parte di me probabilmente non esiste neanche. Prenditi cura anche di me, quando sarò lassù, fa’ in modo che non mi manchi nulla, fa’ in modo che possa smettere di soffrire, ti supplico.

Le luci si spengono, non arrivano più dalla mia finestra.
L’ultima ombra di un albero sul retro si è mostrata sul pavimento bianco mezz’ora fa, adesso è troppo tardi anche per respirare.

Buonanotte, città, ci rivedremo domani, quando mi attaccheranno dei tubi a forza, quando sarò costretta in un letto, quando la mia Holly mi sarà accanto come ha sempre fatto, quando singhiozzerà insieme alla mia sorellina stringendola in un abbraccio indissolubile.
Buonanotte.
   
 
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