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Autore: Nerween    23/08/2011    1 recensioni
"La conferma che quella che era la pazzia, il vero sogno della mia vita. Quello che mi stavo immaginando, quello che avrei vissuto… oh, era di gran lunga più di quanto avessi desiderato, molto più grande di quell’incontro che adesso mi sembrava piccolo e insignificante.
Deglutii prima di porre la domanda.
«Di che tour si tratta?»
Lanciai un fugace sguardo a Kevin e vidi che mi sorrideva.
Turner mi guardò e mi parlò fiero «Ovviamente si tratta del Beautiful World Tour, dei Take That.»" [dal Cap. 6]
***
"«Quanto siete eccitati, su una scala da 1 a 10?»
«Non sapevo fossi specializzata in domande idiote, Fabiana» mi rispose Mark. Gli feci una linguaccia e lui ridacchiò.
«Dai Mark, come sei scortese» lo rimproverò Gary.
«Tu trabocchi d’emozione, vero Mr. Barlow?» lo stuzzicò Mark.
Gaz lo fissò con un sorriso di sfida, mentre Mark gli si avvicinava e gli palpava il sedere «Te la faccio vedere io l’emozione.»" [dal cap. 13]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19 - Madness.
« Allora, che te ne pare? »
Se possibile, gli occhi di Christal sbrilluccicavano eccitati più dei miei quando vidi per la prima volta i Take That a distanza ravvicinata. O forse no, insomma, non ricordavo veramente. Comunque i suoi erano carichi di aspettativa, mentre era in attesa del mio responso, che probabilmente per lei contava più di qualsiasi editore di alta carica.
Avevo passato la notte a leggere tutto d’un fiato il suo racconto. Lei mi aveva invitato a riposare e leggere dopo una sana dormita, ma le avevo risposto che non avevo nessun bisogno di riposare. E poi sapevo che il mio giudizio era importante per lei, per cui perché aspettare?
Erano le cinque del mattino ed avevo gli occhi a pezzi, eravamo nella sua camera illuminate dalla lampada sul comodino accanto al suo letto che ci aveva tenute compagnia durante la notte. Christal in certi momenti era sprofondata nel sonno, ma subito dopo si risvegliava. « Non voglio perdermi una singola tua espressione facciale » diceva.
E a fine lettura, cui avevo dedicato particolare attenzione e tempo perché non avevo voglia di ritornare indietro con le pagine per ricordare un particolare dimenticato, le borse sotto gli occhi la dicevano lunga sulla mia espressione facciale.
Passare una notte intera davanti allo schermo di un portatile non è il massimo, solo adesso capivo come potesse sentirsi distrutta Christal quando diceva di avere “l’ispirazione notturna”, e quindi trascorrere ore e ore a scrivere, accompagnata da diverse tazze di caffè per farsi forza.
Abbassai lo schermo del portatile e mi portai una mano alla bocca per sbadigliare vistosamente. Christal stava quasi per uccidermi per l’ansia che aveva.
« Quindi? » ripetè per l’ennesima volta.
Feci per aprir bocca ma lei mi fermò subito dopo « Aspetta, aspetta. Non voglio falsi complimenti perché vuoi compiacermi, ok? E non essere di parte perché sei mia amica! »
« Ma io sono tua amica. »
Per quel tentativo di ironizzare mi beccai una sua occhiataccia che avrebbe fatto gelare l’oceano.
Alzai le mani in segno di resa « Va bene, scusa! Posso parlare ora? »
« Te lo concedo » disse.
« Non ho niente da dire » esordii « Solo che tra breve sarai ricca sfondata e snobberai la tua vecchia amica Fabiana, sai, quella sempliciotta. Magari mi concederai anche una foto con autografo, se proprio sono fortunata. »
I suoi occhi si illuminarono di gioia. Da un momento all’altro sarebbe esplosa, se non stava già implodendo dentro di sé.
« Davvero, se non te lo pubblicano vuol dire che gli inglesi non ne capiscono nulla di letteratura, è molto meglio di tanta schifezza che si trova in giro. »
Christal fece per saltarmi addosso, e infatti lo fece: mi stritolò e mi disse che non meritava quei complimenti.
« Sta a te sapere se li meriti o no » affermai, tornando seria « Tu sei soddisfatta del tuo lavoro? »
« Be’, sai che non mi vanto mai » esitò per un momento « ma sì, sono abbastanza fiera di come sia venuto. »
« Allora dobbiamo solo sperare che lo apprezzi anche l’editore. Tu hai fatto la tua parte. »
Sbadigliai di nuovo, alzandomi dal suo letto. Destinazione: camera mia per una sana dormita.
« Hey, dove vai? Devi ancora raccontarmi un po’ di cose di questi mesi, i particolari piccanti e tutto il resto! » protestò, vedendo che mi allonavo per andare alla porta.
Feci fina di non ascoltare la parte in cui parlava dei particolari piccanti e le sfoggiai un sorriso « E tu pensi davvero che dopo tutto questo io abbia la testa, la condizione fisica e morale per parlare? Ho bisogno di dormire. Decisamente. »
« Va bene, va’ pure » fece, con aria un po’ delusa.
« Ti prometto che domani, cioè oggi, tra qualche ora, sarò a tua disposizione per ogni informazione, rivelazione o ciò che vuoi. »
Christal sembrò non esserne entusiasta « Penso non si possa fare, Fab. Durante la mattinata devo portare il racconto all’editore e per la serata John mi ha chiesto di uscire. »
Ed io che avevo pensato di passare una giornata in compagnia della mia migliore amica. Avevo anche progettato di dirle del concerto a fine anno.
« Oh » risposta banale sempre all’occorrenza.
« Mi dispiace, so che volevi passare un po’ di tempo con me » sembrava davvero dispiaciuta. Lo ero anch’io, la prospettiva di passare una giornata da sola in casa senza far nulla mi sembrava incredibilmente strana dopo aver passato mesi sempre a contatto con un sacco di gente: colleghi, popstar, cast e varie.
Ma non potevo prendermela con Christal, ovviamente. Era una donna con un fidanzato, ed era più che normale che uscisse con lui. La colpa era mia e della mia incapacità di approcciarmi con l’altro sesso. Mi venne in mente un certo bacio e lo scacciai dalla mente. Volevo pensare a qualsiasi cosa tranne che a quella questione scottante.
« Potresti sempre chiedere a Kevin di uscire con te, no? » propose speranzosa.
Kevin. Ormai il suo nome spuntava dappertutto, come prezzemolo.
« Non ho bisogno che tu mi organizzi appuntamenti per non farmi restare da sola come un cane a guardare la tv di sera. Un po’ di pace dopo tutto questo caos non mi farà che bene. » Acidità a mille.
« Non voglio farti da fata madrina, né tantomento organizzarti appuntamenti » ribattè offesa « Era solo un’idea, dato che vi ho visti, come dire, molto vicini quando sono venuta a prenderti all’aeroporto. Ma può essere solo una mia impressione. »
Sapevamo entrambe che era tutt’altro che una sua impressione, ma ero troppo imbronciata per dargliela vinta.
« Impressione o no, mi muoverò solo sotto invito. Non ho né intenzione né voglia di organizzare un’uscita » risposi aprendo la porta « Buona notte, Christal. »
Non seppi se anche lei mi augurò una serena notte perché ero già entrata nella mia, di camera, che era praticamente di fronte alla sua.
Odiavo litigare con Christal, succedeva molto di rado. Avevamo caratteri così simili che condividevamo persino i pensieri talvolta. Anche se quello non poteva considerarsi un vero e proprio litigio, entrambe non potevamo fare a meno dell’altra e i nostri bronci duravano al massimo cinque minuti.
Mi sfilai gli abiti e indossai il mio completo da notte, nonostante il cielo fosse ormai abbastanza chiaro fuori dalla finestra: ma la testa pulsava, se fossi stata sveglia avrei sicuramente rimurginato su troppe cose – come riappacificarmi con la mia amica, pensare al suo consiglio di invitare Kevin per un’uscita, cosa altamente terrificante – quindi optai senza ripensamenti al sonno.
Sperando che avrebbe portato consiglio, o sperando che mi facesse dimenticare almeno per un po’ di quella situazione.


In realtà sapevo che non avrei dormito a lungo. Era già un miracolo se l’orologio sul comodino vicino al letto mi indicava le dieci e trenta. Ovviamente del mattino, data la luce soffusa che veniva dalla finestra.
Mi concessi qualche altro minuto per stare a letto, mentre dalla mia stanza sentivo chiaramente i passi di Christal che andavano avanti e indietro per casa. Probabilmente si stava preparando ad uscire e andare a consegnare il manoscritto al suo editore.
E’ sempre traumatico quando di mattina improvvisamente ricordi ciò che è successo la sera precedente. E così mi sentivo in quel momento, alquanto afflitta e agitata. Agitazione che andava ad aumentare quando sentivo i passi di Christal farsi sempre più vicini alla porta della mia stanza, ma poi mi davo della stupida, perché la sua era proprio di fronte.
Fin quando la sentii indugiare un po’ troppo lì vicino. Sospettavo che prima o poi avrebbe aperto la porta della mia stanza.
… oh, be’.
La porta si aprì cautamente. C’era questo patto tra di noi, nessuna bussava alla porta dell’altra, perché nessuna delle due aveva nulla da nascondere all’altra.
Avevo già gli occhi chiusi, quindi potevo tranquillamente fingere di dormire ancora. Ma quanto poteva valere la mia farsa? Si sarebbe accorta sicuramente che quello non era il sospiro di chi dorme.
Avrebbe pensato che non avevo voglia di parlare con lei, e in effetti era così. Non sapevo sinceramente il perché di quel mio atteggiamento: sicuramente era una mossa infantile e stupida, ma si diceva che chi avesse il broncio lo faceva perché si sentiva punto nel vivo.
Kevin. Maledizione a lui.
Dopo qualche secondo, richiuse la porta. E qualche passo dopo sentii aprirsi e richiudersi anche quella di casa, segnale che era uscita. E che avevo casa libera a mio svago e piacimento. Mi sentivo quasi come una tredicenne che viene lasciata da sola a casa per la prima volta. Magari perché dopo tutto quel tempo passato lontano, rivedere casa era un piacere.
Così decisi finalmente di alzarmi da quel letto e andare in cucina a prepararmi un po’ di caffè. Le abitudini italiane non cambiavano mai, Christal ancora mi chiedeva come facessi a bere la caffeina di mattina, mentre lei si riempiva di uova e bacon.
Oh, ricordavo ancora la prima volta che vidi quella casa. O sarebbe meglio dire appartamento al quinto piano di un grande palazzo. Ricordo quando attraversai quella soglia in compagnia di Christal: un anonimo appartamento spoglio e privo di alcuna personalità, con pochi mobili e le finestre chiuse da chissà quanto tempo. In quel momento io e la mia amica ci eravamo sentite come in paradiso. Era la nostra prima casa lontane dai genitori, il passo che avrebbe dichiarato la nostra indipendenza. Quasi tre anni in quell’appartamento. Ci pagavamo l’affitto con i soldi del mio vecchio lavoro dalla megera delle pezze pregiate e con quelli di Christal del suo vecchio lavoro… uno dei tanti, ovviamente. Christal inizialmente cambiava lavoro con la stessa frequenza con cui ci si cambia le mutande. Poteva dire di avere un vasto curriculum alle spalle, poi si era arresa ad accontentarsi del ruolo part-time di agente immobiliare. Lavorava di solito mezza giornata, a volte di mattina e altre di pomeriggio, e il tempo libero lo trascorreva dedicandosi anima e corpo al suo libro, mentre la sua domanda per la cattedra di lettere in una qualsiasi scuola rimaneva senza risposta.
Christal era sempre stata una donna ricca di sogni e aspettative. Diventare professoressa, scrittrice e trovare un uomo che la facesse stare bene. L’ultimo desiderio si era realizzato, dato che frequentava John, il suo ragazzo, da ormai molto tempo ed erano sempre affiatati come una coppia di ragazzini. Il secondo stava – speravamo entrambe – quasi per realizzarsi, mentre per il primo aveva ancora da aspettare.
Mentre io, in fondo, non chiedevo molto alla vita. Il mio sogno da ragazzina era sempre stato vivere in Inghilterra, e ormai lì c’ero da tempo. Avevo una passione, la fotografia, e per grazia divina un lavoro che la riguardava. E poi, dulcis in fundo, avevo avuto l’opportunità di lavorare con la mia band preferita. Ed era sicuramente più di quanto avessi mai chiesto nella mia vita. Di solito, le fan non chiedevano altro che andare ad un concerto, magari vincere anche un meet&greet, fare una foto con il cantante preferito ed avere l’autografo. Ma conoscerli di persona, avere a che fare con loro, capirli a fondo, era tutt’altra cosa… Una completa pazzia. E ormai, avevo imparato da tempo a crederci, nelle pazzie.


Avevo passato gran parte della mattinata a guardare la tv. Tra un programma di cucina e l’altro erano passate alcune ore, e di Christal ancora nessuna notizia. Mi sentii uno schifo di amica a non esserle vicino nel momento che stava aspettando da tempo. Per quanto freddo potesse essere, decisi di scriverle un messaggio di scuse. Stavo appunto per schiacciare il tasto “invio” quando arrivò a me un messaggio. Pensai subito che fosse Christal che mi aggiornava sulla situazione. Ma appena vidi il nome sul display sbiancai.
Oh cazzo. Cazzo cazzo cazzo.
“Ehi, come se la sta passando la mia italiana preferita?”
Cosa ci faceva sul display del mio cellulare un messaggio il cui mittente portava un nome che iniziava per K e finiva per evin?
E mi aveva davvero chiamata “la sua italiana preferita? Be’, come se conoscesse altre italiane, dopotutto.
Rimasi spiazzata. Kevin che scriveva messaggini? Che idea assurda. Ridacchiai sadicamente, mi sarei divertita un po’ con lui.
“Non immaginavo fossi un tipo che flirtava attraverso sms. Mi stupisci, davvero.” gli risposi poco dopo, sorridendo tra me e me. Di solito non usavo di certo il cellulare per mandare messaggi, anche perché non avevo nessuno a cui mandarli. Christal mi stava tra i piedi giorno e notte, e al massimo se dovevamo dirci qualcosa a distanza usavamo la chiamata.
Il telefono vibrò, segno che era arrivato un altro messaggio: “Che vuoi farci, la prossima volta imparerai a non dare il tuo numero di cellulare ai colleghi di lavoro che potrebbero usarlo per scopi propri e oscuri”
Se pensava che l’ironia fosse un modo per abbindolarmi, aveva centrato in pieno. Adoravo il suo essere ironico, adoravo il fatto che tra di noi si fosse creato quel legame che finalmente l’aveva fatto sciogliere dal suo perenne stato di sono-un-pezzo-di-ghiaccio.
“E mi dica, collega, quali sarebbero i suoi oscuri piani?”
Mi stupivo persino di me stessa: stavo davvero tenendo il suo gioco? Santo cielo, ero completamente andata. E non potevo far altro che chiedermi cosa avesse in mente, mentre aspettavo la sua risposta.
Risposta che non tardò ad arrivare: “Vorrei rapirti per questa serata e sottoporti alla tortura della mia compagnia. Dopo cena, passeggiatina all’Hyde Park?”
I miei occhi sarebbero potuti cadere dalle orbite oculari, mentre inconsapevolmente facevo una risatina nevrotica ed esaltata.
No, Kevin non mi stava veramente chiedendo di passare la serata con lui all’Hyde Park, io non avevo lo sguardo perso sul display e non ero esaltata da morire. E Christal non era la mia migliore amica e io non avevo mai conosciuto i Take That.
Senza nemmeno rendermene conto stavo gli stavo scrivendo un “Certo, per me va bene” con la bocca ancora aperta come un’ebete.
Ovviamente la prima cosa che pensarebbe una donna che si rispetti è “che cosa diavolo devo indossare?”, ma a quello ci avrei pensato solo dopo aver mandato un messaggio a Christal, in cui le chiedevo umanamente scusa e le dicevo che aveva poteri di veggente, senza specificarle il perché: quella notte lei stessa mi aveva proposto di uscire con Kevin e all’improvviso lui mi manda un messaggio per dirmi che ha voglia di fare una passeggiata con me.
Fatto il mio dovere, mi decisi a correre in camera a cercare qualcosa di decente nell’armadio, ma prima che potessi muovere un passo il cellulare squillò.
« Pronto? » quasi urlai al mio interlocutore – sconosciuto, perché ero ancora troppo esaltata per controllare chi mi avesse chiamata.
« Non mi hai detto dove posso venire a prenderti e a che ora » mi rispose la voce metallica di Kevin. Persino dal cellulare notavo il suo tono divertito.
« Oh, sì, scusa. Ci vediamo all’Hyde verso le otto, va bene? »
« Non dire sciocchezze » esclamò « Che razza di prigioniera saresti se non venissi a prenderti personalmente? Non posso certo rischiare che tu mi scappi sotto il naso. »
Sorrisi alla sua frase, voleva venire a prendermi con la sua auto. E tentare di oppormi alla sua decisione già presa era tempo sprecato, così gli dettai il mio indirizzo.
« Perfetto, alle otto sotto casa tua. Sicura che non hai altri impegni? »
« Nessuno. E cosa potrei desiderare di meglio, se non essere rapita da un baldo criminale? »
« Grazie per il baldo » ridacchiò, e fui grata al cielo che non poteva vedere il mio volto arrossito « Allora ci vediamo alle otto! »
« Va bene. Ciao » lo salutai e chiusi la chiamata, sorridendo ancor più di prima.
E nello stesso istante suonò il campanello di casa. Alzai gli occhi al cielo, evidentemente non mi era concesso andare in camera e trovare dei vestiti per quella sera.
Avevo quasi il sospetto che fosse lo stesso Kevin, ma come avrebbe potuto, dato che gli avevo appena dato il mio indirizzo? Non poteva trovarsi in zona, non poteva essere lui per il semplice motivo che ero ancora in pigiama e l’idea che mi vedesse in quello stato era terrificante.
Comunque, per essere sicura guardai nel mirino della porta, e tirai un sospiro di sollievo nel constatare che era solo Christal, con le braccia piene di carte e ovviamente impossibilitata a prendere le chiavi.
« Oh santo cielo, menomale che ci sei, ho le mani piene » disse in fretta e furia, entrando velocemente in casa « Non avrei saputo dove metterle, sai che non metto mai le chiavi in tasca per sicurezza e non le avevo a portata di mano, sono entrata dal portone all’ingresso solo perché stava giusto uscendo la vicina e… »
« Kevin mi ha invitato a uscire con lui stasera. »
Christal spalancò bocca e occhi come se avesse visto un fantasma, i fogli le caddero di mano ed io le feci un sorriso imbarazzato.
« Spero solo che le due bottiglie di birra in frigo ci basteranno » mormorò con un perverso scintillio neglio occhi.


Cosa possono fare due donne ormai adulte e vaccinate dopo aver saputo che una è stata invitata ad uscire dall’uomo che le interessa e l’altra presto pubblicherà un libro? Ovviamente saltavano sul letto, se non completamente, almeno mezze sbronze cantando a squarciagola (o meglio, strillando) Relight My Fire e diverse canzoni dei Take That, che fossero prevalentemente energetiche. Durante quel medley che consideravo estremamente emozionante, Christal si era dimostrata particolarmente entusiasta, specie quando per finire in bellezza si era abbassata i pantaloni e aveva cominciato a cantare Do What You Like in mutande.
« Santo cielo Christal, sei senza ritegno! » dissi fingendomi disgustata, mentre me la ridevo sotto i baffi.
« Scusami tanto, pensavo avessi altri gusti » esclamò lei scoppiando a ridere e buttandosi a peso morto sul letto « E poi devo ricordarti che la mia bottiglia di birra è vuota, a differenza della tua? Sei la solita santarellina del cavolo. »
« Sono solo più ragionevole di te, o invece devo ricordarti che ho un appuntamento? »
« Ooh, è una cosa importante allora » disse Christal con gli occhi che mandavano scintille.
Arrossii di botto « Ho solo sbagliato termine, non farne una questione di stato. »
« Sì, come no » disse con fare fin troppo malizioso « Forse hai ragione, non sei tanto una santarellina sotto sotto, chissà cosa non farete stasera all’Hyde Park, sempre se mai ci metterete piede e non vi fermerete troppo nella macchina di Kevin… »
Misi a tacere le sue parole insensate con una potente cuscinata in pieno volto degna di una combattente di wrestling.
« AHIA! » urlò con le lacrime agli occhi « Mi hai fatto male! »
« Ecco cosa succede alle ragazzine che si ubriacano un po’ troppo. »
« Grazie, mammina » mormorò.
« Di nulla, tesoro. Ora, ti dispiacerebbe rimetterti quei jeans, indecente che non sei altro? »
« Mmm » mugugnò per poi afferrare i pantaloni e indossarli. Guardò di sfuggita l’orologio al polso « Sono quasi le sei, non ce la farai mai ad essere pronta in due ore. »
« Oh, no no no » cominciai, sapendo dove voleva andare a parare « Tu non mi aiuterai a scegliere cosa mettere, cara. Farò tutto da sola, non ho intenzione di stare ai tuoi giochetti. »
Mettersi nelle mani di Christal per una consulenza sull’abbigliamento era peggio che andare al patibolo e farsi impiccare. O almeno lo era per me, che amavo le cose semplici e niente affatto appariscenti. Lei era una maniaca a tutti gli effetti, quando si parlava di questioni del genere: secondo la sua opinione, se un uomo non ti squadrava da capo a piedi per almeno venti secondi come se le sue pupille lanciassero raggi infrarossi non eri vestita in maniera abbastanza decente. Secondo la mia opinione, invece, che ritenevo decisamente più saggia, bastava sentirsi a proprio agio, e trovavo abbastanza inutile chiudersi in un vestitino stritolatutto solo per farsi notare.
Perciò fin dall’inizio avevo optato per un pantalone nero che scendeva dritto lungo le gambe, una semplice camicia bianca e un giubotto di pelle, perché Londra in novembre non era una delle città più calde del mondo. L’unico momento di trionfo che Christal si potette concedere fu di vedermi indossare i tacchi, perché – ahimè – non ero mai stata una montagna. Basti pensare che ero qualche centimetro più bassa di Mark per farsi una vaga idea. Kevin, da parte sua, era abbastanza alto, quindi non avrebbe sfigurato.
Intanto anche Christal si stava preparando per uscire con John, ed erano già le otto quando sentii bussare al citofono. Mi appostai alla finestra e individuai la sua auto.
« Puntuale come il Big Ben, il ragazzo » commentò Christal dalla sua stanza « Dacci dentro, tigre. »
Sorrisi alle parole di Christal, presi le mie cose e la salutai « A stasera! »
« A domani, vorrai dire » la sentii esclamare prima di chiudermi la porta alle spalle e scendere le scale.
Kevin mi stava aspettando all’ingresso con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni grigio scuro, in tinta con la giacca. Sembrava molto interessato allo spazio intorno a lui, fin quando non mi vide arrivare e si aprì in un gran sorriso.
E avrei potuto sciogliermi all’istante nonostante le temperature.
« Ciao » gli dissi, ricambiando il sorriso.
« Stai benissimo » constatò, studiandomi da capo a piedi.
Perfetto, ero già in imbarazzo.
« Non attacca con me, furbone » affermai fingendo disinteresse, mentre andavamo alla sua auto « Dovrai inventarti qualcosa di più originale. »
« Oh, certo » ridacchiò con un cipiglio sarcastico, aprendomi la porta del passeggero « Hai messo del phard, per caso? »
« No… » risposi confusa.
Kevin mise in moto la macchina e mi rivolse un altro sorriso divertito « Che strano, mi era sembrato di vedere del rossore sulle tue guance. »


Fu un tragitto piacevole, e l’Hyde Park era sempre un luogo incantevole, che mi affascinava nonostante l’avessi visitato centinaia di volte. Adoravo tutto quel verde, era splendido come natura e luci potessero assemblarsi in modo così perfetto. Vivevo da quasi tre anni a Londra, ero stata all’Hyde diverse volte e tuttavia ogni volta riuscivo a trovare un angolo nuovo da visitare.
Quella sera con Kevin, ci limitavamo a passeggiare lungo il Serpentine Lake, guardando diversa gente pattinare sul famoso lago a forma di “elle”. Non ci avevo mai provato, a camminare e correre su quei cosi chiamati pattini. Goffa com’ero, dovevo solo ringraziare il cielo se riuscivo a stare sui tacchi, era meglio non sfidare ulteriolmente il mio equilibrio precario.
Io e Kevin avevamo cominciato a raccontarci aneddoti divertenti, per i quali spesso ridevamo di gusto.
Tutto sembrava gridare la parola “appuntamento”, ma cercai di ignorare le coppiette che pattinavano tenendosi per mano, o che passeggiavano esattamente come noi. Probabilmente avrei ignorato anche un cartello con caratteri fosforescenti se lo avessi avuto davanti agli occhi, perché preferivo considerare tutto quello una semplice uscita tra amici. Anche se sapevo benissimo che Kevin era molto più di un amico, non potevo azzardarmi ad indovinare i suoi sentimenti nei miei confronti. Restava comunque un libro chiuso, nonostante fosse ormai molto più aperto quando era con me.
« Ci vieni spesso qui? » gli domandai.
Kevin aveva lo sguardo fisso sulla pista di pattinaggio.
« Qualche volta » disse dopo qualche secondo « Sarebbe più preciso dire che ci venivo, in realtà. »
« Venivi? »
« Diciamo che… certe abitudini a volte cambiano » rispose, con un tono che capii lo aveva messo in soggezione. Avevo ovviamente toccato un punto dolente, e con una nota di fastidio pensai che in quelle “certe abitudini” c’entrasse qualcosa quella donna di cui mi aveva raccontato, Sophia.
Comunque, non mi persi d’animo: una bella serata come quella non poteva essere rovinata da una domanda inopportuna.
« Anch’io ci sono venuta spesso, da quando vivo in Inghilterra » ripresi.
« Sei praticamente scappata dall’Italia? » chiese lui, interessato. Ero felice che avessi spostato l’attenzione su un altro argomento « Come mai? »
« Mi è sempre stata stretta, come nazione. Mi sentivo inglese nell’anima, come dire » confessai con un sorriso « Era sempre stato il mio sogno vivere qui. »
« Come immagino sia sempre stato il tuo sogno conoscere di persona i tuoi idoli musicali. O meglio, lavorare con loro. »
« E’ stato più come un regalo. Non ho mai espresso grandi desideri nella mia vita, mi accontentavo di buoni voti a scuola quando ero giovane, ed ora che sono un po’ più matura, be’, ho sempre sognato solo un lavoro che mi soddisfacesse e… » evitai di dire “l’uomo della mia vita”, non volevo sembrare una stupida sentimentale «… e l’ho trovato, per fortuna. Ringrazio il destino, o chiunque altro ne sia responsabile, per avermi fatto lavorare a stretto contatto con i Take That, ma sono fermamente convinta che avrei potuto vivere ugualmente anche senza di loro e essere comunque felice. »
« Quindi sei felice? » mi domandò « Intendo, sei soddisfatta della tua vita? »
« E’ una domanda difficile » dissi sorridendo. In realtà non sapevo che rispondere. « Immagino di sì, ma nella vita non si smette mai di avere aspettative, no? Ho un sacco di cose ancora in cui sperare. »
Come ad esempio che tu non faccia parlare solo me per tutta la serata, mi trovai a pensare. Anche perché tra una chiacchiera e l’altra, qualche momento di silenzio in cui ci godevamo l’ambiente circostante, era passato molto tempo senza nemmeno rendermene conto.
« E tu, invece? Sei soddisfatto? » gli chiesi.
« Bella domanda » disse con un sorrisetto « Sì, ho un bel lavoro, come sai mi piace fare foto, anche se vorrei avere uno studio personale. Ma ciò che sento, ormai a più di trent’anni, è il bisogno di… avere una famiglia, forse. »
Inspiegabilmente si era spinto più in là lui che io. A differenza sua, non avevo minimamente accennato alla parte sentimentale del discorso, che aveva sicuramente un peso maggiore rispetto a quello lavorativo. O almeno, solo adesso che ci facevo caso me ne accorgevo.
Cercai di dire qualcosa, in realtà non sapevo come continuare: ogni domanda mi sembrava troppo inopportuna, troppo personale. Kevin, da parte sua, aveva ancora lo sguardo assorto, i pensieri rivolti a qualcosa che non potevo vedere.
Tentai dunque di pensare a qualcosa da dire, ma il flusso dei miei pensieri fu interrotto da una sensazione di bagnato sul volto. Mi toccai il viso e trovai effettivamente un puntino bagnato di pelle. E con una sensazione di orrore, alzai gli occhi al cielo.
Oh, no, maledizione.
Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe venuto a piovere. Mi sentii una stupida a non aver portato un ombrello, ma a quanto pare nemmeno Kevin ci aveva pensato: almeno eravamo stupidi in due. In poco tempo – accadde tutto velocemente – il parco parve perdere la vivacità di pochi istanti prima: la pista si svuotò velocemente, mentre tutti tentavano di mettersi a riparo sotto gli alberi o nei diversi bar che si trovavano in giro. Anche noi cercammo di ripararci sotto le foglie degli alberi, ma le gocce di acqua avevano penetrato il colletto della camicia e cominciavo davvero ad avere i brividi.
Kevin parve accorgersene. Guardò il cielo: la nuvola nera era molto estesa, ci sarebbe voluto tempo prima che smettesse. « Sarebbe meglio tornare in auto. » disse infine.
Annuii, completamente d’accordo. « Pronto a correre? »
Mentre correvamo sotto la pioggia – io cercando inutilmente di riparare il capo con la borsa – non potei fare a meno di pensare che per la seconda volta che uscivo con Kevin, proprio come la prima, il tutto fu rovinato da una stupida pioggia.
« Mi dispiace molto » disse Kevin, una volta che fummo in auto.
« Figurati, non è mica colpa tua. Anzi, dispiace a me, sto bagnando tutto. »
« Non dire sciocchezze » disse osservandomi « Sei completamente zuppa. »
Come se la borsa fosse servita a qualcosa, ovviamente. Sembrava che mi avessero gettato in mare con tutti i vestiti.
« Nemmeno tu sei da meno » dissi, squadrandolo « Penso che sarebbe meglio… »
Le mie parole furono bloccate da uno starnuto.
Fantastico. Adesso anche il raffreddore. La serata aveva preso decisamente una brutta piega. E da quando il mio corpo era così debole? Prendersi un raffreddore per una semplice pioggia…
« Sei raffreddata! » Commento da Capitan Ovvio. « Mi dispiace davvero tanto, Fabiana, avrei dovuto portarti in qualche luogo chiuso, scusami. »
Sembrava davvero mortificato, e non potei far altro che provare un moto di tenerezza e affetto verso quelle attenzioni.
« Non preoccuparti, davvero, sarà roba da niente. E’ stata una bella serata, comunque. Ma penso sia meglio tornare a casa, non credo smetterà presto lì fuori. »
« Sì, hai ragione » disse mettendo in moto « Ti porto subito a casa. »
Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Entrambi eravamo dispiaciuti che la serata fosse finita in quel modo, ma evidentemente la fortuna non era dalla nostra parte.
« Grazie, Kevin. Buona notte » lo salutai quando mi fermò di fronte al palazzo.
« ‘Notte. E riguardati » rispose con un sorriso preoccupato.
Uscii dall’auto e con una corsa arrivai al portone. Cercai le chiavi nella borsa, mentre dietro di me sentivo ancora il rumore della macchina di Kevin, che voleva accertarsi che fossi entrata prima di andare.
Il cellulare, il portafogli, documenti… le chiavi di casa non saltavano fuori. Cercai nelle tasche dei pantaloni e del giubotto, ma nulla. Con un moto di terrore pensai che forse non le avevo nemmeno messe in borsa prima di uscire.
Se quella serata aveva preso una brutta piega, di certo stava finendo davvero male. Non mi era mai, e dico mai capitato di dimenticare le chiavi. E dovevo fare la figura della sbadata proprio quando ero uscita con Kevin e quando Christal non era in casa.
Ero rimasta fuori, con la pioggia scrosciante, un raffreddore e un mal di testa in arrivo.
« Qualcosa non va? » mi chiese Kevin dalla sua auto, affacciandosi dal finestrino.
« Non trovo le chiavi, penso di averle dimenticate in casa » dissi disperata.
Kevin scese dall’auto e mi venne vicino.
« Non c’è Christal, la tua amica? » domandò.
« No, è uscita con il suo ragazzo e non mi va di disturbarla » sospirai « Penso che mi farò ospitare dalla vicina finchè non tornerà. »
« Non ci pensare nemmeno » disse Kevin prendendomi per mano e muovendosi verso la macchina « Ti porto a casa mia. »
« Oh, no » dissi, assolutamente contraria « Kevin, non penso sia una buona idea. »
Ma parlare era inutile, Kevin mi aveva già trascinata in auto e stava rimettendo in moto.
« Kevin, grazie, ma non voglio assolutamente disturbarti, e poi avrei potuto perfettamente aspettare Christal… » la testa cominciava a pulsare. Maledetta pioggia.
« Farai una doccia calda e ti troverò qualcosa di asciutto da metterti » disse, ignorando le mie parole « Non c’è alcun disturbo, dato che vivo da solo. »
Avrei tanto voluto approfondire il discorso, ma mi sentivo già completamente stordita dal naso otturato e il mal di testa. Comunque il tragitto fino a casa di Kevin non fu lungo. Giungemmo dinnanzi un’abitazione, una villetta che non riuscivo a vedere bene per colpa della pioggia. Sapevo che era casa di Kevin perché rallentò ed entrò nel garage. Una volta scesi dall’auto mi condusse alla porta ed entrammo.
La prima impressione che ebbi della sua casa era che fosse più lo studio di un qualche fotografo professionista. Sulle pareti dell’ingresso che si allungava in un corridoio – dalla bellissima tonalità di rosso scuro – erano esposte fotografie con diversi soggetti, prevalentemente donne. Rimasi incantata ad osservarle, erano foto davvero splendide. Fin quando il mio occhio non si posò sulla figura di Kevin che si toglieva la giacca con un gesto veloce e la appoggiava all’appendiabiti. Non so se fosse la febbre imminente, ma qualcosa nel basso ventre si mosse, e capii perfettamente il perché. Non avevo mai negato che Kevin fosse un uomo affascinante: alto, slanciato, con le linee del viso marcate ma eleganti, gli occhi e i capelli scuri che gli davano quell’aria così particolare, per essere un inglese.
E non mi accorsi che stavo da qualche minuto a fissarlo fin quando non fu lui a riportarmi alla realtà.
« Che fai ancora lì? Vieni, togliti il giubotto. »
« Stavo… guardando le foto » risposi. Be’, non era del tutto una bugia. Mi tolsi il giubotto e capii che aveva acceso il riscaldamento, perché non avevo alcun freddo.
« Allora, il bagno è in fondo sulla sinistra. Fa’ presto, o rischi di ammalarti. Io andrò a prenderti dei vestiti. Puoi… puoi usare il mio accappatoio, per asciugarti » disse in imbarazzo. Sorrisi mentre lui si dileguava in una stanza. Mi sentivo terribilmente in colpa ad approfittare della sua gentilezza, ma avevo davvero bisogno di una doccia calda, perciò andai in bagno. Ebbi appena il tempo per togliermi le scarpe che Kevin bussò alla porta.
« Entra pure. »
Portava in mano dei vestiti e delle ciabatte. « Ti staranno un po’ grandi, ma almeno sono calde » disse rivolto a queste ultime. Mi porse i vestiti e li presi. Mi aspettavo di trovare dei suoi pantaloni e una sua t-shirt – l’idea di indossare qualcosa di Kevin mi esaltava alquanto – ma quando mi resi conto che erano vestiti di donna, mi insospettii.
« E questi? » chiesi rivolto ai vestiti, prima che lui potesse scappare al mio interrogatorio.
« Erano della vecchia proprietaria della casa, li trovai nell’armadio quando la comprai, probabilmente li aveva dimenticati e non è mai tornata a riprenderli » disse con sicurezza. Ovviamente era la balla più grande che avessi mai sentito, e la velocità con cui aveva risposto confermava il fatto che aveva messo su quella storiella già prima.
« Dovrebbero essere della tua taglia, comunque » aggiunse.
« Grazie, faccio subito » gli dissi, e lui uscì dal bagno.
Mi spogliai ed entrai nella doccia, aprendo subito l’acqua calda. Per fortuna la biacheria non era bagnata come tutto il resto dei miei vestiti. Mi concessi anche uno shampoo veloce. A fine doccia, provai quei vestiti: in effetti mi entravano alla perfezione, e forse erano anche una taglia in più, ma sapevo che durante quei mesi di lavoro ero dimagrita. Comunque, non potevo sperare di meglio. Già trovare abiti femminili in una casa abitata da un maschio single era vantaggioso, perché forse mi sarei imbarazzata ancora di più ad indossare dei vestiti suoi.
Mi asciugai i capelli, fortunatamente non li portavo mai troppo oltre l’altezza delle spalle quindi non ci misi molto.
Una volta uscita dal bagno incrociai Kevin che usciva da una stanza. Anche lui si era cambiato.
« Tutto bene? » mi chiese, ed annuii.
« Ho messo i vestiti nell’asciugatrice, spero non ti dispiaccia. »
« No, anzi, stavo per dirtelo io » mi disse con un sorriso « Vieni, ti ho preparato la mia stanza. »
« La stanza? »
Lui alzò gli occhi al cielo « Non avrai pensato di tornartene a casa. Per questa notte dormi da me. »
« No, Kevin, non se ne parla. Non posso approfittare così della tua gentilezza. »
« Ma ti senti? Hai il naso completamente otturato, devi stare al caldo. »
« E tu dove dormirai? »
« Ho una stanza degli ospiti » disse semplicemente, guardandosi i piedi « Dai, vieni. »
« Santo cielo, scotti » aggiunse poi, quando mi prese per mano per accompagnarmi in camera.
« Scusa. »
« Scusami tu, non è di certo colpa tua se hai la febbre, ma del sottoscritto. » disse, quando fummo entrati in camera « Per cui ospitarti a casa è il minimo che possa fare. »
Mi sedetti sul suo letto. Era tutto buio, riuscivo a stento a riconoscere il materasso.
« Ti porto della tachipirina, altrimenti la febbre salirà ancora » decretò prima di sparire e tornare quasi subito dopo con un bicchiere d’acqua. Bevvi la tachipirina e mi stesi sul letto.
« Se hai bisogno di qualcosa chiamami » disse Kevin.
« Grazie ancora » gli risposi riconoscente. Kevin mi fece un ultimo sorriso e chiuse la porta.
Era così strano stare nella stanza di Kevin. Mi chiedevo perché non avesse preparato per me la stanza degli ospiti, anziché farmi dormire in camera sua. Ma prima che potessi chiudere gli occhi starnutii di nuovo. Con un immenso sforzo arrancai carponi fino ai piedi del letto, dove c’era la mia borsa. Cercando i fazzoletti, mi ritrovai tra le mani il cellulare e per puro scrupolo controllai il display: non c’era alcuna chiamata da parte di Christal. Ovviamente stava pensando chissà che cosa, già mi immaginavo la sua fervida immaginazione volare in terre lontane. E invece ero a casa di Kevin con la febbre. Le mandai un messaggio in cui le spiegavo la situazione e finalmente tornai a stendermi.





Hola! :D Come va, tutto bene? State resistendo a questa odiosissima bolla di calore che ci avvolge allegramente? Io trovo conforto solo nel condizionatore, mon amour <3
Dunque, che vi devo dire: capitolo di passaggio. Diciamo che è la prima parte di un capitolo superipermega lungo, e la seconda parte è ancora in fase di scrittura, ma dato che volevo postare ho deciso di tagliare qui. Ovviamente il prossimo sarà molto più interessante, anche se ho adorato scrivere questo: sarà per la mancanza dei Take That, mi accorgo che in questa storia stanno diventando sempre più di contorno ma ormai sta andando così... la prossima volta, se mai mi cimenterò di nuovo in long in questo fandom, vedrò di non mettere in mezzo personaggi inventati e dedicarmi solo a loro *^*
Be', allora ciao! :D
*va a saltellare in mutande sul letto cantando Do What You Like*
   
 
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