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Autore: Feel Good Inc    24/08/2011    2 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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Rialzarsi e andare avanti

 

 

 

 

«Non ce la faccio. Non sono pronto.»

Negli occhi verde scuro di Olette la pazienza regnava sovrana. «Non è vero, e lo sai.»

Sospirò di sconforto. Perché quella ragazza era sempre così... logica?

«Ti dico che cado.»

«No che non cadi.»

«Invece sì.»

«Roxas, mi stai dicendo che vuoi cadere?»

Si sentì un po’ meno convinto. «No.»

«E allora, che cosa aspetti?»

Olette gli tese la mano aperta. Roxas tirò un altro sospiro, ma questo era di resa. Accettò il sostegno dell’amica, drizzò le spalle e fece leva sul piede sinistro, ancora saldo sull’asfalto. La tavola di Olette scivolò lentamente in avanti. Avvertendo il movimento – così familiare, così dimenticato – sotto la scarpa destra, Roxas si ritrovò col fiato corto.

Strinse forte la mano della ragazza, che camminava accanto allo skateboard, unica presenza sicura all’inizio di un viaggio di cui non si sapeva ancora il come, il dove o il perché. Ma era un’altra, la presenza che sentiva più forte...

 

 

Dentro l’armadio, la nicchia nascosta dall’asse mobile ormai era vuota. Eppure nascondeva ancora qualcosa.

Lo aveva scoperto per caso, una sera di due anni prima, quando era appena arrivato all’appartamento e trascorreva tutto il suo tempo tra le quattro mura di quella cameretta. Non lo aveva mai mostrato a Sora. Né allora, né in seguito, né adesso.

Però, adesso c’era Axel.

E Axel si era chinato alle sue spalle e aveva parlato in tono incuriosito. «Che stai guardando?»

Roxas aveva allungato la mano verso la parte interna dell’armadio aperto, fin dentro la nicchia scoperta, e aveva sollevato il pannello nascosto nel muro.

«Il mio segreto.»

Axel era rimasto in silenzio.

Lo strato di polvere non sfumava la bellezza dolorosa di quel ricordo. Dolorosa... Faceva davvero male; ma all’improvviso il dolore sembrava sopportabile. Forse era per questo che – per quanto avesse desiderato farlo – non era riuscito a liberarsene. Forse aveva sperato di poterlo guardare di nuovo, un giorno, senza provare quelle vecchie fitte di rimpianto che gli mozzavano il respiro.

Evidentemente, quel giorno era arrivato.

Roxas era tornato a se stesso e aveva sfiorato con la punta delle dita il suo vecchio skateboard rosso, bianco e blu. Si era ritratto in fretta, quasi per non sciupare con un tocco prolungato quel qualcosa di estremamente fragile che finora aveva tenuto relegato nell’angolo più lontano e buio della sua stanza e dei suoi pensieri.

Aveva guardato Axel, neutro. «Magari non è ancora il momento.»

Lui aveva ricambiato lo sguardo. Poi gli aveva scostato i capelli dalla fronte, senza cambiare espressione.

«Magari sì.»

 

 

«Roxas! Apri gli occhi!»

Non si era accorto di averli chiusi. Obbedì.

Olette sorrideva raggiante; lo seguiva ancora di pari passo, di corsa, ma non gli teneva più la mano.

Era come se il tempo non fosse mai passato.

Di nuovo su una tavola, le braccia aperte in cerca di equilibrio, un piede a sospingersi e l’altro a sentire il fremito di scivolare a un palmo da terra. Era facile, era istintivo, era come se lo ricordava.

Di colpo si sentì sopraffatto, e piantò il piede al suolo per fermarsi. Ansimava, scosso.

«Hai visto? Te l’avevo detto che non saresti caduto.» Il sorriso di Olette divenne un’espressione preoccupata quando l’amica lo guardò in viso. «Ehi, va tutto bene?»

Roxas scese dalla sua tavola. Cercò di tornare a respirare normalmente.

«Scusami. Io... Io vorrei farcela, davvero. Ho solo un po’... di...»

Abbassò lo sguardo, ma la voce della ragazza lo raggiunse dall’altra parte del suo schermo, piena di dolcezza.

«... Ricordi?»

Lui si strinse nelle spalle, con un sorrisetto colpevole.

Sentì i passi di Hayner e Pence avvicinarsi senza fretta. Pensò che quel rumore era strano; era assurda la mancanza del grattare delle ruote delle loro tavole sulla pista.

Si scosse al piccolo pugno di Hayner sul gomito.

«Va tutto bene, amico. Non sei solo.»

Alla voce tranquilla di Pence.

«Giusto, Roxas. Sempre insieme. Ti ricordi, no?»

Il ragazzo alzò gli occhi sui tre amici. Li rivide come in quella foto, scattata due anni prima, che per tutto quel tempo aveva atteso solo di essere guardata da lui. Rivide la propria espressione nel rettangolo lucido di quel momento fissato per sempre. Alla fine annuì.

«Prometto.»

Hayner, Olette e Pence sorridevano.

Mentre rimetteva il piede destro sullo skate di Olette, Roxas si sentì finalmente abbastanza sereno da sbirciare tra gli alberi al di là della pista e chiedersi dove si fosse appostata la presenza che lo aveva guidato fin là.

 

 

* * *

 

 

Adesso credeva di capire il perché di quella strana richiesta.

«Scusami, bimbo, ma non ci arrivo. Vuoi che venga con te, però non vuoi che venga con te?»

«Non voglio che tu non venga con me.» Un silenzio confuso. Il ragazzino si era preso la testa tra le mani. «Aaah, mi stai facendo impazzire!»

«Evviva! Obiettivo raggiunto!»

«AXEL!» Gli occhi azzurri scintillavano più del solito, lucidi di mille emozioni contrastanti. «Sto cercando di farti capire quanto sia difficile

E in effetti, ora che – non visto – lo guardava affrontarsi e affrontare quella dannata, semplicissima tavola con le ruote, capiva. Capiva che Roxas non sapeva ancora se attraversare quel ponte da solo o meno, capiva perché lo avesse voluto così... ‘vicino ma non troppo’.

Ma aveva pensato che la sua presenza lo avrebbe incoraggiato, e lui sentiva di dovergli essere grato anche solo per questo.

E dopotutto, la sistemazione che si era trovato non era neppure così male.

«Che ci fa un ex pivellino appollaiato lassù?»

Axel sobbalzò e rischiò di cadere dal ramo dell’acero su cui era seduto. Si aggrappò al tronco appena in tempo e, con una certa apprensione mista all’irritazione e alla sorpresa, guardò giù.

Ai piedi dell’albero c’era l’ultima persona che si sarebbe mai aspettato di vedere.

Demyx lo fissava di rimando, con un sorriso storto e le sopracciglia aggrottate.

«È un pedinamento? Hai iniziato a lavorare in proprio? Eppure una certa poliziotta di mia – di nostra conoscenza mi ha detto che anche tu eri stato riaccolto dalla retta via.»

Punto nel vivo, Axel dimenticò presto la sorpresa iniziale e rispose a tono, lieto di essere in una posizione così sopraelevata.

«Vedo che ultimamente hai trovato anche il senso dell’umorismo, oltre che alla luce della ragione. Buon per te.»

Le labbra di Demyx parvero congelarsi nel ghigno.

Cadde un silenzio lungo e imbarazzato, inframmezzato solo dai lievi rumori del parco circostante, dal vento tra i rami dell’acero e dalle voci smorzate dei pochi avventori, Hawk Runners inclusi.

Axel non riuscì a sostenere a lungo lo sguardo del vecchio compagno. L’ultima volta che si erano parlati erano dallo stesso lato della barricata – quello opposto. Adesso, anche se erano ancora dalla stessa parte, era una situazione completamente diversa.

Fu Demyx il primo a parlare.

«Posso venire su da te?»

Tornò a soppesarlo con gli occhi per un tempo indefinito. Poi gli fece un cenno.

«Sali.»

 

 

Demyx si era sistemato su un ramo più basso, ma dalla sua posizione riusciva anche lui a seguire la scena nella pista da skateboard; Axel lo capì quando lo sentì canticchiare tra sé.

«He was a skater boy, she said: see you later, boy...» Appoggiandosi alla corteccia e incrociate le braccia, il ragazzo abbandonò l’aria svagata e tornò a guardarlo. «Beh, che ci facciamo quassù?»

Axel sorrise, gli occhi già di nuovo fissi su Roxas. «Tu, non lo so. Io sono qui per vedere dove va la mia retta via.»

Demyx non replicò. Magari non aveva capito, o, se aveva capito, non intendeva chiedere niente.

Axel puntò un piede sul ramo e distese il braccio sul ginocchio. L’acero costituiva un luogo d’osservazione molto ospitale; per un attimo gli ricordò il faggio piantato dietro l’orfanotrofio, quella pianta altissima – almeno così gli pareva allora – dove lui e Xion un tempo si erano fabbricati un covo e sulle cui asperità avevano lasciato parecchia epidermide, unghie e sangue.

Si stava già preparando a un altro lungo silenzio, ma la voce di Demyx lo sorprese ancora una volta.

«Lo sai perché l’ho fatto?»

Non si era aspettato di affrontare l’argomento in modo così diretto. Abbassò lo sguardo, ma non incontrò il suo; allora si concentrò di nuovo sulle ripetizioni di skateboard di Roxas e scosse piano la testa, certo che Demyx stesse in realtà osservando tutti i suoi movimenti.

L’altro parlò nel tono di chi ancora riflette su ciò che sta per dire.

«È una storia... beh, lunga. Anche un po’ assurda.»

Axel si trattenne dal sorridere. Ne sapeva qualcosa, di storie assurde.

Alla fine Demyx cambiò posizione, piegò le braccia dietro la testa e iniziò un’ennesima confessione.

«Quando avevo dieci anni» esordì, la voce a un livello che avrebbe potuto confondersi col fruscio delle foglie nel vento, «mio nonno morì nel sonno. Era già molto vecchio quando mia sorella ed io c’eravamo trasferiti da lui. Era il nostro unico parente. A quel punto, noi due finimmo in un istituto.»

Che strano. Le tappe della vita di Demyx sembravano coincidere con le sue. Cercò di immaginarsi sua sorella, senza riuscirci, e si chiese dove sarebbe andato a finire quel racconto che partiva da così lontano.

«Non passò molto tempo che il posto fallì.» Nella voce del vecchio compagno tremò un sorriso dal suono sconfitto. «Lo sai anche tu, credo; i soldi sono un problema di tutti, e dato che la presenza di noi poveri orfanelli gliene assicurava pochi e gliene toglieva troppi, il buon vecchio direttore prese la drastica decisione di spedirci tutti in altre strutture altrettanto economiche, di passare ad altri quella patata bollente. In questo modo, più o meno, finimmo tutti separati. Quello fu l’ultimo giorno in cui vidi mia sorella.»

Anche senza guardarlo, Axel sapeva che i suoi occhi erano chiusi, lontani quanto i ricordi che stava rievocando per lui, per spiegargli qualcosa che – sospettava – alla fine avrebbe compreso fin troppo bene.

«Insieme ad altri due ragazzini, io ero destinato a finire da qualche parte a Traverse Town. Ma ero disperato. Avevo promesso a mia sorella che saremmo stati sempre insieme... Dovevo provare a mantenere la parola, dovevo farmi perdonare. Una volta in stazione, aspettai che nessuno badasse a me e saltai sul primo treno in partenza. Alla prima fermata ne scelsi un altro, poi un altro ancora, e così per altre tre o quattro volte. Credo di aver attraversato quasi tutto il Paese, in questo modo. Però stavo ingannando me stesso. Non sapevo dove trovarla, non mi avevano detto dove l’avrebbero portata. Non avevo più nemmeno la speranza di rivederla.» Demyx tacque per qualche istante; poi la sua voce si riempì di affetto. «Mia sorella si chiama Xion, e oggi ha quasi quindici anni.»

Per la prima volta dall’inizio della sua storia, Axel si voltò a guardarlo. La meraviglia scatenata dalle sue ultime parole fu seconda soltanto a quella che gli suscitò la vista della lacrima che gli rigava la guancia.

Demyx non se ne curò: continuava a fissare la coltre verde di foglie che gli sfioravano la testa.

«Arrivai a Twilight Town» riprese, «e smisi di scegliere treni a caso. Non potevo farcela. Avevo solo dodici anni. Avevo fame, e faceva freddo. In una parola, mollai. E credo che sarei finito a vivere tra i barboni proprio in questo parco, se su quel marciapiede sporco non mi avesse trovato Marluxia

La pausa che seguì fu di certo la più pesante. Durò solo l’arco di un sospiro, ma il modo in cui aveva pronunciato quel nome indusse Axel a chiedersi se in quel sospiro ci fosse anche un filo di rimpianto.

«Da allora non ho quasi più pensato a Xion» continuò Demyx in un sussurro. «Probabilmente cercavo solo di annegare i sensi di colpa per non essere riuscito a ritrovarla. Ma poi, solo il mese scorso, Marluxia mi ha affidato quel... quel compito...» La faccia gli si contorse in una smorfia di dolore. «C’era una ragazzina, un viso nuovo, che lo interessava molto. Pensava di potersi assicurare una nuova cliente. E invece che coinvolgere te, per una volta voleva contare sulla... mia... disponibilità.» Voltò il capo, quel tanto che gli bastava per poterlo guardare negli occhi. Ormai c’era solo un’innaturale durezza nei suoi lineamenti, fredda e disgustata, come il suo tono di voce. «Mi ha ordinato di vendere della droga a mia sorella, Axel. A mia sorella, che credevo di aver perso, e che forse a quel punto avrei perso per davvero.»

Fu Axel il primo a guardare altrove. Non riusciva più a vedere Roxas e i suoi amici, né la pista. I suoi occhi erano persi nella storia di Demyx.

«Io non sono uno psicologo, non so definire cosa mi sia successo. Diciamo che, quando ho rivisto la mia vita e mi sono trovato davanti all’eventualità di rinnegarla una volta per tutte, ho aperto gli occhi. Forse è come hai detto tu: la luce della ragione.» Di nuovo l’eco di quel sorriso sconfitto. «Chissà.»

Cadde il silenzio. La pausa si protrasse. Axel cercò una domanda per romperla, ma appena iniziò a parlare, le parole gli sembrarono inutili e senza senso.

«Lui sapeva...?»

Demyx gli venne miracolosamente in aiuto.

«Se sapeva chi era lei?» Sospirò ancora. «Non ne ho idea. Ci sono cose che non saprò mai. Come non riuscirò mai a capire perché si sia lasciato prendere così facilmente.»

Axel scosse la testa. Aveva una sua teoria precisa al riguardo; avrebbe potuto esporgliela... Ma Demyx aveva ragione, rifletté concentrandosi su Roxas – che in quel momento scivolava più deciso sullo skateboard di Olette, tanto spontaneo da far credere che quella tavola fosse sempre stata la sua. C’erano davvero cose che nessuno avrebbe mai potuto dire con assoluta certezza di poter capire.

«Perché non mi hai messo in mezzo?»

La domanda si era posta da sola, senza che lui se ne rendesse conto.

Tanto valeva aspettare una risposta.

Demyx rimase in silenzio per un po’. Poi, ai margini del suo campo visivo, scrollò le spalle.

«Tu non c’entravi niente, con noi. Magari tu non te ne accorgevi, ma io sì. Ero come te... all’inizio.»

Axel lo guardò di nuovo. Stava ancora assimilando le sue parole quando lo vide allontanare la schiena dal tronco dell’acero.

«Devo andare.» La sua voce era tornata leggera, pratica. «Stavo giusto andando a trovare Xion. Ora che la sua famiglia adottiva si è trasferita da queste parti, ci tengo a recuperare tutto il tempo perduto.» Cominciò a scendere dal ramo. «Magari ci si rivede, pivellino.»

In silenzio, Axel lo osservò saltare a terra. Quando l’altro sollevò lo sguardo, gli indirizzò un sorrisetto.

«Fammi un favore. Porta a tua sorella i saluti di Axel Hibana

Demyx ricambiò il sorriso. «D’accordo.»

Si allontanò attraverso il parco, verso il sentiero asfaltato che ne usciva, una delle tante linee conosciute o meno che correvano in quel fulcro di vite normali e su cui qualcosa era iniziato e finito.

Axel si voltò di nuovo e lasciò scivolare la gamba, fino a tornare cavalcioni sul ramo. Fissò gli Hawk Runners. Invece di ripercorrere la ‘lunga e assurda’ storia di Demyx, lasciò che la canzone che poco prima gli aveva sentito cantare gli affiorasse alle labbra.

«... There is more than meets the eye, I see the soul that is inside...»

«Mia sorella si chiama Xion...»

Assurdo. Davvero assurdo.

Sulla pista davanti alla fila di alberi, Roxas impennò la tavola.

«I’m with the skater boy; I said: see you later, boy, I’ll be back stage after the show.» Assieme alle parole, gli sfuggì un sorriso. «I’ll be at a studio singing the song we wrote about a girl you used to know...»

 

 

 

 

 

_________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

 

Visto che aveva un senso, la storia della ragazzina? ^^

La canzoncina canticchiata prima da Demyx e poi da Axel è, naturalmente, Skater boy di Avril Lavigne.

... Io sono sicura che nel prossimo capitolo mi odierete. *scappa*

Aya ~

   
 
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