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Autore: Katerine Bratt    24/08/2011    2 recensioni
Bene. Eccoci qui. Dopo tante indecisioni ho pubblicato questa storia. Devo ammettere che mi sento un po' (molto u.u)emozionata... *3* Quindi, tornando a noi. Questa sarà -o almeno vorrebbe essere- una storia fantasy, che ho deciso di ambientare nel 2175, un futuro nè troppo vicino, nè troppo lontano, in modo da poter evitare di scrivere stupidaggini troppo grandi. (Chi può dire che alcune cose non capiteranno davvero? x.x). I protagonisti sono un ragazzo e due ragazze, ma questo lo potrete vedere da voi nei capitoli a venire... Detto ciò, non so più che aggiungere, quindi mi ritiro nel mio angolo buio. Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate! :D A presto!
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LOUDER THAN THUNDER

Prologo

Time

Sbatté il polso sottile contro le porte bloccate dell’ascensore. Doveva salire, doveva fare in fretta, all’ultimo piano avevano bisogno di aiuto, e non poteva fermarsi.  Si girò e corse verso le scale antincendio del palazzo, non le importava che sarebbe arrivata sfiancata, che era già abbastanza esausta, che ci avrebbe messo tantissimo tempo: era l’unica possibilità che avevano; quell’incursione era stata pianificata a lungo, dovevano portarla a termine, o sarebbero morti. Tutti.

Livello dopo livello continuava a correre, ma il respiro si faceva sempre più corto, i polmoni bruciavano e i polpacci le davano fitte continue e insopportabili, nonostante il suo corpo fosse allenato allo sforzo dopo tutti gli anni passati nella foresta.

Sedici, diciassette. La testa le pulsava, stava rallentando, ma sarebbe andata avanti ad ogni costo.

Ventidue, ventitré, ventiquattro. La meta era sempre più vicina, tuttavia le forze la stavano abbandonando.

Ventinove. Un ultimo piano, ancora un piccolo sacrificio.

Mancavano ancora cinque o sei gradini quando cadde per terra esausta, sbattendo la fronte contro uno degli spigoli. Il sangue le bagnò le ciglia. Le sue gambe, infine, avevano ceduto; la sua volontà non aveva resistito abbastanza, non era riuscita a dominare il suo corpo.

Un urlo. Lo riconosceva, era l’urlo di lei, la sua odiosa compagna, che, doveva ammetterlo, aveva un grande coraggio. Quell’inutile ossicino ricoperto di pelle stava combattendo con le unghie e con i denti, mentre lei non faceva altro che stare lì, in ginocchio, con la testa appoggiata alla liscia superficie marmorea di uno scalino. Alzò improvvisamente la viso: se non riusciva a farlo per altruismo, o anche soltanto per salvarsi la pelle, ce l’avrebbe fatta per orgoglio, e avrebbe dimostrato che lei non era inferiore a nessuno, men che meno a quella testa vuota dai capelli scuri.

Si aggrappò alla ringhiera, salì un gradino dopo l’altro sulle ginocchia, facendo forza sulle braccia. E alla fine ce la fece, arrivò in cima. Si rimise in piedi, mosse qualche passo un po’ traballante per andare ad aprire la porta da cui era venuto il grido.

Vide uno spettacolo scoraggiante: la ragazza che disprezzava stava lottando con quello che intuì fosse il capo dell’Ywis, e il giovane biondo che stava con lei se la stava vedendo con un uomo enorme vestito di nero. Entrambi stavano per avere la peggio.

Era paralizzata. Improvvisamente, l’audacia che l’aveva animava era scivolata via per lasciare il posto alla paura, viscida e appiccicosa. Ora che era lì, e che avrebbe potuto salvare la situazione, era immobile, bloccata dalla sua codardia e meschinità: non riusciva a far altro che voltare la testa. Come sempre d’altronde.

Come quando aveva chiuso gli occhi mentre la madre sceglieva di morire per salvarla.

Come quando si era girata invece che aiutare chi le voleva bene e le chiedeva solo un po’ di pietà, un po’ di quelle cure che lei conosceva.

Come quando era scappata via piuttosto che salvare l’unica persona che aveva amato e a cui una malattia stava succhiando la vita.

In un momento, l’uomo –piuttosto giovane, ora che lo vedeva meglio- che le stava rovinando la vita si scrollò di dosso l’avversaria, scagliandola lontano, mentre quella perdeva i sensi.

Lui si girò, e parlò.

«Ben trovata, Skai. Da quanto tempo … !»

Skai lo guardò; la rabbia la avvolse, il cuore ebbe un fremito, e una furia cieca iniziò a scorrerle ardente nelle vene. Alla fine, lo aveva riconosciuto. Tutto il tempo, ogni tormento e dolore che aveva provato erano stati infondati, lui era lì che la scrutava con i suoi occhi azzurri come il ghiaccio.

Chiuse gli occhi, mentre i muscoli tremavano; semplicemente, spense la mente. E subito gli fu addosso.

  
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