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Autore: ka_chan87    25/04/2006    10 recensioni
Tempi duri aspettano il Continente delle Tre Terre con un nuovo nemico a minacciare la sua stabilità. Cinque giovani per unire le Tre Terre a comabattere sotto un'unica bandiera l'odiato nemico... avventure, scontri tra la magica atmosfera di tre misteriosi paesi, ognuno con la propria storia e le proprie magie e la nascita di grandi amicizie e grandi amori... tutto questo è "La Guerra delle Tre Terre"
Genere: Romantico, Azione, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Naraku, Sango, Shippou
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bentrovati miei carissimi lettori!!! ^__________^
Che gioia poter essere di nuovo qui! E sono stata anche brava, direi, Efp è tornato solo ieri e io oggi sono ‘già ’ qui! Stiamo migliorando, non trovate? XD
Bando alle ciance, spero abbiate passato delle buone vacanze e anche un buon 25 aprile, ingozzandovi di cioccolata, colombe e compagni XD
Well, visto che è passato quasi un mese dall’ultima volta in cui ci siamo ‘visti ’, non mi dilungo più del dovuto e passo a ringraziare chi ha commentato il precedente capitolo: Makino; Topomouse; Lorimhar; Elychan; raska81; lalla86; Ragnarok79; mew manu; Elly; nike93; cri-chan; Honey; inukun.
Eccovi, qua, più belli che mai ci siete tutti! XD
Bene, senza perdere altro tempo – visto che ne è passato fin troppo XD! – vi lascio al 23° capitolo che – come mi augurò – scatenerà le gioie di molti per una certa cosa….
Vabbè, vi lascio leggere che è meglio! ^________^

23° CAPITOLO “QUELLO CHE POSSO FARE PER TE”

Si sentì afferrare violentemente da dietro, finendo rovinosamente a terra mentre la pioggia continuava a scrosciare inarrestabile.
- Ma che diav – pensò nell’arco di un secondo Kagome, i capelli che le invadevano ribelli il volto.
Si guardò intorno, nella confusione più totale per quello che era successo nell’arco di un frangente.
“Si può sapere che diavolo stavi facendo, razza di stupida?!?” si sentì urlare all’improvviso nelle orecchie e, girandosi, vide Inuyasha, chiaramente alterato, seduto di fianco a lei.
Lo guardò per qualche istante, perplessa, quando una violenta rabbia si impadronì di lei.
“Tu, razza di cretino, cosa ci fai qui!?”
“Cosa ci faccio?!? Se non fossi arrivato in tempo ora te ne staresti spiaccicata là in fondo!” ribatté con foga il mezzo- demone, indicando il cornicione.
“Che?” sbottò confusa la ragazza, spostando lo sguardo verso la direzione indicata dall’Hanyou.
Se non fosse stata così arrabbiata si sarebbe messa a ridere.
“Tu hai pensato che volessi buttarmi? Mi credi così stupida da volermi suicidare?!?” gli domandò furibonda, tanto da farlo rimanere basito.
“Come puoi pensare che volessi sprecare in questo modo la mia vita?!? Se devo morire, voglio che succeda dopo che avrò eliminato Naraku, non prima!” e si alzò, lo sguardo ricolmo di indignazione.
Va bene che era rimasta a dir poco sconvolta per quello che era successo a Kandem, ma non era così stupida da andare all’altro mondo in quel momento… e proprio con le sue mani!
Sì, per un momento il desiderio fremente di poter non soffrire, di non avere tutte quelle responsabilità, quei sensi di colpa che l’avevano avviluppata nella loro consolazione ingannatrice, l’aveva quasi afferrata, ma, ancora una volta, era riuscita a respingerlo, annaspando in quel mare torbido di continue sofferenze.
Non era ancora il momento per lasciarsi andare.
“Quindi… non… non avevi intenzione di… suicidarti?” le chiese titubante Inuyasha, quasi incredulo
“No, maledizione, no!” gli rispose acida e innervosita lei, fulminandolo con lo sguardo.
Sospirò stizzita, alzando il volto, con gli occhi chiusi, in direzione delle nuvole che ancora continuavano a scaricarsi, a lasciare andare le preziose gocce vitali che andavano a dare nuova energia e nuova vita alle piante della terra.
Riaprì gli occhi ametista e, senza una parola, se ne andò, rientrando nel Palazzo.
Il mezzo- demone rimase a fissare il punto in cui vi era prima la ragazza, la pioggia battente che lo avvolgeva nel suo ritmo cadenzato e insistente.
Strinse le mani a pugno, digrignando i denti mentre qualcosa, in lui, si era spezzato.
Quasi un senso di vergogna aveva cominciato a turbinare, a scorrergli nelle vene, accompagnato da un fastidioso quanto tedioso senso di inutilità… di impotenza.
Questa volta, lui – pensò – non poteva fare niente.
Volse lo sguardo nel punto in cui Kagome era scomparsa, dietro la porta che conduceva all’interno del Palazzo.
L’avrebbe rivista affogare in quel vortice di disperazione e sensi di colpa?
L’avrebbe rivista come quel giorno, sulla torre, dopo che le era stata rivelata la verità sulla sua identità?
L’avrebbe rivista… con quell’espressione dura, gli occhi ricolmi solo di una disarmante freddezza?
L’avrebbe rivista… sorridere ancora? Vedere i suoi occhi illuminati da una luce remota, impalpabile, ma, allo stesso tempo, abbagliante?
Non lo sapeva, quello di cui era certo era che quando l’aveva vista lì, sul cornicione con lo sguardo vuoto, il suo cuore aveva smesso di palpitare e lo slancio per afferrarla, per impedirle di cadere nel vuoto, gli era venuto naturale, non aveva avuto il tempo di riflettere, e, ne era convinto, se fosse tornato indietro non lo avrebbe fatto comunque.
Lei non poteva morire, maledizione, e benché meno in quel modo!
Il suo sguardo si fece duro e determinato.
Il lui, prese coscienza un nuovo desiderio, un qualcosa che non voleva abbandonare, per niente al mondo.
Sollevò il capo, lasciandosi accarezzare dalle fredde gocce, ora più lente e fini, nonostante il cielo ancora plumbeo.
Sorrise impercettibilmente, forse aveva capito quale sarebbe stato, quella volta, il suo ‘ruolo ’.
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Si guardò intorno, lo sguardo indifferente al mondo che lo circondava.
Le fronde degli alberi verdeggianti si muovevano con eleganza ogni qual volta il vento li accarezzava gentilmente, facendo espandere il loro fruscio rilassante.
Doveva ammettere che era una bella zona.
Durante i suoi pellegrinaggi di posti ne aveva visti fino alla nausea, e, comunque, per lui non faceva mai differenza.
Però stare lì era confortevole.
Alzò il volto, puntando gli occhi ambrati sul ‘tetto azzurro ’ che lo sovrastava, a tratti percorso da strisce bianche impalpabili e leggere.
Riabbassò il viso, puntando lo sguardo sulla superficie del lago che aveva davanti.
Quanti anni erano passati, ormai?
Quattordici?
Sorrise sarcastico. Era quasi convinto che ne fossero passati molti di più.
Ma per uno come lui, lo scorrere del tempo non faceva né caldo né freddo.
A Lui, forse….
“Padron Sesshoumaru, padron Sesshoumaru!” una voce gracchiante lo distolse dalle sue irritanti riflessioni, se ripensava a chi gli era venuto in mente….
Puntò appena lo sguardo su colui che lo aveva interpellato.
Jaken.
Stare a sentire quello che aveva da dire non sarebbe stato meno irritante che pensare a ‘quella ’ persona.
“Cosa c’è, Jaken?” gli domandò secco e gelido come suo solito.
L’interpellato si bloccò per poi procedere verso quello che aveva chiamato ‘padrone ’ con titubanza.
Deglutì, mentre un rivolo di sudore freddo gli scendeva da una tempia.
Era da anni che lui, Jaken - un piccolo Demone dal volto rugoso e gli occhi gialli - era al servizio del nobile Sesshoumaru, potente Youkai, e primogenito del defunto Inu Taisho, ex reggente del Regno del Sud.
“Ecco… come avevate dedotto, qui, nelle vicinanze, c’è un piccolo villaggio” lo informò, la voce gracchiante leggermente tremula.
“Hai visto se ci sono Youkai?” gli chiese di rimando il Demone, senza guardarlo, la voce atona
“Sì, anche se non sono in molti… del resto siamo nella Terra Centrale, è naturale che Demoni e Ningen coabitino”.
Senza prestare attenzione a quello che stava dicendo, Sesshoumaru si alzò dal masso sul quale si era seduto, prendendo a camminare in direzione della foresta che si ergeva davanti a loro.
“Pa- padron Sesshoumaru, aspettatemi!!”.

“Rin”
“Oh, nobile Sesshoumaru!”.
Una graziosa bambina, di circa dieci anni, corse in direzione dello Youkai che l’aveva interpellata mentre, seduta placidamente contro un tronco, nascosta da diversi fitti cespugli, finiva di gustarsi l’ultima delle mele che aveva raccolto da uno dei tanti alberi che le offrivano.
Jaken, come sempre, le rivolse un’occhiata insofferente.
Perché il suo padrone si ostinava a portarsela dietro?
Continuava a ‘prendersi cura ’ di una stupida… Ningen! Una Ningen!
“Allora? Cosa facciamo?” domandò allegra la piccola, sorridendo ampiamente sotto lo sguardo freddo dello Youko.
“Andiamo al villaggio” le disse, lanciando poi un fischio.
Poco dopo, dal cielo, atterrò un Demone- drago, a due teste, il quale, nonappena ebbe toccato terra, emise alcuni ruggiti, sbuffando e agitando un poco la coda.
“Ah- Un!” esclamò contenta Rin, correndo incontro alla creatura
“Andiamo” ordinò secco Sesshoumaru, prendendo a camminare in direzione del villaggio che aveva avvistato poco lontano da lì.
Jaken seguì il gruppo borbottando, continuando a lanciare sguardi biechi alla piccola che, felice, cavalcava Ah- Un.
Quanto tempo era passato da quando quell’umana si era unita a loro?
Tre anni?
Ripensò a quel giorno. Al tempo, si trovavano nel Regno del Sud - nelle immediate vicinanze del confine con la Terra Centrale - nonostante il bando di esilio che gravava sulle loro teste. Ma questo, al suo signore Sesshoumaru, non era mai importato.
Erano tornati lì per una delle ricerche del suo padrone quando, all’improvviso, mentre stavano per attraversare il confine, erano stati attaccati da un imponente gruppo di Youkai.
All’inizio avevano pensato che fossero dei soldati di Naraku, ma, invece, si erano rivelati dei semplici briganti spaventosamente organizzati.
Riuscirono a sostenere l’attacco nel primo tempo, ma poi le intemperie che si abbattevano lì, sulle Montagne della Luna, li misero in difficoltà, tant’è che finirono con l’essere accerchiati.
Ovviamente, alla fine, erano usciti vincitori dallo scontro, ma il suo signore aveva riportato diverse ferite, delle quali alcune profonde.
Temendo altri attacchi, si erano allontanati velocemente dal confine, ritrovandosi, però, nel cuore della catena montuosa.
Ed è lì che avevano incontrato Rin.
Lei, e lo stormo di cadaveri congelati che riempivano il villaggio in cui abitava.
Con lo sguardo sconvolto e terrorizzato li aveva visti, indietreggiando di paura per la loro natura di Youkai.
Ma poi, avendo visto gli occhi ambra del più grande dei due Demoni, il suo sguardo si era addolcito.
Lei, e solo lei, era riuscita a percepire quel fondo di sofferenza che albergava in quelle iridi fredde più della neve che stava cadendo su di loro, avvolgendoli nel suo gelido mantello.
Così li aveva accolti nella sua piccola casa e curato il suo padrone Sesshoumaru.
Sospirò.
Era – purtroppo – innegabile che era grazie a lei se non erano morti congelati.
Ma che senso aveva avuto, poi, portarla con loro?

Poco dopo, arrivarono nei pressi del villaggio.
Questo, di modeste dimensioni, come Jaken stesso aveva appurato, era abitato sia da Youkai che da Ningen.
Sesshoumaru storse il naso.
Un altro nucleo di contadini votati alla pace.
Si trovavano nella parte più ovest del territorio della Terra Centrale, zona prevalentemente occupata da villaggi di quel tipo, solo sulla costa e nelle aree più centrali si potevano trovare vere e proprie città.
Di certo lì non dimorava qualche Drago.
Lo Youko mosse un passo avanti, prendendo a dirigersi verso il villaggio, seguito immediatamente da Rin e Jaken, il quale piuttosto reticente nell’ ‘abbassarsi ’ a mettere piede in un posto del genere.
Rimanendone quasi stupiti, nell’avvicinarsi all’entrata del villaggio – preventivamente, come tutti, protetto da un’alta barricata in legno – la videro affiancata da quattro ‘soldati ’ armati di tutto punto.
Era raro, da quelle parti, vedere una cosa del genere. Solitamente quel tipo di villaggi – e soprattutto in quelle zone – erano sprovvisti di particolari controlli, anche perché non ce n’era l’effettivo bisogno.
Sesshoumaru alzò un sopracciglio. Evidentemente era successo qualcosa.
Quando arrivarono davanti ai quattro soldati – due Umani e due Demoni - , questi li guardarono incuriositi vista la strana compagnia.
“Che vi porta da queste parti?” esordì uno di quelli, un giovane Neko – Youkai
“Provviste” rispose semplicemente Sesshoumaru, con voce atona.
“Certo, certo! – continuò allegramente lo Youko, senza badare al suo tono – E da dove venite?”
“Dalla costa” disse nuovamente, monosillabo, l’Inu- Youkai, cominciando a trovare tutte quelle domande fuori luogo.
“E dove siete diretti?” chiese un altro dei soldati, questa volta uno dei due Ningen.
Sesshoumaru gli rivolse uno sguardo gelido “Alla capitale”
“Eldoras? Mmmh, chissà se vi lasceranno passare…” obiettò perplesso un altro dei due Youkai
“E per quale motivo?” sbottò Jaken, ottenendo uno sguardo fulminante da parte del suo padrone.
“Eldoras è in guerra, come tutta la Terra Centrale, del resto. Naraku ha dato il via alle sue macchinazioni diaboliche” li informò lo Youko che per primo gli aveva rivolto la parola “Non ne sapevate niente?” domandò loro, quasi sconcertato
“Non ci fermiamo mai abbastanza per aggiornarci” spiegò brevemente Sesshoumaru.
“Bè, dovete sapere che diversi giorni fa l’isola di Arlem è stata attaccata da uno degli eserciti di Naraku”
“E con questo? Che c’è di strano?” chiese annoiato Jaken mentre Rin, sulla sella di Ah- Un, sbadigliava, anche lei annoiata da quei discorsi, ma per altri, ovvi, motivi
“C’è di strano… che l’esercito fosse composto da Orchi”
“Orchi?!?” sbottò meravigliato Jaken
“Questo, molto probabilmente, perché il Governatore ha fatto adirare con le sue decisioni quello psicopatico”
“Che tipo di decisioni?” intervenne l’Inu Youkai, ora vagamente interessato
“Oh, bè, per esempio, quella di aver ricostituito il Consiglio delle Tre Terre”
“Già – si intromise il giovane Umano – Saprete, no, che finalmente il trono è tornato nelle mani di un Higurashi! La Principessa Kagome è ancora viva ed è il nostro Cavaliere Supremo!”
“Precisamente… e il Consiglio è proprio formato da lei, il figlio del Governatore, il nobile Miroku – che, peraltro, è un potentissimo Majutsushi - , la Principessa Sango, figlia del reggente del Regno del Nord e, infine, il secondogenito del defunto Re Inu Taisho, Inuyasha, il quale lo si credeva morto”
“Inuyasha?!?” sbottò più che sbalordito Jaken che si azzittì immediatamente vedendo l’occhiata rivoltagli dal suo padrone.
“Lo conoscete, per caso?” domandò uno dei soldati
“No, affatto” rimediò immediatamente lo Youkai dagli occhi ambrati “Ora, se permettete, avremmo le nostre commissioni da fare”
“Oh, sì, certo, entrate pure!”.
“M… mio signore… avete sentito?” esordì dopo un po’ Jaken mentre si aggiravano per la piccola comunità.
“Sì, Jaken, non sono sordo… e, soprattutto… so fin troppo bene qual è il nome del mio ‘amato ’ fratellino”
“Ma… ma è inammissibile che un Hanyou venga investito di una simile carica!”
“Dimentichi dove siamo, Jaken… qui le cose vanno ‘al contrario ’” tagliò corto l’Inu Youkai, guardandosi intorno, imitato da una Rin entusiasta.
In ogni dove un animato via vai di gente rendeva vitale la cittadina, con il diffuso chiacchiericcio tra le varie bancarelle e davanti alle entrate dei diversi negozi.
Però, in quell’apparente tranquillità e normalità, spiccavano le corte e lunghe spade che gli uomini indossavano, e i vari soldati che si aggiravano per il villaggio, controllando in modo particolare le uscite e gli eventuali punti deboli delle mura esterne.
Sesshoumaru continuò a guardarsi intorno, per poi fermarsi.
“Alloggeremo qui, sta notte” ordinò, perentorio, mentre Rin e Jaken sollevavano lo sguardo per leggere il nome dipinto con colori vivaci sull’insegna in legno lucido.
“La locanda d’Oro” lesse lo Youkai dagli occhi gialli mentre la piccola Rin guardava ammirata il disegno scintillante impressovi di una fata.
“Si- signore… io credevo che saremmo ripartiti subito…”
“Se vuoi puoi anche farlo” tagliò corto Sesshoumaru, entrando nella locanda, seguito dalla bambina scesa da Ah- Un.
Con un allegro cigolio, la porta in legno d’acero della locanda si aprì, svelando l’accogliente interno della sala dove il vociare dei commensali riempiva l’atmosfera.
L’Inu Youkai si guardò appena intorno, ignorando gli sguardi curiosi dell’intera locanda che si erano posati sulla strana compagnia forestiera.
Indifferente, Sesshoumaru si diresse a passo svelto e sicuro verso un tavolo libero, in un punto appartato della sala, vicino alle finestre di vetro soffiato colorato che davano sull’esterno.
Si sedette, seguito a ruota dalla sorridente Rin e dal diffidente Jaken.
“Un… un posto tranquillo” commentò il piccolo Demone, guardandosi intorno, i commensali che erano tornati a prestare attenzione alle loro pietanze e ai loro pettegolezzi.
L’altro Youko non rispose, limitandosi a volgere un’occhiata all’ambiente che li circondava.
Una sala quadrangolare, una trentina di tavoli, ricolmi di Ningen e Youkai, disposti in modo ordinato, sfruttando appieno lo spazio offerto dal perimetro lungo il quale la sala si estendeva.
Il bancone splendeva lucido sul fondo della sala, dalla parte opposta dell’entrata, con posizionati sul davanti una serie di alti sgabelli, occupati da persone intente nel sorseggiare grandi boccali di birra dorata con le orecchie tese ad ascoltare gli ultimi pettegolezzi del locandiere, un omone alto, con folti capelli brizzolati e una barbetta nera a contornargli i lineamenti affilati e duri.
“Posso prendere le vostre ordinazioni?” una voce allegra e leggermente acuta lo distolse dalla sua perlustrazione del posto. Volse lo sguardo, trovandosi ad incrociare un paio di allegri occhi bruni, contornati da una frangetta castana- dorata.
Una femmina.
“Pensaci tu, Jaken” ordinò l’Inu Youkai, distogliendo lo sguardo da quello della ragazza che lo osservò curiosa, per poi rivolgere la sua attenzione verso il piccolo Demone verde e la bambina che la guardava quasi ammirata.
Con calma, annotò quanto Jaken gli disse, mantenendo il suo sorriso cordiale sul volto magro e fine.
“Come ti chiami signorina?” sbottò allegra e curiosa Rin, verso la fanciulla
“Sarah, e tu piccolina?” le domandò a sua volta, chinandosi vicino alla bambina e posandole una mano sul capo
“Rin, mi chiamo Rin!”
“Lo sai che hai un bellissimo nome?” le disse sorridendo dolcemente Sarah, facendo risplendere di gioia gli occhi vispi della piccola
“Anche il tuo è bello, signorina! Tu abiti qui?”
“Sì e-”
“Basta, Rin” le interruppe, perentorio e gelido Sesshoumaru, senza però rivolgere loro lo sguardo
“Sì, signor Sesshoumaru…” disse rattristata la bambina, abbassando lo sguardo.
Sarah rivolse uno sguardo perplesso al Demone, una certa irritazione per il suo atteggiamento a farla leggermente rabbrividire.
Pose una mano sul capo di Rin, sorridendole, per poi allontanarsi verso il bancone, per dare le ordinazioni al locandiere.
“Rin, devi imparare a stare al tuo posto!” sbottò Jaken, rimproverandola, ma, a differenza di prima, quando l’altro Youko l’aveva ripresa, questa volta il volto della bambina si fece duro
“Io faccio solo quello che mi dice il signor Sesshoumaru!” e gli fece una smorfia, scatenando le sue ire
“Piantala, Jaken” lo interruppe con tono secco l’Inu Youkai, facendolo zittire immediatamente.
Così, spenti sul nascere tutti i litigi, i tre presero ad aspettare con calma l’arrivo delle loro ordinazioni, mentre, per la locanda, cominciava un via vai di persone, tra chi entrava per gustarsi qualche buon piatto caldo, e chi usciva per aver bevuto qualche goccio di troppo.
“Ecco le vostre ordinazioni” come prima, la voce della cameriera, Sarah, attirò la loro attenzione e i tre si limitarono ad osservarla mentre posava sul loro tavolo una serie di piatti e tre boccali.
“Grazie” le disse allegra Rin quando Sarah le pose davanti il suo piatto ricolmo di caldo stufato
“Prego” le rispose l’altra con un largo sorriso e si volse per andarsene
“Vorremmo pernottare qui, questa notte” disse Sesshoumaru prima che se ne andasse, senza però guardarla
“Sì, credo che siano rimaste alcune camere libere…” rifletté la ragazza
“Ne basta una” la informò il Demone con il suo solito tono duro e glaciale.
“Come volete” ribatté leggermente seccata Sarah, per poi voltarsi di scatto, facendo fluttuare i lunghi capelli castani chiari, trattenuti sul davanti da un nastro di seta rossa.
“Queste Ningen sono un po’ troppo indisponenti” osservò indignato Jaken senza però smettere di gustare avido la sua pietanza.
Sesshoumaru si limitò a sorseggiare il suo boccale di birra, indifferente a tutto ciò che lo circondava.
Ma anche se ostentava la sua abituale indifferenza, non poteva fare a meno di pensare a quanto aveva appreso.
Doveva ammettere che la notizia di sapere il suo fratellastro ancora vivo… lo aveva sorpreso. Da tempo, ormai, aveva cominciato a dare per scontato che fosse morto.
E invece… Inuyasha, quel misero Hanyou era ancora vivo.
Sorrise sarcastico. Anche se mezzo- demone, il suo fratellino aveva dimostrato di avere una certa resistenza.
E ora… quello stesso miserabile era un membro del Consiglio delle Tre Terre.
Un dubbio raggelante e allo stesso tempo irritante si fece strada nel suo animo solitamente fermo e gelido.
E se Inuyasha fosse diventato… un Cavaliere?
Questa probabilità lo faceva alquanto irare.
Non un Hanyou, non Lui poteva diventare Cavaliere!
Con uno scatto violento, fece sbattere il boccale sul tavolo, facendo ammutolire l’intera locanda.
Jaken lo guardò spaventato, e un tremore terrorizzato si impossessò di lui quando i suoi occhi gialli si fissarono su quelli dorati del suo padrone.
Mai li aveva visti così ricolmi di furia, e mai lo aveva visto compiere simili gesti. Di solito, il suo signore Sesshoumaru non mostrava mai le sue emozioni.
L’Inu Youkai si alzò di scatto, dirigendosi verso la porta della locanda e ignorando gli sguardi perplessi dei commensali che ritornarono ad occuparsi dei loro affari nonappena lo Youko uscì.
Con velocità sorprendente, Sesshoumaru uscì dal villaggio, eludendo anche la guardia dei vari soldati appostati alle uscite, e prese a correre verso una meta indistinta, lo sguardo ricolmo di una marea di emozioni e allo stesso tempo freddo come il ghiaccio.
Lui, Sesshoumaru, primogenito del grande Inu Taisho, aveva visto il suo Regno andare in rovina, venire risucchiato dall’oscura ragnatela di quell’inetto di Naraku che aveva osato bandirlo dalla sua patria.
Spettava a lui rimpossessarsi della sua terra, del suo trono, della dignità della sua casata caduta in rovina.
E di certo non avrebbe dato questa possibilità al suo odiato fratellastro.
Quello di riportare agli antichi fasti la sua stirpe era un suo compito, un suo diritto.
Suo e di nessun altro!
- Inuyasha… non ti permetterò di fare tuo quello che mi spetta di diritto…. Farò rinascere il mio Regno spargendo il tuo sangue macchiato della colpa di essere nato con quello macchiato della colpa del tradimento di Naraku! -
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Dal giorno dell’attacco all’Isola di Arlem era passato circa un mese.
Eldoras, per tutti quei lunghi giorni, non si era mai fermata un attimo e, dopo tanti anni, aveva rivisto i suoi cieli oscurati dalle imponenti figure del suo esercito di Draghi.
Tutta la Terra Centrale era costantemente monitorata dalle continue e serrate perlustrazioni dei gruppi speciali di Cavalieri, con il compito di individuare un qualunque germe di pericolo per la capitale.
Ma l’esercito di Orchi, che come un ciclone aveva colpito violento e improvviso Arlem, si era come volatilizzato, scomparso tra le nebbie che circondavano la costa orientale della Terra Centrale, come un incubo inafferrabile e da cui non è possibile fuggire.
Il Parlamento, nella capitale, lavorava senza sosta, continue assemblee e riunioni di emergenza si susseguivano nel corso dei giorni senza tregua, poiché ogni giorno c’era sempre qualcosa da fare e da organizzare.
Uno dei compiti più importanti gravava sulle spalle di Mendion che, in quanto Ministro della Difesa, si doveva occupare di organizzare le innumerevoli squadre di ricerca da mandare anche negli angoli più remoti del Paese, le squadre speciali che dovevano recarsi nei villaggi e città sparsi per la regione e addirittura quelle che dovevano recarsi nei Paesi alleati, in particolare il Regno del Nord, verso il quale era stata rivolta anche una missiva di pronto intervento per quando il martello nelle mani di Naraku si fosse abbattuto su di loro con tutta la sua forza.
Arlem non era stato che un assaggio, e loro lo sapevano bene.
“Io propongo di mandare una squadra speciale anche nel Regno del Sud! Abbiamo bisogno di sapere che sta succedendo!” una voce potente si innalzò tra le pareti imponenti della Sala del Parlamento, acclamata in seguito da chi la occupava.
Anche quel giorno, in inoltrato pomeriggio, si stava tenendo un’assemblea a cui stava partecipando quasi tutto il Parlamento.
“Capisco le tue ragioni, Tsume, ma adesso come adesso credo sarebbe inutile” obiettò il Governatore con voce chiaramente stanca alla proposta avanzata dal rappresentante di uno dei clan degli Ookami Youkai.
“E per quale motivo, se mi è permesso saperlo?” domandò a sua volta lo Youko, leggermente alterato per tutta quella reticenza, gli occhi affilati lampeggianti di irrequietezza.
“Come minimo bisognerebbe mandare una squadra di cinque uomini, massimo sei – si intromise Kouga – Non sopravvivrebbero cinque minuti nonappena messo un piede dopo il confine. Naraku avrà pensato a tutto, anche a come bloccare eventuali squadre di ricerca, in modo particolare quelle speciali.
“Non solo dispone di Youkai formidabili e, ora, di un esercito di Orchi di cui ignoriamo l’entità, ma dalla sua ha anche la Magia. Non mi stupirei se avesse fatto non so quale incantesimo per tenere sotto controllo il confine ed eventuali intrusioni.
“Ora come ora, mandare una squadra nel Regno del Sud, sarebbe solo un’inutile condanna a morte”.
L’intera Sala ammutolì, riflettendo su quanto detto dal giovane Cavaliere, a capo però di uno degli squadroni più potenti della Milizia.
“Kouga ha espresso con precisione e chiarezza qual è la situazione e il perché non possiamo penetrare nel Sud – esordì Mendion, attirando l’attenzione della Sala con la sua voce tranquilla, ma, in quel momento, ferma e decisa più che mai – Ho organizzato personalmente ogni singola squadra, conosco il volto di ogni singolo soldato e Cavaliere che compongono il nostro esercito e, credetemi, non c’è nessuno, purtroppo, in grado di compiere una simile impresa.
“Non sapere quello che il nemico ci riserva ci mette in svantaggio, è vero… ma noi disponiamo di una forza che non può immaginare. Il Sud combatte per un destino di morte e distruzione, noi per uno di libertà e pace. Il nemico non conosce il valore della vita, noi sì, ed è questo che ci farà vincere”.
Un boato di acclamazioni si alzò da parte dei membri del Parlamento, rinvigoriti dalle parole infuocate del Ministro.
Takehiko rivolse un sorriso di complicità a Mendion. Malgrado le apparenze, Mendion era in possesso di una forza e di una fermezza tali da sorprenderlo ogni volta.
Per lui non c’era cosa più importante che la sua terra.
“Scusate, Governatore” una voce prevalse sul vociare degli altri presenti nella Sala, che si azzittirono all’istante.
“Parla, Kelth” disse Takehiko, guardando negli occhi il capitano di uno dei reggimenti di fanti dell’esercito
“Si tratta della Principessa Kagome. Durante le nostre numerose riunioni non se ne è parlato, ma vorrei sapere con precisione se è stata organizzata una squadra destinata alla sua protezione”
“Hai ragione. Finora non è stato riferito niente di ufficiale, ma comunque la squadra c’è, ed è già stata organizzata. Io e il Ministro Mendion abbiamo preso questa decisione in quanto eravamo sicuri che voi onorevoli membri del Parlamento l’avreste approvata.
“Abbiamo deciso di affidare la protezione della Principessa ai tre membri del Consiglio delle Tre Terre, mio figlio Miroku, Sango di Mend e il Principe Inuyasha”.
Una serie di assensi e di commenti favorevoli si dispersero tra le mura della Sala e il Governatore sorrise soddisfatto. Infondo non avrebbe potuto affidare la protezione di sua cugina a elementi migliori.
“Signori, per oggi direi conclusa questa assemblea. Le cose da fare sono molte e non possiamo permetterci di perdere altro tempo a parlare. Vi chiedo di tornare alle vostre occupazioni” detto ciò, il nobile Takehiko vide il progressivo svuotarsi ordinato della Sala, ogni membro del Parlamento tornare ad occuparsi del proprio compito.
Sospirò, stanco, appoggiandosi alla sedia.
“Ci aspettano tempi duri” commentò Mendion, vicino a lui
“Sì, questo non è che l’inizio”.


“Inuyasha!”
“Uh? Oh, ciao Sango”.
Nel frattempo, mentre l’assemblea nella Sala del Parlamento si era conclusa, Inuyasha aveva terminato i suoi allenamenti di Magia insieme a Miroku, il quale era andato a cambiarsi.
“Che hai, mi sembri un po’ agitata” le disse l’Hanyou, guardandola stranito.
“È così, infatti. Kagome è sparita”
“Cosa?!? Ancora?” sbottò il mezzo- demone
“Già… l’ho persa di vista un attimo e non c’era già più” lo informò la ragazza, con un espressione tra il preoccupato e il rammaricato
“Quella stupida ragazzina! Non preoccuparti, Sango, ci penso io a trovarla!” la rassicurò, deciso, con sguardo di fuoco.
- Non so se essere più preoccupata, adesso – pensò la Cacciatrice, avendo notato lo sguardo furibondo del Cavaliere.
Senza aspettare un secondo, lo vide andare via con passo svelto, per dirigersi fuori dal Palazzo, alla ricerca della Principessa che da un mese a questa parte si era rinchiusa nel suo mondo fatto di freddezza e solitudine.
Sango sospirò, sconsolata. Le mancava la Kagome allegra e anche un po’ fragile. Le mancava la Kagome che l’ascoltava e che la faceva calmare ogni qual volta Miroku mettesse le mani dove non doveva.
Le mancava la vera Kagome.

Inuyasha si aggirava per il perimetro del Palazzo quasi come un’anima in pena.
Tutti quelli che incrociavano la sua figura tesa, non potevano far altro che rabbrividire nel vederne l’espressione contratta e gli occhi lampeggianti di ira infuocata.
E il brontolio basso che usciva dalle sue labbra di certo non rendeva la sua figura più attraente.
Da un mese a questa parte quella era una scena che si era ripetuta più di una volta.
E la sua pazienza, già di natura scarsa, si era esaurita.
- Qui è inutile cercare – pensò, dato che non avvertiva, nemmeno in modo impercettibile, l’odore della ragazza. Se fosse stata nel Palazzo lo avrebbe già saputo da un pezzo.
Perciò decise di dirigersi verso l’esterno, l’unica parte che ancora non aveva controllato.
Mosso da desiderio di vendetta più che da senso di dovere, il mezzo- demone perlustrò in lungo e in largo tutta la parte verde che circondava la dimora della Famiglia Reale, dalla grande fontana dove erano soliti ritrovarsi, fino alla Dimensione degli Elementi, nella quale lui stesso, da un po’ di tempo a questa parte, aveva preso ad allenarsi.
Niente. Di lei, di quella ragazzina viziata neanche una traccia.
Poi, come un flash, nella mente gli si materializzò l’immagine del lago che si trovava nella parte più fitta della foresta.
Non sapeva perché, ma il suo sesto senso gli diceva che forse lì avrebbe trovato la sua preda.
E il suo sesto senso non lo aveva mai tradito.
Con passo svelto e ansioso, si diresse verso la nuova meta, convinto che, questa volta, avrebbe avuto la possibilità di sfogarsi con l’immagine in carne ed ossa di Kagome, e non con una sua proiezione mentale che da un po’ di tempo era diventata la sua unica valvola di sfogo.
Dal giorno dell’attacco all’Isola di Arlem c’era stato un peggioramento decisamente drastico.
Alcune volte si era ritrovato a pensare che la giovane fosse stata addirittura fin troppo amichevole ai tempi in cui loro stessi si erano recati ad Arlem in sua ricerca.
L’unica descrizione che ora si poteva dare di Kagome era ‘blocco di ghiaccio ’.
Sospirò, un misto di rassegnazione e irritazione.
Almeno quando c’era stato quel fraintendimento sul tetto, quando aveva creduto che la ragazza volesse suicidarsi, da parte di lei c’era stata una reazione… sì, si era arrabbiata, ma almeno l’aveva vista piena di quella linfa infuocata tipica del suo carattere.
E adesso?
Adesso era un involucro di bell’aspetto, vuoto di un qualsiasi sentimento.
Ma non era così, e lui lo sapeva bene.
Era quello che Kagome dimostrava, solo perché quello era il suo desiderio.
Riflettendo sulla situazione, non si era accorto di essere arrivato nei pressi della sua meta.
E come aveva supposto, ci aveva azzeccato.
In pochi istanti, infatti, il cielo venne oscurato dalla figura massiccia e imponente di Hirador, le ali leggermente piegate e gonfie in modo da rallentare la spinta naturale del vento affinché potesse atterrare.
Rimanendo nascosto dalla folta vegetazione che poi si apriva per lasciare spazio allo specchio calmo del lago, Inuyasha rimase a guardare la ragazza che, con lentezza ed eleganza, scendeva dal dorso sellato del Drago.

- Sai bene cosa ti aspetterà, tra poco – disse Hirador nonappena Kagome mise piede a terra.
“Oh, basta ti prego! – sbottò lei quasi esasperata – Non ho due anni, credo di avere il diritto di muovermi come mi pare e quando mi pare!”
“No, non credo” smentì una voce alle loro spalle.
- Oh, a quanto pare la ramanzina arriverà prima del previsto! – commentò sarcastico il Drago, guadagnandosi un’occhiata bieca da parte del suo Cavaliere
“Cosa vuoi, Inuyasha?” gli domandò lei, guardandolo annoiata.
Il mezzo- demone alzò un sopracciglio, battendo un piede a terra, esprimendo così palesemente la sua irritazione.
Almeno, pensò, mi ha guardato in faccia.
“Cosa voglio?! Voglio sapere dove te ne sei andata, razza di stupida! Guarda che è una fatica starti dietro!” sbottò, senza riuscire a trattenersi
- Certo che se fa così non otterrà nulla di buono – pensò divertito Hirador, che pensò bene di accucciarsi per godersi al meglio i residui raggi del sole che stava tramontando
“Non credo siano affari tuoi e poi nessuno ti obbliga a perdere tempo dietro a me” ribatté atona Kagome
“Direi il contrario, visto che sei il mio incarico!”
“Ah, adesso sarei diventata un ‘incarico ’?” chiese con tono sarcastico la ragazza “Non mi importa quali ordini vi abbiano dato…” aggiunse, per poi scomparire dalla sua vista in un lampo
“Non ho bisogno della vostra protezione” terminò, comparendogli alle spalle, bloccandolo mentre gli teneva puntato alla gola la lama di un pugnale.
Sul volto di Inuyasha comparve un sorriso di sfida. Almeno, in questa occasione, un minimo di contatto ‘reale ’ lo stavano avendo.
Una settimana prima – l’ultima volta che l’aveva vista – quando l’aveva ripresa perché non si era fatta trovare per una mattina intera, si era limitata a guardarlo negli occhi con quella sua espressione completamente vuota, per poi voltargli le spalle e andarsene senza una parola.
Oggi, invece, era perlomeno ‘allegra ’.
Non vedendolo reagire, Kagome allentò la presa, e proprio in quel momento lui ne approfittò, e con uno scatto fulmineo, si invertirono i ruoli.
“Tu dici?” le sussurrò in un orecchio, la lama del pugnale che, brillante, premeva leggermente sulla pelle liscia del suo collo.
Kagome, per quanto possibile, gli lanciò un’occhiata furente. Lui a quello sguardo sorrise, in un certo senso quasi intenerito.
Allentò la presa, mantenendola comunque vicina a sé, sentendone il calore e vendendo avviluppato dal suo particolarissimo profumo.
Deglutì, con un senso di nervosismo a chiudergli la bocca dello stomaco.
Che diavolo gli prendeva, adesso?
“Lasciami” la voce greve e decisa di Kagome lo fece trasalire, ma non ebbe il tempo di riprendersi completamente che la ragazza sfuggì alla sua presa e ora gli voltava le spalle, poco più avanti.
Hirador li guardava curioso già da un po’, soprattutto gli strani – ma non poi così tanto, pensò sarcastico – comportamenti dell’Hanyou.
Inuyasha sospirò rassegnato. Anche questa volta non era venuto a capo di niente, se non essersi inimicato ancora di più la miko.
La vide allontanarsi, pronta ad uscire dall’antro del bosco.
- Che ci vuoi fare – si sentì dire poi dalla voce profonda di Hirador che gli si era avvicinato e ora, come lui, guardava la schiena della ragazza – Ha un carattere tutto suo, fa la dura, ma in realtà è tenera come un agnellino! – disse ridacchiando
“Hirador!” sbottò Kagome, adirata, avendo anche lei sentito quello che il suo Drago aveva appena detto “Forza, andiamo!” gli ordinò, perentoria, tornando sui suoi passi
- Eeeh, è meglio che faccio come dice lei… per un po’ – commentò sospirando divertito, per poi volgere gli occhi dorati verso quelli ambrati dell’Hanyou – Vedrai che tutto tornerà come prima – e senza aspettare una qualunque risposta da parte dell’Hanyou, prese a seguire con calma il suo Cavaliere, per poi scomparire nella folta vegetazione.
Inuyasha rimase fermo a guardare il punto in cui i due erano scomparsi, interdetto dalle parole del Drago.
Che Hirador avesse intuito quello che provava?
Scosse la testa. Non era quello, ora, il problema.
Doveva esserci, pensò, doveva esserci un modo per poter far tornare Kagome quella di un tempo. Perché, ne era convinto, solo la ragazza che rideva allegra e che faceva il broncio era la vera Kagome.
Sbuffò, passandosi una mano tra i lunghi capelli argentei, volgendo lo sguardo distratto sulla superficie placida del lago che rifletteva gli ormai tenui raggi dorati del sole del tramonto.
Le prime stelle della sera erano già comparse, pronte a cospargere di luce argentata il manto scuro della notte e un leggero vento fresco aveva preso a spezzare il silenzio irreale che fino a quel momento aveva regnato tra gli alberi della foresta.
Con calma, il mezzo- demone abbandonò con gli occhi quel magico scenario, e anche lui prese a tornare verso il Palazzo.
Doveva cercare Sango e dirle che la sua cara amica stava più che bene, come al solito del resto.


“È sparita di nuovo?!”.
La voce chiara di Miroku rimbombò per le immense pareti della Biblioteca delle Ere.
Da alcune settimane il giovane Majutsushi era stato incaricato di fare un’accurata ricerca sulla Shikon no Tama, per poterne ipotizzare i probabili luoghi in cui potesse trovarsi.
Sango pochi minuti prima lo aveva raggiunto, informandolo che la cugina, ancora una volta, aveva pensato bene di andarsene da sola, senza avvertirli.
La ragazza sospirò, annuendo stancamente.
Era preoccupata per Kagome, non tanto per la sua incolumità fisica - lei, come gli altri, sapeva bene che la miko era perfettamente in grado di provvedere a se stessa - quanto per il suo stato d’animo.
Nemmeno con lei si confidava più.
Si allenava con la Magia, volava con Hirador, partecipava alle assemblee più importanti del Parlamento che richiedevano la sua presenza. Per il resto Kagome era introvabile e quelle poche volte in cui aveva pranzato o cenato con loro era stata del tutto assente, limitandosi solo a qualche fredda parola.
“Non fartene una colpa, Sango. Anche a me è sfuggita più di una volta!” cercò di consolarla Miroku, con il suo solito sorriso raggiante.
La Cacciatrice lo guardò appena, il volto appoggiato sulle braccia incrociate sul tavolo in legno.
“Cosa possiamo fare per lei, Miroku? – domandò poi, dopo alcuni istanti di silenzio, la voce gonfia di preoccupazione e frustrazione – Non sopporto di vederla così, quella non è Kagome!” concluse, la voce spezzata da un sommesso singhiozzo. Quella situazione la faceva soffrire, per lei Kagome era diventata la sua migliore amica, quasi una sorella. Sentì gli occhi inumidirsi.
La mano grande e calda di Miroku si posò sulla sua, stringendola con fare protettivo.
Spostò gli occhi lucidi su quelli blu mare di lui, ritrovandosi ad ammirare il suo sorriso dolce.
“So che stai male Sango, perché anche io provo lo stesso. In questo momento Kagome si trova in pozzo senza fondo, ma è lei che deve trovare il modo di aggrapparsi a qualcosa e risalirlo. Noi non possiamo fare altro che starle vicino, anche se lei sembra rifiutare il nostro aiuto”.
Sango rimase a fissarlo, ammirata ancora una volta da quella sua incredibile sensibilità.
In effetti lui più di lei doveva sentire il peso di vedere la cugina affogare in quel mare turbolento di rimorsi e sensi di colpa, senza riuscire a fare niente, senza riuscire a darle un punto di appiglio.
Abbassò lo sguardo. Spesso, in quei giorni, si era ritrovata a pensare di se stessa di essere una perfetta egoista.
Per tutto quel tempo non aveva fatto altro che lamentarsi delle sue sofferenze, quando invece c’era sempre stato chi stava peggio di lei.
Ma Miroku c’era sempre stato. E forse, dando per scontata questa cosa, se ne era approfittata.
‘Faccio questo per te perché ci tengo a te, Sango…’.
Dal giorno in cui le aveva detto quella frase era passato ormai un mese.
E per tutto quel tempo, l’argomento non era stato ripreso… e questo, in un certo senso, la faceva stare male.
Si era resa conto ormai da tempo che in lei, Miroku, suscitava strane emozioni, ma ancora non riusciva a capire di cosa si trattasse.
Sapeva solo che per lei, la sua vicinanza, era importante.
Sospirò.
“Scusa, Miroku. Non so cosa mi sia preso, mi sto comportando come una bambina”
“Non ti preoccupare – sorrise lui, lasciando la sua mano – È normale che tu ti comporti così, vuoi bene a Kagome e soffri per lei”.
Sango annuì, sorridendo a sua volta.
“Come procedono le tue ricerche?” gli domandò poi, prendendo a sfogliare uno dei numerosi libri sparsi sul tavolo.
“Non un granché bene” sospirò il ragazzo, appoggiandosi stancamente allo schienale della sedia, passandosi una mano fra i capelli neri “Avrò letto una cinquantina di libri, ma tutti dicono più o meno le stesse cose. In modo particolare la leggenda sulla Shikon, quella è riportata in tutti i tomi”
“La leggenda della Shikon?” domandò curiosa e perplessa la ragazza.
“Sì. La creazione della Shikon no Tama risale ai tempi dell’alleanza tra i Draghi e gli abitanti della Terra Centrale, poiché, fino a prima di questa, tra le due popolazioni era sempre intercorso un rapporto di ostilità.
“Quando si arrivò al punto in cui entrambi i popoli erano ormai sull’orlo della distruzione più completa, di comune accordo si arrivò all’alleanza.
“Questa avvenne in modo particolare grazie alla mediazione di una potentissima sacerdotessa, la somma Midoriko, che non è altri che la capostipite degli Higurashi.
“Come simbolo dell’alleanza, Midoriko e i Draghi insieme, fondendo i loro incommensurabili poteri, diedero alla luce la Shikon no Tama, di cui Midoriko divenne la protettrice, e dopo di lei, ogni nuovo erede degli Higurashi avrebbe avuto tale incarico”.
“Ne ero allo scuro, nel Nord si sa poco a proposito” ammise Sango, guardando ammirata l’immagine riportata su uno dei libri della mistica Sfera.
“È comprensibile, anche perché della Shikon si sono perse le tracce ormai da secoli, purtroppo non si sa con precisione sotto quale sovrano sia scomparsa”
“Ma Miroku… hai detto che Midoriko è la capostipite degli Higurashi… ma non è stato Eldeor a fondare Eldoras?” domandò perplessa la ragazza. Miroku sorrise paziente.
“È così, infatti. Eldoras è nata grazie a Eldeor, ma solo dopo la Guerra della Prima Era. Prima di questa, la Terra Centrale era costituita solo da medi agglomerati di cittadini, non c’era una vera e propria capitale.
“Solo quando si rese necessaria la costituzione di un vero e proprio esercito, e in particolare la Milizia, si pensò allora di fondare una capitale, un punto di riferimento per tutto il Paese.
“Ed è solo dall’epoca di Eldeor in poi che si hanno resoconti dettagliati di quegli anni… è una fortuna che ci siano, infatti, così tanti libri sulla Shikon visto che sul resto non vi è praticamente nulla. Per esempio, per quanto riguarda l’albero genealogico degli Higurashi, si hanno notevoli lacune, praticamente da Midoriko si passa direttamente a Eldeor, mentre degli eredi precedenti non si sa nulla”.
“Capisco”.
“Bè, direi che con la lezione di storia, per oggi, abbiamo finito” sbottò allegro il Majutsushi, alzandosi in piedi “Ti va di aiutarmi a mettere a posto e poi di andare a mettere qualcosa sotto i denti?” le chiese, sorridendole ampiamente
“Certo!” gli rispose Sango, contraccambiando il largo sorriso.

[…]

Un raggio brillante e dispettoso del mattino si posò sul suo volto, facendola mugugnare in risposta.
Era mattina, un altro giorno era arrivato.
Un altro giorno della sua condanna.
Aprì gli occhi ametista, ormai privi di quella luce che, dopo tanti anni, erano riusciti a ritrovare.
Si mise seduta, volgendo gli occhi verso quello squarcio di orizzonte che le tende semi- socchiuse gli permettevano di ammirare.
Un mese, era passato un mese. E lei non aveva saputo ancora niente di certo.
Non sapeva niente di sua nonna Kaede, del signor Yoshikawa, di Deniel e Kliff….
Si mise una mano sulla fronte, un’espressione angosciata a contrarle i dolci lineamenti del viso.
Non ce la faceva più. Non riusciva più a vivere senza sapere niente di loro, senza sapere se fossero vivi o… morti.
Strinse gli occhi, prendendo a respirare lentamente. Doveva calmarsi.
Era perfettamente conscia che, per il momento, era impossibile sapere qualcosa di certo, mandare messaggeri ad Arlem sarebbe stato troppo rischioso, lo sapeva, l’aveva capito.
L’unica cosa che poteva fare era allenarsi il più possibile, diventare sempre più forte tanto da poter garantire l’incolumità di chi amava e uccidere chi le aveva portato via i suoi sogni, la sua vita, la sua famiglia.
Naraku.
Al pensare a quel nome i suoi occhi che in quei giorni si erano tinti di un alone indelebile di freddezza, si tinsero di un’ira furiosa.
Si alzò di scatto dal letto, la sottile camicia da notte di seta che si posava sul suo corpo snello e sinuoso.
Anche quel giorno lo avrebbe dedicato agli allenamenti che ormai conduceva da sola visto che Miroku non aveva più niente da insegnarle.
Progressivamente, e grazie soprattutto alla sua ostinazione, stava riuscendo a controllare tutti gli Elementi, ed ora si stava dedicando al fuoco, il più difficile da gestire.
Ma ce l’avrebbe fatta, non avrebbe fallito.
Si recò nel bagno del suo appartamento, beandosi dell’acqua fresca sul suo visto ancora adombrato dagli ultimi residui del sonno.
Dopo che ebbe terminato di lavarsi si vestì velocemente per poi raggiungere con la mente quella di Hirador
- Buongiorno, mia adorata! – la voce allegra del Drago, in quel mese, era stata la sua unica consolazione. Sorrise appena.
- Buongiorno, Hirador – gli disse, con una nota di dolcezza di cui la creatura fu molto felice – Sto andando ad allenarmi, ci vediamo più tardi –
- Sì, ma non esagerare, mi raccomando – l’ammonì lui, con il suo solito modo di fare protettivo
- Sì, non ti preoccupare – e si allontanò dalla sua coscienza, sentendolo però ancora legato a lei in modo impercettibile.
Con passo svelto, imboccò l’ingresso del passaggio che l’avrebbe portata direttamente all’esterno.
Era rischioso passare da lì poiché c’era la probabilità di incontrare Inuyasha.
Fece spallucce, l’avrebbe ignorato e se l’avesse ostacolata, se lo sarebbe tolto di torno anche con la forza.
Non capiva il motivo di tanta insistenza.
Almeno Sango e Miroku avevano capito la situazione e, in un certo senso, le davano il suo spazio.
Invece quell’Hanyou indisponente si era proprio deciso a farla impazzire.
Appena la vedeva le si metteva alle costole, senza lasciarla in pace nemmeno un secondo. E tute le volte che decideva di andarsene per conto suo e lui la ritrovava ore dopo, non perdeva occasione di farle delle irritanti ramanzine, con quell’espressione tra l’imbronciato e il… preoccupato?
Perché mai doveva essere preoccupato per lei, quando non la sopportava? E del resto era reciproco.
- Sai che non è vero – si bloccò, con gli occhi sgranati, nel sentire nella sua testa quella frase assurda.
Però… se ci pensava bene Inuyasha si era più volte preoccupato per lei, più volte l’aveva consolata e lei… aveva fatto altrettanto.
I suoi occhi si tinsero di una sottile tristezza mentre una strana sensazione faceva presa sul suo cuore troppe volte provato.
Inuyasha, si ritrovò ad ammettere, le era stato vicino fin dal primo momento, fin dal giorno in cui venne a sapere della sua identità.
Sì, era vero, litigavano sempre, ma… lui c’era sempre stato.
Quella sensazione di calore che avvertiva tutte le volte che si trovava tra le sue braccia l’avvolse di nuovo.
Anche il giorno prima, quando l’aveva trovata, si erano ritrovati vicini l’uno all’altra.
E quando lui le aveva parlato, sussurrandole nell’orecchio… non aveva potuto fare a meno di rabbrividire.
Perché? Perché quella morsa al cuore?
Scosse la testa. Non poteva, non voleva sentirsi più così confusa.
Riprese a camminare, cercando di ritrovare la sua sicurezza, finché non si ritrovò all’esterno, il sole abbagliante di quel giorno sereno che per qualche momento l’accecò.
Con passo svelto, si diresse vero la parte posteriore del parco che circondava il Palazzo, per raggiungere la Dimensione degli Elementi.
Al solo guardarla un senso di tranquillità la pervase.
Respirò felice, allenandosi i problemi che l’affliggevano, almeno per un po’ di tempo, sarebbe parsi lontani e meno minacciosi.
Chiuse gli occhi, concentrandosi.
Niente avrebbe potuto distrarla.


- Svegliati, Inuyasha… -
“Mmmh…” mugolò il mezzo- demone, girandosi dall’altra parte. Harliem lo guardò storta, sbuffando.
La sera prima il Cavaliere si era presentato nei suoi appartamenti con la faccia contratta in una smorfia irritata.
Non ci volle molto per capire che si trattava di Kagome.
Facendosi portare la cena lì, nei suoi appartamenti, l’Hanyou era rimasto tutto il tempo con il Drago, continuando per tutta la sera a lanciare improperi contro la Principessa e la sua testardaggine finché, esausto, non era sprofondato nel confortevole mondo di Morfeo.
- Oggi non è il tuo turno di stare dietro a Kagome? -
All’udire quel nome, Inuyasha aprì un occhio, sospirando appena.
Sinceramente non aveva voglia di vederla. O, meglio, non aveva voglia di vedere lo spettro di quella che era Kagome.
“Si arrangi, tanto non ha bisogno della mia protezione” disse infine, testardo. Il Drago volse gli occhi in alto, sbuffando.
- Non avrà bisogno della tua protezione, ma della tua vicinanza sì – insistette Harliem, e il mezzo- demone si volse verso di lei, lo sguardo privo della sua abituale energia.
“Della mia vicinanza, dici? – fece una breve risata sarcastica – Comincio a pensare che non sia vero neppure questo”
- Esci! – sbottò all’improvviso la creatura, disorientando Inuyasha
“Che?”
- Esci! Tu non sei il mio Cavaliere, lui non direbbe né si comporterebbe mai così! Inuyasha è uno che non si arrende! – ruggì, scotendolo.
Il mezzo- demone rimase a fissarla con gli occhi sgranati. Era vero, che gli stava succedendo? Non era da lui frignare come una femminuccia!
“Scusa Harliem, hai perfettamente ragione” le disse, sorridendole grato ed accarezzandole il muso squamato “Ci penserò io a dare una bella svegliata a quella mocciosa!”
- Bravo, così ti voglio! – commentò allegra la dragonessa, guardandolo poi mentre si alzava e indossava il gilè della sua divisa che si era tolto la sera prima.
“Vado nei miei appartamenti a darmi una lavata e poi andrò a cercare quella stupida che sicuramente sarà già sparita da qualche parte”
- Va bene… per favore, chiedile se le va di passare da me, quando ha un po’ di tempo -
“Certo… a questo non credo che mi dirà di no” le rispose sorridendo per poi salutarla con la mano e uscire dai suoi appartamenti.


“Anf, anf”.
- Maledizione! – esclamò dentro di sé, alterata, Kagome mentre vedeva disperdersi nell’aria piccole fiamme del colpo da lei lanciato. Ancora non riusciva a gestirlo come voleva, né la distanza né la potenza, e cominciava ad innervosirsi.
Alcune fitte lancinanti le colpirono le braccia. Guardò le sue mani, vedendole tremanti.
“Se continui così morirai”.
Una voce irritante, fin troppo bene conosciuta, la raggiunse alle spalle.
“Mi meraviglio di vederti solo a quest’ora, Inuyasha. Davo per scontato che mi saresti stato alle costole fin dal primo mattino” commentò sarcastica la ragazza, voltandosi a guardarlo, chiaramente esausta.
In effetti, da quando si era svegliato, erano passate un paio di ore, ma questo perché era stato trattenuto dal Ministro Mendion che aveva bisogno di lui per una serie di questioni.
“Sono stato trattenuto, ma sta sicura che sarebbe stato così se non avessi avuto da fare”
“Puoi tornare ai tuoi impegni, nessuno te lo impedisce” ribatté l’altra, tornando a voltargli le spalle, concentrandosi per lanciare un altro colpo.
“Te l’ho detto anche ieri. Sei tu, ora, il mio ‘impegno ’ prioritario” dichiarò testardo lui
“Oh, mi spiace recarle così tanti disturbi, vostra Altezza” disse lei irritata… come se fosse colpa sua se il Governatore aveva deciso che dovevano farle da balia!
Stizzita, non si concentrò abbastanza, e lanciò l’incantesimo senza il dovuto controllo e, a differenza di prima, questo colpo fu troppo potente, tant’è che arrivò a colpire alcuni alberi, incendiandoli.
Inuyasha, prontamente, sferrò un colpo di tipo acquatico, spegnendo le fiamme.
Kagome si accasciò a terra, ansimando violentemente mentre le braccia le tremavano per lo sforzo.
“Non è un disturbo, Kagome – le disse, calmo, Inuyasha, avvicinatosele e sedutosele vicino – Vorrei solo… aiutarti…” e la guardò, fissando con le sue iridi scrutatrici, quelle incerte di lei, ora chiaramente sorprese
“…Perché?” domandò lei, sussurrando appena, ma quello che bastava perché l’Hanyou la sentisse.
“Perché siamo simili”.

FINE 23° CAPITOLO.
Ed eccoci qua!
Avete visto allora chi c’è in questo capitolo? Il nostro caro Sesshoumaru! Bè, almeno, ora, sapete con certezza che il misterioso personaggio che compare alla fine del 19° capitolo non era Sesshoumaru… anche se il mistero rimane eheheh!
Bè, che dire… per la nostra Kagome non c’è mai un attimo di tregua, poverina! Q____Q E dire che sono io che sto scrivendo! Vabbè, questi sono dettagli! XD
Bè, ora non resta che vedere come proseguirà la faccenda… che ruolo avrà Sesshoumaru – e sinceramente non lo so nemmeno io XD! - , che combinerà Naraku, chi è il personaggio misterioso e via dicendo… bè, ce n’è, ce n’è! XD
Well, ora la sottoscritta vi saluta, dandovi il bentornato e soprattutto il bentornato a Efp che ci è mancato tanto! >.<
Bene, anche se è martedì e la settimana è già iniziata, io vi auguro comunque un buon proseguimento!
Aspetto vostri commenti,
baci,
ka_chan ^___________^

  
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