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Autore: Starsshine    24/08/2011    2 recensioni
Una bugia può cambiare una storia d'amore?
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Jared Leto, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi!

Torno a pubblicare la mia fan – fiction dopo tanto, tantissimo tempo. Scusatemi,ma, volevo aspettare il computer nuovo per continuare, quello vecchio stava per tirare le penne.

In questo capitolo ho semplice aggiunto una parte in più che in quello precedente non c'era.

Non vi preoccupate dal prossimo torno con nuovi capitoli e nuove storie.

Alla prossima e come dico sempre.... buona lettura :)

Baci.

Fede xD

 

I suoi passi risuonavano lungo il corridoio dell'ospedale.

Tum – tum – tum.....

Passi, solo passi.

 

Presi in mano la fotografia.

Io e Jason, sorridenti.

Passai le mie dita esili lungo i nostri profili, le nostre facce.

Mi ricordo ancora quella volta in cui mamma ci scattò la foto.

Era la sera di Natale, dopo il cenone a casa di nostra nonna.

“Dai ragazzi voltatevi che vi scatto una foto!” disse sorridendo nostra madre.

Io e Jason ci guardammo negli occhi, leggendoci nella mente, come solo noi sapevamo fare.

Il verde e l'azzurro si incontrarono.

Sorridemmo e ci voltammo di scatto verso l'obiettivo, continuando a sorridere.

 

“Dio, Jason, com'eravamo indifesi difronte alla vita, che ci hanno creato...” dissi sottovoce.

 

Mi alzai dal letto.

Decisi di muovermi e camminare.

Uscii dalla stanza, lasciandola così com'era: lenzuola stropicciate, il cuscino spostato verso un unico lato del letto, le coperte per terra a causa del caldo afoso che aveva investito Los Angeles.

 

Un passo dopo l'altro.

Lentamente avanzai verso la sala d'aspetto.

Alzai lo sguardo verso il grande orologio che campeggiava nella stanza.

Ore 11 e 30.

“Bene, Shannon arriva alle 12 e 30. Ho ancora un'ora libera” dissi.

Come un prigioniero che evade dalla cella, come una stella che segue un'altra traiettoria, mi sentii stranamente eccitata dell'azione che stavo per fare.

Evadere.

Sì, evasione.

Finalmente, arrivò l'ascensore.

Entrai nel piccolo scatola argentata, ricoperta di specchi.

Osservai le persone intorno a me.

Chi aspettava.

Chi chiamava il proprio amato o amata.

Chi era nervoso.

Chi preoccupato.

Chi reggeva in braccio il proprio bambino.

Chi si osservava allo specchio.

Come me.

Viso stanco, visibilmente eccitato e stranamente felice di quello che stava compiendo.

Arrivai al 15esimo piano : Neonatologia.

Procedetti a passo spedito verso la sala con il vetro dove si potevano vedere i bambini.

Rimasi davanti per minuti interminabili davanti al vetro con le braccia conserte.

Bambini di colore diverso, di nazionalità diverse.

Tutti meravigliosi.

Tutti piccoli e indifesi.

Alla scoperta del mondo.

“Qual è il tuo o la tua?”

Mi voltai verso una donna giovane, neo – mamma, dall'aspetto.

Portava una vestaglia blu che ricopriva il suo corpo lasciando scoperte solo le caviglie, i capelli rossi percorrevano le spalle e le lentiggini erano sparse sul suo viso bianco.

I suoi occhi azzurri mi scrutarono, studiandomi.

“No, no... Qui non c'è nessun figlio” risposi, muovendo le braccia, facendo finta di scacciare via una mosca immaginaria.

“Ah, mi dispiace” disse dispiaciuta per quello che aveva appena detto.

“Già, dispiace anche a me” risposi abbassando il capo e guardandomi la punta dei piedi.

“Comunque io sono Elisabeth” disse con un sorriso stampato sul viso allungando la mano verso di me.

“Piacere. Sara” risposi, stringendole la mano.

Ci sorridemmo per un lungo istante.

“Vuoi entrare con me?” domandò spontaneamente.

“Va bene” risposi imbarazzata, arrossendo in volto.

Superammo la piccola porta di vetro.

Ci coprimmo la testa con delle cuffie verde accesso e indossammo delle tuniche dello stesso colore della cuffia.

L'infermiera ci condusse lungo le culle fino al nome della piccola Mary.

Il volto di Elisabeth si trasformò dal sorriso simpatico di qualche secondo prima, al sorriso materno.

Prese in braccio sua figlia.

Aveva la pelle di un colore rosa chiaro e una folta massa di capelli neri copriva la sua piccola testa.

Le sue piccole manine avevano afferrato quelle della mamma che, intanto le accarezzava il viso,mettendole a posto i capelli.

I piedini scalpitavano, anzi si muovevano a ritmo di una canzone che canticchiava Elisabeth.

Gli occhi erano neri e osservavano la sua mamma.

Rimasi a guardare la scena estasiata dal rapporto madre – figlia che si era venuto a creare attraverso quei pochi contatti tra le due.

“Vuoi prenderla in braccio?” mi domandò.

“Eh... no, no. Grazie”

“Dai, prendila. Non ti mangia,mica, sai” rispose sorridendo.

“Beh.... Se proprio insisti. Va bene”

Si avvicinò, porgendomi la bambina tra le mie braccia.

Sentii che una strana sensazione si faceva spazio dentro di me.

Amore materno.

Amore per la propria figlia.

Amore verso la piccola creatura.

Amore verso la propria arte, creata dal padre e dalla madre.

Rimasi a guardare la piccola Mary, tra le mie braccia.

“Ciao piccola. Vivi una vita felice. “ le sussurrai, sorridendole.

Poi un qualcosa di inaspettato.

La sua piccola mano destra si allungò verso il mio viso, lasciandomi una piccola carezza.

“Grazie” dissi con le lacrime agli occhi.

Guardai Elisabeth.

“Hai una figlia meravigliosa.”

“Grazie” rispose.

Le porsi la bambina, che poi adagiò nella culla.

Le lasciò una piccola carezza, prima di uscire dalla stanza.

Salutai Elisabeth abbracciandola e poi mi incamminai verso la sala d'aspetto.

Guardai il grosso quadrante dell'orologio che segna le 12 e 35.

“Cazzo! Shannon! Se non mi trova in camera inizierà a preoccuparsi!” dissi sottovoce, cercando di non dare troppo nell'occhio.

Scesi al decimo piano e camminai svelta verso la mia stanza.

Arrivai con il fiatone verso la porta e rimasi ad osservai Shannon.

Era seduto sulla soglia del letto e rigirava tra le mani il suo I – Phone.

“Guarda che non devi essere apprensivo e preoccuparti per ogni singolo mio movimento” dissi spezzando il silenzio che si era creato.

“Dov'eri?” domandò preoccupato, alzandosi di scatto dal letto.

“Ero andata in neonatologia.”

“In neonatologia?” domandò curioso.

“Sì” risposi,mentre mi distendevo lungo il letto e appoggiavo la testa sul cuscino

“E cosa sei andata a fare in neonatologia, scusa?”

“Secondo te?”

“Non lo so. Rispondimi tu.”

“Sono andata a vedere i bambini nati ed ho incontrato una neo – mamma. Molto bella e simpatica” risposi, giocando con una ciocca dei miei capelli guardando Shannon.

Si avvicinò e mi baciò.

“Così va meglio” dissi discostandomi dalle sue labbra.

“Vuoi che mi sdraio vicino a te?”

“Non devi neanche chiederlo” risposi sorridendo maliziosamente.

Si sdraiò vicino a me, prendendomi tra le sue braccia, facendomi sentire protetta, sfiorandomi con le dita fredde le mie braccia e lasciandomi un bacio sul collo.

“Shannon ti devo dire una cosa.” dissi facendomi seria tutto ad un tratto.

“Ti ricordi di Jason?”

“Sì, tuo fratello.”

“Ecco, lui è...”

“Lui è?”

“Vivo”

“Vivo?!” mi domandò guardandomi in faccia.

“Sì , Shannon è vivo!” risposi alzando la voce.

“Bene.... bene.... bene....” disse grattandosi il mento.

“Shannon sei solo capace di rispondere bene?” domandai seccata dal suo comportamento.

“Cosa dovrei fare?”

“Lascia perdere” dissi alzandomi dal letto.

Camminai verso la finestra, finché senti le braccia di Shannon stringere le mie.

“Ecco, vedi cosa non va”

“Cosa non va?”

“Questo” dissi voltandomi verso di lui piangendo.

Si avvicinò, fissandomi negli occhi.

“Shannon che fai?”

Sì avvicinò ancora di più a me, prendendomi il viso tra le mani.

Mi baciò.

“Sono qui e non ti lascio. Sappilo”

“Scusami” risposi infrangendo quel muro di silenzio che si era venuto a creare tra me lui.

“Scusami, scusami,scusami. Tu mi stai vicino, perché in questo momento sei l'unica ancora di salvezza che possiedo”

“Non parlare”

Continuai a stringere le sue braccia intorno al suo corpo, nonostante il mio fragile corpo e la mia mente che in quel momento avevano solo un pensiero fisso: Jason.

 

   
 
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