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Autore: ImperoColpisceAncora    25/08/2011    4 recensioni
Quando la ruota del tempo smette di girare,
quando due Dee sono le facce di una stessa medaglia,
quando rimpianti, ricordi, frasi sospese, cuori infranti e vecchi compagni d’armi si ritrovano,
quando nuovi Cosmi sorgono per cambiare il destino del mondo,
quando anche la Speranza muore
solo le anime più impavide e le volontà più salde potranno salvare
quel che resta di un leggendario mondo dorato.

[Scritta a quattro mani da scrapheap_sama e Vashti]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tre:
   [Fulmine]















        
Una nuova scarica si infrange nel buio. La luce inghiotte tutto, ed è un po’come se il mondo si smaterializzasse. Bianco, silenzioso.
Ma dura solo un istante.
Il fulmine, così veloce e violento, si dilegua in un batter d’occhio, quasi non fosse mai esistito.
Il cielo torna nero, la pioggia cade ancora. Un ticchettio simile ad un respiro.
E l’uomo aspetta; nascosto tra le foglie, accucciato nel fango.
Sente i suoi occhi su di sé. Come la pioggia. Li sente, ma rimane immobile. Le spalle appoggiate alle rocce e gli occhi chiusi.
Una goccia scivola sulle guance. Cade. Si infrange a terra, in un’altro tic.
Ed è a quel punto che l’uomo si muove. Esce dai cespugli, scrollandosi di dosso l’acqua.
Ha il capo coperto e in mano qualcosa di artificiale e metallico. Qualcosa che sa uccidere, emettendo un gran frastuono.
L'uomo punta l’oggetto in avanti, stringendolo per l’impugnatura. Distorce la bocca in una smorfia disgustata. “Demone” sibila.
E il demone sotto la pioggia, capisce che è ora che arriverà il tuono.
Ma non vuole sentirlo. Non dopo il lampo. Non fra tutti quei ticchettii.
Silenzio. Luce e silenzio.
Serra le palpebre, più forte. Corruga appena la fronte e lo lascia andare.
All’inizio è solo un palpito debole. Poi si fa più deciso, si allarga simile a increspature d’acqua.
Lo sente, luminoso e bollente, tanto da ustionare l’anima.
Non c’è più né la pioggia, né la terra. Ci sono stelle. Migliaia di stelle e pianeti, che vorticano su loro stessi. Strade luminose nel buio del nulla.
“Ora” sussurra.
Ed è come se l’universo si contraesse. Uno spasmo di fuoco isterico. Un grido.
Poi tutto esplode nella luce.
Bianco.
Silenzio.
Quando riapre gli occhi piove ancora; ma l'uomo incappucciato non c'è più.
 


Ancora poco tempo e la nave sarà pronta a salpare, considera Aiolia percorrendo in silenzio il perimetro dell’Arena.
Si sente combattuto fra il desiderio di salire alla Nona Casa e la paura che lo tiene incatenato al passato.
La voce si è sparsa per tutto il Santuario, rapida come una scintilla che si trasforma in un incendio: il Saint di Sagitter è stato incaricato di trovare il misterioso proprietario del Cosmo d’Oro che ha risuonato dalle cupe tenebre.
Il Saint di Sagitter: il più forte, il più saggio, il più splendente fra i Cavalieri di Athena...
Forse perché la sua morte precose gli ha risparmiato il dolore di macchiare il suo animo puro...
Il Cavaliere di Leo stringe i pugni, pentendosi immediatamente, poi un altro pensiero gli attraversa la mente: Aiolos è suo fratello, non è solo il Saint di Sagitter. Eppure...
Potesse almeno dare la colpa di tutto a Saga, sarebbe molto più facile.
Sospira e costringe la sua mente a fermarsi, e si volta verso i gradoni: non ha bisogno di indovinare chi l’ha raggiunto perché lo conosce fin troppo bene.
Dopotutto è pur sempre suo fratello.
Anche se in quel momento sembra essere soltanto il Cavaliere di Sagitter, bellissimo in quell’immobilità stagliata contro il sole dorato.
Per un istante, uno solo, desidera corrergli incontro come quando era bambino ma poi si rende amaramente conto che non potrà mai più farlo. Adesso c’è un enorme divario a separarli, e non sono solo quelle scalinate.
Dalla sommità dell’Arena, anche Aiolos di Sagitter fissa in silenzio suo fratello.
Non ci vuole molto a capire quanto tempo è passato, lo può leggere sul viso di Aiolia che ormai è un uomo, mentre lui è ancora prigioniero di quel corpo da ragazzo, con indosso un’armatura che sente sempre meno sua.
Ancora una volta si rimprovera in silenzio, conscio che quei pensieri non si addicono a un Saint.
Ti prego, non guardarmi in quel modo. Non tu, fratello...
Aiolia, sale agilmente i gradoni, fermandosi a pochi passi da lui e Aiolos constata che un tempo non avrebbe mai alzato la testa per fissarlo negli occhi.
Un tempo, prima di morire...
Un pesante silenzio, carico di aspettative, grava su di loro dilatando quel momento. E’ Aiolia a rompere il silenzio, con la sua voce ferma, calda e decisa: una voce da uomo, nota Aiolos.
“Sei pronto a partire?”
No...
“Volevo salutarti” mormora come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fossero quelle le parole giuste da pronunciare
Aiolia trattiene un sorriso a metà fra il divertito e l’amaro.
“Hai deciso da dove comincerai le tue ricerche?” chiede, come un attore consumato che conosce a memoria il copione da recitare
“Dall'isola di Gyaros, così mi è stato consigliato dal Pontefice... Troverò il proprietario di quel Cosmo, ne sono certo. L’ho promesso alla Divina Athena”
Le avevi promesso anche la tua vita se è per questo...
Il Cavaliere di Leo distoglie per un istante lo sguardo, mentre sente le labbra bruciare, come se avesse davvero pronunciato quelle parole.
Aiolos è tentato dall’allungare la mano e sfiorare il viso del fratello, ma è consapevole che adesso quel gesto sarebbe inappropriato: non è più lui il maggiore fra i due...
“Sii prudente”
“Non mi accadrà niente”
Il Saint di Sagitter si pente immediatamente di quello che ha appena detto, Aiolia lo fissa negli occhi, più di quanto dovrebbe prima di sorridere con aria indulgente:
“Ne sono certo”
E non c’è più bisogno di dirsi niente. Leo guarda il fratello allontanarsi andando incontro alla luce del sole,  sente le guance bagnarsi e il sapore del sale sulle labbra.
Non doveva andare così: non erano quelle le parole da dire a chi è appena tornato dalla morte, ad un fratello tanto rimpianto e mai dimenticato. Sente il cuore battergli dolorosamente in petto e si costringe a lasciare l’Arena per fare ritorno al Santuario, sentendo sulle spalle tutto il peso della colpa.
Ancora una volta si rende conto che il tempo non ha cambiato nulla: non sarà mai all’altezza di Aiolos di Sagitter, il più splendente fra i Cavalieri di Athena.



Dell’isola di Gyaros, Aiolos ricorda l’odore pungente di pesce, le vele bianchissime e luminose che puntellano l’orizzonte, simili a perle galleggianti. Le reti di iuta, intrecciate a mano e lasciate asciugare al sole. Il vociare della gente, che si alza come nebbia sulle banchise.
Ma tutto quello che ha davanti ora, è un porto deserto. Relitti di piccoli pescherecci sono abbandonati al largo. Gli alberi maestri affiorano dall’acqua come bracci spezzati di un qualche bestia marina e lo schiumare del mare è l’unico suono.
Muove qualche passo sulla banchisa, striata dalle ombre rossastre del tramonto. Stringe le dita sudate sulle cinghie di cuoio attaccate allo scrigno dorato del cloth di Sagitter.
Resti ammuffiti di pesci e crostacei sono sparsi lungo il ponte. In lontananza il grido strozzato di un gabbiano solitario che scivola sul pelo dell’acqua per poi riprendere subito quota, come se dal mare si levasse un pericolo misterioso.
Aiolos si passa una mano fra i capelli, aggrottando la fronte.
Prima di arrivare a Gyaros, tutti i suoi pensieri erano rivolti alle parole della sua Dea, ed indirettamente a lui.
Le rivelazioni di Athena lo avevano confortato e allo stesso tempo incuriosito, tanto da fargli scordare il peso di quella missione. Di fargliene dimenticare quasi il senso.
Un volta arrivato sull’isola, si era immaginato di scorgere il volto di Saga, tra i colori e il vociare della gente.
Immaginava che gli sorridesse e che i suoi occhi di quel blu così intenso e profondo, si illuminassero come un tempo; mentre teneva per mano un bimbo dai i suoi stessi colori marini.
Ecco, gli avrebbe detto, questo è il bambino dal Cosmo dorato. Ora torniamo assieme, tutti assieme, al Santuario. E li restiamo per sempre.
Aiolos scuote il capo, come a scacciare quella visione a cui il suo cuore è legato con sciocca disperazione.
Si vergogna dei suoi stessi pensieri; ma al contempo è stanco di nascondersi dietro ad un volto che non sente più suo, un volto che si è tramutato in una maschera falsa e grottesca. Aiolos odia mentire, specialmente a chi gli è caro; specialmente ad Aiolia. Quella mattina, vedendolo, era stato veramente in procinto di lasciarsi andare. Di rivelargli tutte le sue angosce, e quelle stupide speranze che lo avevano carezzato dopo le parole di Athena. Ma non lo aveva fatto.
Svestire la propria maschera dinnanzi a lui, significa mostrargli un sé stesso troppo lontano dal Saint luminoso e incorruttibile che ancora popola i ricordi di Aiolia. E Aiolos non può sopportare la sua espressione delusa. Non la sua, no.
La realtà è fredda e buia, avvolta in un mistero che -si era illuso-, potesse appartenere solo al passato.
Fa qualche passo in avanti, scostando con la punta del sandalo il lembo sgualcito e impolverato di una vela, rimasto impigliato tra le assi del ponte.
C’è odore di paura e odio, nell’aria. Un sentimento stagnante che impregna ogni anfratto di quell’ isola silenziosa. E il pensiero del Saint non può che andare a quel Cosmo dorato.
Che la sua furia sia davvero la causa di un simile scenario?
Quando torna a rivolgere lo sguardo verso l’orizzonte, davanti a lui c’è un uomo. Fermo a una decina di metri, sottile e bianco come un fantasma. Lo guarda, con le labbra tremanti e gli occhi sgranati.
Il Saint ingoia i propri pensieri e abbozza un sorriso in sua direzione, avvicinandoglisi lentamente. Solo quando vede distintamente i tratti del suo volto emaciato, nota che su una spalla porta una vecchia baionetta.
“Salve” lo saluta, cercando di non far trapelare altro che sicurezza dalla propria voce.
L’uomo china la testa su un lato, come per squadrarlo meglio.
“Chi sei?”
Sagitter allarga il sorriso, comprensivo. “Mi chiamo Aiolos, vengo da Atene” dice vago, eppure attento a non risultare troppo ermetico.
“E non sei troppo giovane per far tanta strada da solo?”
Per un attimo un velo di stupore si dipinge sul volto di Aiolos. Si era quasi dimenticato di come il suo corpo apparisse agli occhi degli altri. E ancora più facilmente si dimentica che un ragazzo della sua età dovrebbe avere una famiglia e una vita normale.
“Ah, sì beh… I miei genitori sono venuti a mancare quando ero piccolo, vivo solo da tempo e sono abituato a viaggiare per conto mio…”
L’uomo sembra scrutarlo con sospetto, ma non ribatte. Allunga il collo, gettando un’occhiata furtiva alle sue spalle “ Di un pò… quel… quel coso che ti porti appresso… è d’oro vero?”
Il Cavaliere scrolla le spalle con calibrata indifferenza “Non direi, no… è solo una patina…” Vede la fronte del suo interlocutore corrugarsi e i suoi occhi farsi curiosi e sottili, e decide che è più saggio cambiare argomento “Piuttosto…  Non è che lei saprebbe dirmi cosa è successo in questo porto?”
A quella domanda il volto dell’ uomo sembra congelarsi in una smorfia tirata. Con la mano destra si stropiccia il volto, spostando la baionetta da una spalla all’altra. Poi chiude le palpebre e scuote il capo con aria grave.
“Non è bene parlarne qui” dice quasi sottovoce, come se qualcuno potesse origliare la loro conversazione “Non così allo scoperto… Tu sei straniero e non puoi saperlo, ma non è bene…”
“Capisco… Posso chiederle il suo nome?”
L’uomo  fa scivolare le mani nelle tasche logore “Mi chiamo Tito” ribatte velocemente, guardandosi attorno con aria circospetta . “Senti… vuoi venire alla taverna della Signora Galene, in paese… Lì al chiuso è più… sicuro, direi”
Aiolos gli rivolge un nuovo sorriso “Molto volentieri, ho viaggiato per ore e avrei davvero bisogno di mangiare qualcosa…”



Dietro il vetro appannato, Aiolos guarda le nuvole scure inghiottire le stelle.
Nella taverna dai muri di cotto, le persone si stringono ai tavoli bisbigliando fra loro di storie che sembrano appartenere ad un altro tempo.
Ha appoggiato il cloth in un angolo, coprendolo con la sua giacca perché non attirasse troppi sguardi. In quel villaggio di pescatori radicano paure che iniettano paranoie e sospetti viscerali, alimentarli anche nel più banale dei modi, potrebbe essere pericoloso.
“Ecco a te, ragazzino…”
La voce rauca e stanca di Tito lo distoglie dai suoi pensieri. L’uomo gli fa scivolare un piatto di Pitakìa davanti, dandogli una lieve pacca su di una spalla.
Aiolos sorride, come sempre “Grazie mille… non doveva disturbarsi…”
Lui scuote la testa e si lascia cadere sulla sedia vicina “Non farti problemi… Prima, quando ti ho incontrato al porto, non devo essere stato molto cortese con te… Ma di questi tempi non posso che essere nervoso…” dice, poi rivolge un gesto ampio alla sala “Lo siamo tutti quanti…”
Aiolos lancia uno sguardo  veloce agli uomini seduti ai tavoli attorno “Ho notato… E anche se non capisco quale sia il problema, immagino che centri con la baionetta che si porta appresso…”
Tito prende un respiro profondo e si inumidisce le labbra. “ Quello che sto per dirti, ragazzino, ti sembrerà assurdo… Ma ti assicuro che è tutto vero”
Lancia uno sguardo fuori, come a richiamare immagini che si raccolgono oltre la piccola finestra, nella notte.
“L’ho visto con questi miei occhi… e il sangue mi si è raggelato nelle vane, pensavo di non riuscire più a muovermi, di non riuscire più a tornare a casa…” la sua voce diventa un bisbiglio roco  “ Ma sono stato fortunato, io.”
Aiolos poggia i gomiti sul tavolo, allungandosi verso l’uomo. “Che cosa ha visto?” Chiede fermo e accondiscendete, e Tito deglutisce a vuoto, mentre i suoi occhi rimangono fissi sulla finestra.
“È un demone…” sibila, ed è come se quelle parole gli si fossero incastrate in gola. Come se stesse lottando con il suo stesso corpo per farle uscire. “Un vero demone”
Il cuore di Aiolos perde un battito. Ha l’impressione di cadere, inghiottito da una voragine invisibile.
Quel Cosmo dorato ha davvero…?
Nella sua testa iniziano a vorticare ricordi che credeva di aver dimenticato.
Gli occhi di Saga, più bui della notte. Un palpito dorato che si fa tenebra e odio. Gelo e morte.
No, ti prego, no.
Le mani di Sagitter tremano appena, ma l’uomo di fronte a lui non sembra notarlo.
“Oggi è il mio turno di guardia” continua con la voce di chi e orgoglioso della proprio condanna “E non mi tirerò indietro. Andrò in quel maledetto bosco, ancora. E gli sparerò. Gli sparerò, lo giuro. Cosicché questa maledettissima storia finisca per sempre.”
Aiolos si tende sulla sedia “Dove… dov’è che esattamente si trova questo…” fa una breve pausa, cercando altre parole, ma non le trova “… questo demone? Lei lo sa?”
Tito corruga la fronte e il suo volto si fa scuro “Perché me lo chiedi?”
La risposta viene da sé, spontanea e limpida.  “Perché sono qui per quel demone”
Cala un lungo silenzio. Lo sguardo di Aiolos rimane immobile, fisso in quello del suo interlocutore.
Non è lo sguardo di un ragazzino, pensa Tito senza abbandonare i suoi occhi. Ma è diverso anche da quello di un qualsiasi uomo. È come se venisse da un altro tempo. Un tempo di miti e leggende, in cui una sola volontà poteva cambiare ogni cosa.
Se fosse stato una situazione diversa, Tito avrebbe preso quel ragazzino per il bavero della maglia e lo avrebbe scrollato, per farlo tornare con i piedi per terra.
Ma da quando lo aveva visto su quel ponte distrutto, ergersi come un vessillo tra gli scheletri delle navi, tinto dai riflessi rossi e oro del sole che sprofondava nel mare; aveva capito che era diverso. Diverso da chiunque altro avesse mai incontrato.
Per questo, ora, non può che abbassare lo sguardo sulle proprie ginocchia e bisbigliare “Si nasconde nelle grotte della pineta, a qualche chilometro dal porto…”
Aiolos fa un cenno col capo, e chiede, quasi con dolcezza: “È  stato sempre lui a…?”
“Sì, qualche notte fa… La banchisa è stata spazzata via”
“In che senso?”
Tito intreccia le braccia sul petto e respira rumorosamente “Altri uomini erano andati nelle grotte a cercarlo. Si sono tenuti a distanza di sicurezza, ma quando lo hanno puntato con i fucili, lui ha alzato un fascio di luce che dalla pineta è arrivato fino alla spiaggia, distruggendo tutto… Gli uomini sono riusciti a mettersi in salvo”
Fa una pausa, e con il mento indica un ragazzo seduto poco più  avanti.
“Uno è il padre di Kosmas… È ancora a letto con una gamba rotta e qualche costola fratturata… Domani starebbe a lui il turno di guardia, e Kosmas si è offerto di farlo al suo posto”
Serra i denti, i suoi occhi si fanno sottili come due fessure “Ma non ci sarà nessun turno di guardia domani. Stanotte metterò fine a tutto con le mie stesse mani”
E mentre le labbra di Tito si stringono sull’ultima sillaba, un fulmine bianco e prorompente illumina il cielo nero, in un bagliore raggelante.
Subito dopo la prime gocce iniziano a cadere, intonando una melodia di ticchettii.



L’aria della sera è fresca, mitiga la calura estiva e porta con sé l’odore del mare misto a profumi di paesi lontani. Appoggiato contro una delle imponenti colonne dell’Ottava Casa, Milo lascia che il vento gli scompigli i capelli. Ripensa alle parole di Kanon e al'improvvisa partenza di Aiolos, chiedendosi cosa il destino abbia in serbo per tutti loro, quale sarà il prezzo da pagare per aver ritrovato la tanto sospirata pace.
E’un rumore di passi ad attirare la sua attenzione: alza lo sguardo e riconosce la figura di Aiolia.
Il Cavaliere di Leo sale i gradini con passo veloce, sul viso cerca invano di nascondere le tracce di un profondo turbamento.
Si ferma davanti all’ingresso della Casa di Scorpio e rimane in silenzio.
I secondi passano lenti, trasformandosi in minuti e l’impazienza di Aiolia aumenta.
“Vuoi lasciarmi passare?!”
“No” risponde serafico Milo.
“Come?”
“Mi sembra che tu non sia ancora sordo, ho detto no”
“Per piacere... concedimi di passare attraverso l’Ottava Casa”
“Dimmi perché”
Aiolia respira profondamente cercando di mantenere il controllo e risponde:
“Ho bisogno di... Oh insomma, non devo certo giustificarmi con te! Non vuoi lasciarmi passare? Benissimo, allora ritorno alla Quinta Casa!”
“Entra”
“Ma…”
“Vuoi entrare sì o no?”
Il Cavaliere di Leo sbuffa, ma preferisce non replicare. Segue il compagno all’interno dell’Ottava Casa, raggiungendo le stanze di Milo.
Scorpio si siede ad un piccolo tavolo e scosta con un piede dorato una sedia libera.
“Non ti facevo così cortese” commenta Aiolia, accetando il suo invito silenzioso.
“Non ringraziarmi, potresti pentirtene... Piuttosto, perchè sei più nervoso e intrattabile del solito?”
“E perché dovrei parlarne a te?”
“Preferisci parlarne con Aiolos? Oh ma che smemorato, tuo fratello è in missione... Vuoi del vino?”
“Credevo non bevessi”
“Di quando in quando, se proprio devo sopportarti, bevo volentieri anche del vino” replica alzandosi.
Aiolia si limita a sorridere, è talmente stanco che non trova la forza per ribattere e ne è dispiaciuto perché adora battibeccare con Milo. Quando si vede porge il bicchiere colmo di vino lo svuota in pochi sorsi.
“Vacci piano, vuoi ubriacarti per caso?”
Aiolia posa il bicchiere sul tavolo con veemenza, l’armatura sbatte contro il legno, producendo un rumore sordo.
“Hai intenzione di danneggiarla?”
“Questo legno di ultima categoria non rovinerà di certo la mia armatura”
“Non insultare il mio tavolo, gli sono molto affezionato”
“Da quando in qua sei affezionato a qualcosa che non sia Camus?”
“Micetto, vuoi perdere tutti i tuoi artigli in un colpo solo? Sto cercando di essere paziente, dunque parla”
Il Saint di Leo socchiude gli occhi per un momento, prima di mormorare:
“Si tratta di Aiolos”
Milo è sfiorato dall’idea di lasciare definitivamente il Santuario e ritirarsi a vivere in un eremo.
Mai desiderare quello che potresti ottenere...
“Accidenti a te, Camus” mormora sottovoce.
“Hai detto qualcosa?”
“Nulla. Ti ascolto...”
Aiolia gli lancia un'occhiata incerta, ma poi inizia a parlare "Mi sembra di essere intrappolato in un brutto sogno, ma non riesco a svegliarmi. Aiolos era la mia roccia, il mio punto di riferimento, il mio mondo. Ammiravo tutto di lui... Se non lo sentivo al mio fianco provavo qualcosa a cui allora non sapevo dare nome... Quando morì compresi che si trattava di dolore, puro dolore” sfiora con le dita il bordo del bicchiere ormai vuoto e apre la porta sul passato, un uscio che tiene sempre chiuso per non soffrire ancora di più “Tutto quello che pensavo, dicevo e facevo era in funzione di mio fratello. Per un suo sorriso avrei venduto anche l’anima. Aiolos era così bello quando mi sorrideva e mi guardava con quello sguardo speciale. C’era solo un’altra persona per cui lo riservava…”
Si interrompe brusco, allungando la mano verso la brocca di vino, ma Milo è lesto a sottrargliela.
“Lasciami bere…”
“Vorrei che riuscissi a tornare alla Quinta Casa sulle tue gambe… La persona di cui parli è… lui vero?” chiede sommessamente.
Aiolia fa un cenno col capo. “Sì” sussurra.
Quella singola sillaba risuona tagliente come la lama di un rasoio e il silenzio di Milo è un invito a proseguire.
“Mi chiedo perché abbia voluto recarsi solo nelle stanze del Pontefice, perché non abbia chiesto aiuto... Perché non abbia parlato con me, dannazione! Ero suo fratello, non un perfetto estraneo!”
“Eri un bambino, era suo dovere proteggere anche te. Se fossi morto al posto suo, Aiolos non se lo sarebbe mai perdonato”
“Quindi morire solo, con il conforto del cielo che non rispondeva alle sue preghiere, senza nemmeno la presenza di una persona cara al suo fianco è stato giusto?! E’ questo che vuoi dire?!”
“Per quanto possa sembrare riduttivo, di fronte all’immenso dolore che hai provato per la sua morte, tuo fratello ha salvato la divina Athena. Ha compiuto il dovere più grande che spetta a ogni Cavaliere, quello che ha fatto in quel momento era la cosa più giusta da fare”
“Lo so” mormora mentre le lacrime trattenute per troppo tempo gli rigano il volto “Dopo la sua morte mi sono sempre rimproverato per non avergli detto tante cose e adesso che lui è tornato... Non ci riesco, mi sento paralizzato. E’ come se fra noi ci fosse un divario a separarci, solo che lui è rimasto al di là della linea e io sono andato avanti. E’ lui ora il più piccolo fra noi, è così inconcepibile...”
Milo è colto alla sprovvista da quella reazione inattesa e sincera. Si alza e raggiunge il compagno, poi l’abbraccia impacciato. Aiolia posa la fronte contro il freddo metallo dell’armatura, nascondendo il viso.
“Adesso hai un ottimo motivo per farti beffe di me” mormora quando riesce a ritrovare la voce, asciugandosi il viso col dorso della mano inguainata d‘oro.
Milo gli rivolge un sorriso divertito prima di replicare:
“Lo terrò bene a mente, dunque ti converrà stare attento a non provocarmi... Come ben sai, non sono la persona migliore per poter dare dei consigli, però permettimi di dirti una cosa: prendi tempo, è quello che ti serve. Sono certo che anche Aiolos sia turbato, che voglia parlarti ma non riesce a rompere il silenzio che vi divide. Fa che la rabbia, il dolore, la confusione lascino spazio al sentimento che un tempo provavi per tuo fratello e allora sarai pronto per avvicinarti a lui”
Aiolia lo guarda negli occhi, grato, poi commenta:
“Non conoscevo questo lato saggio di te”
“Colpa del vino che mi scioglie la lingua e di Camus, lui e tutti quei suoi libri stanno avendo una pessima influenza su di me”
“Sei in grado di leggere?”
“Noto con dispiacere che cominci a stare meglio... Ad ogni modo sì, a differenza tua so leggere”
Il Saint di Leo ride divertito, senza più sentirsi in colpa, sotto lo sguardo del compagno che si finge arrabbiato.
 “Potrei restare ancora un po’ con te?” Domanda una volta calmo.
Milo alza gli occhi al cielo allargando le braccia, poi riprende la brocca del vino posandola al centro del tavolo:
“Mi faranno un monumento…” mormora sedendosi.
“Gra...”
“Non ti azzardare a dirlo”


Lo scroscio della pioggia investe qualunque altro suono. Le fronde dei pini si agitano come animate di vita propria, vergate dal vento. Tutto sembra essere inghiottito in un miasma cupo e bagnato. Un ammasso di forme che si stagliano vibranti nel buio.
L’uomo davanti a lui barcolla, affonda gli stivali nella fanghiglia umida e prende un respiro affannato. Tiene la tracolla della baionetta con entrambe le mani, issandosela sulla spalla una, due, quattro volte.
Aiolos vorrebbe chiedergli se va tutto bene, ma sa che non lo sentirebbe.
Lo sta seguendo in silenzio, sulle spalle il cloth di Sagitter e ai piedi i sandali di cuoio. Tito non gli ha chiesto nulla. Probabilmente ha notato la facilità con cui si muove sotto l’acquazzone, nonostante il peso che porta  sulle spalle e quell’ abbigliamento leggero; probabilmente ha notato molte altre cose. Ma non può esserci spazio per le domande, né per le risposte.
Aiolos si è limitato a seguirlo, rallentando il proprio passo per poter rimanere dietro di lui, in una tacita dimostrazione di rispetto.
Un altro fulmine squarcia il cielo. Il mondo sembra farsi bianco e lineare, per un istante. Le pareti delle grotte, i pini, il fango. Tutto ha contorni netti.
Tito allunga un braccio, fermandolo contro il petto di Aiolos. “Manca poco” dice, mentre la luce del fulmine si spegne sul suo volto, facendolo tornare un’indistinta macchia nera.
“Deve essere oltre quelle rocce, laggiù… quando piove è sempre lì…”
Muove qualche passo in vanti, piegandosi allo sferzare del vento; mentre il brontolio del tuono raggiunge il lampo in un eco gutturale e roco.
Ed è in quel momento che Aiolos lo sente.
Non proviene dalla pineta, però, non dalle grotte. Viene dal mare.  
Un dipanarsi avvolgente. Più che un’esplosione, una carezza, un richiamo delicato eppure vivido. Forte.
Un Cosmo. Un altro Cosmo dorato.
Splendente e puro; così diverso dal primo. Un Cosmo che in qualche modo, risuona molto simile al suo.
Aiolos trattiene il fiato, si appoggia alle rocce bagnate. Assieme a quell’abbraccio di caldo potere, lo raggiunge l’eco soffuso di un singulto strozzato. Apri gli occhi…
C’è la furia delle onde, poi. Una spiaggia.
Apri…
Uno sguardo marino. Un sorriso.
Possiamo ricominciare da capo, Aiolos?
“Saga…” Le labbra di Aiolos pronunciano quel nome da sole, e lui si porta una mano tremante alla bocca, quasi volesse carezzarlo.
Sente le ginocchia farsi molli; la voce di Tito che lo chiama, i suoi passi sull’erba bagnata.
Ma l’unica cosa che sembra contare è quel nome che gli esplode nell’anima. Quello sguardo.
“Saga…”
Quando le mani di Tito gli afferrano un braccio, il fulmine torna di nuovo. Bianco, potente, divora ogni cosa con il suo guizzo elettrico. Poi tutto si spegne.
Aiolos sbatte le palpebre, e si rende conto che l’uomo di fianco a lui sta tremando.
Alza lo sguardo, allora.
Sulle rocce davanti a loro si staglia una figura nera, immobile. Sembra completamente avvolta dal buio  e Aiolos, non riesce neppure a scorgere il bagliore dei suoi occhi.
Le mani di Tito lottano con la tracolla della baionetta, gli cade, la riprende dal suolo. Maldestramente la punta nell’aria, contro la figura, togliendo la sicura in un “clack” stridulo.



La schiena contro le rocce, lo sguardo fisso davanti a sé. Le gocce scivolano sulle palpebre, sulle ciglia, restituendogli la visione di un mondo liquido e sfumato.
Lo ha sentito. Quell’abbraccio caldo e luminoso che si è dipanato dal mare.
E ha sentito anche i due uomini, sotto la pioggia. Sotto le rocce.
Sta solo aspettando.
Sa che stavolta sarà più forte, più dirompente. Ma sa che non ha scelta.
Quando arriverà il fulmine, dovrà lasciarlo andare.
Per forza.



Aiolos non fa in tempo ad abbassare il braccio di Tito con uno scatto, che un’esplosione gelida e luminosa li investe. Un’esplosione di stelle.
Butta l’uomo a terra, ignorando le sue proteste e gli fa da scudo con il proprio corpo. Il suo Cosmo risponde a quell’attacco, accendendosi come una fiamma e proteggendoli entrambi.
Tito socchiude gli occhi per tentare di abituarli a quella luce schiacciante. Per un attimo pensa che il ragazzino sia stato arso vivo da quel fascio, ma poi si accorge che è lui ad emanare parte della luce che lo acceca.  È avvolto in un bagliore che ha i riflessi dell’oro.
C’è un rumore metallico, poi, di qualcosa di prezioso e pesante che si muove. Che tintinna.
E due ali d’oro si parano di fronte all’uomo lasciandolo a bocca aperta.
Ora il ragazzino non c’è più; al suo posto c’è il fulgore di un angelo, o un dio, non saprebbe dirlo con certezza.
Tito prova a rimettersi in piedi, ma non ci riesce. Si sente svuotato, apatico.
Sono venuto per il demone
Gli gira la testa. Gli alberi, le rocce tutto è preda della luce, come se il mondo fosse stato colpito da un fulmine eterno.
Aiolos fa un passo in avanti, per scorgere la figura da cui scaturisce quel Cosmo dorato.
Lo sente rispondere al proprio, con il chiaro intento di schiacciarlo.
Ricorda di aver già avuto a che fare con Cosmi appena nati; ma nessuno si è rivelato così ben calibrato. Nessuno, a parte uno.
Ti va di allenarci assieme, Saga?
Tanto lo sai già chi vincerà…
Sì? E chi vincerà?
Io.
Perchè mai dovresti essere tu a vincere?
Occhi come il mare. Un sorriso, sul volto di luna.
Perché vinco sempre…

Aiolos espande il suo Cosmo, ancora. Lambisce quello del suo avversario. Così esplosivo, così freddo. Arso di un oscuro istinto distruttivo.
Questa è la mia scelta, Saga.
Uno sguardo invisibile sotto l’elmo del Pontefice. Parole dure.
Ginocchia piegate. Un fremito. Non posso, non so niente sulle stelle... è Saga... è lui che... È lui.
Una voce che risuona spezzata e graffiante. Scura, troppo scura. Irriconoscibile.
Perché? Perché non io?! Ditemi il perché?!

Aiolos fa altri passi nel buio.
 “Non voglio farti del male”, dice con quanta più voce riesce a trovare in petto.
Il Cosmo avversario freme, lambito dal suo, crescendo ancora e ancora.
Cosa state facendo?!
Una daga d’oro. Una culla. Il pianto di una neonata.
Sangue, sangue sulla sua spalla, sul suo braccio.

I bagliori dei due Cosmi che si sfidano, acceca il paesaggio. Tutto è avvolto in quel potere ardente.
Non posso lasciarvelo fare!
Un movimento indistinto. Un sibilo. Un elmo doro che cade a terra.

Altri passi, sempre più vicino a quel Cosmo neonato che brucia con una violenza poderosa.
Ma tu sei… Saga?!
Occhi negli occhi. Il blu si è fatto oscuro come la notte, spento. Lontano.
Saga…?

Ora che mi hai visto in volto, anche tu dovrai morire.
Aiolos stringe le palpebre, muovendosi ad occhi chiusi.
Non si era accorto di nulla. Non aveva sentito nulla. Lui, il suo compagno. Il suo migliore amico.
Non si era accorto dello strazio che spaccava in due la sua anima tormentata.
È colpa mia… Mia.
I passi che lo separano dalla figura, sono sempre meno. Il suo Cosmo si incendia, quasi.
Se solo ti avessi teso la mano…
Se solo…
Poi arriva. Un’ altro fulmine. Si schianta tra i pini in un isterico balenio.
Ed è allora che Aiolos avverte il Cosmo del suo avversario esplodere.
Si espande nel cielo, travolgendo tutto.



Un bagliore simile ad un onda, si innalza dal mare, lambendo il Santuario.
Kanon si precipita fuori dalla Terza Casa, i bagliori dell’armatura di Gemini risplendono sotto i riflessi di quell’improvviso chiarore.
Sente il cuore martellagli nei timpani. Un brivido lo scuote.
Oltre il profilo delle colonne, stendardi candidi nella notte, l’orizzonte burrascoso è illuminato da  quell’esplosione assiderata.
Kanon si immobilizza, sotto il timpano della sua Casa, le labbra socchiuse, il respiro incastrato in gola.
Sente dei passi veloci, poi dalle scalinate sotto di lui, compare il volto teso di Mu, incorniciato dall' elmo d'oro.
“Kanon…” sussurra, come a trattenere quel moto di stupore e preoccupazione che lo ha spinto sin lì.
Lui non risponde, guarda il cielo con un'insistenza che ha le ombre della disperazione.
“Questo…”
Questo è il Cosmo di Gemini.



La pioggia viene come risucchiata via, spazzata in quel vortice di luce. Aiolos scosta le braccia dal volto, lasciando libera la visuale. Tutto è candido, quasi accecante.
Ha capito, Aiolos. Ha capito ogni cosa.
Sente il gelo di quel Cosmo, contrarsi d’innanzi a lui.
Abbassa lo sguardo ed è allora che lo vede.
Lì, in piedi, immobile. Non è un demone, no.
I demoni non esistono… Basta tendere loro la mano…
È un bambino.
I suoi capelli non sono biondi, lunghi e morbidi; ma scuri come la notte fradici e scomposti, appiccicati ad un volto infantile. Troppo, per essere così placido e statuario.
I suoi occhi non hanno riflessi marini, non sono profondi come gli abissi; ma vacui, del colore freddo dell’oro. Eppure...
Aiolos sente le guance rigarsi di lacrime. Calde, gli scivolano sul volto, senza un perché.
“Perdonami” sussurra  con voce rotta.
Cade in ginocchio, arrivando con il capo all’altezza del bambino che rimane immobile, inespressivo. Allunga le braccia dorate in avanti, cingendogli le spalle. Le ali di Sagitter piegate verso il suolo. Il copricapo prezioso, poggiato sulla fronte liscia e gelata del bambino.
“Perdonami”, dice ancora. E i singhiozzi lo scuotono, facendogli tremare le spalle.
“Perdonami…” Per non averti saputo salvare
Un respiro lieve. Freddo, come la notte e la pioggia.
“Non è a me che devi chiedere perdono…” La voce del bambino è atona, ma decisa.
Aiolos sussulta un poco, poi si scosta con gentilezza, per guardarlo in volto.
“Hai ragione… Anche se tu… gli somigli molto...” sussurra, passandosi il dorso della mano sugli occhi. Inspira.
“Ma ho deciso, ormai… Lo dirò a lui, a lui solo… Non mi tirerò più indietro… Non scapperò.”
Il bambino si volta di tre quarti per guardare la pioggia.
“Tu sei come me ”
Non è una domanda, è un’affermazione.
“Sì, io sono come te”
“E ce ne sono anche altri, non è vero?”
“Sì, molti altri…” Aiolos china il capo su un lato e aggiunge, con dolcezza “Non sarai mai più solo…”
Il bambino si volta verso di lui, senza fare rumore. Lo sguardo perso verso l’orizzonte buio.
“Come si chiama?”
“Cosa?”
“Il potere che abbiamo… come lo chiamate?”
Aiolos sorride, un sorriso disteso e sincero, dopo molto tempo.
“Lo chiamiamo Cosmo”
Il bambino rimane in silenzio come a ponderare quel nome, fissando qualcosa che ad Aiolos è invisibile. Il Saint gli si avvicina, posandogli una mano sulla testa.
“Quello che è accaduto… non è colpa tua… Il Cosmo è difficile da controllare… E quegli uomini…”
Il bambino non risponde. Lo sguardo inghiottito in un margine vacuo.
“Come ti chiami? ” Gli chiede infine Aiolos, caldo come il sole.
Il bambino poggia la testa contro la roccia bagnata e dura, lasciando che la pioggia scivoli ancora sul suo viso.
“Rigel. Io sono Rigel”
















*^*^*^*^*^*^

Emm... sappiamo cosa state pensando... Ma vi vogliamo rassicurare, non ci siamo fumate niente di strano... siamo così on nature.

Scusateci per questo mistico stillicidio, condito da infinite seghe mentali e flash back allucinanti... Abbiamo chiesto ad Aiolos il nome del suo pusher, ma è restio a darcelo... Chiederemo a Saga.

Scherzi a parte, grazie per aver letto questo interminabile capitolo e per continuare a seguirci....


  
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