Il mio nome è Yumiko Shiratori o Melpomene. Il suo non so, però
l’amavo.
Ero innamorata di lei e
ancora l' amo. Carezzo le sue vecchie foto. Bagno di lacrime queste ultime ore della giornata, pensando a lei mentre
fendo il petto della terra scavando la sua tomba.
Ora la cercano
ma io l’ho rubata. Ho rubato la sua ombra, ho
rubato il suo corpo e il suo sorriso per poterla avere sempre con me. Il suo
corpo.
Ora è freddo, finalmente
però
posso carezzarla e posso riposare con lei.
Abbiamo passato una bella
giornata amore?
Il suo vestito bianco di
strani cuori rossi, le dona fascino e malia.
Le sue labbra rosee sono
rilassate.
Sembra felice.
Prendo la sua mano e me la
passo tra i capelli e piango. La bacio sulla bocca dolcemente e le sfioro il
ventre. Sorrido.
In queste ore abbiamo
trascorso momenti dolci. Abbiamo fatto l’amore, abbiamo
riso di noi e pianto.
Ora però la sua ombra va
sfumando e non voglio vederla perdere il suo stupore. Si. Guardandola provo lo
stupore del bimbo che dopo lo spavento della la
tempesta vede sorridere, per la prima volta, l’arcobaleno.
I suoi capelli sono blu
violaceo, i suoi occhi verdi e le sue gote pallide
come una luna nuova.
Mio Dio quanto ti amo.
Debole scavo ancora. Non
voglio che la trovino. Voglio che lei, la sua ombra, giaccia nel mio intimo, sotto la grande quercia di questo sentiero. Voglio
che i viandanti passando sentano il suo odore nell’aria e piangano con me.
Solo io saprò che lei, lì
riposa. La bacio un’ultima volta mentre la lascio
scivolare, avvolta in una coperta candida, nel sacro buio della terra. Passai la
giornata sulla sua tomba sfogliando i suoi pensieri e
odorando il suo profumo.
La sera un viandante passò
di lì e mi vide.
E tu cosa ci fai qui tutta sola?
Faccio la guardia alla mia
ombra. Controllo che nessuno disturbi il riposo.
Riposa un tuo caro sepolto
da qualche parte?
No parlare così di lei pezzente. Lei era un angelo ed
era la mia amante. Tu zotico, figlio di Talia,
vattene.
Le solite puttanelle lesbiche. Mi date il voltastomaco. Sono felice
che tu soffra e ancor di più godo nel saper che i vermi ora stanno divorando
gli occhi spenti della tua squallida Saffo.
L’immagine penetrò nei miei
pensieri come la pesante vanga facilmente si fa strada
nel cranio e con le unghie sanguinanti e spezzate scavai senza tregua. Trovai
la sua sindone e trovai lei. Vermi. Formiche. Grossi
millepiedi. Iniziai a vomitare e il freddo mi prese il cuore. L’avevo persa?
Non potevo portarla con me?
Volevo
mangiare la sua anima, volevo
fare mia la sua ombra. Volevo sentirla per l’ultima volta dentro di me e
sentirci unite. La morsi ad un braccio. Poi morsi la sua
spalle e poi i suoi seni e la sua guancia e i suoi piedi. Ero vissuta
d’amore e non di cibo. Dopo i primi morsi amore e fame
si convogliarono in una morbosa carneficina e ne inghiottii il cuore e il
cervello e il fegato e le ovaie e la lngua. Per ore
trangugiai la sua anima e gustai il freddo nettare del suo cuore.
Di nuovo il tramonto. Di nuovo sola. Mi asciugai le mani nel bianco telo che ora
non ospitava che ossa rosicchiate e denti. Presi tra
le mani i suoi verdi iridi luccicanti come opali. Li
baciai e li misi in tasca.
Gli occhi sono
lo specchio dell’anima. Ora il tuo corpo è dentro di me e la sua anima vicino
alla mia. Per la prima volta amavo e per la prima
volta mi sentivo contraccambiata. Carica di due anime ormai indissolubili e due
ombre indistingubili camminai
per il bosco al tramonto della giornata più bella
della mia vita.