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Autore: herAmnesia    26/08/2011    3 recensioni
-Ciao papà – sussurrai mettendogli una mano sulla spalla.
Non mi rispose ovviamente, si limitò inarcare leggermente le sopracciglia.
Sospirai . Erano quasi due settimane che non lo andavo a trovare, con gli orari assurdi e Andrea da portare e andare a riprendere da scuola, non avevo trovato un attimo di tempo.
-Scusa se per un po' non mi sono fatta viva.. - mi sembrava giusto dirlo, anche se per lui non avrebbe cambiato le cose.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Oggi non si è mosso per niente, è stato tutto il tempo sulla poltrona, senza voler parlare con nessuno. Sembrava parecchio arrabbiato per qual cosa... ovviamente non sapeva cosa. Prima di portarlo a mangiare gli ho chiesto se stava bene, e lui ha risposto “si, tutto bene”. - feci il solito sorriso di circostanza e poi l'infermiera mi disse di seguirla.

Mi condusse nella hall nell'edificio, dove c'erano le solite persone e qualche nuovo arrivato. Lui stava ancora seduto sulla poltrona vicino al pianoforte e dietro di lui c'erano altri signori anziani, che giocavano a carte. Aveva la barba un po' lunga e lo sguardo perso nel vuoto. L'infermiera lo indicò e se ne andò dalla stanza.

Mi avvicinai con calma e dopo aver salutato alcuni anziani presi una sedia e la misi ad un metro dalla sua poltrona. Quando mi sedetti non cambiò nulla, lo spostamento d'aria avvenuto non fece alzare il suo sguardo. Sembravano trattare bene le persone, là dentro.
Non avevo di che preoccuparmi. Il problema era che non si trovava bene con nessuno, litigava spesso con gli uomini ed era scortese con le donne.

Neanche la televisione sembrava interessargli più di tanto. Se gli nominavo i nomi di qualche attore che gli piaceva, o non mi rispondeva o chiedeva “chi?”. Molte volte era difficile anche solo avvicinarlo, per quanto sembravano dargli fastidio le persone.

-Ciao papà – sussurrai mettendogli una mano sulla spalla. 
Non mi rispose ovviamente, si limitò inarcare leggermente le sopracciglia. 
Sospirai . Erano quasi due settimane che non lo andavo a trovare, con gli orari assurdi e Andrea da portare e andare a riprendere da scuola, non avevo trovato un attimo di tempo.

-Scusa se per un po' non mi sono fatta viva.. - mi sembrava giusto dirlo, anche se per lui non avrebbe cambiato le cose. Mi guardò per qualche secondo, poi di nuovo spostò lo sguardo più in su, verso la finestra e quindi verso il parco cosparso di margherite bianche.

-Ti piacciono quei fiori? - domandai. 
Annuì e poi disse : -Mi piace il bianco. - sussurrò.
Sembrava come se non parlasse da tempo, si schiarì un po' la voce e sospirò. 

Già, amava il bianco.
Amava anche la neve e l'acqua fresca dopo che si era lavato i denti, i gelati al limone e la montagna.

Sapeva suonare la chitarra e una volta aveva anche provato ad insegnarmi, con scarsi risultati.
Quello che invece era riuscito ad insegnarmi molto bene, era a cucinare.
Oh si, mi ha insegnato tutto lui.

-Devi sapere che per riuscire a creare qual cosa di sensazionale, devi prima di tutto essere convinto di poterlo fare.. e poi devi prenderti cura della tua creazione. - stavamo in un supermercato vicino a casa e mentre facevamo la spesa, mi spiegava i segreti del mestiere. Lui era un cuoco.

-Come faccio a prendermi cura della creazione? - chiesi con titubanza.
-Vuol dire che devi scegliere gli ingredienti con attenzione e poi prepararli come se fossero i tuoi figli. Devi amarli e preoccuparti per loro, quindi quando li cucini devi stare molto attenta alla cottura e cose del genere. -

Un sonoro “ohhh” uscì dalle mie labbra. Lui amava molto il suo mestiere. -Beh.. ti ho portato una cosa allora. - avevo una busta con me e quando ne tirai fuori una scatola lunga, la sua attenzione venne catturata. Gli porsi la scatola con garbo e lui la prese senza guardarmi. 
Quando lo aprì vide che dentro vi era un cappello da chef.

Era il suo cappello. Probabilmente non lo avrebbe aiutato a ricordare ma mi era sembrato sciocco non fare un tentativo. Magari la sola vista di quell'oggetto che era stato importante, gli avrebbe potuto far vivere qualche secondo di felicità.
Avevo lo sguardo fisso sul suo viso, sperando in un'espressione qualsiasi.

-Non è per me questo – richiuse la scatola e me la mise in mano.
-Certo che è per te! - ribattei io con entusiasmo.
Lui scosse la testa e riportò il suo sguardo verso il prato.
-No, io non mi chiamo così. -

Non pensavo che era arrivato quel momento.
Erano solo 4 anni fa che aveva cominciato a perdere l'orientamento.

-Papà, non dovresti più usare la macchina.. - gli dissi con dolcezza, non volevo ferire i suoi sentimenti. Purtroppo però era sempre stato suscettibile, infatti mi guardò con severità e rispose indignato: -Smetterò di guidare quando non saprò neanche chi sono. Capito? -


Beh.. almeno ci avevo provato. -Sei sicuro che non lo vuoi? - chiesi ugualmente, riavvicinando la scatola alle sue mani. -No! - rispose secco.
Mi vennero le lacrime agli occhi, così, stupidamente.
Avrei dovuto abituarmi a quei comportamenti, ormai erano due anni che a volte nemmeno mi riconosceva. Probabilmente quel giorno era una di quelle volte.

Forse notò che mi erano cadute delle lacrime sulle ginocchia allora mi guardò.
-E' inutile che piangi, tanto non lo prendo - 
Sorrisi, sembrava un bambino con quell'aria indispettita. 
Mi strofinai gli occhi e guardai l'orologio sul polso. Era ora di andare a prendere Andrea.

-Ok, ora io devo andare. Comunque tornerò domani mattina, per leggerti Moby Dick. - gli dissi alzandomi dalla sedia e rimettendola al tavolo. I suoi occhi si alzarono su di me.

-Ok. - mi sorrise. D'un tratto era cambiato, si era dimenticato della nostra conversazione e del cappello con scritto il suo nome sopra. Gli piaceva anche Moby Dick.

  
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