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Autore: _Frame_    27/08/2011    3 recensioni
Mio padre morì il 28 gennaio 2010. Era un poliziotto. Mia madre il 14 febbraio 2011. Lei era un'ex attrice e modella. Entrambi erano seppelliti nel cimitero a due passi da casa. Questo era tutto ciò che sapevo dei miei genitori all'età di cinque anni. Anzi, questo era tutto quello che volevano farmi sapere.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Questo è uno dei capitoli di "transizione"...come noterete subito non c'è molta azione come negli altri, tuttavia sono capitoli inidspensabili quindi mi scuso anticipatamente se vi annoierò troppo in questi pochi capitoli intermedi...siate clementi XD...ma non temete...l'action ritornerà presto...vi auguro ancora una buona lettura :)

10. UMANITA’ (AIZAWA) 

Non mi sentivo particolarmente sotto shock.
Ora che tutto era davvero finito, non potevo fare altro che sentirmi sollevato, ma ero certo che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, dopo quell’esperienza.
Nell’auto l’atmosfera era tombale.
L’unica cosa che rompeva il silenzio era il pesante respiro di Matsuda, seduto accanto a me.
Il suo sguardo era vuoto, intento a fissare le sue stesse mani, che non avevano smesso un attimo di tremare dopo ciò che era successo.
Forse, il suo, era stato un gesto un po’ troppo impulsivo, ma una cosa era certa.
Grazie a lui, una vita era stata salvata.
Se quella persona avesse meritato, o meno, il coraggio che gli era costato con quell’azione, non spetta a me stabilirlo.
-Tutto ok?
Alzò gli occhi spenti, per poi tornare quasi immediatamente nella stessa posizione.
-S… si.
Mi faceva un po’ pena.
Lui era l’unico che nutriva ancora una cieca fiducia in Light.
Ormai, L ci aveva messo la pulce nell’orecchio e più il tempo passava, più io, Ide e Mogi ci rendevamo conto di quella realtà che sembrava quasi un perverso gioco del destino.
L’ingenuità di Matsuda aveva funto da paraocchi, e la verità lo aveva colpito come una mazzata alle spalle.
-Come glielo diciamo a Misa?
Se per noi i problemi erano finiti, per lei erano appena iniziati.
-So bene che non è necessario che sappia che Light era Kira, anzi, nessuno dovrà venirlo a sapere, specialmente la madre e la sorella, ma non potremo nascondere per sempre la sua morte.
 L’unico a rispondere fu Ide che, contemporaneamente, si trovava al volante dell’auto.
- È un bel guaio. E, ora che ha appena partorito, le condizioni non sono delle migliori. Dico bene, Aizawa? Dopotutto, tu tra noi sei l’esperto in materia, essendo l’unico con figli.
 Sospirai. Ide aveva brutalmente ragione.
-Si, le depressioni post partum sono molto frequenti e, conoscendo Misa, so che sarebbe capace di gesti estremi, dopo essere venuta a conoscenza della sua morte. Dobbiamo salvaguardarla, sia per il suo bene, che per quello del bambino.
 Ide e Mogi annuirono, saremmo dovuti starle vicino, sarebbe stato disumano abbandonarla in un momento del genere.
 
Quando entrammo nella sua stanza, la trovammo di spalle, con lo sguardo rivolto all’orizzonte, fuori dalla finestra.
Dal camice sbucava un tubicino collegato ad una flebo quasi del tutto consumata.
La madre di Light era seduta vicino al letto e, non appena ci vide entrare, scattò in piedi come una molla, in attesa di buone notizie.
Ora veniva il difficile.
Feci accompagnare fuori la signora Yagami da Ide e Mogi, mentre io e Matsuda ci saremo occupati di Misa.
Lei, intanto, continuava a cercare il fidanzato con lo sguardo, che vedevo mutare gradualmente in una smorfia di terrore.
-Dov’è Light?
Riuscivo a malapena a guardarla negli occhi.
-Misa…
Le parole non uscivano.
Non esistevano parole adatte in quella situazione ma, per mia fortuna, se si può chiamarla così, lei aveva già capito tutto.
La vidi sbiancare di colpo.
Si girò, immagino tentando di mettersi seduta sul letto, ma le gambe non riuscirono a sostenere la prepotenza di quella realtà. Così si ritrovò per terra, avvolta dalle mie braccia che tentavano di farla rinvenire.
Riaprì gli occhi quasi immediatamente, e mi resi conto che, senza la loro solita luce, rendevano irriconoscibile il viso della ragazza, totalmente ribaltato rispetto a come lo avevo sempre visto.
Eravamo affezionati a Misa, tutti noi. Ed eravamo anche consapevoli che, senza Light affianco, lei non sarebbe mai più stata la stessa.
La presi in braccio, e la feci distendere dolcemente sul letto, stando attento a non strapparle la flebo.
-Hai bisogno di un aiuto, Misa. Un aiuto che noi non siamo in grado di darti. Dovrai essere seguita da uno psichiatra. È per il tuo bene, cerca di capirlo.
 L’ho sempre trovata una frase inutile e scontata, ma, sul momento, non mi venne in mente nient’altro di buono.
Matsuda finalmente si mosse dal suo stato vegetativo e si posizionò davanti alla teca del bimbo.
Non ci avevo quasi fatto caso, a lui, quando ero entrato.
Immagino che fosse intento a leggere il contenuto della schedina azzurra incollata sul lato frontale, quando la sua espressione apatica si evolse in un ghigno di rabbia, mista ad indignazione, che fece paura anche al sottoscritto.
Mi diede le spalle, a denti stretti, con il viso gonfio di ira, e uscì dalla stanza sbattendo la porta dietro di se.
Ovviamente, io ancora non potevo conoscere il motivo della sua rabbia precoce.
 
Quando vidi per la prima volta il bambino, la prima cosa che notai fu il folto ciuffo castano che sbucava dalle coperte bianche.
Il panno di cotone lo avvolgeva fin sotto il mento, tuttavia non mi fu difficile riscontare l’impressionante somiglianza con il padre.
Ora, il suo fantasma ci avrebbe perseguitato per tutta la vita.
Quel bambino era lì per una ragione.
Lui, non doveva farci dimenticare Light.
La sua presenza era necessaria affinché noi ci potassimo dietro quell’amaro ricordo per il resto della nostra esistenza.
Non ci era permesso rimuovere tutto, e non sarebbe stato giusto nei confronti di Light stesso.
L’occhio mi cadde sui caratteri cubitali scritti in nero su sfondo celeste.
Alla loro vista, feci un passo indietro, passandomi una mano tra i capelli.
“Ryuzaki Yagami”
Un bambino così piccolo, che portava un nome così pesante.
Non persi un secondo di più in quella stanza che pullulava di dolore e rassegnazione.
Mi precipitai da Matsuda, fermo in corridoio con la fronte appoggiata al muro e gli occhi che minacciavano di schizzare fuori dalle orbite.
-Matsuda…
-Aizawa…
La voce gli tremava.
Manifestava lo stesso stato d’animo che aveva fatto esplodere da dentro di se qualche ora prima, alla periferia di Tokyo.
-…tu…hai visto…che nome gli ha dato, quel bastardo?
Non risposi subito.
Dovevo tentare di riprendere il controllo delle mie emozioni…almeno io.
-Matsuda, sai io…non penso che lo abbia fatto con cattiveria.
Sollevò lo sguardo, fulminandomi, incredulo davanti a quella mia affermazione.
-Ma si, io…non so che cosa passasse per la testa in quel periodo a Light, ma sono sicuro che il legame che si era instaurato tra lui ed L,  non fosse così fasullo.
 Gli posai una mano sulla spalla.
-Magari…a modo loro…si sono davvero voluti bene.
Ero il primo a non credere alle mie stesse parole, tuttavia quelle poche frasi sembrarono funzionare con Matsuda, perché non ci volle molto, che lui tornò a rasserenarsi, pur sempre mantenendo l’evidente stato di sconvolgimento.
Nel frattempo, Ide fece capolinea da dietro l’angolo, a viso basso.
-Dov’è Mogi?
-L’ho lasciato con la signora. Immagino che Misa non sarà la sola ad aver bisogno di uno psichiatra.
- È il minimo, direi.
Ide spostò lo sguardo sulla porta della stanza numero 42.
-Piuttosto…se Light è Kira, allora vuol dire che Misa…
Io e il mio collega ci lanciammo un’occhiata d’intesa.
-Si, ho capito.
-Cosa? Volete che la faccia franca?
Matsuda ci guardò indignato.
-Matsuda…l’hai vista anche tu, vero? Sicuramente avrà rinunciato alla proprietà del quaderno, ed ora non ne conserva più alcun ricordo. La vita le ha già giocato abbastanza tiri mancini, ora non possiamo riuscirne con questa storia.
 Abbassai silenziosamente la maniglia e la vidi buttata tra le lenzuola, abbandonata a se stessa come una vecchia bambola gettata tra i rifiuti.
-Ormai…non può più fare del male. L’unica persona a cui può nuocere, ora, è se stessa.
 Ide si massaggiò le palpebre.
-Cristo…Light fa quasi più danni da morto che da vivo.
Io e Matsuda non riuscimmo a trattenere un accenno di risata, che pareva quasi un sussurro.
-Ci aveva proprio presi per il culo, eh?
Mi lasciai cadere a peso morto su una delle poltroncine posizionate in fila, lungo il corridoio.
-Credete che Near si farà più sentire?
-Bhè, in fondo, è in debito. Matsuda gli ha salvato la pellaccia.
Questa volta ridemmo di gusto.
-Ora non mi va di pensare a lui. Ma, è chiaro che, non potrà interrompere così bruscamente i suoi rapporti con noi.
 Io e Ide annuimmo.
Le cose non sarebbero più state le stesse.
Ognuno di noi era, in qualche maniera, cambiato.
Il nostro legame si era rafforzato, in quanto unici custodi di un segreto che non sarebbe mai stato rivelato al mondo intero.
 

   
 
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