Vacanza.
Impossibile. Holmes era una persona impossibile anche in vacanza,
quando questo
termine non avrebbe dovuto significare altro che
“riposo”.
Certo, Watson, quasi al quarto mese di distanza dall’ultimo
caso in cui Holmes
era rimasto chiuso in casa, al buio, ad uccidersi lentamente con le
droghe e
sparare al muro, lo aveva letteralmente
costretto a seguirlo fuori
dall’Inghilterra perché potesse distrarsi e
smettesse di cercare di uccidere il
cane con gli esperimenti.
Gli aveva preparato lui stesso la valigia per quella settimana fuori,
preoccupandosi di non metterci nessuna delle sue droghe, nessuno
medicinale che
Holmes avrebbe potuto assumere impropriamente al posto delle droghe,
nessun
alcolico e una quantità limitata di tabacco.
Il problema durante la vacanza, però, non erano le abitudini
nocive di Holmes a
renderlo impossibile. Era il suo modo di comportarsi con chi non era a
conoscenza delle sue capacità, il suo deridere allegramente
chiunque fosse a
tiro.
Aveva passato gli ultimi dieci minuti terrorizzando un povero mozzo
raccontandogli della sua stessa vita come se lo avesse pedinato dal
giorno in
cui era nato, dopo averlo osservato soltanto per un paio di minuti.
Questo
ragazzo, probabilmente al suo primo viaggio, se ne andò di
fretta, lasciando
Holmes a sghignazzare sul ponte, sotto lo sguardo esasperato di Watson,
che
aveva perfettamente capito che quel viaggio, di vacanza, avrebbe avuto
davvero
poco.