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Autore: fragolottina    28/08/2011    4 recensioni
'Anche io ho baciato solo una persona ed avrei voluto continuare a farlo…'
Era stata la prima volta che lo aveva sentito parlare ed anche la prima volta che il sapore delle lacrime gli aveva ricordato qualcos’altro.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Sora, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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sora questo capitolo lo adoro...
guarda che quelli che non mi hanno linciato nello scorso lo fanno adesso, eh? no dai, è bello...un po' triste, ma bello!
allora, niente non vi dico niente leggete!

Capitolo 4


La casa di Lea era un monolocale non molto grande. Puzzava. Con questo non voleva dire che non fosse stato pulito, ma puzzava di chiuso, di pietra; si guardò intorno curioso, era un bilocale a voler essere precisi: il salone principale, ospitava un angolo cottura, un tavolo ed un divano con annessa tv, proprio accanto al divano c’era una porta chiusa che, intuì, doveva portare nella sua camera o in bagno.
    «Aspettami qui.» disse dirigendosi verso quella porta.
    Sora rimase lì impacciato, con la sensazione che tutto quello avrebbe portato problemi, su problemi; gli sembrava già di sentire la voce di Roxas annunciarglielo, l’intonazione, il sospiro iniziale, il rammarico, ma si rifiutò di formulare le parole che avrebbe usato. Anche se le conosceva.
    Lea, ritornò con una bacinella, una pezzuola ed una bottiglietta di disinfettante; appoggiò tutto sul tavolo e gli scostò una sedia per invitarlo a sedersi, poi si sistemò davanti a lui.
    «Serviti pure.»
    Dopo un’iniziale resistenza, decise di approfittare della sua insperata ospitalità, contava ancora di tornare a dormire da Aeris e Tifa, ma presentarsi ridotto in quel modo le avrebbe fatte preoccupare. Nella bacinella c’era dell’acqua tiepida, ci versò un tappino di disinfettante e ci inzuppò la pezzuola per poi passarsela prima di tutto sul viso; per un secondo rivide Kairi fare quello stesso lavoro mille volte, dopo che lui e Riku se le erano date dopo una litigata. In quel momento avrebbe voluto da pazzi che lei si prendesse cura della sua povera carcassa, anche solo per dargli l’illusione che non erano appena cambiate tutte le carte in tavola.
    «Quando mi hai baciato la prima volta?»
    Sora arrossì come non credeva nemmeno possibile. «Ha iniziato lui?!» domandò incredulo, ma Lea non si scompose, attese paziente.
    Quando è tornato dal C.O., credevo fosse morto. Credevo che tu lo avessi ucciso.
    ‘Lo credevo anche io’. E forse sarebbe stato meglio.
    «Dice…» mise in chiaro per dividere la propria personalità da quella di Roxas. «al tuo ritorno dal Castello dell’Oblio.»
    «Che abbiamo fatto dopo?» continuò ad indagare.
    A Sora mancò il fiato per rispondere, mentre gli passava davanti agli occhi, come il ricordo di una fotografia: lui ed Axel uno sopra l’altro, a volerla dire tutta, Axel era sopra a Roxas, sdraiato a pancia in giù su un letto bianco mentre stringeva spasmodicamente un cuscino.
    «Voi avete…» si morse il labbro, sciacquando la pezzuola, con un gemito assordante – decisamente più rumoroso dei suoi o di quelli di Kairi – in mente. «voi avete…»
    «Si?» lo imboccò sadicamente.
    Sora sbuffò. «Avete fatto sesso!» si sedette ed arrotolò i pantaloni per scoprirgli le ginocchia che provvide a pulire dal sangue rappreso.
    Chiedigli qualcosa tu.
    ‘Cosa?’
    Chiedigli dov’è Demix.
    Sospirò stanco di fare il portavoce. «Vuole sapere dov’è Demyx.» bofonchiò.
    Lea rise sorpreso, intenerito, sembrava quasi provare sentimenti umani, rifletté Sora. «Non ha preso il tuo posto, piccolo.» disse fissandolo, ma era come se non guardasse i suoi occhi, come se al centro esatto delle sue pupille, lontano, lontano, avesse trovato Roxas, era a lui che si stava riferendo.
    ‘Piccolo? Ti chiama davvero piccolo?’
    Ma quell’aggettivo che lo faceva sentire tanto schifato aveva un effetto del tutto diverso sull’ombra nel suo cuore, gli sembrava quasi di vederlo sorridere, melenso, stucchevole, commosso. Si. – ammise semplicemente. – lui mi chiama ‘ piccolo’.
    In realtà il significato delle parole di Roxas era un altro ed era evidente anche a lui, era qualcosa che somigliava a: che mi chiami come vuole, basta che mi chiami.
    «Dai, girati e togliti la maglia.» lo invitò Lea.
    Sora deglutì con la bocca improvvisamente asciutta. «P-perché?» balbettò, non avrebbe avuto niente da temere da Lea se non fosse stato così palesemente Axel.
    «Voglio darti una ripulita.»
    Lui continuò a studiarlo incerto. «Ehm…»
    Non fare il bambino! – lo rimproverò Roxas. – Non ti farà niente…
    Dopo un’ultima occhiata sospettosa Sora decise di dargli ascolto, anche perché non poteva fare da solo; gli diede le spalle, poi si arrotolò la maglietta fino a scoprirsi tutta la schiena. Sentì Lea rimescolare nella bacinella, mentre teneva scoperta la parte infortunata, pratico ed attento iniziò a passare il panno su tutte i puntini che gli sembrava quasi di veder bruciare; era sicuro che fossero ferite superficiali e che probabilmente non c’era nemmeno bisogno di tanta attenzione, ma quando iniziò a farlo…non riuscì più a fermarlo. Sicuramente quelle emozioni erano di Roxas, ma per un attimo gli sembrò che lì, in quel momento, si sentisse a casa. Esattamente come si era sentito a casa la prima volta che Kairi lo aveva baciato.
    Lea si spostò posandogli una mano sul fianco nudo per pulirlo meglio, ma l’impronta della sua mano fu spedita al suo cervello, Roxas la intercettò, amplificando quel brivido mille volte. Sora si chiese se non fosse rimasto tipo marchiato. Ma ancora non si mosse, fermo a capo chino, immaginando con un attenzione quasi morbosa tutti i suoi movimenti.
    «Che dice?»
    Sora rimase immobile ed in silenzio per un lungo momento, era come se tutte le sue terminazioni nervose andassero a rilento, poi deglutì e si leccò le labbra. «Non parla.»
    Lea ridacchiò. «Tipico di Roxas.»
    Ti amo.
    ‘Non posso dirglielo.’
    Ti prego, deve saperlo. – lo supplicò.
    Doveva tornare alle Isole del Destino. Doveva abbracciare forte Kairi e non lasciarla mai più. Doveva chiudere quella coscienza indipendente in una gabbia e non ascoltare mai più quello che voleva. Lui doveva salvare il proprio cuore e la propria vita.
    Improvvisamente la paura di perdersi tornò di a farsi sentire con prepotenza.
    Fece un passo avanti mettendo un metro di distanza tra lui ed Axel – era inutile chiamarlo in un altro modo, non sapeva esattamente come funzionava, ma quello era Axel – e si rilasciò cadere la maglietta a coprirlo tutto, perché la propria pelle lo chiamava così forte, che temeva potesse cedere alla tentazione di rispondere.
    «Grazie, ma io ora devo andare.» disse senza voltarsi, senza guardarlo, ignorando Roxas che scalpitava e cercava di ribellarsi. Quel corpo era suo e finché lo fosse stato, lui decideva il da farsi.
    «Anche lui vuole andarsene?» gli chiese infinitamente paziente.
    NO!
    Sora rise, una risata così disperata ed amara che sembrava la risata di Riku. «Se dessi retta a lui rimarrei qui per sempre.» ed era esattamente per quello che doveva andarsene.
    «Un secondo.» fece lui alzandosi ed andando a frugare tra gli sportelli della cucina.
    Aspettò inquieto come se più tempo fosse rimasto lì, più sarebbe stato difficile andarsene.
    Gli si avvicinò piano e si fermò ad una distanza ragionevole, per poi allungare una mano e porgergli qualcosa. «Se ci ripensassi, puoi venire quando vuoi.» era una chiave, Sora ridacchiò non riuscendo proprio ad ignorare il lato comico della cosa. Una chiave per il keyblade master, divertente.
    La prese, però, e se la mise in tasca, sperando con tutto il cuore di perderla; lui perdeva tutto, anche il proprio cuore, perché non avrebbe potuto seminare da qualche parte quel piccolo pezzetto di metallo. «Ne dubito, ma ok.»
    Si girò diretto verso la porta, fece appena in tempo a posare una mano sul pomello che Axel lo abbracciò; il braccio gli ricadde lungo il fianco, mentre miseramente osservava quelle braccia avvolgerlo e prendeva coscienza di ogni millimetro dei loro corpi a contatto. Avrebbe voluto scrollarselo di dosso e Roxas avrebbe voluto voltarsi e baciarlo, non andarsene mai più, ma dividevano un corpo ora, dovevano collaborare: Sora non gli negò quell’abbraccio e Roxas non lo costrinse a quel bacio.
    Forse gli era capitato ancora di essere così disperato, ma in qual momento non riusciva proprio a ricordarsi quando, né perché.
    Axel gli lasciò un bacio sulla nuca, proprio sotto l’attaccatura dei capelli, un brivido caldo scese da quel punto lungo tutta la colonna vertebrale, risvegliando milioni di impronte di altri baci. «Nessuno potrà mai prendere il tuo posto, piccolo.»
    Non avrebbe mai perso la chiave di casa di Axel, se fosse caduta, Roxas si sarebbe fermato a raccoglierla.

Camminò e camminò ancora, con un senso di spossatezza che lo travolgeva ad ondate, gli sembrava di essere sul ponte di una nave in tempesta, che dondolava e dondolava.
    Si fermò quando raggiunse il giardino dove era arrivato solo quel pomeriggio, gli sembrava che fossero passati secoli da quando, pieno di buoni propositi, era giunto lì deciso a costruire una tomba. Si sedette su un gradino e rimase immobile nel fresco della sera ad occhi chiusi, cercando in tutti i modi di impedirsi di pensare; quando era a casa di lui non gli era sembrato di essere tanto stanco, ma ora sentiva che avrebbe quasi potuto addormentarsi su quel gradino.
    Sora…
    «Sta zitto!» borbottò secco, tirandosi indietro per appoggiarsi ai gomiti; cercò di convincersi che se avesse aperto gli occhi ora, avrebbe visto il viso di Kairi davanti a lui, l’azzurro intenso dell’oceano, annusò l’aria alla ricerca dell’odore di salsedine, ma sentì solo il profumo dei fiori di Radiant Garden. Tristemente aprì gli occhi e guardò il cielo, le stelle gli apparvero scombinate, non erano le stesse stelle che guardava mano nella mano con lei.
    Sora… – ripeté Roxas incerto.
    Non rispose, ma questa volta non gli intimò nemmeno di tacere.
    Sora, io apprezzò tanto che tu mi abbia portato fin qui… – iniziò con delicatezza – ed ero davvero disposto a farmi da parte, la tomba era un bel gesto da parte tua, ma ora…
    «Smettila!» gli intimò affranto, lui doveva tornare da Kairi.
    Devi capire! Lui è vivo!
    «Lo so, l’ho visto!» si tirò su appoggiando i gomiti alle ginocchia con le mani tra i capelli.
    Ed io ora…
    «Ti prego, non dirlo.» supplicò piano.
    Una lapide non può bastarmi.
    «E che cosa dovrei fare?!» domandò stravolto. «Cosa ti aspetti che faccia esattamente?!»
    Io non… – sospirò anche lui – non lo so, ma…
    Sentì dei passi e si guardò intorno individuando una figura ancora in ombra, ma che si avvicinava; Cloud si sedette accanto a lui tranquillo e lo studiò. Sora evitò il suo sguardo finché gli fu possibile, chiedendosi al contempo che faccia avesse, quanto avrebbe potuto capire guardandolo, cielo, se fosse stato Riku avrebbe saputo tutto.
    «Come è andata alla cava?» gli domandò, ebbe l’impressione che lo stesse prendendo in giro, ma decise di ignorare la cosa.
    Si strinse nelle spalle. «Non ho trovato quello che cercavo.»
    Gli occhi di Cloud praticamente gli fecero una radiografia. «Sei caduto?» chiese ancora con quella nota sarcastica, e se era Cloud a fare del sarcasmo era ridotto proprio male. «O ti sei accapigliato con un tigre?»
    «Sono scivolato.» borbottò.
    «Te lo avevo detto, Sora.»
    Sospirò. «Lo so.»
    Il suo amico si massaggiò le mani. «Cosa hai intenzione di fare, quindi?»
    «Questo non lo so.» ribatté indispettito, probabilmente lui la faceva facile, non aveva mica un altro dentro al cuore. «Suggerimenti?»
    «Vai da Aeris e Tifa, ti hanno preparato il letto e se domani mattina lo trovano intatto si preoccuperanno.» gli diede una pacca sulla spalla che in realtà gli fece un male infernale, ma non fiatò. «La notte porta consiglio.»
    Gli obbedì, non perché credesse che la notte gli avrebbe portato consiglio, ma perché aveva bisogno di fare qualcosa ed alzarsi, camminare fino alla casa delle ragazze, mettersi nel letto che gli avevano improvvisato sul pavimento della cucina era già qualcosa. Ci mise parecchio per trovare una posizione che non lo facesse urlare di dolore ed il fatto che fosse sul pavimento duro non aiutava, ma rotolando e scalciando si ritrovò in qualche modo sul fianco destro e realizzò che poteva andare; certo, la mattina dopo si sarebbe sentito tutto indolenzito, ma almeno avrebbe dormito. Chiuse gli occhi svuotando la mente e concentrandosi solo sul suo respiro.
    Voglio dormire da lui.
    Addio sonno. ‘Sai che significa che anche io dovrò dormire da lui, vero?’
    Ci darebbe un letto vero. – provò a tentarlo.
    ‘Non è così allettante come proposta, visto che sarebbe il suo letto.’
    Anche il divano sarebbe meglio del pavimento.
    Quando aveva ragione, aveva ragione, ma… ‘Non resterò qui, Roxas.’
    Lo so. – e dalla rassegnazione addolorata e malinconica che sentiva nella sua voce capì che lo sapeva davvero. – Ho solo questi due giorni, per favore.
    Sora aprì gli occhi fissando il buio. ‘Niente porcate.’ Intimò.
    Sembrò già che l’umore di Roxas si risollevasse. – No, te lo prometto.
    ‘Non ho detto di si.’ Precisò. ‘Se domani mattina sarò di buon umore potrei decidere di accontentarti. Se non dormo almeno un pochino non sarò di buon umore.’
    Grazie! – per essere un’ombra nel suo cuore era decisamente luminosa.
    ‘Roxas.’ Lo rimproverò.
    Si. Capito. Sto zitto. Dormi.

niente porcate, capito?
fate i bravi...

AH!! chi l'ha tirato quel pomodoro?!

addio, sanità mentale...

   
 
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