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Autore: _Alastor_    28/08/2011    0 recensioni
"Mi portai la bottiglia alla bocca e bevvi una lunga, meravigliosa sorsata.
La vita continua. La vita continua sempre."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi piaceva quel posto.
Poca gente, poco casino. Il tipo di posto dove vai quando sei stanco di guardare le mura di casa tua, o di sentire parole stupide, o di vedere tua moglie, i tuoi amici, perfino il tuo cane.
Il tipo di posto dove vai quando sei stanco e basta.
Mi sedetti su uno sgabello, al bancone.
Ordinai qualcosa, forse una birra, poi mi girai.
Un tizio sulla trentina era all'altra estremità del bancone, un boccale mezzo vuoto in mano e lo sguardo fisso in mezzo ai liquori, poco sopra di lui.
Ma forse non guardava i liquori. Forse non stava guardando niente. Un paio di metri dietro, ad un tavolino sedevano due donne sulla quarantina, due cocktail del cazzo le separavano, ancora belli pieni e sorridenti.
Loro due invece ridevano della grossa. Forse avevano vinto dei soldi, forse le avevano promosse al lavoro. Forse neanche ce l'avevano, un lavoro. Non me ne fregava niente.
Intanto alla radio passò qualcosa di carino. Chitarre distorte, una batteria che faceva un sacco di rumore.
Mi piaceva. Mi sembrava di averla già sentita, ma forse mi stavo sbagliando.
Iniziai a tenere il tempo col piede, la sentii scorrere dentro di me. Quando tornai a girarmi, la mia ordinazione mi stava aspettando, lucida di condensa.
Si, era una birra. In bottiglia. Per fortuna l'aveva lasciata in bottiglia. Non so perché, ma li odiavo i bicchieri.
L'assaggiai. Fresca, frizzante, buona. Ne scolai metà prima di rendermene conto.
Guardai l'etichetta e scoprii che era norvegese. Niente male davvero. Stavo per berne un altro sorso, ma del movimento alle mie spalle mi fece fermare.
Erano appena entrati tre o quattro tizi. Erano vestiti bene, puliti. Brave persone, si vedeva.
Mi erano familiari. Dovevo averli già visti da qualche parte. Forse al cinema, forse in vacanza in qualche posto. Forse a casa mia.
Qualcuno mi guardò, o forse non lo fece nessuno.
Uno di loro mi fissò per qualche secondo.
Vennero verso di me, o forse verso il bancone. Credo volessero da bere.
Guardai il tizio dall'altra parte, il tizio dei liquori. Il suo boccale era quasi vuoto, eppure non sembrava essersi mai mosso di nemmeno un centimetro.
Tra me e lui, 5 o 6 sgabelli che aspettavano solo di essere schiacciati.
Quei tizi si avvicinarono e iniziarono a sedersi, a togliersi gli abiti pesanti. Forse mi stavano ancora guardando, forse addirittura qualcuno fece un cenno di saluto.
Sentii le mie labbra aprirsi, da sole. Io non avevo mosso un muscolo. Forse qualche parola si mescolò tra il silenzio e le chitarre.
Loro la conoscevano, quella canzone. Qualcuno canticchiava, qualcuno fischiettava poco convinto.
Mi girai, bevvi un altro sorso.
Tra l'ultimo di loro e me c'era un solo sgabello di distanza. Mi accorsi che era malandato e scucito.
La canzone era finita, e loro ordinarono qualcosa. Qualcuno avrebbe preso un cocktail, altri della birra, magari la stessa birra che avevo preso io.
Quello sgabello mi piaceva. Pensai di portarlo via con me, poi annegai l'idea nella bottiglia.
Ormai era quasi finita.
Il tizio più vicino a me sembrava una brava persona. Vestito bene, barba ordinata, capelli corti e ben pettinati. Si era dato anche un buon profumo, anche se forse ne aveva messo troppo.
Si, ero quasi sicuro di conoscerlo, o almeno di averlo conosciuto.
La sua faccia spuntava di tanto in tanto nei miei ricordi, quando riuscivo a metterli in riga quel minimo da capirci qualcosa.
Lui, ero sicuro, non aveva aperto bocca. Mi aveva guardato intensamente. Forse mi voleva bene, o forse avrebbe voluto ammazzarmi. Ma non aveva detto una parola, né aveva fatto alcun cenno.
Un brivido mi scosse, salì lungo la schiena e sembrò arrivare fino alla punta dei capelli.
Mi dava le spalle, era rivolto verso i suoi amici. Io non ero interessante.
Quando il barista gli porse la sua birra però dovette girarsi per forza.
Di profilo mi sembrava ancora più familiare.
Dovevo averci parlato, in qualche occasione. Forse qualche partitella a calcetto, cose così.
Forse avevamo bevuto qualcosa assieme, un paio di volte. Forse eravamo addirittura amici.
Poi nulla. Non ricordavo bene, vedevo del grigio, ricordi confusi e aggrovigliati tra loro.
Sforzai la mia memoria consumata.
Doveva essere successo qualcosa. Una parola di troppo, qualche equivoco. Si, qualcosa doveva esserci stata per forza.
Forse mi aveva fatto uno sgarbo, o forse era stata colpa mia.
Un equivoco o forse più di uno, forse la cosa ci era sfuggita di mano, forse c'era stata qualche parola di troppo. Forse gli avevo pestato i piedi.
Continuai a guardarlo, mentre tornava a darmi le spalle.
Forse gli avevo rubato la ragazza.
Presi la bottiglia. Era quasi finita, ma non c'era motivo di buttare via anche solo un goccio di una birra tanto buona.
Guardai il mio corpo muoversi. Alzare un braccio, sfiorargli una spalla.
Le mie labbra tornarono ad aprirsi. Non sentii nulla.
Finì di parlare, stava raccontando qualcosa, qualcosa di interessante perché tutti lo ascoltavano.
Poi si girò lentamente. Mi guardò negli occhi.
Non so cosa vide. Io non vidi nulla.
Cercai a fondo, nel buio delle sue pupille infami. Non so cosa cercavo, forse un motivo. Forse niente. E il niente trovai. Buio, nient'altro che buio.
Era più vuoto della mia bottiglia. Una trasparente, enorme, inutile bottiglia vuota.
Una smorfia gli deformò il viso.
Forse non gli piaceva la mia faccia, non gli piaceva più. Non era mia piaciuta neanche a me.
Disse qualcosa, ma io non sentivo. Non lo sentivo più da molto tempo. Parole zoppicanti, strascicate. Le sue labbra danzavano su un lenzuolo intriso di disprezzo.
Senza staccarmi un attimo da quegli occhi stupidi finii la mia birra.
Dietro di lui, i suoi amici mi avevano guardato per un po'. Il più lontano, per vedere meglio, si era addirittura spostato indietro con la schiena.
Ma ora non mi guardavano più. Ora bevevano e basta. Si erano girati, bevevano, uno rideva.
Forse uno mi aveva guardato più a lungo degli altri. Colsi dispiacere nel suo sguardo, o forse era compatimento. Forse non era proprio niente, forse ero io ad illudermi di riuscire a decifrare le persone dietro ai loro sguardi.
Mi piaceva sentirmi in gamba, forse lo ero. Forse non lo sarei mai stato.
Ora a prestarmi attenzione erano le loro spalle.
Abbassai la birra semivuota. Lui, invece, mi guardava ancora.
Disse qualcos'altro. Forse lo capii meglio, stavolta. Forse mi sembrò solamente.
Dopotutto, forse mi sbagliavo. Forse non lo conoscevo, non avevo la minima idea di chi fosse.
Per parlare si era sporto in avanti con la testa. Forse voleva accusarmi di qualcosa.
Il tizio dei liquori si alzò e se ne andò senza dire una parola.
Il barista mi sembrava stesse asciugando dei bicchieri. Forse aveva avuto tanto lavoro da fare e non ne aveva avuto il tempo, prima. Forse cercava di far passare i minuti.
Guardai di nuovo lo sconosciuto di fronte a me.
Sputò qualche altra parola. Forse alzò la voce. I suoi amici si erano girati, e anche il barista.
Guardai i suoi amici. O forse erano miei.
A uno a uno abbassarono lo sguardo.
Piantai lo sguardo sullo sconosciuto, che stavolta non aprì bocca.
Forse aveva visto qualcosa di strano, in me. Forse credeva di aver vinto.
La birra, mi accorsi, ce l'avevo ancora in mano. La impugnai dal collo, ne lessi di nuovo l'etichetta.
Norvegia. Gran bel posto. Ci sarei andato un giorno.
Allargai il braccio, mentre continuavo a guardarlo. Non dissi una parola, o forse invece si.
Lui mi guardò di nuovo, forse incuriosito, forse impaurito. Forse mi voleva bene.
Dietro di lui, un contorno di spalle e capelli, questi erano i miei spettatori.
Mi mossi, o forse lo fece qualcun altro. In fretta, così in fretta che prima di cominciare era già tutto finito.
Le spalle scapparono, al loro posto arrivò qualche faccia sorpresa.
Lasciai cadere la bottiglia. Ero sicuro fosse una bottiglia, anche se adesso non le somigliava più.
Le donne al tavolino scattarono in piedi. Facevano un sacco di casino, pregai che se ne andassero subito e per fortuna lo fecero. Le facce dei tizi al bancone erano tutte rivolte verso il basso.
Qualcuno parlò, mi sembra. Dissero tutti la stessa parola, forse un nome. Non rispose nessuno.
Si alzarono, continuarono a dire quella buffa parola a voce sempre più alta, come se facesse qualche differenza.
Non mi guardavano, nemmeno ora.
Io non abbassai lo sguardo nemmeno per un attimo, mentre invece tutti sembravano trovarci qualcosa di estremamente interessante.

- Ehi... - dissi al barista. Lui mi guardò con occhi sgranati.
- Mm? - fece lui. Tremava appena.
- Ne hai un'altra?

Con un brusco cenno d'assenso appoggiò una mano al bordo di quello che doveva essere uno dei frigoriferi, subito sotto di lui. Con l'altra mano lo aprì e nel nebbia cristallina che ne uscì mi tirò fuori un'altra birra.
Con un po' di difficoltà la stappò e me la avvicinò senza guardarmi. Lasciai cadere sul bancone qualche moneta, forse un paio di troppo. Forse avrebbe dovuto cacciarmi fuori. Sicuramente avrebbe dovuto, ma forse non trovava le parole.
Mi portai la bottiglia alla bocca e bevvi una lunga, meravigliosa sorsata.
La vita continua. La vita continua sempre.
  
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