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Autore: Harriet    29/08/2011    2 recensioni
Per quanto la leggenda della divinità chiamata Rejan, lo Spirito delle Soglie, parli di una creatura meravigliosa, nessuno sarebbe così folle da evocarla.
Figuriamoci poi decidere di amarla...
Questa è la storia di un folle e delle conseguenze della sua follia.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Where two roads meet


All my life I've worshipped her
Her golden voice, her beauty's beat
How she made us feel, how she made me real
And the ground beneath her feet
And now I can't be sure of anything
Black is white and cold is heat
For what I worshipped stole my love away




Jamil Rahal portò a nuovi livelli il concetto di tesi di laurea sperimentale.
L'argomento del suo lavoro era insolito anche per uno studente dell'Università Intermondo. Non che i laureandi non trattassero di spiriti e divinità di altri mondi. Anzi, era un tipo di studio molto amato e diffuso. Ma Jamil aveva scelto come soggetto principale una creatura diversa alle altre. Apparteneva al folklore, ma più ancora ai culti segreti, alle religioni sincretiche che accatastavano dei e altari, e offrivano una fiammella o una lanterna anche per lei, Rejan, la Madre dei Passaggi, lo Spirito delle Soglie.
Rejan non era un essere mitologico, né l'ispiratrice di religioni diffuse e organizzate. Rejan stava a metà tra la leggenda e il reale, e si trovavano tracce di lei in quasi tutti i mondi. Aveva mille volti e mille nomi, e nessuno amava pronunciare quello vero. Ammesso che Rejan fosse proprio il suo nome reale. Tra l'altro, nessuno era sicuro dell'etimologia esatta della parola che identificava lo spirito.
Gli avevano sconsigliato di imbarcarsi in una ricerca sullo Spirito delle Soglie, sia perché era un argomento incerto, con poco materiale pubblicato, sia perché si andava a sconfinare nel territorio insidioso delle fedi misteriche, delle superstizioni e delle maledizioni. Jamil, come faceva nove volte su dieci quando si trattava di consigli, se n'era fregato.
Era partito per un viaggio di mesi, in giro per i mondi, con un bagaglio minimo, un quaderno e la piccola chiave che aveva incantato, e che usava per attraversare le soglie dimensionali – almeno quelle che lo lasciavano passare. Aveva trascorso del tempo in luoghi benedetti dalla magia e abituati al mistero, com'era il mondo in cui Jamil era nato, e lì aveva trovato gente disposta a parlargli della creatura che andava indagando. Aveva vissuto nelle grandi città inarrestabili e troppo veloci, dove le persone non sapevano se nelle loro terre era mai esistito il culto dello Spirito delle Soglie. Aveva attraversato terre che spalancavano le loro porte ai giovani studenti di altre dimensioni, e si era imbattuto in posti inospitali e sospettosi, dove la gente aveva risposto alle sue domande imprudenti con sussurri e occhiate scure.
- Ma alla fine Rejan cos'è?
E gli isolani di Mriadh facevano segni disapprovanti, le donne del Porto di Luna tracciavano un cerchio nell'aria per proteggersi dal sacrilegio, i sapienti della Colonna Rossa abbassavano gli occhi e restavano in silenzio. Meglio non dirlo mai, il vero nome di un drelynn, di uno Spirito Alto, di una divinità minore, di una delle Creature Creanti.
Tanti volti per Rejan, e nemmeno una definizione che soddisfacesse Jamil. Che si ostinava a chiamarla con il suo vero nome, come per sfidare la reticenza e il timore che pervadeva la gente quando si trattava della divinità misteriosa.
- Quelli come te dovrebbero tenersene lontani!- Gli aveva detto un mago di Chlirya, un posto freddo, di una perfezione sterile, che Jamil aveva odiato.
- Quelli come me... In che senso?
- Troppo giovani, troppo sicuri di sé, troppo stupidi.- Aveva sputato il mago. Dopo un'altra occhiata al ragazzo, aveva fatto un sorriso sghembo. - E troppo scuri di pelle. Dicono che Rejan sia bianca bianca, con i capelli come il sole, e che abbia un debole per gli uomini come te. Stai attento.
Allora Jamil aveva riso.
Alla fine lo studente si ritrovò con una quantità immensa di materiale su Rejan: come adorarla, come parlarle, come trovarla.
Come trovarla.
Certe cose non succedono mai solo perché la gente ha troppa paura per farle succedere. Era sempre stato uno dei capisaldi del suo pensiero.
Così un giorno raccolse i suoi appunti, ricostruì le istruzioni e la chiamò.

Rejan era tutto quello che gli avevano detto e tutto il contrario.
Prima di tutto, i suoi capelli erano come il sole, sì, ma il sole del tramonto sanguinoso e magnifico: una massa infinita di rosso e arancio, riccioli lucenti che incantavano e lasciavano sbalorditi e incapaci di distogliere lo sguardo. Era una creatura dal corpo splendido, disegnata con linee morbide, con una quantità di difetti che avevano la misteriosa dote di fondersi in perfezione. Il viso dai tratti duri si scioglieva in rari sorrisi che potevano infondere nuovi significati a un'esistenza.
Rejan parlava con una voce scura e profonda, rotta a volte da risate improvvise, spesso crudeli come uno schiaffo, accompagnate sempre da un sottofondo di scherno quasi mai benevolo. Non ostentava superiorità: semplicemente ogni cosa in lei sottolineava l'irrimediabile differenza tra lei e le creature umane.
Se poteva umiliare con una risata, sapeva anche risollevarti con uno sguardo, un tocco casuale, una parola non detta. E Jamil viveva per quei momenti, trascorrendo il tempo con lei a raccoglierli, per poterli radunare nella mente e riguardarli nei giorni in cui la Signora era lontana.
Rejan gli si presentava come una donna di pochi anni più adulta di lui, ma Jamil sapeva che quella creatura aveva millenni sulle spalle, e più mondi negli occhi di chiunque altro lui avesse mai incontrato o amato. Quando ci pensava rabbrividiva, e negli occhi di lei vedeva il riflesso di quella realizzazione. Rejan sapeva sempre tutto, appena un attimo dopo che era sgorgato nel suo cuore. E per questo lui la temeva e non poteva staccarsene.
Parlarle era un labirinto: ci si smarriva nell'abisso del suo sapere, nella sua intelligenza capace di illuminare ogni cosa, negli inganni elaborati del suo linguaggio carico di immagini e suggestioni. Visitare terre con lei significava assumere uno sguardo sconosciuto e rivedere ogni minimo particolare attraverso un punto di vista straniero e insondabile. Era come scoprire di non aver mai veramente compreso niente in tutta la vita.
Amarla era soprattutto farsi amare da lei: se anche lasciava che Jamil conducesse il gioco della passione, era per illuderlo di poter decidere qualcosa. Jamil si affidava al desiderio e all'immaginazione di lei, abbandonando ogni tentativo di pensiero razionale alla vista delle sue vesti che scivolavano via. Rejan aveva il vezzo di svelarsi con una lentezza estenuante, e solo di rado gli concedeva di sciogliere nodi e slacciare complessi intrecci di stoffe preziose, con le mani tremanti e affamate dello splendore che gli si mostrava, via via che veli e teli si diradavano e gli lasciavano intravedere il sacro candore lunare della pelle di lei.
Jamil si limitava a riprendersi una briciola di lucidità rassegnata quando tutto era finito e lei lo congedava imponendogli un sonno innaturale, dal quale lui si risvegliava sempre da solo. Prima di cadere nel sonno pensava che era una condanna dalla quale non si sarebbe mai liberato, perché avrebbe fatto di tutto per rimanere vittima di quella creatura, e perché se avesse avuto tutte le eternità dei mondi a sua disposizione, ben volentieri le avrebbe trascorse immerso nel mare fiammeggiante dei capelli di Rejan.
Si incontravano ovunque: era lei a decidere dove. Non c'era bisogno dei soliti metodi per attraversare i mondi, oggetti magici o portali. Rejan era la Porta. Ovunque andasse creava una stanza per loro, e ne apriva il passaggio solo per Jamil. Il suo palazzo e la sua terra erano da tutte le parti. Rejan creava luoghi segreti e ricostruiva i posti che loro amavano, e le bastava decidere che doveva essere così, perché questo avvenisse. Dappertutto. Quando lei decideva.
E Jamil all'improvviso scopriva una porta dove sarebbe dovuto esserci un muro, un arco candido o una tenda azzurra appena mossa da un vento che non c'era, e seguiva Rejan.
Imparò che tutto ciò che aveva studiato su di lei era vero ed era falso. Imparò che poteva parlarle come a un essere suo pari, e l'istante dopo sentirsi un niente, schiacciato dalla loro irrimediabile distanza. Imparò che lui era un viaggiatore dei mondi, ma lei era contemporaneamente una creatura di tutti i mondi.
Imparò che certi volti di Rejan sarebbe stato meglio che fossero rimasti davvero segreti. E ogni volta che lei lo spaventava, lui pregava di non trovare più i passaggi che gli permettevano di entrare nel mondo vagante dello spirito. Ma quando gli archi e le tende gli comparivano davanti, Jamil entrava di corsa.

Una volta, durante uno dei suoi viaggi, si smarrì in un mondo dove fu preso prigioniero e gettato nell'oscurità soffocante di una miniera profondissima. Lì le porte di Rejan non c'erano. Lì non c'erano porte e non c'era speranza di uscita.
Un giorno, distrutto dal lavoro e dalla crudeltà dei carcerieri, si ricordò delle sue ricerche e dei suoi studi – risalivano a tre anni prima, ma gli sembravano così lontane! Ricordò delle preghiere che in certi mondi si rivolgevano a Rejan, la Dama della Salvezza, colei che fa trovare sempre una via di fuga ai suoi fedeli.
Allora pregò come aveva imparato, e nel punto dov'era caduta una goccia del suo sangue si spezzò la terra e si aprì una voragine, e sospesa sul niente c'era una porta, un arco candido oltre il quale si intravedeva la luce di una giornata estiva e il profilo di una città dai tetti dorati. E davanti ai prigionieri e ai guardiani comparve lo Spirito delle Soglie, furente perché qualcuno aveva ferito uno dei suoi devoti. L'ira di Rejan era contenuta e per questo più terribile. Le bastò uno sguardo per distruggere ogni cosa: spezzò i confini ordinati di quel mondo e ne disperse le briciole in tutti i cieli di tutte le dimensioni.
Di quel momento Jamil avrebbe ricordato solo un suono assordante e la sensazione di essere raccolto e tenuto tra le mani di qualcuno, sollevato sul caos, in volo sopra la tempesta. Immerso nel terrore e nella disperazione, eppure al sicuro.
- Perché hai distrutto ogni cosa?- Le avrebbe chiesto poi.
- Perché era giusto così.
- No, non era giusto! C'erano persone che non meritavano la morte, lì.
- Questo secondo un essere umano.
Da quel momento qualcosa si era spezzato.

Rejan lo abbandonò senza spiegazioni un giorno come un altro, poco più di tre anni dopo il loro primo incontro. Si limitò a non aprirgli più le porte per il suo mondo. Jamil ci mise poco a capire.
Si rinchiuse nel silenzio e nell'inattività, custodito dalla pazienza dei suoi amici più cari, che si prendevano cura di lui senza fargli pesare qualcosa che tutti e tre sapevano bene. E cioè che certe cose non succederebbero, se la gente fosse abbastanza saggia da non mettersi nei guai da sola.
Glielo avrebbero detto, ma non subito.
- Ma allora che senso ha studiare e impegnarsi perché un giorno il Multiverso sia una cosa sola, e la gente di tutti i mondi possa comunicare?- Rifletteva con amarezza Jamil, nei giorni migliori. - Che senso ha insistere nell'aprire passaggi e benedire le porte, se poi le differenze tra le creature diventano dei muri?
- Ha senso.- Rispondeva Galahad, l'amico storico che gli offriva una stanza per dormire e molte ore per lamentarsi o per stare zitto. - Anche io e te veniamo da posti diversi, da storie diverse. Però siamo qui, insieme. A volte gli incontri più improbabili danno vita a cose durature. A volte no. E poi ci sono cose che è meglio lasciare dove sono.
Come gli spiriti, pensava Galahad.
- Noi visitiamo i mondi e parliamo continuamente dei luoghi di passaggio dove le culture possono incontrarsi. Eppure...
- Jamil, ti sei tenuto per più di tre anni uno Spirito Alto come amante. Ti sembra poco?
- Sì.- E la voce di Jamil si polverizzava in un lamento sussurrato. - Mi è sembrato davvero troppo poco.
A quel punto Galahad taceva, perché sapeva che Jamil non parlava più di incontri e culture: parlava della creatura che gli aveva sbriciolato il cuore, e lì c'era poco che si potesse fare, se non invocare il tempo e le sue cure.

Il tempo sistemò in modo dignitoso il cuore di Jamil. E il tempo – una manciata di mesi, una cosa tanto umana – portò anche qualcos'altro.
Se Jamil avesse riletto i suoi appunti avrebbe scoperto che Rejan aveva la tendenza a disseminare i mondi con i figli degli uomini. Le voci e le storie dei suoi amanti dicevano tutte la stessa cosa: quando la Signora si legava troppo a un umano, spariva.
Quale legame più vincolante di un figlio? Quando Rejan indovinava di essere divenuta recipiente per il seme di una vita, umana solo per metà, scompariva dal fianco del padre inconsapevole, per crescere il figlio in un altrove misterioso.
Jamil non l'avrebbe mai saputo, ma grazie a lui, Rejan aveva fatto entrare nella vita una bambina che sarebbe stata inquieta per tutta la sua esistenza: in equilibrio tra due nature, fiore sbocciato a un crocevia, frutto di due distanze piegatesi per un attimo a toccarsi.





***
Ciao, creature, grazie di essere qui.
Questa storia è arrivata II al Limes Multifandom Contest e partecipa a questa challenge.
Titolo e citazione iniziale sono rubati a "The ground beneath her feet" degli U2.
Se volete, potete passare da casa mia.
Ciao!



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