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Autore: RobTwili    29/08/2011    7 recensioni
Sequel di Redemption
Sono passati tre anni da quando Aileen ha varcato il cancello della clinica di disintossicazione.
Tre anni trascorsi a fianco di Robert.
Lui l’ha aiutata a superare ogni difficoltà, anche quando i fantasmi del passato hanno deciso di uscire.
Lei si è impegnata con tutta se stessa per cercare di non deludere lui, l’unica persona che abbia mai tenuto a lei.
Sono buoni, ottimi, amici; condividono una casa a Los Angeles.
C’è però un piccolo problema… Cupido, come sempre, è uno stronzo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Redemption is Beside you'
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Sequel di Redemption. Non è necessario aver letto il prequel per comprendere questa storia. Ho cercato di riportare alcuni eventi in modo che possa risultare comprensibile a tutti.








«Lee» urlai di nuovo, perché mi sentisse forte e chiaro.
«Rob, ora stai zitto che parlo io, intesi?» sussurrò Tom, guardandomi arrabbiato.
«Signorsì, signore» ridacchiai imitando il saluto militare.
«Aileen, siamo noi» disse Tom, alzandosi dal divano proprio quando la luce nella stanza si accese accecandomi.
«Noo» mi lamentai coprendomi gli occhi con un braccio per ripararmi dalla luce.
«Va tutto bene?» chiese Lee.
Sentivo la sua voce avvicinarsi sempre di più; forse era il momento di dirglielo.
«Sì Aileen, va tutto bene». La voce di Tom era ancora ovattata.
«Oddio, che cosa gli è successo?». Riconobbi la voce di Lee vicino a me e mi feci forza per spostare quel braccio.
Volevo vederla.
Volevo leggere la felicità nei suo occhi una volta sentita la mia frase: “Lee, voglio fare l’amore con te”.
«Niente, è ubriaco. Spostati Aileen, è meglio se lo porto a letto». Tom cercò di farmi alzare.
«Aspetta, prima devo dire una cosa a Lee» borbottai sedendomi.
«NO! No Rob, non è il caso. Gliela dico io, tu devi andare a dormire».
Perché Tom mi aveva pizzicato il braccio?
«Auch. Mi hai fatto male» piagnucolai cercando di tirargli un pugno con scarso successo, visto che colpii l’aria.
«È messo male» borbottò Lee aiutando Tom a sostenermi.
«Lee, devo dirti una cosa importante» ritentai.
Dovevo assolutamente parlarle, dirle i miei sentimenti.
«Gliela dici domani Rob, adesso Lee ha sonno» sussurrò Tom aiutandomi ad alzare la gamba per fare l’ultimo gradino.
«Non è vero. Lee, hai sonno?» le chiesi cercando il suo sguardo e trovandolo molto più in basso di quanto ricordassi.
«Ti prego, digli di sì, ti spiego dopo».
Mi ero immaginato quel sussurro?
L’aveva detto davvero Tom?
«Sì Rob, ho gli occhi che si chiudono e non ce la faccio a rimanere in piedi un altro minuto. Mi dici tutto domani mattina, va bene?». Mi sorrise sfilandomi le scarpe.
Quando ero arrivato al mio letto?
«Va bene» annuii, felice. Non avrei potuto scatenarmi se Lee fosse stata troppo stanca, perciò mi arresi, ma solo per qualche minuto.
«Ora riposati Rob» mormorò Lee prima di togliermi la maglia.
«Non posso» sbottai sbuffando, fermandole la mano che si stava avvicinando alla cintura dei miei jeans.
«Dormi Rob». La voce di Tom sembrava avermi dato un ordine.
«Non posso» ripetei, continuando a stringere la mano di Lee nella mia.
«Come?» chiese cercando di liberare le dita dalla mia stretta.
«Se mi spogli non ce la faccio a dormire» ridacchiai, cercando di farle capire che non riuscivo a rimanere lucido sentendo le scie di fuoco che le sue mani lasciavano sul mio corpo.
«Adesso ti tolgo i pantaloni e dopo non ti muovo più, così puoi dormire» mormorò divertita, cominciando ad armeggiare con l’asola dei jeans.
Sollevai prima un piede e poi l’altro perché mi sfilasse i pantaloni e sbadigliai stancamente, strofinandomi il viso.
«Dormiamo assieme?» proposi.
Se non potevo fare l’amore con lei mi sarei accontentato anche del suo corpo caldo contro al mio.
«Che schifo Robert. Ti conosco da quasi trent’anni e mi vieni a chiedere se voglio dormire nel tuo stesso letto? Sei ubriaco fradicio. Dormi che è meglio». Tom aveva chiuso la porta della mia camera alle loro spalle prima ancora che avessi avuto il tempo di dirgli che non volevo dormire con lui ma con Aileen.
Sbuffai innervosito dal suo comportamento e cominciai a canticchiare. Qualche minuto dopo mi addormentai.
 
«Spugna, ti vuoi svegliare o pensi di dormire fino a domani?». La voce di Tom mi scosse all’improvviso, ma qualcosa continuava a martellarmi il cervello, colpendomi la testa allo stesso ritmo.
«La testa. Fa male» borbottai nascondendomi sotto al cuscino.
«Alzati subito. Che ne dici del rimedio del vecchio Charlie? Una birra a colazione e tutto andrà meglio!». Perché continuava a urlare?
«Non urlare» piagnucolai, tappandomi ancora di più le orecchie con il cuscino e aggiungendoci anche il lenzuolo.
«Non urlare? Dopo quello che hai fatto e detto ieri sera credo di poter fare quello che voglio, anzi, dovresti anche pagarmi».
Sentii il cuscino sfuggire dalle mie mani e aprii gli occhi di scatto dopo aver sentito la frase di Tom.
«Che è successo?» chiesi alzandomi a sedere di scatto e rischiando di cadere: le mie gambe sporgevano dal letto, intrecciate alle coperte.
«Non ti ricordi nulla sul serio o te ne vergogni troppo?». Era diffidente, continuava a giocherellare con una lattina di birra e si dondolava da un piede all’altro.
«Oddio… così grave?» sussurrai rubandogli la lattina dalle mani e cominciando a bere.
Speravo che il vecchio metodo funzionasse.
«Vuoi prima la parte peggiore o quella migliore?». Si sedette sulla sedia di fianco al letto, allungando le gambe e incrociando le braccia dietro alla testa.
«Aspetta… Lee, dov’è?» chiesi confuso. C’era troppa calma in casa. Se Lee mi avesse saputo ancora a letto, a quell’ora avrebbe allegramente saltato sul materasso e sopra di me per svegliarmi. Invece di lei non c’era nemmeno l’ombra.
«Al lavoro. Allora? Quale parte ti interessa per prima?» insisté, prendendo in mano un pacchetto di sigarette vuoto e cominciando a lanciarlo in aria.
Guardai la sveglia sul cellulare: segnava le due e trenta del pomeriggio.
Dannazione, dovevo aver esagerato leggermente con la birra la sera prima.
«Parti a raccontare che cosa è successo dopo la seconda birra» bofonchiai rabbrividendo involontariamente dopo aver bevuto un sorso dalla lattina che avevo in mano.
«La faccio breve. Ti sei ubriacato e volevi, testuali parole, fare l’amore con Aileen. Ho cercato di fermarti, dicendoti che te ne saresti pentito oggi, ma non mi hai ascoltato. Appena sei arrivato a casa hai urlato il suo nome, Aileen si è svegliata e poi ti abbiamo messo a letto. Hai in tutti i modi cercato di provarci anche mentre ti spogliava, ma aveva sonno e non l’ha capito bene, in più io continuavo a fare battute idiote per non farglielo capire». Lanciò il pacchetto vuoto verso al cestino e lo centrò.
«Questa è la parte brutta?» mormorai spaventato. Non ricordavo davvero un accidente di ciò che avevo detto.
«Un parte» borbottò cominciando a fissare con attenzione maniacale il soffitto della stanza.
«Che altro c’è?» sospirai rassegnato, pronto a veder naufragare la mia amicizia con Lee.
Non avrebbe più voluto rimanere a vivere con me dopo quello che avevo combinato la sera prima.
«Ecco, dovevo spiegarle perché ti sei ubriacato, no?». Sembrava a disagio, di nuovo.
«Vai avanti» mormorai, impaziente di sentire che cosa le avesse raccontato per giustificare la sbronza della sera prima.
«Ecco… mi ha chiesto se avevo notato che eri strano nei suoi confronti e le ho detto di sì, che me ne ero accorto. Le ho detto che tu mi avevi detto di non aver cambiato atteggiamento, che probabilmente era solo perché avevi cominciato un nuovo film ed eri stressato. Poi mi ha chiesto come mai ti sei ubriacato…». Interruppe il racconto all’improvviso, guardandomi preoccupato.
«Che cosa le hai detto?» mormorai appena, pronto a prendere la ricorsa per strozzarlo.
«Che è per una donna» confessò, abbassando lo sguardo per non incontrare i miei occhi.
«Cosa?» sbraitai fuori di me. Balzai fuori dal letto e feci per avventarmi contro di lui. Sì, era deciso, lo avrei ammazzato.
«Calmati Rob, non sapevo che cosa dirle. Se ci pensi è la verità». Si alzò con calma dalla sedia, cominciando a indietreggiare verso la porta.
«Perché?» strillai frustrato. «Perché le hai detto una cosa del genere?». A ogni passo che facevo per cercare di raggiungerlo Tom si allontanava di due.
«Perché non sapevo che cosa dirle, ok? Perché tu devi deciderti: o ci provi e metti in gioco tutto te stesso per capire se ti piace veramente o la dimentichi e ognuno di voi vive la propria vita». Arrivato al parapetto delle scale si fermò; ormai non aveva più via di scampo. Lo avrei soffocato con le mie stesse mani.
«Adesso Lee crederà che io mi veda con una donna e non le abbia mai detto nulla! Perché?». Lo afferrai per la camicia strattonandolo con violenza.
«Robert, datti una calmata, sembri fuori di testa» sbottò prima di tirarmi una pacca sulla spalla per farmi indietreggiare.
«Non riesco a capire perché tu abbia dovuto sputtanarmi così con Lee» sibilai seguendolo, mentre correva giù per le scale.
«Sputtanarti?». Si fermò voltandosi verso di me, verde di rabbia. «Dici che ti ho sputtanato? Non credo proprio, Rob. Se avessi voluto sputtanarti ti avrei accompagnato in camera sua, mentre continuavi a supplicarla di fare l’amore con te, sperando di non fare brutta figura perché avevi perso la mano» ringhiò prima di girarsi di nuovo per continuare a scendere le scale.
«Cosa?» chiesi sorpreso, non ricordando assolutamente di aver pronunciato quelle parole.
«Esatto, hai capito bene. Non ero io quello che è rimasto mezz’ora davanti a un negozio di liquori sulla Hollywood Boulevard a urlare a Lee di spogliarsi». Afferrò lo zaino e cominciò a infilarci pantaloncini e maglia, che aveva utilizzato come pigiama quella notte.
«Tom, che cosa stai facendo?» borbottai deluso, sperando che la risposta non fosse quella che stavo pensando.
«Me ne vado in un hotel, visto che qui non sono il benvenuto. Arrangiati con la tua vita, ora» gridò esasperato. Si mise lo zaino in spalla, dirigendosi verso l’ingresso, afferrò la maniglia della porta e uscì.
«Tom, ehi, Tom» urlai seguendolo. «Scusami, mi sono comportato da stronzo. Dai, rientra», lo supplicai, uscendo fuori in boxer e tentando di tagliargli la strada per non farlo andar via.
«Pensi di essere ritornato in te o sei ancora posseduto?» sbottò fermandosi all’improvviso.
«Sono tornato in me» mormorai divertito passandomi una mano tra i capelli e arruffandoli.
«Perché io sinceramente non so che cosa fare se tu sei un idiota, intesi?». Ritornò verso casa, prendendo una sigaretta e accendendosela.
«Devi aiutarmi». Cercai di rabbonirlo prendendo una birra dal frigo e offrendogliela in segno di pace. Avevo veramente bisogno del suo aiuto, ora che mi trovavo in quel casino; non potevo uscirne da solo.
Per me invece era meglio una cola.
«Ancora? Non credi che abbia già fatto abbastanza?» domandò prima di bere un sorso dalla lattina.
«Sì, e ti ringrazio per avermi coperto ieri sera, ma devi aiutarmi a decidere». Trangugiai la cola quasi d’un fiato. Avevo bisogno di rinfrescarmi e di svegliarmi; insomma dovevo far funzionare il cervello.
«Io non devo decidere, sei tu quello che deve farlo» mi rimproverò. Si sedette sul divano, togliendosi le scarpe e si mise comodo, affondando nei cuscini.
«Come faccio?» sospirai.
Era una decisione difficile; dicendole la verità e cioè che mi piaceva, potevo perderla per sempre o potevo averla per qualche settimana e poi perderla. Oppure, se avessi fatto finta di nulla, l’avrei avuta di fianco a me fin quando avessi voluto.
«Le cose sono due: o le dici che ti piace o ignori tutto e continui a comportarti come se niente fosse». Aspirò una boccata di fumo stringendo la bottiglia di birra tra le ginocchia.
«Non posso dirle che mi piace, potrebbe spaventarsi e scappare. Non ha nessuno, non prende nemmeno una paga abbastanza alta per affittare un appartamento. Potrebbe ricadere nel tunnel della droga e sarebbe solo colpa mia». Non potevo permettere una cosa simile. Avevo fatto tanto per proteggerla, per tirarla fuori da quello schifo di vita, se fosse ricaduta in quel tunnel non me lo sarei mai perdonato.
«Che stronzata» sbuffò Tom scuotendo la testa.
«Cosa?». Lo guardai confuso; non capivo più dove fosse il giusto e dove lo sbagliato.
«Non è una scusa. Questa è solo la tua scusa perché hai paura. Quindi hai deciso di ignorare tutto e fare finta che non ti piaccia?». Spense la sigaretta nel posacenere e mi guardò, curioso di sentire la risposta.
«Sì, credo sia la scelta migliore. In fondo è stata solo un’infatuazione. Capita, no? Ignorerò quello che provo per un paio di giorni e poi tornerà tutto normale, non ci saranno grossi problemi». Era un piano che poteva funzionare.
«E quando avrà gli incubi? Non andrai più a dormire nel suo letto perché avrai paura di non saperti trattenere?». Velatamente, ma mi stava prendendo in giro. Soffocò una risata e abbandonò la testa sul divano.
«Quello è l’unico momento in cui non è in pericolo. È vulnerabile quando si sveglia piangendo, mi fa tenerezza, non potrei mai approfittare di lei in quel momento. Tu non l’hai mai sentita o vista, ma quando si accorge che è solo un sogno, si sfoga, piange magari per ore. No, non potrei mai pensare di eccitarmi vedendo Lee in quello stato». Strinsi i pugni ripensando alle urla di Lee e alle sue lacrime.
«Rimane il fatto che ci devi vivere assieme, che farai? Le imporrai di indossare una giacca a vento in casa?» ridacchiò divertito.
«No, semplicemente eviterò di pensare a lei come donna». Discorso che mi ero fatto anche troppe volte nei giorni passati e che sembrava non aver avuto effetto.
Ma dovevo farlo, almeno provarci ancora.
Per Aileen e per me, perché non potevo vivere non sapendola felice e al sicuro e perché lei non sarebbe riuscita a cavarsela da sola.
«Buona fortuna. E buona fortuna anche per dopo, quando dovrai spiegarle perché ti sei ubriacato».
Entrambi guardammo l’orologio sopra la TV; Lee sarebbe rientrata a minuti.
«Tom?» dissi prima di bere un sorso di cola.
«Mhh?». Alzò il capo dal divano per guardarmi.
«Grazie, per tutto». Sorrisi sincero, sperando che comprendesse il motivo della mia sfuriata: non ce l’avevo con lui, ma con me stesso.
«Che scena da commedia che abbiamo fatto. Deve essere stata bellissima da vedere» rise e finì la lattina di birra, lasciandola sul tavolo accanto al posacenere.
«Se ci avesse visto Lee sai che cosa avrebbe detto?» insinuai senza smettere di ridere.
«Che siamo due gay, più di quando siamo andati a fare la passeggiata con Bear». Si stese sul divano tenendosi la pancia, scosso dalle risa.
Improvvisamente, entrambi ci fermammo, sentendo il rumore della porta che si apriva.
«Ciao». Lee aprì la porta entrando con un sorriso stanco.
«Lee, ciao». Risposi al suo saluto, felice, mentre Tom le faceva un gesto con la mano.
«Sei lucido di nuovo?» sghignazzò togliendosi le sneakers e avvicinandosi al divano dove ero seduto.
«Sì, effetto sbornia concluso». Allargai le braccia sistemandomi meglio e Aileen si sedette di fianco a me appoggiando una guancia sul mio petto.
«Meno male, perché da ubriaco fai troppo ridere». Mi pizzicò un fianco facendomi gemere per il dolore e io cominciai a farle il solletico.
«Che cosa?» la provocai nonostante continuasse a urlare e a tirare pugni perché mi fermassi. «Faccio ridere?». Non smisi di tormentarla e mi godetti i suoi gemiti e mugolii convulsi.
«Basta Rob» urlò riuscendo a raggiungere il mio stomaco con il gomito.
Mi fermai dolorante, massaggiandomi leggermente.
«Mi hai fatto male» piagnucolai continuando ad accarezzarmi lo stomaco.
«Potevi stare fermo». Mi fece una linguaccia prima di cominciare a ridere. «Fammi vedere». Spostò le mie mani e mi alzò la maglia per guardare i danni che mi aveva fatto il suo colpo.
Involontariamente, quando le sue piccole dita sfiorarono la pelle arrossata del mio stomaco, rabbrividii, scostandomi di scatto.
«Che succede?» chiese Aileen confusa, lanciando occhiate perplesse al mio stomaco e poi al mio viso.
«Meglio se non mi tocchi, mi fa male». Mi schiarii la voce, in imbarazzo.
«Ma se ti ho appena sfiorato» strillò, sistemandosi i capelli dietro la schiena. «Sei proprio un pappamolle, eh!». Mi tirò un pugno sulla spalla e io sospirai di sollievo. Ci aveva creduto.
Meglio che mi immaginasse come un pappamolle piuttosto che sapere la verità.
«Ragazzi, mi sono appena ricordato che devo uscire con un mio amico. Non so a che ora torno questa sera, vi dispiace se vado?». All’improvviso, dopo aver sentito la sua voce, mi ricordai che c’era anche Tom.
«No, certo che no Tom» rispose Aileen prima di ritornare a poggiare la testa sulla mia spalla.
«Rob?». Tom sorrise, guardandomi.
Era un ottimo attore, un Oscar sarebbe stato meritatissimo.
«Certo che no, figurati». Feci spallucce come se non mi fosse interessato, ma gli mimai un «Grazie» con la bocca che Aileen non udì.
«Bene, a stasera allora». Prese il pacchetto di sigarette, il telefono e il portafoglio e senza aggiungere altro uscì.
«Come è andata oggi?» chiesi per rompere un po’ il silenzio che si era creato dopo che Tom era uscito.
«Bene, sono stanca». Sbadigliò sistemandosi meglio contro di me e io trovai piacevole quella ritrovata intimità.
«Lee, non puoi dormire adesso, non abbiamo nemmeno cenato». Circondai le sue spalle con un braccio in un gesto istintivo.
«Potrei fare un riposino, sei un cuscino abbastanza morbido, sai?» scherzò, alzando gli occhi per incontrare il mio sguardo. «Rob?» mi chiamò, rimanendo immobile, con gli occhi puntati nei miei.
«Sì?». Sapevo cosa stava per chiedere, e non potevo evitarlo.
«Posso chiederti una cosa?» azzardò timorosa, il corpo rigido e teso.
«Dimmi». Cercai di mostrarmi sereno, ma avevo una paura folle delle sue domande e, peggio, delle mie risposte.
«Perché non mi hai mai detto che avevi una ragazza?» bisbigliò curiosa, stringendo leggermente la mano che aveva appoggiato sul mio ginocchio.
Sospirai lentamente per farmi coraggio e cominciai a parlare. «Be’, in verità non c’è nessuno, Lee. Mi piaceva una ragazza ma ho capito che non ero corrisposto e quindi ho lasciato stare. Tutto qui». Feci spallucce, sperando che la mia bugia potesse essere spacciata per verità.
«Sì, ma perché non mi hai mai detto che ti piaceva una ragazza? Magari potevo parlarle». Si allontanò, portandosi le ginocchia al petto, guardandomi offesa.
«Lee, non mi sembra il caso…». Cercai di giustificarmi ma lei si rabbuiò.
«Oh, le dava fastidio che vivessimo assieme, vero?» mi domandò abbassando lo sguardo. «Mi dispiace, non volevo creare problemi» sussurrò, tenendo sempre gli occhi bassi.
«No, Lee. Non era per quello, stai tranquilla. Non ha funzionato perché non le interessavo. Se può farti stare meglio non ci siamo nemmeno baciati». Mi esibii in una smorfia buffa a quella confessione stupida, sapendo che era la verità. Sperai di riuscire a risollevarle il morale.
Non era giusto che Lee fosse triste per una mia bugia.
«Sei sicuro che non sia stata colpa mia?». Alzò finalmente lo sguardo, ritornando a guardarmi.
«Sì» annuii, sorridendole per rassicurarla.
Sapeva che non riuscivo a mentire, e non era una bugia.
Non era colpa di Lee, era solo colpa mia.
«Va bene, ti credo». Riuscì a sorridere appena, ma mi bastò.
Le baciai la fronte accarezzandole la schiena.
«Lee, tu non devi mai pensare di essere un problema, perché non lo sei, va bene?». Le sollevai il mento con l’indice e la piccola ombra che c’era nei suoi grandi occhi color ghiaccio scomparve.
«Sì». Mi abbracciò di slancio, rischiando di farmi cadere dal divano con lei. «A questo proposito ho un’idea che già da un po’ volevo dirti». Era felice, riuscivo a capirlo dal modo in cui mi stringeva, dal suo sorriso sincero, dai suoi occhi birichini e così espressivi.
«Sentiamo» accordai sistemandomi meglio sul divano.
«Ecco, in futuro, quando avremo compagnia, cioè se avremo dei ragazzi… forse sarebbe meglio non portarli qui a casa, almeno per un primo momento, no?». Osservò vergognosa, tanto che pensai che mi stesse nascondendo qualcosa.
«Non vuoi che io conosca il tuo ragazzo? Lee, hai un ragazzo?» chiesi, sconvolto.
Lei mi aveva fatto la predica perché non le avevo detto della mia inesistente ragazza e io non dovevo arrabbiarmi sentendola parlare del suo ragazzo che voleva addirittura portare a casa?
«No, stupido. Non hai capito, come al solito!». Mi colpì il ginocchio con un pugno prima di continuare «semplicemente dico che sarebbe meglio evitare di scopare qui a casa. Non credi che sarebbe imbarazzante di notte?». Mi guardò, con un sorrisetto impertinente. Non sapevo cosa leggere in quell’espressione.
«Certo» borbottai qualche secondo dopo.
Lei, lei voleva un ragazzo.
Un ragazzo con cui fare l’amore.
«Sicuro?» insisté sistemandosi meglio sul divano.
«Certo. Hai ragione. Sarebbe spiacevole» bofonchiai cominciando a rimuginare.
Aileen voleva un ragazzo.
«Bene, sono felice che tu la pensi come me. Sarebbe davvero imbarazzante se sentissimo urla o altro» sogghignò alzandosi dal divano, sollevata per aver chiarito quell’argomento.
Solo io non ero felice?
Solo a me dava fastidio l’idea di immaginare qualcuno che la accarezzasse e la baciasse?
«Rob? Ci sei?». Si chinò su di me, muovendo la sua mano davanti ai miei occhi.
«Come? Sì, sì. Ci sono». Imbambolato, cercai di nascondere con un sorriso il mio disagio, ma probabilmente non riuscii nel mio scopo.
«Che ne dici, prepariamo la cena?» propose saltellando verso la cucina e aprendo il frigo. Fischiettava persino.
«Sì, è meglio» borbottai tra me e me, maledicendomi per aver cominciato quel discorso con Lee.
Voleva un ragazzo, qualcuno che facesse l’amore con lei.
«Rob» brontolò Lee, ritornando in sala da pranzo, triste. «Il frigo è vuoto. Ci sono solo birra e cola» sbuffò sedendosi di nuovo e incrociando le braccia, imbronciata.
«Cinese?». Sapevo che non avrebbe saputo resistere alla tentazione.
«Dici davvero?» bisbigliò accostandosi a me e io annuii, convinto. «Oh, quanto ti voglio bene, grazie» strillò abbracciandomi e baciandomi ripetutamente una guancia.
«Lee» scoppiai a ridere cercando di scostarmi dalle sue labbra con scarso successo.
«Vedi perché vivo con te? Perché pensiamo le stesse cose. Vogliamo mangiare cinese la stessa sera ed entrambi pensiamo che sia imbarazzante sentire gemiti e urla dalla stanza di fianco». Smise di stamparmi baci sulla guancia e mi baciò un’ultima volta cercando di stritolarmi.
«Lee» gemetti scostandole le braccia per tornare a respirare.
«Scusa». Batté le mani, eccitata. «Credo sia meglio che guidi io, però. Non vorrei mai che persino una commessa cinese cominciasse a fare la civetta con te» affermò infilandosi le scarpe e prendendo le chiavi della macchina.
«Ma non è stata colpa sua… ero io che mi ero dimenticato di mettere il cappello». Cercai di scusare la ragazza dell’In ‘N’ Out burgher,ma con scarsi risultati, vista la linguaccia che mi fece Lee prima di mettere in moto.
Chiusi la porta di casa alle mie spalle e velocemente la raggiunsi, occupando il posto del passeggero.
«Non mi fido ancora della tua guida» confessai schiacciandomi addosso alla portiera e aggrappandomi per evitare brutte sorprese.
«Ho preso la patente da due anni e mezzo, e sono io che non mi fido della tua guida, quindi, visto che sei un inglese gentiluomo lasci guidare me». Svoltò bruscamente, dimenticando di inserire la freccia.
«Lee» urlai chiudendo gli occhi per non vedere il muro contro il quale ci saremmo sicuramente schiantati.
«Che c’è? Sarebbe diventato rosso a momenti e sai che quel semaforo ci mette tantissimo» si giustificò cominciando a tamburellare con le dita sul volante.
«Ti prego, guida bene. Non voglio morire prima di aver preso un Oscar» piagnucolai congiungendo le mani come se stessi pregando.
«Che scemo che sei! Guarda che so guidare, e in ogni caso io sono più giovane di te, ho più cose da fare». Cominciò a rallentare prima di svoltare dentro al parcheggio del ristorante.
«Entri a ordinare tu o vado io?» domandai, sapendo già la risposta.
«Vado io, prendi il solito?». Si slacciò la cintura di sicurezza e prese il mio portafogli dalla tasca dei jeans, senza scusarsi per avermi quasi palpato il sedere.
«Sì, solito. Tranquilla, pago io» scherzai, indicando il mio portafogli tra le sue mani.
«Ne ero sicura». Sorrise scendendo dalla macchina.
Mentre si dirigeva verso l’entrata del ristorante continuai a guardarla.
Era così diversa da quando l’avevo conosciuta, riusciva anche a camminare in modo diverso.
Non ancheggiava, non portava shorts troppo corti o miseri top, Lee riusciva a essere sexy anche con quel paio di jeans consumati e con quella maglia grigia.
Sarebbe stato fortunato l’uomo che avesse posseduto il suo cuore.
Sorrisi a quel pensiero quando la vidi correre fuori dal locale con una busta tra le mani.
«Andiamo, tieni che è ancora caldo» borbottò sistemandomi la busta di carta sulle ginocchia e mettendo in moto la macchina.
«Come mai hai fatto così presto?» chiesi guardando l’ora che lampeggiava sul cruscotto dell’auto.
Erano trascorsi meno di dieci minuti.
«Perché l’ho distratto. Gli ho fatto uno spogliarello e mentre mi spogliavo imbustavo da sola quello che dovevo portare a casa. Via la maglia e ho preso gli involtini primavera, via i jeans ed erano dentro alla busta anche i biscotti della fortuna…» ridacchiò facendomi ridere a mia volta.
«Spogliarello integrale per portare via tutto gratis o ti sei tenuta gli slip?» chiesi continuando a ridere.
«No, visto che pagavi tu ho tenuto gli slip. Se avessi pagato io gli avrei fatto anche altro…» scherzò lasciando la frase in sospeso.
L’immagine di Lee che faceva uno spogliarello mi colpì all’improvviso, scatenandomi un tornado di sensazioni.
Scherzavamo sempre sullo spogliarello che avrebbe dovuto fare per ottenere gratis qualcosa, perché proprio quella sera mi stavo soffermando su quel pensiero?
Mi spostai irrequieto sul sedile, maledicendo la mia fantasia.
Smettere di immaginare Lee in situazioni sbagliate era difficile, sembrava che dovessi disintossicarmi.
Forse era davvero una disintossicazione.
«Rob, posso chiederti l’ultima cosa?» mormorò spegnendo l’auto sul vialetto di casa.
Il tono che aveva usato non mi faceva presagire nulla di buono.
«Certo». Chiusi la portiera della macchina, tenendo la busta in equilibrio.
«Ecco, la ragazza… la conosco?». Velocizzò il passo per andare ad aprire la porta di casa, visto che aveva le mani libere. Quando sentii la sua domanda però, mi bloccai.
Cosa potevo dirle? “Sì Lee, la conosci perché sei tu?”.
«Io… be’… tu…» cominciai a balbettare, passandomi una mano tra i capelli.
«Aspetta, facciamola più facile, è mai stata qui a casa nostra?». Sembrava stizzita, ma non capivo perché.
Improvvisamente compresi…
«Lee, non è Kristen» borbottai rimanendo fermo di fianco a lei.
«No perché, insomma, capirei…» iniziò a dire, giocherellando con le chiavi di casa.
«Lee, non è Kristen» ripetei, sperando che mi credesse.
«Ok, ok. Ti credo» assentì entrando in casa e aspettando che facessi lo stesso.
«Te l’avrei detto se fosse stata lei». Dopo essere entrato e aver appoggiato la busta sul tavolo della cucina cominciai a posizionare le scatolette in fila.
«Però rimane il fatto che chiunque sia, è un’idiota» sbottò sedendosi su una sedia e cominciando ad aprire le confezioni con il cibo.
«Come?» chiesi alzando il volto di scatto e lasciando cadere le bacchette che avevo tra le mani.
«Sì. Chiunque sia, è un’idiota. Tu sei un ragazzo perfetto, sei dolce, gentile, ti preoccupi sempre per tutti e, insomma, nonostante la tua età sei sempre un bell’uomo». Fece spallucce, indifferente, come se avesse appena detto una cosa normale, e iniziò a mangiare.
 «Grazie». Mi ritrovai ad arrossire ai suoi complimenti.
Sapevo che Lee l’aveva detto come amica, ma una piccola parte di me si era illusa che l’avesse detto come donna.
«E di che? È la verità». Sorrise cominciando a masticare e allungandomi una vaschetta.
Cominciammo a mangiare ridacchiando davanti alla TV in cucina: c’era un vecchio film comico che divertiva sempre tanto Lee.
«Ragazzi?». Tom entrò inaspettatamente, facendo gridare Lee per lo spavento.
«Da dove sei entrato?» chiese tenendosi una mano premuta all’altezza del cuore.
«Dalla porta» ridacchiò Tom, sedendosi di fianco a noi e cominciando a guardare cosa ci fosse dentro alle confezioni di cibo.
«Sì, ma perché non ti abbiamo sentito?» domandò di nuovo, riprendendo a mangiare.
«Perché stavate ridendo. Vi ho sentiti fin dalla strada» scherzò, prendendo un paio di bacchette e cominciando a mangiucchiare qualcosa.
«Esagerato». Lee gli tirò un pugno sul braccio, facendogli cadere le bacchette. «Ops, scusa. Non controllo più la mia forza, ho fatto muscoli a forza di portare vassoi di birra». Lee sorrise felice prima di allungarsi sulla tavola per prendere la confezione con i biscotti della fortuna.
«Uh, che belli! I biscotti della fortuna!». Tom protese la mano per prenderne uno ma Lee lo incenerì con lo sguardo.
«Sono solo due. Non toccarli» lo ammonì puntandogli l’indice a pochi centimetri dal naso. «Rob, prendi il tuo». Allungò la confezione verso di me e io presi un biscotto a caso. «Aprilo, dai» bisbigliò emozionata Lee rompendo il suo.
«Non lo so» borbottai scettico. L’ultima cosa che mi serviva era una frase dei biscotti della fortuna.
«E dai Rob aprilo anche tu. No, che schifo» sussurrò dopo aver letto il suo bigliettino. «Io trovo sempre quelli senza senso. “Ogni passo avanti è un passo importante”». Appoggiò il bigliettino sul tavolo e cominciò a fissarmi curiosa.
«Ok, lo apro» sospirai rompendo il biscotto. Quando lessi quello che c’era scritto sbarrai gli occhi sorpreso, guardando Lee davanti a me che mi sorrideva aspettando che le dicessi cosa c’era scritto. «“Quello che cerchi è davanti a te”» lessi, alternando lo sguardo tra il biglietto e Lee.
«No, abbiamo sbagliato. Quello era il mio! La settimana scorsa ho perso un perizoma. Quello è il mio biglietto». Si allungò sopra alla tavola per prenderlo, ma mi scansai.
«Giù le mani. Questo è il mio biglietto» la ammonii sentendo una risatina di Tom.
C’era qualcosa di inquietante in quel biglietto.
Perché il caso mi aveva fatto scegliere proprio quello?
«Questi cinesi ne sanno una più del diavolo» rise Tom accendendosi una sigaretta. «Che cosa stai cercando Rob?».
«Un paio di calzini» sbottai ammonendolo con lo sguardo.
Era stata la prima cosa a passarmi per la mente.
Non potevo di certo dire che stavo aspettando una risposta.
«Li ho presi io quelli neri» disse Lee sorridendo. «Ora che hai trovato quello che stavi cercando, potresti darmi il biglietto? Devo trovare il perizoma». Allungò la mano con il palmo rivolto verso l’alto perché le appoggiassi il biglietto sopra, ma mi rifiutai.
«Magari il tuo perizoma l’ha preso Rob. Se tu hai preso i suoi calzini». Tom continuava a ridere, tenendo la sigaretta sopra alla tavola per non bruciasi con il tabacco.
«Oddio, che schifo Rob. Indossi i miei perizomi?» chiese Lee rabbrividendo.
«Ma cosa state dicendo?» sbottai infastidito, prima di alzarmi e cominciare a sparecchiare.
«Dai stavo scherzando» sussurrò Lee abbracciandomi da dietro.
«Sei ruffiana, Lee» farfugliai sospirando a causa del contatto con il suo corpo.
«Lo so, ma funziona» sghignazzò scappando prima che potessi cominciare a farle il solletico.
Passammo la serata davanti alla TV a guardare un film, fino a che non ci accorgemmo che Lee si era addormentata.
«Rob, guarda che ha preso sonno» sussurrò Tom, indicandomi Lee che aveva la testa appoggiata alla mia spalla.
«La porto a letto» mormorai, attento a non svegliarla, alzandomi lentamente e prendendola in braccio.
Dopo averla distesa a letto e coperta con il lenzuolo, ritornai da Tom, davanti alla TV.
Guardammo un paio di episodi di una vecchia sit-com e poi decidemmo di andare a dormire.
Tom avrebbe dormito ancora una volta sul divano.
 
Mi svegliai all’improvviso, sentendo le urla di Lee; corsi velocemente verso la sua camera ma mi spaventai notando una figura che saliva velocemente le scale.
«Rob, c’è qualcuno in camera di Lee» borbottò Tom, continuando a stringere un coltello tra le mani.
«Idiota, sta sognando». Lo spintonai per entrare in camera di Lee mentre lei continuava a urlare.
«Lee, Lee stai sognando». La scossi leggermente, spostandole i capelli dalla fronte sudata.
«Smettila. Lasciami ti prego» strillò calciando via le lenzuola.
«Aileen, sono Robert. Svegliati, è solo un sogno» ripetei, prendendole il viso tra le mani.
«Rob» sussurrò aprendo gli occhi di colpo, strofinandosi la guancia per asciugarsi una lacrima.
«Tranquilla, sono qui» bisbigliai accarezzandole la schiena e abbracciandola. «Va tutto bene». Socchiusi gli occhi quando sentii il suo corpo scosso dai singhiozzi.
«Ho svegliato anche Tom?». Sollevò il viso, guardando verso la porta aperta.
«No, stavamo guardando la TV, non ci hai svegliato» cercai di tranquillizzarla mentre Tom annuiva.
Sembrava che avesse visto un fantasma; continuava a rimanere davanti alla porta immobile. Per fortuna Lee non aveva visto il coltello che aveva in mano.
«Credo sia ora che vada a dormire. A domani» borbottò Tom prima di chiudere la porta e lasciarci soli.
«Forza Lee, dormiamo un po’» sussurrai distendendomi di fianco a lei e circondandole le spalle con un braccio.
Rimasi quasi mezz’ora sveglio. Sentii il respiro di Lee diventare più pesante e regolare, ma continuai a percorrere la sua schiena con la punta delle dita, sfiorandola in una carezza tenera.
«Rob, mi dispiace» sospirò Lee all’improvviso, continuando a sognare.
«Non è colpa tua Lee». Sapevo che non poteva sentirmi, ma volevo che lo sapesse lo stesso.
Non era colpa sua, era solo e soltanto mia.
Dovevo solo disintossicarmi da Lee, andare in riabilitazione.
Il problema era soltanto uno: volevo farlo?

 
 
 
 
 
Salve ragazze!
Ed eccoci con il quarto capitolo di Rob e Lee! :)
Allora, avete visto che non ha detto nulla? Non potevo di certo fargli dire qualcosa di sconveniente, anche perché Lee ci sarebbe rimasta male e non mi sembrava il caso di farle perdere la fiducia in Rob, dopo che lui aveva lottato così tanto per averla.
Dunque, vi comunico che i capitoli di passaggio stanno finendo e già dal prossimo cominceremo a smuovere le acque! :P
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Come sempre ringrazio preferiti, seguiti e da ricordare, che aumentano di giorno in giorno! Ringrazio anche tutte quelle che lasciano un commentino, sempre tanto apprezzato! :)
Come sempre sapete che potete trovarmi in Fb sul profilo di EFP, oppure sul gruppo dove metto spoiler e altre notizie. Credo di inserire in settimana la foto del nuovo personaggio di questa storia.
 
Un ringraziamento particolare a Serena, che mi ha fatto un meraviglioso video-trailer di Redemption, lo trovate QUI.
Se qualcuna di voi riesce a fare queste bellissime cose e vuole provare a fare qualcosina, fatelo pure, io le amo queste cose! L’unica cosa che vi chiedo è di mettere l’autore e il titolo della storia (magari con il link). Per tutto il resto... Sentitevi pure libere di farlo.
Vorrei potervi fare un regalo, ma mi sa che l’unica cosa che posso fare è dare uno spoiler (bomba) a chi decide di cimentarsi in queste cose.
 
Ci vediamo la prossima settimana!
Un bacione!
   
 
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