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Autore: SFLind    30/08/2011    1 recensioni
VECCHIO TITOLO: La Terra ha le dimensioni di Cuba
Una trentina di persone, amici e non, conoscenti e non, con i loro problemi, i loro mestieri e le loro ragioni, storie, tante storie diverse intrecciate (per caso) tra loro. Chi per scelta, chi per un caso fortuito, chi per errore, condivideranno un periodo della loro vita con persone che mai si sarebbero aspettate di incontrare. Si conosceranno nuovi intrighi, mentre vecchi elemosineranno chiarimenti. Tra notti di fuoco e altre in cui si pianificherà di appiccarlo, una cosa è certa, ciò che accadrà , non lo scorderanno facilmente.
FrUK; GerIta, UsUK; Germancest; Spamano; Bad Trio; Nordic5; SuFin; PruAus; TurEgi; RuLat; Rochu; LietPol; Asian Countries e tanti(issimi) altri..
Vi prego di leggere e commentare, grazie :) Mi farebbe piacere!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5 – Il capitolo dei limoni;
 
 
1° Luglio;
 
- Questo profumo… E’ qualcosa che mi spinge verso di te, mi attrae come fosse gravità… -
 
- Davvero non hai niente di meglio da dire?! Nient’altro?! Non immagini nemmeno come mi senta, e parli di profumo?! –
 
Le mise un braccio intorno alla vita, guardandola fisso negli occhi purpurei.
 
- Hai ragione, io non lo immagino – ammise lui tranquillamente – ma non riusciremmo a intrattenerci al meglio se conoscessimo tutto l’uno dell’altra… Non la pensi anche tu così? –
 
Con l’altra mano giocherellava con una ciocca dei lunghi e chiarissimi capelli di lei.
 
- Per te tutto concerne al sesso, vero?! Non t’interessa nient’altro! Non ti fai schifo?! –
 
- Schifo? Non avrei mai detto fosse quello che provavi tu… O almeno, ieri notte non mi è parso, e nemmeno la notte prima o quella prima ancora… Forse ho frainteso – ghignò.
- Avrei detto fossi tu quella nel letto… -
 
Le brillarono gli occhi. Le labbra sottili impallidirono mentre le gote si coloravano del sangue che affluiva sotto la pelle.
In balia della rabbia.
 
Poi sorrise.
 
No, forse aveva solo gli angoli della bocca sollevati, malignamente.
 
- Già, forse ti sei solo confuso… - chiuse un momento gli occhi e fece un gesto di nonchalance con la mano – Con tutte quelle che ti parti a letto non mi sorprende. Un attimo di distrazione e “puff”… - tamburellò le dita per aria – Hai un orgasmo con il nome della donna sbagliata –
 
Lui alzò un sopracciglio, mentre il sorriso cattivo restava sulle sue labbra.
Spontaneo.
 
- Hai ragione anche su questo… - ammise. Come si ammette di aver perso una scommessa da due soldi.
- Ma tra quei tanti nomi c’era anche il tuo –
Si portò una mano sul cuore, chinandosi un po’ verso il viso di lei.
 
Adesso il tremolio nei suoi occhi era tale che avrebbe giurato si sarebbe messa a piangere.
 
- Va al diavolo! – urlò senza contegno, aprendo il palmo della mano destra e voltandolo ferocemente verso la guancia di lui.
 
Per un brevissimo momento fece in tempo a guardare la mano che lo stava per colpire con violenza.
Poi chiuse gli occhi verdi.
 
Strinse le palpebre.
 
 
- STOP! – urlò il regista – BUONA! –
 
Gupta Muhammad Hassam saltò energicamente dalla sua sedia e corse incontro ai due attori.
 
- Siete incredibili! – li elogiava a gran voce.
- La scena era perfetta! Non un minimo errore! –
 
I due gli sorrisero, forse incapaci di ringraziarlo in altro modo.
O forse semplicemente troppo stanchi per provarci.
 
- Antonio, da te non mi aspettavo niente di meno! Sei uno dei migliori attori con cui abbia mai lavorato! – disse, dandogli un colpetto sul braccio.
 
- Potrei dire la stessa cosa anch’io – rispose lui, ammiccando alla ragazza accanto a lui.
 
Lei arrossì compostamente.
 
- Tu, Natalia! – riprese il regista – Nessuno direbbe mai che questa è la tua prima esperienza come attrice! Sapevo che come ballerina sei il massimo, ma anche come attrice sei strabiliante! –
 
- Mi sono impegnata davvero tanto per conciliare la danza con le lezioni di recitazione, a volte non dormivo o mangiavo per fare tutto – spiegava lei.
Era innegabilmente felice di sé stessa.
 
- Non posso credere che questa fosse l’ultima scena! Il film adesso è veramente terminato! –
Il regista Hassam era su di giri, e la troupe non poteva fare a meno di essere contenta quanto lui.
 
Il film adesso è veramente terminato”.
 
Adesso lo avrebbe finalmente rivisto.
 
 
*
 
 
- Io vado, Nà! Grazie di tutto! Ci sentiamo! –
 
La ragazza lo salutò con la mano da lontano.
 
Udì la voce del regista.
- Antonio! Non sparire! Teniamoci in contatto! –
 
No soy tàn tonto”.
 
- Se ha bisogno di qualcosa contatti il mio agente! – gli rispose gridando, mentre allungava il passo per allontanarsi.
 
- Sai che non lo farò! –
Un velo d’irritazione era ben celato nel tono di quell’ultima frase.
 
Senza voltarsi fece un cenno di congedo con la mano sinistra.
 
Finalmente era in vacanza.
Finalmente lo avrebbe rivisto.
 
Quanti mesi erano passati? Cinque? Cinque mesi dall’ultima volta che erano stati insieme.
 
Sentiva il sudore bagnarli la fronte, il collo  e la schiena per il caldo.
 
Ma non gli importava.
 
Voleva correre.
Doveva correre in albergo, recuperare la valigia che si era già preoccupato di fare e prendere l’aereo.
 
Mise una mano nella tasca posteriore dei jeans scuri e ne tirò fuori il cellulare.
Digitò un messaggio e lo inviò. Poi lo rimise in tasca.
 
E’ tutto finito. Torno a casa!” aveva scritto.
 
Mentre camminava a passo svelto, la tasca vibrò.
Uno squillo.
 
Lo aveva letto.
 
Adesso era ancora più entusiasta.
 
Correva. Le strade di San Pietroburgo infiammavano sotto i suoi piedi.
 
All’entrata dell’albergo lo aspettava il suo agente, in piedi accanto ad una lussuosa auto bianca.
 
- Dai, dai, Antonio! L’aereo parte tra un’ora! – diceva, invitandolo a sbrigarsi.
- Le valigie sono già in macchina, mi sono occupato di tutto io. Sbrigati! –
 
- Grazie, Sadiq! –
 
Il suo agente era sempre stato un uomo efficiente.
 
Entrò in macchina.
L’uomo lo seguì e gli si sedette affianco, chiudendosi la portiera alle spalle.
 
Per quanto potesse essere grande il retro della limousine che era stata prenotata per lui, condividendolo con quell’uomo lo spazio sembrava diminuire drasticamente.
 
Alto forse più di un metro e novanta, Sadiq Adnan era un uomo possente e affascinante.
Andava per i trenta ma aveva un viso dalle caratteristiche quasi vissute.
Aveva occhi color terracotta, una pelle poco più abbronzata della sua e capelli castano scuro.
Nonostante la giovane età, Sadiq era il migliore in circolazione nel suo campo.
 
Una delle persone di cui si fidava di più.
Se ce ne fosse stata mai occasione gli avrebbe affidato anche la vita, perché Sadiq portava sempre a termine i suoi incarichi.
Qualsiasi questi fossero, Sadiq non era in grado di fallire.
 
- Come mai ci hai messo tanto? – gli chiese, sfogliando un agenda.
 
- Il regista ci ha trattenuto un po’ più del previsto –
 
Un gesto nervoso si mosse leggermente su quel viso abbronzato.
 
- Quell'egiziano buono a niente – serrò la mascella, coperta da una leggera barba. Poi riprese.
- E’ così lento che ogni volta mi fa perdere tempo prezioso! –
 
Antonio sapeva bene quanto il Gupta di Sadiq fosse diverso da quello con cui aveva a che fare lui ogni giorno. All’inizio aveva creduto fosse essenzialmente a causa del brutto rapporto che i primi due condividevano, ma alla fine era arrivato a pensare ad un vero e proprio esempio di sdoppiamento della personalità.
Il Gupta che elogiava il suoi attori sembrava essere completamente un’altra persona da quella chiusa, fredda e autoritaria che tiranneggiava Sadiq e tutti coloro che capitava gli ronzassero intorno.
 
- Non capisco proprio come tu abbia fatto a resistere cinque mesi lavorando per lui – continuava l’altro, visibilmente irritato.
 
Antonio si limitò a scrollare le spalle.
Meglio non incentivare il discorso” aveva pensato.
 
- Sicuro di non aver lasciato niente in albergo? – chiese tanto per forma al suo agente mentre si dirigevano verso l'areoporto.
Sapeva che quelli erano compiti da niente.
 
L’altro annuì sorridente.
 
Poi sembrò ricordarsi di una cosa a bruciapelo.
 
- Ah! – esclamò – Ha chiamato Lovino mentre ero in albergo! –
 
Il viso di Antonio s’illuminò improvvisamente.
 
- Chiedeva a che ora saremmo tornati a Barcellona e di avvisarti, dato che non hai risposto al suo messaggio, che non riuscirà a essere a casa per quell’ora –
 
Il sorriso si spense. La delusione aveva inflitto un colpo fortissimo al suo stomaco.
 
Prese il cellulare dalla tasca e controllò.
 
Un messaggio… Lovi… - A che ora arrivi? Oggi ho un po’ da fare – “.
 
Si, era decisamente delusione quel fastidio al centro del suo ventre.
 
Dopo cinque mesi sarebbe tornato a casa e non sapeva quando lo avrebbe potuto vedere.
 
Segretamente bestemmiava in spagnolo contro la sfiga che lo perseguitava.
 
 
*
 
 
- Ti chiamerò domattina! Buenas noches! – disse, mentre il finestrino oscurato dell’auto si alzava.
 
Gli piaceva quando Sadiq emulava l’accento spagnolo. Lasciava trapelare un po’ delle sue origini Turche nella pronuncia.
 
Il viaggio era durato parecchi ore. Ore passate lunghe e pesanti. Insopportabili.
 
Adesso era definitivamente sfinito.
Aveva a stento la forza di salire le scale.
 
Poi ovviamente dovevano essere salite anche le numerose valigie, che aspettavano lì, ferme sul ciglio della strada, di essere trascinate su per i gradini.
 
Madre de Dios”.
 
Con quella poca pazienza che gli era rimasta prese il cellulare e digitò il numero di Sadiq.
 
- Buenas tarde – rispose allegro – aspetta due minuti e sono da te –
 
Come si aspettava, non aveva avuto bisogno di dire niente.
Sadiq sapeva probabilmente anche ciò che stava pensando in quel momento stesso.
 
E in due minuti, in effetti, era proprio lì. Lo aiutava con le valigie.
 
Antonio si trascinava dietro un borsone, tenendolo per il manico.
Lo strisciava contro le grandi scale di pietra.
 
Un paio di gradini più sotto il suo agente caricava tranquillamente due bauli. Uno per ogni braccio.
 
- Ti serve aiuto? – chiese.
– Se vuoi posso prendere in braccio anche te – lo schernì.
 
Antonio come al solito non se la prese. Scoppiò a ridere e gli lasciò cadere la borsa sui piedi.
 
Una smorfia di dolore misto a divertimento.
 
- Guarda che io ho un fisico invidiabile, sei tu che sembri un culturista! –
 
Risero ancora insieme.
 
Quella sintonia lo rallegrava, ma allo stesso tempo lo pugnalava al petto. Perché per quanto fosse speciale per lui Sadiq, Lovi non era lì con loro.
Con lui.
Ma da tutt’altra parte a fare chissà cosa.
 
Entrati in casa, aprì le finestre del corridoio mentre Sadiq portava le sue cose in camera.
 
Gli era mancata la sua casa. C’era il profumo di Lovino lì.
Quell’aroma di limoni siciliani gli riempiva i polmoni.
 
Perché in quella casa Lovino era stato solo.
 
O almeno sperava.
 
Lovino Vargas era un ragazzo bellissimo.
Anche se ciò che guadagnava in bellezza lo perdeva in maniere.
A lui piaceva il lato indisponente di quel ragazzo.
Ci provava gusto ad occuparsi di lui e del suo brutto carattere. Era qualcosa che sapeva non poter chiedere al suo agente.
Lo faceva sentire importante.
 
Io vivo con Lovino Vargas”.
Avrebbe voluto gridarlo al mondo.
 
Eppure, per qualche strana ragione, Lovi non era così attaccato a lui.
Sembrava ricambiare solo il cinquanta percento di ciò che provava per quel ragazzo.
 
Ma finché il suo profumo al limone, i suoi abiti, le sue cose, le sue impronte erano in quella casa, non voleva preoccuparsene.
 
Erano le sei del pomeriggio. Barcellona era rovente fuori dalle grandi vetrate.
Le strade del loro maniero di campagna erano desolate.
I prati seccavano sotto il sole cocente.
Alcuni pomodori maturavano rossi nell’orticello dietro casa.
Tutto così silenzioso.
Lovino non era lì. Dov’era?
 
Si rese conto di essere tornato con nessun’altra voglia se non quella di rivederlo.
 
Rivederlo? Ma che stava dicendo?
Voleva vederlo, toccarlo, abbracciarlo, baciarlo, spogliarlo e poi farci l’amore.
Senza mai lasciarlo andare.
 
Ma Lovino non era lì!
 
Si sedette sul divano di tessuto bianco. Di fronte una gigantesca finestra.
Un panorama vasto e stupendo.
Papaveri che crescevano selvatici lo coloravano di rosso, contrastando con l’ocra dell’erba bruciata dall’afa.
 
Mentre con un’espressione affranta s’interrogava sul da farsi – deprimersi per l’essere lo sfigato della situazione o incazzarsi per aver scelto l’amante meno devoto sulla faccia della Terra – Sadiq entrò in salotto.
 
- Di là ho finito con i bagagli… - sembrò soffermarsi ad analizzare l’uomo stravaccato sul divano bianco.
- Oh no! – esclamò allarmato.
 
- Oh si… - gli rispose – Perché non ti sei fatto dire dove diavolo andava quel ragazzo?! –
 
- Ha detto semplicemente che aveva da fare, poi sapevo che se tu lo avessi saputo ti saresti diretto immediatamente sul posto… -
 
- Non posso farlo?! – lo interruppe irritato.
 
Sadiq ridusse gli occhi color terra a sue fessure.
 
- Ovvio che non puoi farlo. Questa settimana hai fatto pochissime ore di sonno per tutto il lavoro arretrato di quell’idiota di un regista… Hai le borse sotto gli occhi così marcate da sembrare un panda, sei nervoso e stai diventando decisamente ossessivo – si fermò a vedere la reazione ottenuta.
 
Antonio volse lo sguardo verso lo specchio a muro.
Aveva veramente le occhiaie da panda, i capelli arruffati e annodati e la camicia bianco panna sgualcita dal viaggio.
 
- Credi davvero di fare bella figura andando in giro in quelle condizioni? –
 
In effetti Sadiq era il suo manager, doveva occuparsi del suo aspetto e delle sue uscite in pubblico. Era il suo lavoro.
 
Guardandosi riflesso nello specchio, cominciò a sentire la stanchezza accumulata piombargli addosso tutta in una volta.
Aveva tremendamente sonno. Voleva chiudere gli occhi.
 
- Che ne dici di andare a riposare un po’? –
 
- Abbiamo dei sonniferi da qualche parte? –
 
- Stai scherzano?! Se prendi quella roba non ti sveglierai nemmeno per l’arrivo di Lovino! –
 
Lo scopo era proprio quello.
Voleva dormire profondamente. Svegliarsi con l’odore della pasta alla crudaiola preparata da Lovino, come se non fosse mai andato via.
 
- Non provarci Antonio – lo ammonì Sadiq con sguardo minaccioso.
 
- Allora aiutami tu ad addormentarmi! – disse gettandogli le braccia al collo.
- Sono depresso! Occupati di me… E’ il tuo lavoro – piagnucolava.
 
Sadiq lo guardava esasperato, mentre se lo trascinava dietro a peso morto. Ancora avvinghiato al suo collo.
 
Entrati in camera se ne liberò buttandolo pesantemente sul letto.
Il tempo di tirar fuori il pigiama dal cassettone che Antonio era già al settimo sonno.
 
Immagina con i sonniferi…” commentò ironico Sadiq nella sua testa.
 
 
*
 
 
Camminava per una sconfinata e fertile campagna. Un vasto frutteto si estendeva di fronte ai suoi occhi verdi.
Lui e Sadiq camminavano tra gli alberi, esaminandone i frutti.
La forma avrebbe fatto pensare a dei limoni, ma il colore era di un aggressivo verde melone.
 
- Son limas? – chiese Antonio, non avendoli mai visti prima.
 
Sadiq si avvicinò per osservare meglio.
 
- No – concluse – son limones –
 
- Limones? – chiese incredulo – Te equivocas! No es posible… -
 
- Te estoy diciendo que es asì, son inmaduros – insisteva.
 
- Es julio, Sadiq, de julio los limones son amarillos! Mas, aquì no crecen limones por que no los cultivan… -
 
Un cellulare squillò.
Sadiq diede uno sguardo al mittente ed inarcò un sopracciglio.
Rispose.
 
- Hassam! – disse irritato. Parlava in turco.
 
Gupta parlava il turco?
Nemmeno lui lo faceva, ma per qualche strano motivo non gli fu difficile intendere che il suo agente stava bestemmiando contro il regista, allontanandosi.
 
Stava per avviarsi per seguirlo quando un’improvvisata folata di vento lo distrasse.
I rami dell’albero tremarono e man mano i frutti cominciarono a cedere.
 
- Què lastima… - sospirò Antonio, voltando le spalle per andarsene.
 
Qualcosa lo colpì forte alle spalle. Perse un attimo l’equilibrio e si sentì colpito ancora.
 
I limoni verdi cadevano violentemente al suolo.
 
- Sadiq! – gridò – Què està pasando?! –
 
- Es Lovino – gli rispose l’altro da lontano.
 
E’ Lovino che fa cadere i limoni?” pensò confuso.
 
- Què idiota que es ese niño! – si sforzò di gridare con tutto il fiato disponibile.
 
- Callate! – urlò qualcuno dietro di lui.
Poi qualcosa lo colpì forte alla testa.
 
Aprì gli occhi, sbattendo le palpebre.
Era nel suo letto.
Gli doleva la testa, dietro la nuca.
Qualcosa di pesante sulla sua schiena non lo faceva alzare. Qualcosa che… profumava di limoni.
Qualcosa… Qualcuno che aveva un viso bellissimo, un tono arrabbiato e profumava di limoni, era seduto sulla sua schiena.
 
- Lovinito? – chiese spaesato. Ancora mettendo a fuoco.
 
Che ora era?
 
- “El niño idiota!” – lo colpì ancora sulla testa.
 
- Se continui a colpirmi in testa non mi resteranno più neuroni funzionanti per correggere la tua pronuncia spagnola –
 
- Vuoi che ti colpisca più sotto? –
 
- Acido –
 
- Bastardo – disse, stendendosi a pancia in giù sulla sua schiena.
 
- Dove sei stato? – chiese Antonio, con un tono più serio di quello che avrebbe voluto utilizzare.
 
- Ho accompagnato mio fratello alla stazione dei treni –
 
- Feliciano è stato qui? – adesso era decisamente perplesso.
Non sapeva niente di tutto ciò che fosse successo a casa sua in quei cinque mesi.
 
- Già – spiegò con voce annoiata – mi sentivo solo, così è venuto a fare una vacanza di una settimana… Poi ha preso il treno per andare a Berlino da quell’idiota del suo amico tedesco –
Impossibile non notare il disappunto nella voce.
 
Adesso si sentiva magicamente tranquillo e rilassato.
 
- De acuerdo… Altre novità? –
 
- Una –
 
Antonio lanciò un’occhiata sopra la sua spalla per volgergli uno sguardo curioso.
 
Lovino giocava distrattamente con i suoi capelli arruffati.
 
- Abbiamo un invito -
   
 
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