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Autore: Sasita    30/08/2011    7 recensioni
Un caso. Un paese lontano, lontano dalla California. La voglia di ricominciare. Una fatidica estrazione.
esigo recensioni!!!
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Long Fic Jisbon'
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Choices


Per qualche tempo mi dannai l’anima pensando a come fare per aiutare Teresa senza che lei se ne accorgesse. Ma dopo due settimane in cui non riuscivo a trovare un modo per farlo, decisi che non potevo fare altro che versare, ogni mese, una somma abbastanza alta di denaro nel suo conto corrente. Con la ripresa della Borsa internazionale e le puntate ai casinò che avevo fatto fino a pochi giorni prima avevo da parte molti soldi da poterle passare. Se ne sarebbe accorta, questo era certo, ma almeno non avrei lasciato che andasse avanti con il sussidio statale americano, che è praticamente nullo.

Niente di particolarmente impegnativo, comunque. 2500 dollari al mese sarebbero dovuti bastare per lei e il piccolo.
Quello stesso mese venni  a conoscenza del fatto che Van Pelt era sulle mie tracce e sapeva esattamente dove trovarmi. Come feci a saperlo? Beh, è piuttosto semplice: mi arrivò una mail alla nuova casella postale che avevo fatto. Mi diceva che ero un idiota, perché stavo facendo soffrire Teresa. Ma diceva anche che mi capiva, in un certo senso. Mi mise a conoscenza del fatto che Lisbon era incinta di una bambina che si sarebbe chiamata Zoe. Non disse altro, se non che Cho ed Elise si sarebbero sposati il primo di maggio.
Da parte mia, d’altronde, non feci niente che evitasse a Grace di trovarmi, era infinitamente meglio che lei sapesse i miei spostamenti e la mia posizione perché, nonostante mi fossi ripromesso di voltare le spalle a tutto per un po’, di non pensare a niente, di non preoccuparmi di ciò che mi ero lasciato dietro le spalle, alla fine ogni giorno era un’agonia che mi univa e mi trascinava di nuovo a Sacramento, preoccupato come non  mai di cosa succedesse a Lisbon e alla bambina e ai miei amici; gli unici veri che avessi mai avuto.
Il mio era un progetto egoistico che non riuscivo più a mantenere. Perché la mia vita era cambiata, le mie aspettative lo erano. Nella mia esistenza non avevo mai pensato a molto se non a me stesso e alla promessa che mi ero fatto da giovane, quando mi giurai che non sarei mai stato nella stessa situazione di mio padre: un uomo dedito all’alcol, allo sperpero e al gioco. Mi ero promesso che sarei stato ricco. Questa era la causa della mia cecità.
Non i soldi, non sono così santo da dire che i soldi mi avevano traviato. Non erano loro materialmente ma la mia brama di essi che si andava accrescendo ogni volta che ne arrivavano di nuovi nelle mie tasche. Ogni truffa, incurante com’ero delle necessità altrui, mi procurava quella felicità che solo un sostanzioso guadagno effettuato grazie alle proprie maggiori capacità può dare.
Ma negli anni trascorsi al CBI, con Lisbon e i ragazzi, il mio modo di vedere la vita, il modo stesso in cui vivevo, era cambiato.
Più che John il rosso e la sua follia assassina dettata dal voler purificare il mondo intero, era stato il tempo passato con degli amici, in una specie di famiglia allargata con le sue abitudini, i suoi vizi, il suo affetto e la sua compattezza a farmi capire cosa contasse davvero nella vita.
Quindi, in fin dei conti, le mie priorità erano diverse. Ero partito con la convinzione che qualsiasi cosa fosse successa nel posto da cui stavo effettivamente scappando non mi avrebbe toccato.
Eppure, anche con la consapevolezza che la bambina sarebbe potuta non essere mia mi ero già affezionato alla piccola Zoe. Già la immaginavo con dei morbidi capelli neri come quelli della mamma e i miei occhi turchesi. Sarebbe stata una bambina bellissima e dolcissima, con un carattere forte ed estroverso, aperto agli scherzi ma anche autoritario e sicuro, proprio come Teresa.
Comunque, ero ancora troppo testardo per ammettere che desideravo ardentemente tornare a casa, nella mia bella Sacramento.
Lì in Burundi c’erano tante persone da aiutare. Tante da far quasi venire le lacrime agli occhi, da voler gridare e scappare subito per l’incapacità dell’uomo di sopportare troppa tristezza quando pensa di essere la persona più triste al mondo. Solo in situazioni come quella in cui mi ero ritrovato mi ritrovai a pensare che forse Teresa aveva ragione quando diceva che ero una persona fondamentalmente egoista. Nonostante l’enorme tragedia che aveva colpito la mia vita, ero una persona fondamentalmente fortunata. Non felice, forse, ma fortunata. Avevo una casa, degli amici, una persona che mi amava, molti soldi, delle grandi capacità e una probabile figlia. Nella mia vita ero sempre stato io a procurarmi dolore.
Ma quei bambini orfani e spesso malati? Quelle famiglie che abitavano in baracche di lamiera? Quei ragazzini costretti a prendere le armi fin da giovani e a non avere un’istruzione, un futuro? Che avevano fatto loro per meritarsi tutto questo? Niente. Avevano avuto la disgrazia di nascere privi di ogni bene, privi di mezzi e di futuro, in un paese che segnava il loro destino come le ore di un condannato a morte. Ero certo che quella realtà mi avrebbe cambiato. Intanto, mentre girellavo per i centri abitati e cercavo qualcuno un po’ più benestante del posto che si accorgesse della situazione in cui versavano i suoi connazionali, nella mia mente già si formava un’idea di cosa fosse più importante a Bujumbura sul momento.
 
********
 
-Uffa! Non entrerò mai in questo vestito!- mi lamentai quando mi passarono l’ennesimo vestito di prova per fare la damigella.
-Non essere esagerata, Tess.- sospirò Grace, guardandomi osservare il vestito con una smorfia di disapprovazione –E’ proprio la tua misura, e poi sono certa che questo colore ti doni moltissimo.-
-Ha ragione, Teresa.- la spalleggiò Elise, che in quel momento volteggiava nell’ennesimo vestito da sposa che non la convinceva affatto –Il porpora sta bene a te, perché sei mora e ti farà risaltare il verde degli occhi. Ugualmente sta bene a Grace perché riprende il colore di alcuni riflessi dei suoi capelli e dà luce alla sua pelle chiara.- sospirò soddisfatta. –Sì. Quegli abiti da damigella sono proprio perfetti, non puoi non ammettere che sono perfetti. Sono assolutamente riutilizzabili al di là del matrimonio: basta tagliarli sopra il ginocchio e diventano due abitini meravigliosi. E anche così lunghi possono benissimo essere portati per una serata importante o qualcosa del genere. Vorrei tanto essere altrettanto convinta di uno di questi vestiti...- finì dunque, con una smorfia.
Io e Grace ci guardammo e sorridemmo contemporaneamente. Quello che Elise si stava già togliendo era forse il quindicesimo vestito che si provava.
Entrai nel camerino per provare il fantomatico vestito porpora convintissima che non potevano scegliere qualcuno peggiore di me per fare la damigella...
Bastava vedere come era andata a finire l’ultima volta che mi era stata proposta una cosa del genere. Ma d’altronde stavamo parlando del matrimonio di Kim e non potevo certo rifiutare al mio migliore amico di fargli da damigella.
Lo infilai piuttosto facilmente, nonostante le dimensioni ormai abominevolmente enormi della mia pancia di sette mesi e mezzo, e lo chiusi solo con un leggerissimo aiuto di Elise accorsa a vedere come mi stesse il vestito prima ancora che fossi uscita per mostrarlo a tutti.
Effettivamente era un bellissimo vestito. Con una sola spallina fasciava dolcemente tutto il corpo fino al ginocchio, da cui invece si apriva a formare una corolla che richiamava tanto un tulipano. Semplice ma perfetto in ogni dettaglio.
Annuii soddisfatta, nonostante la mia iniziale esitazione.
-Lo sai che avevi ragione?- dissi ad Elise uscendo dal camerino per vedere anche Grace bellissima nel suo vestito da damigella.
L’orientale sogghignò –Io ho sempre ragione.- disse, mettendo me e Grace vicine per osservare la sua opera quasi completa –In più ho già dato disposizioni perché tu possa cambiarlo quando partorirai, perché ovviamente allora non ti starà più e non ti sarà più utile. E poi, essendo un vestito molto versatile potete farvelo fare come preferite.-
Ci osservò ancora qualche secondo e poi si girò rigettandosi nelle file di vestiti da sposa color champagne. Sempre con il vestito da damigella indosso, mi misi a girellare anche io per aiutare Elise a cercare il vestito perfetto.
 
*******
 
Mi guardai intorno cercando Cho, che avevo perso in giro per la sartoria.
-Devo capire perché Elise voglia che mi vesta di marrone.- mi lamentai, trovandolo alla fine alle prese con una sarta armata di spilli.
-E’ color mattone.- precisò Kimball, girandosi per osservarmi nel mio completo da testimone nuovo di zecca.
La sarta sbuffò –Se non sta fermo il vestito glielo lascio fare da solo.-
Kimball tornò a girarsi verso lo specchio, con un cipiglio, nonostante lo nascondesse perfettamente, abbastanza irritato.
-Non risponde alla mia domanda.- commentai io, ridacchiando vedendolo così conciato e sottomesso nelle mani della donna.
Cho mi guardò attraverso lo specchio –Ti sta bene.- disse alla fine, senza aggiungere altro.
Sbuffai e mi guardai di nuovo nello specchio –Mi ingrossa.-
A quel punto Kim mi lanciò un’occhiata divertita e si mise a ridere apertamente –Probabilmente sono i quattro cornetti che hai mangiato un’ora fa.-
Incassai e sorrisi a mia volta –Forse. Sai che ore sono?-
Kimball si guardò l’orologio al polso, facendo arrabbiare di nuovo la sarta –Mezzogiorno e un quarto, perché? Non mi dirai che hai di nuovo fame!-
Io feci una smorfia colpevole e finsi di starmi di nuovo guardando nello specchio –E’ tipico delle persone sane avere appetito.- dissi alla fine.
-E’ tipico di quelli con il verme solitario mangiare all’infinito, è leggermente diverso.- chiarì una nuova voce.
Mi voltai per constatare che fosse il fratello di Kimball e gli strinsi la mano amichevolmente.
-Sempre questo umorismo...- mi difesi
-Non vorrai negare che potrebbe essere la verità!- incalzò Kimball, sceso dalla piattaforma per dare una pacca sulla spalla al fratello. –Alex, non mi aspettavo di rivederti così presto.- disse, sorridendo leggermente –Ti credevo in Francia.-
-Non potevo certo arrivare in ritardo per il matrimonio del mio fratellino.-
Kim e Alexander Cho, nonostante la ovvia parentela, avevano davvero poco in comune. L’aspetto, quello era quasi impressionante. Ma già dal modo di stare in piedi si distinguevano: Kimball, sempre distinto, sempre diritto e serio, dava l’impressione di un uomo autoritario e misterioso, mentre Alex, sempre a molleggiarsi sulle gambe, con le mani in tasca e il sorriso affabile sulle labbra, faceva subito capire che si trattava di un uomo easy, sempre sorridente e anche un po’ bonaccione.
Fin da quando l’avevo conosciuto mi ero sempre trovato bene con Alex, anche perché sembrava condividere appieno la mia passione per il cibo.
-Allora,- riprese Alexander dopo poco –Vestiti color mattone. Possiamo solo supporre che le signore siano vestite di rosso o qualcosa del genere... uhm... mi piace, adoro il rosso.-
Sia io che Kim lo guardammo storto –Sei sposato.- commentò il fratello, che prendeva la vita in maniera molto diversa da Alex. 
Con un gesto ampio della mano, il maggiore dei Cho liquidò la faccenda. –Che cosa ho detto di male?- sospirò e girò su sé stesso, sfoderando un sorriso a sessantaquattro denti –Allora, vogliamo prepararci o no? Stiamo preparando il matrimonio del secolo… il mio glaciale fratellino si sposa! Caspita, questo sì che è uno scoop!-
Io risi, dando una pacca sulla spalla ad Alex, mentre Kim nascondeva un sorriso dietro una smorfia di falso disappunto.
 
********
 
Camminavo in su e in giù davanti alla porta della navata. Presto sarebbe iniziata la marcia nuziale e sarei andata incontro all’uomo che avrebbe fatto parte della mia vita per sempre…
Era strano pensare che da quel giorno in poi sarei stata la signora Elise Cho. Suonava anche discretamente bene e l’idea di donare la mia fedeltà, il mio amore e la mia stessa felicità a quell’uomo mi riempiva di gioia.
Dopo tutto, nonostante tutte le differenze, eravamo due spiriti affini.
Lui così silenzioso e paziente era perfetto per il mio carattere a volte propenso al silenzio e a volte bisognoso di ascolto.
Certo è che l’ansia prematrimoniale sia sempre una prerogativa di coloro che si sposano. Anche quando stai per sposare la persona di cui sei più sicura al mondo, come nel mio caso, la paura e l’ansia si insediano nella mente, facendo perdere il controllo anche alle persone più tranquille e pacate.
Così stavo lì, di fronte a quella chiesa, a chiedermi cosa mai mi avesse spinto a fare questo passo assurdo e inutile.
Ma sapevo che erano solo le pazze idee di una quasi sposa.
Mi passai una mano dietro la nuca, chiusi gli occhi e mi concentrai sulla forma del viso del mio uomo. I suoi occhi seri e fermi, le sue labbra sottili. Tutto in lui mi donava un’immensa pace interiore.
-Elise, stanno per cominciare.- mi avvertì Teresa, mettendomi una mano sulla spalla.
Io annuii, incapace di dire anche solo una parola.
Mi voltai verso le mie damigelle, vestite tutte con quei bei vestiti rosso porpora.
C’era Teresa, con il suo pancione e la sua aria felice, Grace, quella ragazza testarda ma fondamentalmente piena di buoni sentimenti, e poi mia sorella Alise, con il suo sorriso fiero e il suo portamento forte, tipico di una soldatessa.
Mi sorrisero tutte e io mi preparai, mettendomi davanti alla porta, per il passo più importante che avrei mai compiuto nella mia vita.
Il mio matrimonio stava per iniziare.
Mio padre mi si avvicinò, abbracciandomi forte –Non potevo lasciarti per un uomo di minor valore…- mi sussurrò all’orecchio quando si staccò da me per guardarmi negli occhi, mentre nei suoi si addensavano lacrime di muta gioia.
-Ti voglio bene, papà.- gli risposi, sorridendogli felice.
Lui annuii, stringendomi forte le mani, per poi prendermi sotto braccio per attraversare la navata.
Le mie amiche e mia sorella si misero proprio dietro di me, ognuna con il proprio buquet di rose rosse e la porta si aprì.
Le note della marcia nuziale mi riempirono la mente e per un momento mi sentii stordita, avevo l’impressione di essere schiacciata tutto intorno a me. Pensai di star per svenire ma poi alzai lo sguardo dalle persone che mi stavano guardando, insistenti, e incontrai gli occhi scuri di Kim che mi osservavamo fieri e orgogliosi. Pieni di gioia inespressa ed emozione.
Respirai per la prima volta dopo diversi secondi e mi sentii finalmente bene, finalmente sicura.
Sorrisi, continuando a camminare a testa alta verso l’uomo che mi ero scelta, lentamente mettendo un piede davanti all'altro, fino a che non arrivai all’altare. Mio padre mi guardò mentre delle lacrime gli solcavano il volto segnato dall’età, baciò la mia mano e la lasciò lieve in quella del mio futuro marito. Da quel momento in poi, tutto fu come in un sogno.
 
********
 
Il padre di Elise aveva appena lasciato la mano della mia amica per andare al suo posto, quando il sacerdote iniziò a parlare. Era una sensazione strana quella di essere una damigella...
Volevo molto bene ad Elise e ne volevo ancor di più a Kimball, ma la tristezza che quel matrimonio mi metteva addosso rifletteva un egoismo che non avrei mai pensato di avere in me. Ogni tanto mi dimenticavo che Jane non era più lì con me e lo cercavo tra gli invitati, sorridendo e passando inconsciamente una mano sul mio ventre ingrossato. Ma ogni volta il sorriso mi moriva sulle labbra, perché Patrick non era lì, pronto a rispondermi con quei suoi occhi azzurri.
Nella mia anima c’era una tempesta di emozioni. Ero felice ed euforica per il mio migliore amico che stava sposando una ragazza dolcissima e intelligente, la donna perfetta per lui, ma ero anche triste e depressa perché l’uomo che amavo non era più con me.
Con un sorriso mi soggiunse il pensiero che io avevo subito l’imprintig, con lui. Con amara nostalgia rispolverai quei discorsi che facevamo su Twilight, prima che tutto accadesse. Io, come un Licantropo, avevo trovato in quell’uomo l’unico che potesse davvero completarmi nella vita. L’unico che avrei amato per sempre.
Mi aveva giurato che sarebbe tornato...
Ma quando sarebbe successo? Quando ormai avrei avuto cinquanta anni, una figlia di dodici e ormai poco da godere della mia vita? Speravo davvero che sarebbe tornato presto, entro un anno o al massimo due... Inutile mentire, io speravo tornasse subito, in poche settimane, magari anche pochi giorni, mi corresse incontro e mi stringesse a lui dicendomi che non poteva vivere senza di me.
E invece ero lì, gravida e agghindata da damigella, ad assistere a un matrimonio che se Jane fosse stato lì stato sarebbe stato anche mio.
Il prete iniziò a scandire la formula di rito, incitando i due sposi a dire le proprie promesse di matrimonio.
Mi distrassi dai miei pensieri cupi e mi concentrai sul lato lieto della giornata, sorridendo a Grace che piangeva dall’emozione.
Kimball giurò fedeltà, amore, rispetto e dichiarò di essersi innamorato di Elise grazie alla grazia dei pensieri e dei movimenti della giovane quasi-moglie.
Elise, tanto sopraffatta da parlare con una voce palesemente carica di pianto gioioso, giurò tenerezza, fiducia, lealtà, complicità ed amore, dicendo che erano stati gli occhi dell’orientale a colpirla per prima: nonostante fossero scuri e all’apparenza di molti potessero sembrare inespressivi, ella ci aveva trovato il mondo che confinava e combaciava con il suo.
A quel punto quasi tutta la sala era in lacrime. Il Pastore, con un sorriso lieto sulle labbra, disse di scambiarsi le fedi e un secondo dopo fece consacrare l’unione con un bacio.
Tutti si alzarono in piedi e iniziarono a battere le mani, chi asciugandosi il volto con una manica, chi lanciando riso, chi fischiando come Rigsby e il fratello di Cho…
Kimball ed Elise percorsero la navata di corsa, sotto i fiotti di riso, entrambi sorridenti, entrambi felici. Arrivarono alla macchina posta davanti alle porte della chiesetta e salirono immediatamente, precedendo gli invitati al banchetto.
-E’ stato un matrimonio bellissimo…- sussurrò Grace, stringendomi il braccio e guardandomi con gli occhi macchiati di mascara e ombretto per via delle lacrime che avevano sciolto il trucco.
-Grace sembri un panda.- le disse Alexander, il fratello di Kimball, avvicinandosi e sorridendole amichevolmente.
Van Pelt gli lanciò un’occhiataccia, avvicinandosi a Wayne e prendendolo per mano –Sei povero di spirito…- rispose all’orientale, fintamente offesa.
-Oh, ci sta. Ma adesso che il mio fratellino si è sistemato bisogna fare in modo che anche i suoi amici trovino posto accanto alle persone che amano e sorella… credimi ma così puoi trovare solo un panda maschio su un bambù.-
Grace sorrise alla battuta e Rigsby ridacchiò –Secondo me sei bellissima.- le sussurrò in un orecchio, portandola verso l’uscita per raggiungere i due sposini alla festa.
Io scossi la testa e mi avviai dietro di loro, pensando a quanto sarebbe stato bello avere accanto un uomo come Kimball o Wayne, con la loro premura e le loro, seppur differenti, dimostrazioni d’affetto.
Mi trovavo a pensare a quanto fossero fortunate Elise e Grace ad avere accanto due uomini così. Non ero invidiosa di loro, questo no, provavo solo una grande allegria  nel saperle felici. Quel che provavo però era di nuovo quella rabbia che mi aveva colta quando Patrick se ne era andato, prima che trovassi la lettera e scoprissi di essere incinta.
L’avevo odiato quando mi aveva lasciata in balia dei miei sentimenti e dei fantasmi che per colpa sua mi avevano infestato la mente. L’avevo odiato quando non aveva mosso un dito per fermarmi, quando me ne ero andata per tornare a casa dopo che avevamo litigato.
Avrei potuto essere felice come Elise o come Grace, se non di più, e non potevo per colpa di quell’uomo che mi aveva sedotta e poi lasciata, come nella peggiore delle commedie romantiche.
La rabbia che era andata via con la sua lettera d’affetto era nuovamente affiorata e cresceva, si intensificava con la consapevolezza che lui non stava neppure minimamente pensando a me. Ero così arrabbiata con Patrick che per lunghi momenti neppure riuscii a ricordare neppure un motivo valido per il quale mi fossi innamorata di lui.
-Mi concedete di accompagnarla alla vettura, signorina?- mi domandò facendomi sobbalzare Alexander, giocoso come sempre.
Sorrisi, riprendendomi un momento dalla sorpresa –Ma certo, signore.- risposi.
Il fratello di Cho mi accompagnò fino alla macchina e poi raggiunse sua moglie e sua figlia che lo aspettavano vicino al vialetto di ghiaia proprio davanti al portone della chiesa.
Mi sistemai la cintura e misi in moto, iniziando a guidare verso il ristorante dove Cho ed Elise avevano deciso di festeggiare le loro nozze.
 
**********
 
La festa era un successo e tutto andava a gonfie vele. Elise era bellissima nel suo abito da sposa con il lungo strascico e la scollatura profonda sulla schiena. Nell’acconciatura aveva incastrato una rosa rossa, che le avevo appena regalato perché un venditore ambulante si era fermato dicendo che la sposa bisognava di un bel fiore, per essere perfetta.
E così, in un giorno importante come il matrimonio, decisi di rendere felice anche quell’anziano venditore regalando una rosa a mia moglie e cinque dollari a lui.
Mi sforzavo di sorridere più di quanto non facessi di solito anche se probabilmente la mia felicità e la mia emozione era palese nonostante non tendessi a dimostrarla molto.
Certo è, però, che ero molto più spigliato e ridevo spesso, alle battute di Rigsby e tutti gli altri.
Teresa, nonostante la gravidanza, era bellissima nel suo abito porpora ed aveva in sé tutta l’eleganza di una donna di classe. Mi ripromisi mentalmente che avrei preso a pugni Jane quando e se fosse tornato per aver potuto abbandonare una creatura meravigliosa come la mia migliore amica.
C’era stato un tempo in cui l’avevo amata, ma quei momenti erano passati da tempo ormai, quando avevo trovato la donna che sapeva davvero cosa fosse giusto per me.
Grace non si staccava un secondo da Wayne, era cambiata ultimamente. La perdita del lavoro le aveva probabilmente aperto gli occhi su come ci fossero cose più importanti nella vita rispetto alla carriera.
Strano a dirsi, un tempo anche io ero più attaccato al lavoro e la carriera di quanto non lo fossi alle persone. Poi però avevo trovato una famiglia nella squadra e mi ero riconciliato con mio fratello e mia madre, le uniche persone della mia vera famiglia che avessero mai creduto in me. E poi avevo incontrato Elise.
-Amore, apriamo le danze… gli invitati vogliono ballare.- mi sussurrò mia moglie, prendendomi per mano.
Io accettai, anche se ero restio a ballare davanti a tutte quelle persone. I musicisti attaccarono un valzer e io ed Elise salimmo sulla piattaforma sotto il gazebo ricoperto di gelsomini, tutto intorno a me era di un colore bianco ed etereo, eccezion fatta per quei tocchi di colore che erano gli invitati e la rosa rossa nei capelli neri della donna con cui stavo ballando.
Danzammo per diverso tempo, ogni tanto scambiandoci un bacio fuggente. Non era proprio nella mia indole esternare i miei sentimenti, soprattutto in mezzo a tanta gente.
Poco più tardi iniziammo a cenare e fu il momento dei brindisi, ordinai ai camerieri di portare il vino e il primo a fare il suo discorso fu Alex, il mio matto fratello.
-Allora, signori e signore… questo è un giorno importante. E’ il giorno in cui il mio fratellino ha fatto il passo più importante della sua vita. Non avrei mai creduto che potesse riuscirci, con il suo cuore di pietra e invece… invece ha trovato una donna fantastica con cui so passerà tutto il resto della vita. Complimenti fratellino. –
Tutti gli batterono le mani e Rigsby chiese la parola, lo guardai sorridendo mentre si alzava un po’ impacciato e arrossiva.
-Volevo solo dire ad Elise che ha trovato un uomo fantastico e che sono sicuro che la loro storia durerà per tutta la vita. Sono due persone meravigliose e meritate tutto il bene di questo mondo… e poi… non vedo l’ora di accudire dei nipotini acquisiti!- se ne uscì, tornando a sedere all’istante senza neppure godersi gli applausi, come invece mio fratello non aveva mancato di fare.
A quel punto sarebbe dovuto essere il mio turno e invece fu qualcun altro a far tintinnare il bicchiere, alzai lo sguardo e vidi Teresa alzarsi in piedi, attenta a non rovesciare niente con quel pancione.
-Conosco Elise come una ragazza fantastica, dolce e intelligente e sono certa che riuscirà a rendere felice il mio amico. Ma tra i due, io conosco Kimball. E’ un uomo d’onore, un uomo che mi è stato accanto ogni volte che ne ho avuto bisogno. C’è sempre stato come amico e posso certamente dire che avrà una vita meravigliosa davanti a sé, una vita magica. Perché la vita che avrà lo rispecchierà proprio per come è: una persona magica. Sono certa che ti renderà una donna felice, Elise. So che non dovrai mai temere il suo affetto perché non te lo negherà mai. E’ una delle persone migliori che abbia mai conosciuto. Auguri Kim, anche se non ne avrai bisogno!- e detto questo si sedette, mentre tutti ripetevano le sue parole in tono ammirato.
La guardai e lei mi restituì lo sguardo, sorridendo.
Feci per alzarmi per iniziare anche io a parlare, ma un uomo nella tavolata accanto alla nostra cadde a peso morto sul tavolo rovesciando tutto per terra. Qualcuno accorse da lui gridando di chiamare l’ambulanza e una ragazza gli si avvicinò tentando di svegliarlo.
Mi allontanai dal tavolo per vedere cosa fosse successo e mi avvicinai all’ uomo apparentemente svenuto. La giovane continuava a scuoterlo senza successo, per cui mi accostai e presi il polso dell’uomo tra le dita, cercando di capire se fosse ancora vivo.
Non c’era battito e dopo parecchi secondi lasciai la mano impassibile –E’ morto.- asserii
La ragazza scoppiò in lacrime dicendo che non era possibile perché il suo fidanzato godeva di perfetta salute e non poteva essere morto.
Solo in quel momento mi cadde lo sguardo sul vino rovesciato sul tavolo dal bicchiere scivolato di mano al morto.
La tovaglia si stava piano piano corrodendo, come bruciando.
Guardai inorridito le labbra di quell’uomo e con un tuffo al cuore notai la schiuma che usciva ai lati delle labbra.
-E’ stato avvelenato.- conclusi.
Tutti trattennero il respiro e Teresa, Grace, Wayne e Hightower mi si avvicinarono per controllare loro stesse.
-E’ un omicidio.- disse Hightower e parve sul punto di darci degli ordini su come gestire la situazione e iniziare le indagini. Poi si ricordò che LaRoche ci aveva licenziati tutti e allora prese il telefono e chiamò la nuova squadra investigativa.
Io rimasi lì a guardare il cadavere sdraiato sul tavolo, impassibile.
L’unico pensiero che mi passò per la mente è che avrei tanto voluto scoprire io chi fosse stato a uccidere quel giovane.
 
*******
 
L’immagine di quel ragazzo morto mi fece venire la nausea. Non era un bene per me, incinta ormai all’ottavo mese, avere forti shock…
Mi allontanai celermente e mi appoggiai a una colonnina che reggeva il gazebo. La musica si era interrotta e tutti se ne stavano intorno a quel pover uomo appena morto.
Presi una boccata d’aria profonda e chiusi gli occhi cercando di cancellare la sensazione di nausea. Sobbalzai quando il mio cellulare suonò all’improvviso. Lo tirai fuori dalla borsetta guardando lo schermo per vedere chi fosse.
Aggrottai la fronte e risposi titubante quando notai che era la banca dove avevo depositato il mio conto corrente a chiamarmi. Cosa mai era successo?
-Lisbon.- risposi
-Signorina Lisbon? Sì, sono il direttore della sua banca. Ha un momento?-
Deglutii e mi passai una mano sulla fronte –Sì, certo, mi dica.-
-Volevo informarla che appena cinque minuti fa è stato effettuato un versamento anonimo sul suo conto corrente per l’ammontare di diecimila dollari.-





Dice l'autrice:
Salve a tutti! Questo capitolo non è revisionato perché sto aspettando che la mia beta sia di nuovo in vita per presentarle questo e il capitolo di Segno del Destino. Comunque, spero che per il momento non sia illeggibile, ma che sia comunque un capitolo carino. Allora, vi dico subito che questo capitolo ha avuto una lunga gestazione, come voi tutti avete potuto notare, tant'è che sono... quanti? Quasi quattro mesi che non aggiorno. Devo dire che ho avuto un blocco per diverso tempo e che l'ho scritto a spezzoni. Quindi non so... non so come sia venuto. Ditemi voi se vi piace, spero in una bella recensione da tutti coloro che mi seguono con tanta devozione. 
Dedico questo capitolo alla Polpetta, che adesso è in vacanza (o in ritiro... non l'ho ben capito...) e tornerà settimana prossima, perché aspettava tanto il famigerato matrimonio di Elise e Cho, che le avevo promesso come consolazione del fatto che non avessi infilato un capitolo davvero davvero Chisbon nella storia. Spero però si sia resa conto che per lei sono arrivata per fino ad accennare un po' di Chisbon.
Spero tanto, davvero tanto di non essere andata Out Of Character... anche se ho paura di aver un po' sforato con questo capitolo. Insomma, se non si fosse capito, non mi convince. 
Aspetto vostre nuove, critiche o positive che siano!
Un bacio a tutti, miei cari lettori!

Sasy

   
 
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