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Autore: Daequan    30/08/2011    0 recensioni
Un convento nel cuore dell'Ungheria medievale nasconde un segreto sanguinoso che l'anziano Padre Dardan deve risolvere. O forse no?
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piangevano le grate alle finestre del convento,

sezione camerate.

Zsolt l'assassino aveva colpito ancora. Una giovane consorella, stavolta, e con inaudita ferocia. Il corpo, esile e minuto, era ancora grondante di sangue non del tutto rappreso, e le ferite squarciavano la pelle in numerosi punti.

"Ci sono svariate ferite mortali, quindi non è comunque morta dissanguata." concluse padre Dardan, chiamato a rapporto per capirne di più.

"Beh, beneditela e seppellitene i resti appena dietro il cancello. L'ultima volta che son venuto ho visto che la prima fossa era libera, potrà andar bene."

"Padre...", sospirò sorella Klementine, "...dimenticate la badessa!"

"...ritrovata priva del cuore, ricordate?" aggiunse sorella Lisbeth con gli occhi già lacrimosi.

"Il suo nobile cuore...nelle grinfie di quel mostro!", pianse badessa Antonia, che ne aveva rilevato l'incarico.

Si aprì un pianto generale e sconfortante, mentre padre Dardan usciva senza una parola di più che gli sgorgasse a benedire o almeno lenire il loro travaglio. Nemmeno una parola.

Il cocchiere Platan attendeva il religioso con noia corrucciata. Troppo solitario, quel convento, perché un assassino potesse ritenere divertente o addirittura necessario ucciderne un'abitante.

Più credibile, riflettè il barbuto alle redini, che si accoppassero tra loro.

E poi Platan non credeva molto negli uomini di chiesa: la compagnia che offriva a padre Dardan era solo la prova di quanto quel frate costituisse un'eccezione funzionale più che altro al piacere di riaffermare più veemente la regola, ormai tanto solida nella sua opinione di cocchiere disincantato.

Intanto che pensava, proprio il religioso giunse per esser riaccompagnato in paese.

C'era ancora luce.

 

Cosa fosse la luce, in quello stesso istante, a Veronica era ignoto.

L'aveva ormai scordato.

Con questo pensiero in testa si era addormentata e con questo pensiero si sarebbe tormentata una volta ripresa piena coscienza. Si era appena svegliata, infatti, con la spalla destra dolorante e il braccio insensibile. Era rimasta rannicchiata a terra, la sera precedente, nel solito buio totale; sotto la guancia la mano ossuta di chi mangia poco e male.

Da quanto era morta?

Da quanto tempo era stata rapita alla famiglia, alla casa, alle amiche più strette, ai vestiti nuovi e puliti?

Quanto tempo prima era stata presa di forza da due grandi creature a sembianza umana mentre per evitare la calca di chi voleva vedere il Re magiaro in visita percorreva un vicoletto del suo paese?

E perché non vedeva né paradiso né inferno, ma solo un lungo infinito buio in cui trovare qualcosa da mangiare, fosse stato polvere o piccola pietra?

Non così le era stato pittato l'aldilà. Piangeva di continuo ed interrompeva i singhiozzi solo viaggiando con la fantasia. Ora non era più Veronica nell'oltretomba ma un vampiro che fendeva l'aria in cerca di un posto dove dormire prima che s'alzasse il sole. Era libera in ogni senso.

O, ancora, acciucciandosi sul terreno freddo riusciva a immaginare attorno a sé le braccia di un ragazzo dolce e premuroso che l'amasse, donna o vampiro che fosse, e amasse vederla felice e libera di essere, fare, dire, pensare. Un uomo che ridesse delle facce buffe che lei sapeva fare ad imitazione dei nobili del paese o della vicina Savaria.

Li trovava ridicoli.

Poi però tornava, prima o poi, alla realtà. Non c'erano più le labbra gonfie dei nobili di Savaria né i vestiti buffi. C'era il buio, solo di rado squarciato da una tenue luce e da ombre che le gettavano addosso a volte polvere e tessuti, a volte pane, a volte acqua. Se protestava, bastonate.

"Dono di Dio!", sentiva. E piangeva.

 

Non poteva saperlo, Veronica, ma in quel momento era notte. E padre Dardan non prendeva sonno. Il convento era su una collina circondata da prati, pascoli, piante, ma non certo uomini. Non c'erano nemmeno foreste che potessero nasconder qualcosa. Zsolt faceva paura a tutti, era il figlio decaduto e inselvatichito d'una famiglia nobile e non si faceva vedere da anni. Correva voce che avesse cercato di violentare la propria balia. Ora quegli omicidi potevano esser colpa sua: e chi altri?

Ma Dardan era uomo di raziocinio. Dove si nascondeva Zsolt? Non poteva nascondersi nei prati alti pochi centimetri, certo!, e non si nascondeva in paese. Savaria, poi, era comunque lontana. Dove, allora?

Pensava, il religioso, e non aveva pace. In paese tutti a gridare "Zsolt! Zsolt!"

E Zsolt di qua, Zsolt di là. Era davvero un essere malvagio. La famiglia, poi, non si capacitava della sua fuga, e andava piangendo dalle conventuali per chieder perdono: il loro figlio era sempre stato strano, ma evidentemente la fuga aveva sbloccato ogni resistenza morale al puro ed aspro sapore del maligno.

Dardan ebbe un'idea.

Attese il mattino, uscì di casa, andò dal cocchiere a farsi riportare in convento. Platan era già sveglio: era un mattiniero più del frate.

E fu erba, alba, persino un sentore di rugiada. Il viaggio in calesse fu breve, perché ora Dardan rifletteva non più sul da farsi, ma sul come fare. Era tutto più chiaro, e il tempo sembrava scorrere più rapido, immediato.

Così fu subito alla porta del convento.

"Padre! Che nuove portate?""Non buone. Posso entrare?"

Dardan aveva capito. Aveva capito.

"Quali sono queste tristi notizie?", lo accolse la badessa.

La spiegazione fu breve. Quando si cerca un uomo e non c'è dove nascondersi...

"Cosa, padre?"

...evidentemente non si sta nascondendo.

E' piuttosto ovvio, se tutto rende ad un assassino impossibile agire,

l'assassino non è lui.

"Oh signore!"

In fondo Platan non aveva torto. Solo qualcuno nel convento poteva minacciare l'incolumità delle altre. Era logico e naturale che l'assassino portasse il velo.

"Oh...una delle sorelle? Iddio non lo voglia."

Dio, Dio. Ma in fondo anche l'anima più religiosa nasconde segreti. Siamo uomini. Ed evidentemente qualcuna aveva fatto del male, o ne faceva ancora, e aveva di che uccidere.

Occorreva restar lì, anche se le regole non lo permettevano, prender coraggio e toccare con mano anche ciò che era terribile. In fondo Dio lo voleva, probabilmente.

 

Veronica provava a riaddormentarsi. Anche la sua situazione era terribile, e per di più senza via d'uscita.

Come sembrano attinenti due vicende tanto diverse!

Non aveva più forza di immaginare, non in quel momento.

Momento: ma che era il tempo per lei?

Cos'era tutto ciò che contava? Ah, non il tempo, lei era morta! Il tempo era infinito e non si scandiva!

Lei era morta.

Morta.

Sentì un colpo dall'alto e nemmeno le riuscì di sussultare. E aveva fame, non le era ancora arrivato nulla. Ma come si può avere fame nell'aldilà? Come si può aver un corpo nell'aldilà?

Perché quello che aspetta l'uomo è questo? Cosa aveva fatto di male Veronica? Cosa era destinato ad anime migliori della sua? Quale anima era migliore della sua? Forse quella, che so, d'un religioso?

 

Padre Dardan, dopo essere uscito a congedare Platan e averne per un secondo osservato la sagoma in controluce mentre si allontanava, si era stabilito con poche cose in una stanzetta attigua all'ingresso, così da controllare entrate e uscite. Sempre che ce ne fossero.

Aveva appena poggiato un libro in terra. No, meglio dire che gli era caduto, questa era la verità. Ma prima di essere Padre Dardan egli era un uomo distratto, a cui cadevano di mano le cose. Buon per lui aver preso i voti e aver trovato un modo per non esser distrutto da quell'approssimazione che metteva nell'ordinar ciò che non gli piaceva.

Si sdraiò sul pagliericcio, pensoso e attento.

 

Gattonando, intanto, Veronica aveva trovato un grosso bastone. Non si era mai accorta ci fosse un bastone, ma in fondo era sempre rannicchiata a piangere, non aveva percorso i limiti del suo aldilà. Non fino a quell'istante di disperazione in cerca di qualcosa da mangiare. Provò a sollevarlo per capirne le dimensioni e la puntà colpì in alto, in quello che doveva essere, se poteva accettarsi un simile termine per il luogo in cui si trovava, un soffitto.

Cosa sarebbe accaduto?

 

Padre Dardan fu risvegliato da una delle sorelle per cenare. Al convitto cercò di notare i comportamenti più singolari delle sorelle, ma sembrava che tutte ripetessero gli stessi gesti. Zuppa, gustare, ingoiare, zuppa, gustare, ingoiare, e così via.

Ecco, la loro simmetria era certamente un dato interessante, ma non lo aiutava ad individuare una colpevole.

La cena si concluse presto e tutti andarono a dormire, compreso lui.

Si avviò alla stanza, prendendo delle scale a discendere, e all'improvviso si trovò in difficoltà: dov'era?

Si guardava attorno senza riconoscere alcunché, finché fu richiamato:

"Padre! Che fa, quello è il sotterraneo!"

"Ah, è vero, sorella, mi scusi!"

Aveva sbagliato piano, distratto com'era.

 

Veronica era in dormiveglia, quasi accarezzata dai suoni e dalle voci che sentiva in lontananza. Continuava ad immaginare, e tornava indietro all'infanzia, al paese, ai bambini con cui giocava, a sua mamma, alle messe, alle omelie, a quanto le piaceva sentirsi dire che era buona e dolce. Il prete, poi, glielo diceva sempre, e le era venuto in mente sentendo in lontananza un rumore che ne ricordava, paradossalmente, la voce. Ora non era nemmeno triste, pensava ad un passato felice. Qualcosa aveva avuto, forse era meglio che niente. Ma sapeva che quella serenità sarebbe scomparsa al risveglio. Era tremendo stare lì e sapere di doverci sare per sempre. Nemmeno ricordava il periodo di iniziale incredulità in cui credeva di esser stata rapita e portata in un luogo nascosto da delle creature cattive, sì, ma pur sempre umane. Oramai aveva capito che quella era stata solo la sua morte. Chissà se sua madre aveva pianto.

Con questo volatile interrogativo si addormentò rannicchiata. Come sempre.

 

La mattina dopo toccò al religioso un risveglio brusco: era caduto dal letto. Nulla di rotto, fortunatamente. E soprattutto nessuna brutta notizia.

Si vestì, non senza un certo trambusto, e uscì dalla stanza. Non aveva idea di dove fosse il colpevole. Ma ormai anche in convento avevano capito che Zsolt non era un'ipotesi plausibile. In fondo non era nemmeno l'unico ad esser sparito dal paesello, in quegli anni. C'era stata una ragazza scompasa, poco tempo prima, e poi anche più di qualcuno che si era allontanato sua sponte dal paesello che andava invecchiando.

All'ingresso, scoprì, c'era Platan ad attenderlo per un breve colloquio, forse per sapere quando sarebbe dovuto tornare.

 

Veronica era stata svegliata di soprassalto da un rumore sordo, e non riusciva a riaddormentarsi. Ora era davvero tanto che non veniva più nessuno a dargli da mangiare. La fame era fortissima, e anche la sete cominciava a bruciare la gola. Cominciava a temere. Ma cosa, poi? Era morta!

Cominciava a bastonare (non era riuscita a mangiare quel legno troppo duro) il "soffitto", ma nessuna risposta. Sperava che le portassero da mangiare. Ma soprattutto i pensieri della notte precedente avevano risvegliato in lei quei ricordi che odiava, e ritornava a soppesare la possibilità di non essere morta come nei primi tempi del suo buio. Pianse, perché era riuscita a dimenticare quella folle speranza per un po', ma ora tornava lenta ed inesorabile.

Non sapeva più nemmeno se quel bastone lo picchiava sul soffitto per aver da mangiare o per cercare un'assurda salvezza.

 

Platan si allontanò. Dardan tornò dentro.

Ora sapeva dove cercare. Non poteva dire alle consorelle la verità, ma quell'altro sospetto se n'era andato.

Il cocchiere barbuto aveva raggiunto per una commissione Savaria. E ne aveva visitato il cimitero, perché fare compagnia ad un vecchio amico desideroso di salutare la madre scomparsa gli era sembrato un obbligo, dopo aver mangiato a casa dell'amico stesso. Lì aveva trovato, per puro caso, una tomba che cambiava le carte in tavola.

La tomba di Zsolt.

Ora il frate sapeva che la colpevole era una sorella del convento. Non restavano altre soluzioni. Ormai, peraltro, era chiaro che durante la sua permanenza non sarebbe accaduto nulla, e perciò forse era inutile restare oltre. Peraltro era un uomo, non poteva soggiornare in un convento di suore, se non, in via del tutto eccezionale, per fermarne la decimazione.

 

Veronica cominciava, intanto, a contorcersi dal dolore. Aveva fame, sete, e le mancavano le forze. Aveva sempre più paura, e cominciava a capire che solo questo riaccendeva la speranza. Doveva sopirla, ma anche trovare una soluzione a questo dolore, e diede un ultimo colpo di bastone, convinta che non avrebbe sentito nessuno, o comunque nessuno intenzionato a riportarla ad una vita che non le apparteneva più. Colpì, gridando come una disperata.

 

E tutto si fermò.

 

Padre Dardan si irrigidì, infatti, mentre si stava spogliando. Occhi sgranati.

Aveva sentito.

Il colpo, l'urlo.

Aveva sentito.

Pestò il pavimento con forza in risposta.

 

Veronica sentì un rumore secco dall'alto. Diede un'altra punta di verga.

 

Padre Dardan non perse tempo a pensare a cosa ci fosse sotto i suoi piedi.

I sotterranei.

Si rivestì convulsamente e aprì la porta, andando a passi svelti verso le scale.

Una sorella lo vide: "cosa fa, padre, quelli sono i sotterranei! Si è sbagliato anche l'altra volta, eh eh, com'è distratto!, la sua stanza è di là, non si ricorda?"

"Certo che mi ricordo!", rispose lui lapidario. 

 

Veronica sentiva trambusto, voci. La stavano salvando. Non riusciva più a non sperare. Non ci riusciva. Sentiva persino la voce del prete! Era lui, che veniva a salvarla! Non era morta!

Non era morta, era viva! Viva!

 

Sorella Lisbeth cercava di riportarlo alla ragione: "qui teniamo le verdure, anche se bussa alle porte non rispondono!", rise.

Ma Dardan non rideva affatto. Bussava, bussava. Poi cominciò ad aprire, mentre le altre sorelle scendevano giù a vedere che fosse quel baccano. Sorella Lisbeth era spaventata.

Ormai il suo segreto era stato scoperto. Era lei a segregare Veronica, e strabuzzò gli occhi di fronte all'ultima porta.

"E' qui, vero?"

 

Veronica esultava di gioia.

La porta stava per aprirsi per l'ultima volta.

 

Tutte erano fisse a guardare padre Dardan che toccava la porta.

Poi, mentre Lisbeth urlava "Nooo!",

la aprì.

 

Buio completo.

Gli occhi spalancati, ma nessuna luce. Nessuna luce.

Nessuna luce.

Nessuna porta che si apre, nessun padre Dardan, niente. Nessuna salvezza, nessuna sorella Lisbeth malvagia.

Non era successo niente.

La speranza di Veronica era stata di nuovo disattesa.

Tutto era soltanto un'altra fantasia.

Ma come poteva essere? Come aveva potuto lei, sola soletta, inventarsi tutto questo? Da dove veniva un così nutrito florilegio di nomi, persone, circostanze?

Padre Dardan non era fantasia, le sue omelie, la sua infanzia di bimba dolce e buona non erano fantasia!

Poi le venne in mente.

Il colloquio con Platan il cocchiere barbuto, il racconto dell'amico che lo aveva ospitato, il cimitero, "vieni con me che saluto mia madre!", il fiore che anche lui aveva comprato per un doveroso omaggio ad una donna che mai aveva conosciuto ma che doveva esser stata brava e buona, la tomba che, le aveva detto, non si aspettava di trovare.

 

Padre Dardan era morto.

 

Si era trasferito tempo addietro a Savaria per curarsi, e il cocchiere le aveva dato la triste notizia pochi giorni prima che venisse presa lei.

Anche lei.

Nulla era vero.

Veronica non aveva nemmeno più la forza di piangere, e continuava ad avere fame. Ma ora non poteva più giustificarla con la presenza del religioso in convento che aveva impedito a Lisbeth di recarsi a darle da mangiare perché avrebbe potuto destar sospetti con movimenti strani, perdipiù nei pressi della stanza del frate.

Ora non era che una punizione divina, o, più semplicemente, il destino di tutti i morti.

Per sempre.

 

Poi una luce la invase.

La porta, di scatto e senza cerimonie si aprì completamente.

Veronica attese il cibo. Invece le giunse altro.

Un urlo.

 

"Che...che cazz...che...chi cazzo sei?!"

 

Veronica spalancò gli occhi innocenti. Chi era quell'uomo?

 

"Che cazzo ci fai qui, chi sei? Perché sei qui, io non voglio altri abitanti!"

 

C...cosa accadeva?

 

"Cristo, speravo che dopo la morte delle proprietarie nessuno sarebbe venuto in questo buco di culo! Solo io, Zsolt il figlio dei Venczik, manco all'appello in paese...o no?"

 

Zsolt.

Anche questo flash le passò in mente: il figlio dei Venczik che era scappato di casa.

Il padre era falegname. Chissà perché gli era tornato, nella fantasia, come nobile.

Ma cosa succedeva? Possibile che...che fosse vero?

Provò a chiedere:

"Cosa succede, chi sei?"

 

"Te l'ho detto prima. Sono via di casa da tanto e mi arrangio dove capita. Ora le ultime consorelle di questo convento in collina sono schiattate e visto che quand'erano vive non ci veniva nessuno, figurati ora! Così mi stabilisco qui, sperando che non mi trovino. Mo' che mi sono spiegato, tu chi cazzo sei?"

 

Veronica cominciava a capire. Ma non provava gioia. Sì, era viva.

Ma ora che lo sapeva la violazione era troppo forte per dimenticarla di colpo.

 

"Io...io sono stata segregata qui dalle consorelle. Mi hanno rapita e nascosta."

 

Zsolt sbiancò. Nella sua vita da sbandato ne aveva viste, ma alla violenza in fondo non si era mai abituato. Non era indifferente alla violenza, in verità. Aveva evitato tutti i luoghi in cui se ne consumava, in primis casa sua.

Ma a quanto pare non si può proprio evitare il contatto con essa.

"Cazzo. Ma quanto tempo fa? Che giorno era quando sei stata rapita?"

 

"Ehm...non mi ricordo, era estate..."

 

"Che anno, lo ricordi?"

 

"Ehm...1262."

 

"..."

 

"...che anno è?"

 

"1270."

 

8 anni. 8 anni di...di non-vita. Chi glieli avrebbe restituiti?

 

"Ascolta, ok, fa schifo, ma non piangere. L'importante è che siano finiti, no?"

 

Sì. Forse.

Meglio che niente, credeva di essere morta.

 

"C...credevi di essere morta?"

 

Già, e a pensarci si sentiva stupida.

 

"...no, dai, non stupida! Non dire così! Dai, lo so che suona stupido, ma ormai è andata, pensala così!"

 

...

 

"Eh, dai, ok, lo so che non sono bravo in queste situazioni. Comunque se vuoi ti riporto a casa. Ci sarà da scarpinare...

...però meglio che niente. Almeno rivedi un po' il paese. Vieni anche tu da là, no?"

 

Veronica si alzò per la prima volta. E, naturalmente, ricadde subito. Ma Zsolt la aiutò a risollevarsi.

 

"Pensa che se non ti avessi trovato forse saresti morta di fame!"

 

Veronica si fece portare fuori dalla stanza. Ormai vedeva poco. Ma quando fu portata fuori dal portone, rivide la luce.

 

Che splendida, splendida giornata di primavera.

   
 
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