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Autore: Lisa_Pan    31/08/2011    5 recensioni
C'è chi torna.
C'è chi parte per tornare a casa.
C'è chi è semplicemente li
per salutare qualcuno.
Poi c'è chi, come me, parte in cerca
di una nuova casa.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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è stato bello averti conosciuta!


     




Sono le 15e30 e il treno sta per partire. Ovunque mi volti incrocio lo sguardo di qualcuno.

L'estate è finita e sono tutti in partenza.
C'è chi torna.
C'è chi parte per tornare a casa.
C'è chi è semplicemente li per salutare qualcuno.
Poi c'è chi, come me, parte in cerca di una nuova casa.
C'è un signore anziano poggiato al suo bastone ricurvo sotto il suo peso, sta aspettando. Guarda il treno in attesa che qualcuno ne scenda. E' sempre lì, ogni giorno. Nessuno sa quale sia la sua storia. Ogni mattina ,alla stessa ora, si presenta alla stazione, si mette alla solita mattonella e aspetta. Cosa aspetti nessuno lo sa. Chi lo conosce ormai spera che qualcosa o qualcuno scenda dal treno e gli riempia quegli occhi, colmi di speranza, di felicità.
Stanco, continua a guardare.
Non so cosa successe quel giorno ma, improvvisamente, l'anziano signore si girò e andò via. Non aspettò il prossimo treno. Mosse alcuni passi verso la cabina del capotreno, per andare a salutare, come faceva abitualmente. Parlò un pò con lui e poi lo salutò. Disse "Arrivederci". Non "A domani"...arrivederci. Mi girai verso il treno sperando che in quel momento qualcuno scendesse. Quel qualcuno capace di cambiare le cose. Capace di fermare l'anziano signore.
E' assurdo come si possa venir coinvolti da una situazione completamente estranea alla nostra.
Un uomo, anziano, dai capelli bianchi come la neve, scese dal treno guardandosi intorno. Gli stessi occhi.
In quell'istante i due anziani si incrociarono e nei loro occhi qualcosa si accese. Per quanto incredibile, si misero a correre l'uno verso l'altro. Il sigore della mattonella fece cadere il bastone e si fece spazio fra la gente che saliva sul treno. Quello del treno lasciò la valigia di fianco un pilastro e si fece abbracciare.
La stazione. Amavo quel posto. Pieno di persone con addosso delle storie. Storie fantastiche capaci di coinvolgere chiunque, ci andavo a disegnare o a scattare fotografie. Mi piaceva sentirmi parte di quelle storie, raccogliere testimonianze di esse e scrivere di loro.
Mi chiedevo quale fosse la mia storia. Cosa mi portavo dietro in quel momento e cosa stavo lasciando.
Un saluto, era quello che avrei voluto avere. Un semplice saluto, uno di quelli che nascondono milioni di significati. Quelli che ti fanno girare felice, perchè pieni di speranza.
"Ehi"
Eccolo, quel saluto. Mi girai e lo vidi. Stava in piedi su quella mattonella rossa della stazione. Mi guardava a bocca aperta, non sapendo cosa dire. Io mi ero girata verso di lui e lo guardavo sorridendo. Era venuto a salutarmi. Da solo. Era venuto a cercarmi, a dirmi qualcosa. Lo sapevo, doveva essere per forza così.
Fu una pausa che durò un secondo ma non so spiegarvi il motivo per cui, per me, durò un'eternità. In quel momento molte cose mi passavano per la testa. Fissavo i suoi occhi e speravo che parlasse, che dicesse qualcosa e che non mi lasciasse, ancora, senza spiegazioni. Senza una frase che mi faccia capire cosa è successo o cosa stava succedendo. Non mi mossi, non risposi, non gli chiesi nulla. Aspettavo. Aspettavo che facesse lui il primo passo. Me lo doveva, toccava a lui cercare di riparare. Mi aveva lasciato un vuoto enorme in mezzo al petto ed io ero incapace di comarlo. Ci avevano provato l'amore e delle fantastiche amicizie, ma nulla di tutto questo riuscì a forzare le porte e lasciare che si chiudesse.
Le vedevo. Vedevo le persone passarmi di fianco di corsa, il treno stava partendo e chiamava a se i suoi passeggeri. Quelle persone erano nuvole che mi giravano intorno alzando tanta polvere e rumore. Ultima chiamata e l'enorme macchina rossa sarebbe partita senza di me. Chiusi gli occhi, rompendo quel contatto definitivamente.
Un saluto. Lo avevo avuto. Mi bastava averlo visto vicino a me anche in quel momento così importante.
Gli sorrisi e mi piegai per prendere la valigia. Quando mi rialzai lui non c'era più. Sparito in mezzo a quella nuvola di gente e polere.

Guardavo fuori dal finestrino, ero in viaggio da  due ore, ne mancavano due e sarei arrivata. Un viaggio di sola andata nella mia nuova vita. Aprìì lo zaino con le mani che mi tremavano per l'eccitazione. Cercai il libro che avevo messo nella borsa, "on the road", molto significativo, direi. Lo trovai in fondo a tutto. Aprii la pagina e mi persi in uno dei discorsi totalmente folli di Dean. Mi affascinava quel ragazzo. Era la personificazione dell'imprudenza e l'evoluzione della pazzia. Lo amavo. Girai la pagina e scoprii un biglietto incastrato nel centro del libro. Lo presi e ne lessi il contenuto.
La grafia la conoscevo. Non potevo non ricordarla.
"E' stato bello averti conosciuta."
Lo piegai e lo richiusi nel libro.
Era un punto quello. Un punto che scioglieva ogni mio dubbio, ogni mio nodo. Non era stata colpa mia, non è stato per me che tutto quello finì. Lo sapevo ma con il tempo avevo finito per colpevolizzarmi, perchè mi mancava e perchè sembrava che fossi l'unica a riconoscere l'importanza di quello che avevamo passato insieme.
Quel biglietto, era la prova che mi ero sbagliata. Non colpevolizzavo nessuno, ora. Poggiai la testa sul sedile e guardai l'enorme distesa verde sfrecciarmi davanti agli occhi. Eravamo cresciuti, cambiati. Nessuno dei due si era dimenticato dell'altro, entrambi volevamo che tornasse tutto come prima, ma la consapevolezza di ciò che eravamo superava ogni altra cosa. Quello che eravamo diventati bastava a far felici entrambi. Non sapevamo più chi fosse l'altro, eravamo cambiati e non conoscevamo nulla di ciò che l'altro aveva nella sua vita. Ma il fatto che quel giorno, davanti a quel treno, ci eravamo sorrisi l'un l'altro, senza rancore, senza rimorsi, voleva dire che non ci serviva altro.
La promessa era stata mantenuta.

La voce elttronica del treno annunciò che eravamo arrivati. Nessuno mi aspettava fuori, nessun anziano dalla mattonella rossa mi guardò cercando gli occhi di qualcun'altro. C'era solo la mia vita ad aspettarmi a braccia aperte.

Due bambini si tengono per mano e aspettano che un' onda arrivi vicino ai loro piedi, per schivarla, correndo e saltando.
Due bambini cadono a terra e vengono sommersi dalla schiuma, leggera e morbida, dell'onda che non sono riusciti a schivare. Ridono e si rotolano sulla sabbia. Si fermano e si guardano.
"Ti libererai di me solo quando ti vedrò davvero felice. Come adesso."
Una promessa è una promessa.

Ero felice. Lo ero per davvero.
   
 
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