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Autore: Cheche    31/08/2011    2 recensioni
Immaginiamo che i nostri eroi siano nati circa ottocento anni fa invece che nella nostra epoca, proprio quando la Strega Eretica Arachne creò le prime Buki. Maka e i suoi amici si ritrovano nell’Alto Medioevo, su un’isola nell’Oceano Pacifico che oggi non esiste più, divisi tra loro dalle classi sociali: principi, giullari, briganti… Cosa succederà?
[SouMa - TsuStar - Kidx?] [Lievi OOC per rendere i personaggi più coerenti col periodo storico]
Sospeso per mancanza di ispirazione fino a data da destinarsi.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4: Il giorno dell’incontro
 
 
 
Il mattino dopo fu Tsubaki a svegliare Maka. La trovò profondamente addormentata sul pavimento, vicino alla porta. Emetteva un lieve ronzio ad ogni respiro.
Alla dama venne da sorridere. Che lati poco signorili mostrava, ogni tanto. Con delicatezza, si chinò verso di lei e la scosse piano, con le sue mani gentili e la sua voce flautata.
“Signorina Maka, è mattino.” Disse lei.
Lentamente la contessina dischiuse i grandi occhi verdi, incontrando immediatamente quelli blu notte della sua migliore amica, carichi di affetto e dolcezza.
Il sorriso di Tsubaki le fece dimenticare per poco le pene del giorno prima.
Tsubaki è davvero splendida. In tutti i sensi.
Maka faceva fatica ad aprire gli occhi del tutto. Con le mani se li strofinò, trovandoli umidi, toccando le guance appiccicaticce. Aveva pianto? Perché? Realizzò improvvisamente, rimembrando la sua profonda angoscia.
Tsubaki notò le lacrime calde della sua amica riaffiorare. Con un fazzoletto di seta gliele asciugò.
“Perché piangi?” La dama guardò la sua signora con occhi tristi.
Maka tentò di sorridere, suo malgrado. Le riuscì male, e se ne accorse. Quindi andò a coprirsi la bocca con entrambe le mani, mentre serrava gli occhi nel tentativo vano di trattenere nuove lacrime. Scattò su, cercando un contatto rassicurante con il corpo della sua migliore amica, che la abbracciò con vigore.
“Tsubaki! Tsubaki! Hai sentito? …Hai sentito vero?” Urlò la contessina, convulsamente, bagnando di lacrime l’abito di seta della dama. “Oggi verrà il Principe a vedermi per un incontro prematrimoniale!”
Tsubaki le accarezzò la schiena, confusa. “Ma… Dovresti essere contenta, no?”
Maka scosse la testa dieci e più volte, con forza. “No! Non voglio! Sicuramente a mio padre piacerà e ufficializzeranno il fidanzamento!”
“Ma tu mi hai sempre detto…” La povera dama ci capiva sempre meno. Sciolse l’abbraccio, guardando la sua amica negli occhi disperati. “…Mi hai sempre detto che il tuo sogno era di sposare un principe, no? Tra l’altro, di questo ne parlano tutti benissimo: dicono sia giovane e bello. Cosa puoi volere di più?”
“Non… Non lo so.” Fece Maka, tra i singhiozzi. “So soltanto che non potrei mai sposarlo.”
“Non è detto che lo sposerai per forza.” Disse Tsubaki, scrollando le spalle.
“Sicuramente. A mio padre piacerà di certo, visto che è così perfetto.” La contessina abbassò gli occhi, resi profondi dalla disperazione. Non sentiva così tanta ansia da quando era fuggita sua madre.
“Beh, ma non è detto che tu piaccia a Re Shinigami! Potresti provare a comportarti male di proposito!” Propose Tsubaki.
Maka spalancò le palpebre, sorpresa dall’idea della sua amica. “Ma tu sei un genio!” Urlò. “Come ho fatto a non pensarci?”
Tsubaki sorrise con dolcezza. Alla sua migliore amica bastava così poco per ritrovare il buon umore… Ma nonostante la gentilezza e la grazia della bella dama riuscissero a donare il sorriso a chiunque, lei era l’unica che non aveva ancora trovato la vera felicità.
Nonostante Tsubaki vivesse negli agi e avesse una grande amica, si sentiva davvero incompleta. Era da tanto che ricercava affannosamente quel grande pezzo che le mancava per essere completa, e non l’aveva ancora trovato. La sua tristezza era tangibile nella sua espressione e nel suo modo di muoversi. Era bella, ma malinconica, come un fiore privo di qualunque fragranza.
Si sentiva sempre come se volesse urlare qualcosa al mondo, ma era come se un blocco in gola non permettesse l’uscita di alcun suono dalla sua bocca. Non sapeva se quello che le mancava fosse la spontaneità. Qualunque cosa fosse, lei non riusciva a vedersi bella, perché la sua anima era soffocata e debole, e quando si guardava allo specchio lei vedeva solo la sua introversione.
Pensava questo mentre aiutava Maka a prepararsi. La contessina era talmente allegra che canticchiava. Ma dovette smettere improvvisamente, quando Tsubaki le pose una delle domande più difficile che le fossero mai state poste.
“Dimmi una cosa… Perché non vuoi sposarti?”
Maka titubò, mentre la sua spensieratezza cedeva il posto a una montagna di dubbi. “Perché…” Esitò, soffrì. Ma nonostante questo non arrivò alla soluzione del quesito. “…Non lo so il perché.” Ammise infine.
Non lo sapeva davvero. Le responsabilità di principessa le sembrarono improvvisamente delle inezie. C’era qualcosa di più grande dietro a tutto ciò.
Tsubaki lasciò improvvisamente cadere il pettine con cui stava sistemando i capelli della contessina, per poi portarsi le mani diafane alla bocca. Un moto di stupore si impadronì della dama, che formulò la sua nuova domanda con un filo di voce. Ma a Maka quelle parvero le parole più incisive che avesse mai sentito in vita sua.
“Non ti sarai per caso… Innamorata?”
L’ultima parola riecheggiò nella testa di Maka. Dopodiché, il silenzio inghiottì qualunque altro suono, compreso il respiro della contessina, che si fermò. Così anche il tempo sembrò arrestare la sua corsa frenetica.
 
Una carrozza trainata da otto cavalli neri si fermò davanti al palazzo di Alamar. Non era una carrozza qualunque. Era uno splendido modello verniciato interamente in nero, perfetto nelle sue rifiniture impeccabili, che lo rendevano un mezzo di trasporto decisamente più prestigioso degli altri del tempo. Chiunque vedesse quella carrozza era intimamente consapevole che poteva appartenere solo ed esclusivamente al Re di Death Island. Aveva avuto modo di attirare l’attenzione di tutti gli abitanti, svicolando elegante e vistosa nelle strade di Alamar. E subito le chiacchiere si erano diffuse. In breve l’arrivo del Re in quella piccola contea era diventato il pettegolezzo più quotato in ogni salotto.
Oltre al cocchiere, quattro erano i singolari personaggi all’interno della carrozza. Oltre al Re e al Principe, infatti, vi erano le due ancelle preferite dal Principe, Elizabeth e Patricia Thompson, chiamate familiarmente Liz e Patty. Le due erano sorelle di straordinaria bellezza. Avevano vissuto nei quartieri malfamati di Death City, rubando e spacciando le droghe al tempo conosciute. Ma il Principe non ebbe paura di loro. Incantato dalla loro bellezza offrì loro ospitalità nel suo castello. Liz accettò con gioia, e convinse anche Patty a seguirla. Tutto pur di abbandonare quei vicoli puzzolenti, dove chi non le temeva non faceva altro che ricordare loro la cattiva fama della loro madre.
Liz e Patty erano sorellastre. Infatti non si assomigliavano particolarmente. La madre era una donna molto bella, ma anche incline alla prostituzione. Ella andò con molti uomini di cui non conosceva neppure il nome e di cui non ricordava neanche il volto. Da una sua avventura ebbe prima Liz. Poi, dopo tre anni, nacque Patty da un’altra avventura. Non essendo in grado di accudirle, la donna abbandonò le sue due figlie in un vicolo quando erano poco più che delle bambine. E da allora quella sarebbe stata la loro casa, finché un’anima pia come quella del Principe Death the Kid non le avesse fatte riaffiorare da quel baratro tetro in cui si trovarono. Liz e Patty erano contente di poter vivere negli agi e di potersi procurare il cibo in maniera pulita, e questo le spinse ad accettare. Allora si trattava di opportunismo, ma presto si sarebbe tramutato in un profondo sentimento di devozione.
Liz in particolare non aveva occhi che per Kid. Si poteva dire che fosse la persona più vicina a lui in assoluto, e che lo conoscesse meglio di chiunque altro. Lo capiva anche più dello stesso padre del giovane Principe, il Re Shinigami che, per quanto fosse una persona cordiale, era sempre stato un po’ distaccato.
Ora anche lui sedeva nella carrozza, stringendosi in quello che sembrava una specie di mantello nero, privo di espressione sulla sua maschera a forma di teschio.
Il Principe Death the Kid era proprio affascinante come lo descrivevano, ma non era altrettanto perfetto. Anzi era piuttosto problematico. Soffriva di complessi, per non dire nevrosi, legate alle singolari strisce bianche che spiccavano sui suoi capelli corvini, la cui asimmetria rovinava l’equilibrio della sua pettinatura impeccabile. Era sempre pallido, i suoi occhi gialli scattavano da una parte all’altra, nervosamente. Le sue nevrosi non si fermavano al suo stesso aspetto fisico, ma a tutto ciò che lo circondava. Kid non sopportava ciò che non era simmetrico e in disordine. Questo lo portava ad avere gusti difficili, e aveva respinto tutte le pretendenti che avevano qualcosa che non gli andava. C’era chi aveva la frangia da un lato, chi aveva un neo solo sulla guancia destra, chi aveva delle lentiggini spruzzate in faccia senza nessun ordine e criterio. Ogni scusa era buona per respingerle. Re Shinigami era disperato per il comportamento fin troppo pretenzioso del figlio, ma quando aveva sentito dire a Franken Stein di quanto i tratti della contessa Maka di Alamar fossero delicati e armoniosi, credette di essere salvo. Quindi aveva convinto Kid a presentarsi da lei e, dopo aver avvertito il conte Spirit con una missiva, si era recato nella piccola contea di Alamar con il figlio e le ancelle, per mezzo di quella carrozza che il Principe aveva personalmente ritoccato per renderla ancor più perfetta.
Avevano viaggiato per un’intera giornata, senza sosta, a ritmo sostenuto. Si fermarono davanti al castello, i cui cancelli si spalancarono immediatamente per accogliere l’ingresso della carrozza reale e il ponte levatoio si abbassò scricchiolando, producendo un forte rumore nello sbattere contro la sponda del rigagnolo che cingeva l’imponente dimora. Non appena furono fermi e il carrozziere ebbe aiutato i suoi padroni a scendere, si congedò con un rapido inchino e si dileguò rapidamente, in preda all’impellente bisogno di mangiare e dormire. Le dame furono subito giù per accoglierli e scortarli, in un turbinio di abiti variopinti. Tra queste ragazze non c’era Tsubaki che, in quanto dama di compagnia della contessa, raramente si separava da lei.
Kid osservò compiaciuto il castello, toccandosi il mento con due dita. Non era grande come il palazzo reale in cui viveva, ma era anche questo splendidamente simmetrico, come poteva notare dai due torrioni identici e della stessa altezza che si ergevano alle sue estremità. Persino le pietre erano disposte con ordine, ed erano tutte di uguali dimensioni e dello stesso color tufo. Dopo aver fatto queste osservazioni si sfregò un poco il colletto di pelliccia per riordinare qualche pelo fuori posto, e si decise finalmente ad addentrarsi nel castello, posando i suoi regali passi per la prima volta su quel ponte levatoio, un po’ scheggiato ma ancora resistente.
Si trovò in un atrio illuminato unicamente dalla luce che proveniva dal portone aperto e da alcune, piccole vetrate variopinte poste in alto, vicino al soffitto. Kid lo trovò un ambiente piuttosto opprimente, nonostante l’ordine e la simmetria impeccabile del luogo. Si respirava odore di polvere e di chiuso, evidentemente le ancelle che lavoravano in quel luogo erano delle pettegole che facevano tutto tranne il loro lavoro. Kid non poteva sapere che tutte quelle ragazze che lavoravano sotto le dipendenze del conte erano state scelte solo per la loro bellezza, e molte di loro avevano avuto l’occasione di diventare le concubine di Spirit, che proprio non si preoccupava di aver coperto di vergogna il suo casato dopo il tradimento della moglie.
Quando il Principe aveva sentito proporre dal suo nobile padre la Contessina Maka del casato di Albarn, Kid si era fatto diffidente. Sposare una ragazza proveniente da una famiglia tanto sciagurata, seppur nobile, avrebbe potuto rappresentare un danno di immagine per la figura che Kid si era costruito di perfetto futuro sovrano, tutta basata sulle apparenze e sulle dicerie del popolino. Tuttavia aveva accettato di incontrarla per accontentare il padre. Tanto, era più che sicuro che quella Maka non si sarebbe avvicinata neppure lontanamente all’ideale di ragazza che andava cercando.
Arrivato in fondo all’ingresso giunse ad una scalinata che portava verso l’alto. Due splendide dame di corte dalle vesti di seta rivolsero al Principe un rapido inchino, prima di cominciare a salire la gradinata facendo cenno di seguirle. Questa scena si ripeté più volte. Tanti erano i corridoi da percorrere ed altrettante erano le scalinate da salire. Una persona che viveva in una baracca non avrebbe retto facilmente quella fatica, ma per un membro della famiglia reale che viveva in un palazzo ancora più grande, percorsi del genere costituivano la routine quotidiana.
Alla fine, dopo una decina di minuti, raggiunsero la sala del trono. Ci era voluto fin troppo poco, pensava Kid. A casa sua, per raggiungere la sala del trono entrando dall’ingresso ci volevano almeno venti minuti.
Si ritrovarono in un salone dai soffitti altissimi, tutti affrescati con stemmi e cieli stellati. Dipinte erano anche le mura, squisitamente decorate due secoli prima dal più grande pittore che la contea di Alamar allora poteva vantare. Anche il pavimento presentava una decorazione molto ricca (ogni mattonella era composta da un mosaico piacevolmente simmetrico). Ai lati vi erano colonne addossate al muro, che sembravano essere inghiottite da esso e davano l’illusione di reggere il soffitto. I capitelli erano anch’essi magnificamente simmetrici grazie alle regolari volute dello stile ionico, quello preferito dal Conte. Il trono era sopraelevato. Anch’esso si ergeva al termine di una breve gradinata. Era in marmo, e presentava delle immagini di draghi scolpite con la tecnica del bassorilievo. Era infatti il drago il simbolo del casato Albarn. Nonostante gli affreschi sulle mura non fossero simmetrici presentavano una certa regolarità e continuità, come voleva la pittura medievale. Le figure erano ieratiche, simili tra loro e ricordavano, per fare un esempio, lo stile bizantino. La differenza stava nello sfondo, che era dipinto, e non ottenuto dalla foglia d’oro come le decorazioni delle nostre chiese medievali. A Kid piaceva quello stile. Non era simmetrico ma dava comunque un’idea di ordine. Nel complesso la sala del trono gli piacque molto. Sorrise compiaciuto mentre i suoi occhi percorrevano con attenzione la fila di figure solenni affrescate che, non presentando chiaroscuro, parevano spiaccicate sulle mura.
Uno scricchiolio echeggiò nella sala, costringendo il Principe ad interrompere la sua contemplazione. Volse lo sguardo verso una porta in ebano scolpito, che si intravedeva in un angolo di penombra alla destra del trono. Si era aperta, e aveva lasciato passare un giovane uomo dai capelli rossi, scortato da una dama molto prosperosa, ancor più giovane di lui, che sorrideva con un’espressione giocosa in viso.
La coppia, che tutti sapevano essere composta dal Conte e dalla sua dama di compagnia, si presentò al cospetto del Principe, del Re e delle due ancelle. Quindi i due giovani si inchinarono.
“Ohoh! Spirit! Ma dai, non c’è bisogno di essere così formali!” Esclamò a gran sorpresa Re Shinigami, con voce allegra.
“Ah, ma… Vostra altezza, lo sapete che vi sono devoto. E ci tengo anche a ringraziarvi adeguatamente per la vostra visita.” Disse Spirit, portandosi una mano al petto. “Accomodatevi pure, mentre aspettate che la contessina sia pronta.” Detto questo, la dama di compagnia del Conte li guidò verso quattro poltroncine, simili al trono ma più piccole, che si trovavano in fondo alla stanza. Dopo che gli ospiti si furono seduti, la ragazza tornò da Spirit che la ringraziò, chiamandola col nome di Blair.
Non fece in tempo a calare il silenzio che, non appena i quattro ospiti si furono accomodati, la porta d’ebano da cui era entrato precedentemente il Conte si aprì di nuovo, in un istante che a tutti parve interminabile. Fu quello il primo incontro di Maka e Kid, la Contessina e il Principe.
Kid aveva gli occhi fissi su quella fanciulla, che era entrata con passo talmente leggero da risuonare meno dello strascico del suo lungo abito di seta celeste. Il colore chiaro del semplice ma ricco abito sembrava esprimere purezza, rendeva la ragazza simile ad un angelo del cielo. I suoi capelli biondo grano erano lasciati in parte sciolti sulle spalle, ricadendo in morbide onde, in parte erano appuntati dietro da un fermaglio a forma di diadema d’oro. All’altezza del petto, il vestito non lasciava intravedere alcuna rotondità. Sembrava non avere seno, e questo significava che il suo corpo presentava molto probabilmente una raffinata simmetria. I tratti del volto erano dolci e regolari, la pelle candida e luminosa non sembrava presentare nei o impurità, vista da quella distanza. Gli occhi di un verde spento, vagamente malinconico, sin dall’inizio erano stati fissi in quelli dorati del Principe, consapevoli di fissare quello che poteva essere il suo futuro marito.
 
Black Star era finalmente giunto a destinazione. Correndo come un forsennato sotto al sole mattutino era finalmente giunto sopra la collina, davanti al castello, decisamente più imponente di qualunque altra abitazione avesse visto nella Contea di Alamar o nell’Arcipelago di Fuoco. Proprio l’abitazione adatta ad un grande come lui. Sorrise soddisfatto, mentre ansimava per riprendere fiato. Una goccia di sudore scese lungo la tempia abbronzata del ragazzo. Per l’occasione aveva indossato l’unico completo non logoro che aveva, che aveva rubato nell’Arcipelago di Fuoco anni prima, e utilizzava solo nelle grandi occasioni. Si trattava di un pregiato kimono yukata color rosso porpora, fermato alla vita da una cintura dello stesso pomposo colore. A questa era fissata una lunga katana, anche quella rubata nell’Arcipelago di Fuoco. Quel mattino l’aspetto di Black Star era quello di un giovane e bizzarro samurai d’epoca medievale, abbronzato, un po’ sudato e con assurdi capelli azzurri che sparavano da ogni parte.
Era giunto fin sulla collina seguendo la carrozza reale, nascosto nell’ombra. Era stato svegliato dallo scalpiccio degli zoccoli sulla strada di fronte al vicolo nel quale dormiva, ed era uscito allo scoperto solo quando i due reali e le due ancelle erano entrate nel castello. Ovviamente, per poter seguire la carrozza doveva sbrigarsi e, nella fretta di cambiarsi i vestiti, aveva indossato lo yukata al contrario. Prima di entrare nel castello aveva preso un po’ di tempo, per assicurarsi che tutti si fossero allontanati, in modo da passare inosservato. Quindi si era specchiato nel rigagnolo che cingeva il castello e si era abbassato sull’acqua. Aveva ammirato per un po’ la sua immagine riflessa, sorridendo, constatando narcisisticamente quanto quello yukata gli stesse bene. Poi aveva immerso le sue grandi mani nell’acqua cristallina e si era sciacquato il viso.
Era davvero una bellissima giornata. Black Star si alzò in piedi, lasciando che la brezza pizzicasse il suo volto inumidito. Respirò a fondo quell’aria profumata, così diversa dal suo vicoletto maleodorante. Era aria di cambiamento.




Ok, ora mi ammazzerete. Perchè questo capitolo è lungo e succede ben poco. Inoltre non mi soddisfa neppure come è scritto, mi sono persa un po' troppo nelle descrizioni, forse. Comunque spero di rifarmi col prossimo capitolo.
Commentate in tanti e non mi ammazzate! Abbiate pietà di me xD

  
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