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Autore: maryjanepotter    31/08/2011    4 recensioni
Severus Piton sta morendo e chiede ad Harry Potter di guardarlo per l'ultima volta con gli occhi di Lily.
Quando la vita abbandona del tutto le membra di Severus, il Serpeverde morto da Grifondoro, il cui animo era puro e realmente innamorato, rinasce in un nuovo mondo ove il dolore per la separazione dalla sua amata Lily sono ormai solo un brutto incubo.
La vita perfetta che ha guadagnato in un'esistenza di sacrifici e redenzione si staglia finalmente davanti ai suoi occhi increduli.
E' il suo risveglio in paradiso, il finale felice che l'anima coraggiosa, sfortunata e tenace di Piton avrebbe meritato, almeno dopo la morte.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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- Guar... da... mi.- esalai, senza fiato.
Non avevo la forza di respirare eppure non volevo abbandonare quell'istante, l'ultimo istante di vita che mi era stato concesso.
Gli occhi verdi di Harry Potter incontrarono i miei un momento prima della fine e i miei vi annegarono dentro alla riceca di qualcosa che fosse ossigeno, redenzione, perdono.
Gli stringevo gli abiti con una foga che non riuscivo a controllare eppure le mie energie andavano scemando, il mio spirito era fiaccato e martoriato e sembrava scivolare via assieme all'argento dei miei pensieri.
Tutto gocciolava via assieme al mio stesso sangue, all'unisono coi miei ultimi, moribondi respiri. La presa sul mantello del ragazzo si allentò ed io mi aggrappai all'unica cosa reale che c'era sempre stata nel mio mondo.
Occhi a mandorla, gentili e puri, iridi di un verde brillante e conosciuto, amato e rimpianto.
Lily.

Devo resistere, voglio poter guardare i suoi occhi per l’eternità, non voglio perderla di nuovo...
pensai, costringendomi a restare lucido nel trambusto delle mie riflessioni.
Esse crollavano insieme al battito del mio cuore. Il polso si faceva sempre più fragile, era ormai inudibile. 
I miei polmoni sembravano essere disperatamente fuori uso mentre tentavo di inspirare e sentivo invece tutti i miei sensi tappati, otturati irrimediabilmente dall’impietosa morsa della morte.
Mi sentii sprofondare e persi progressivamente ogni contatto con il tangibile. 
Istintivamente, se solo avessi potuto, mi sarei portato le mani alle tempie.
Qualcosa nelle mie orecchie urlava.
Era la voce di una donna, supplicava, piangeva.
Dovevo fare qualcosa, dovevo aiutarla, non potevo lasciarla morire, non di nuovo.
Stavolta l’avrei salvata, sarei morto io...
Ancora quelle grida, ancora quel dolore, poi una risata stridula, folle.
Singhiozzai, rantolai.
Lily...
Il mio corpo si irrigidì improvvisamente e sentii la ferita insanguinata sul collo mandare un'ultima, dolorosa fitta.
Qualcosa nel profondo del mio sguardo svanì, l'ultimo alito di vita sibilò con un gorgoglìo nella mia gola lacerata e si liberò nell'aria, lasciandomi disteso, immobile, in quella posizione innaturale.  
Poi di nuovo silenzio. E oscurità, insormontabile.

'E' finita, Severus'.

Perdonami, Lily.

 * * *

Le mie ciglia battevano come le ali di un uccellino in trappola mentre la luce inondava il mio campo visivo e investiva ogni cellula del mio corpo.
Era come se il tappo oppressore fosse finalmente saltato via, le mie orecchie avessero ripreso a sentire qualche suono che non fosse quello di urla e strepiti e il mio naso mi permettesse di inspirare profondamente, vigorosamente, di nuovo.
L’aria mi fece il solletico nel petto.
Qualcosa come un’onda anomala e fredda mi aveva sbalzato fuori da un tunnel nero e senza fine della perdizione ed ero rotolato senza meta su un pavimento nuovo, un terreno infine solido e profumato e umido.
L’odore dell’erba e della rugiada mi invase le narici, mentre riconoscevo il fruscìo delle foglie scosse dal vento, l’ombra fresca che gli enormi alberi proiettavano al suolo. Ero appoggiato al tronco di uno di essi, con le gambe incrociate, quando aprii finalmente gli occhi stanchi.
Una bambina era seduta a terra davanti a me, con in mano un grosso libro dalle pagine ruvide di pergamena. Lo teneva aperto per metà, perché io potessi leggere il titolo stampato sulla copertina a caratteri cubitali. ‘De Potentissimis Potionibus ’.
Strabuzzai gli occhi.

Il collo mi doleva come se avessi trascorso troppo tempo in quella posa involontaria e voluta dal torpore improvviso.
Mi misi a riflettere, massaggiandomi lì dove fino ad un attimo prima credevo ci fosse una profonda ferita avvelenata dal morso d'un serpente.
Ma la mia pelle era liscia e intatta.
Dovevo mantenere la calma. Capire.

La piccola aveva i capelli neri e lisci, lucidi, che le sfioravano le spalle in ciocche ordinate, mosse dalla brezza leggera.  Indossava un cappotto di stoffa grezza, jeans e una camicetta simile ad un grembiule. Nonostante la stranezza dei suoi abiti male assortiti, la bimba sorrideva quasi suo malgrado, tradendo una gioia che io non conoscevo.  
Aveva sul viso pallido un’espressione attenta, divertita, e le sue occhiate vispe splendevano di curiosità.
Le sue ciglia lunghe nascondevano degli occhi verdi dalla forma familiare. Impossibile.
- Papà, ti sei addormentato di nuovo.- sussurrò la piccola, chiudendo il librone e stringendosi nelle spalle. Il modo in cui muoveva le labbra nel parlare, in cui il suo tono tradiva un timido rimprovero  e in cui un cupo rossore si diffondeva sulle sue guance rotonde era terribilmente dolce.
Non sembrava offesa ma arrossì ancora sotto il mio sguardo attonito  e strappò qualche fogliolina da terra, soprappensiero.

Era seduta accanto ad un cespuglio di fiori bianchi.
Solo adesso me n’ero accorto, rapito com’ero dal suo viso.
Eravamo in un boschetto che avrei potuto definire quello a pochi passi dal parco giochi della mia infanzia. Distogliendo a fatica l’attenzione da lei, notai un fiume scintillare poco lontano e il sole che penetrava attraverso le chiome.
Avevo battuto la testa, sì, l’avevo fatto di certo...
- Papà....- mormorò la bambina, sporgendosi sul cespuglio per prendere uno dei fiori candidi e affondandoci dentro il nasino un po’ adunco ma comunque delicato. Guardai i petali bianchi di quel giglio che la piccola teneva tra le mani minuscole e paffute. Gli occhi mi si offuscarono di lacrime. Un giglio.-... posso portarlo alla mamma?- domandò, raggiungendomi a gattoni e sedendomisi grembo. Il suo profumo di biscotti e di famiglia mi scaldò il cuore.
La bimba mi fissò con i suoi occhi grandi e inconfondibili. Lily. La figlia di Lily. Mia... mia figlia...
Non riuscivo a crederci, forse ero morto sul serio e quello era il paradiso.
- Posso?- incalzò lei, speranzosa, testarda, ad un soffio da me.
- Tutto quello che vuoi... tutto quello che vuoi...- e me la strinsi al petto.
E così, era stato solo un brutto sogno.
Le lacrime scivolarono sulle mie guance giallastre e tese in un sorriso commosso.
- Andiamo a casa da lei.- sussurrò la piccola, sbadigliando, accoccolandosi contro di me.

Paradiso.
Luce.
Piton.
Lily.

- Torneremo qui domani?- chiese di nuovo, con voce flebile. Annuii, con la guancia contro i suoi capelli e le mie labbra si incurvarono in un sorriso.
- Ogni volta che vorrai.- bisbigliai, cullandola.
- Sempre.- e quella parola risuonò come una sorta di ringraziamento. Come un sospiro tanto atteso.
E chiusi gli occhi.
-
ESDSiLiiLLlLlLEKJ
   
 
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