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Autore: _JiMmY_    02/05/2006    1 recensioni
Un'adolescente e suo fratello che si trasferiscono a Toronto. Una nuova scuola, una nuova casa, nuove amicizie. E tra queste, il gruppo dei Sum 41. Quattro ragazzi non poi così diversi dagli altri...(mi è venuta di getto questa fic, siate buoni u.u)
Genere: Generale, Romantico, Commedia, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Life Won’t Wait

( Rancid )

 

 

 

“Jesus and his desciples wage a final war
Religions and procedures keep the quest for

the holy grail
The eye of the pyramid is open and awake
The pagans and their rituals and the choirs

won't begin to sing
The vision is the new world order
The vision is the new world order
The vision is the new world order
Life Won't Wait
The vision is the new world order
Come along and tell your sister and your brother

 

 

 

26 Ottobre 2000

 

 

La scuola è iniziata da quasi due mesi e ormai posso dire con certezza che mio fratello aveva ragione, tranne che per Andrea ovviamente, ma lei è un caso a parte. L’unico filo di erba verde in mezzo ad una catasta di erbacce e piante malate. Non sto esagerando giuro…in questi cinquanta e passa giorni, non ho fatto amicizia con nessuno. Ma nemmeno una conoscenza superficiale con qualche compagno di classe, niente. La maggior parte di loro sono talmente lontani da me e dal mio stile di vita che mi chiedo come sia stato possibile fin ora non aver ancora picchiato nessuno. Qualche ragazzo ha provato a farsi avanti, all’inizio, pensando di approfittare di me e della mia “probabile” ingenuità perché ancora non adattata al nuovo ambiente…ma hanno capito subito come stanno le cose e ora non mi rivolgono più nemmeno la parola  quasi avessero paura di me. E ogni volta che, incontrandomi in corridoio, loro scappano dileguandosi in sala mensa o alla biblioteca, Andrea se la ride. Sono molto divertente, sì. Fortunatamente c’è lei, altrimenti non so bene cosa avrei fatto…probabilmente mi sarei messa in un angolo della classe e sarei diventata l’asociale della scuola, una ragazza complessata che minaccia con entrambi i pugni chiusi i maschi che le si fanno incontro. Mah. Sono in classe ora, manca poco perché anche questa giornata finisca. Io e Andrea siamo compagne di banco, praticamente una scelta obbligata. Ricordo che quando siamo entrate il primo giorno, ha preso tutta la roba di Charlie, che si era sistemato accanto a lei, e gliel’ha buttata dall’altra parte della classe, con un sorriso smagliante sul viso indicandomi la sedia nuovamente vuota. Eppure…eppure lì dentro nessuno sembra essere mal disposto nei suoi confronti come nei miei, sebbene lei non sia uno zuccherino con quelli che ci girino attorno. Persino le ragazze stranamente, la salutano ogni due per tre, spesso le passano le soluzioni dei compiti in classe quando non sa qualcosa (e non capita spesso. Lei è una di quelle fortunate persone che anche senza studiare immagazzina tutto), cercano sempre tutti di starle più vicino possibile. Ieri le ho chiesto cosa aveva fatto a praticamente tutti gli studenti della scuola per ricevere un trattamento simile, ma lei ha sviato il discorso “Io niente…poi capirai comunque…” Mah. Poi capirò, ok.
”Damien…dato che ti vedo così attenta alla lezione, potresti spiegare tu a Mark quali sono state le ragioni principali della Rivoluzione Industriale Americana?” la voce della professoressa Randem mi riporta
per un attimo alla realtà. Mi guardo intorno, nessuno mi guarda. Forse non hanno ancora capito che non ho la vista laser come Superman. Finisco per voltarmi verso il banco di Andrea, ma naturalmente lei non c’è. Ha la febbre e la cosa non ci voleva. Così scuoto la testa, alzo le spalle “Non ne ho la più pallida idea” Qualcuno tossisce forzatamente nei banchi davanti, mentre alcune ragazze prendono a sussurrare fra loro. Noto vagamente anche un bigliettino passare di mano in mano. Ma non riesco comunque a scompormi, è già la terza volta che succede una cosa simile e so anche come andrà a finire. Per questo sposto la sedia all’indietro e mi alzo prima che la professoressa possa aprire bocca “Damien…” Mi volto verso di lei, mettendo mano alla porta “Sì, lo so, esco fuori. E resto davanti alla porta…” Prima che possa aggiungere qualcosa d’altro apro la porta ed esco dalla classe, tentando di non sentire quei mormorii che mi giungono alle orecchie. Come se nessuno di loro fosse mai stato sbattuto fuori dalla classe perché non seguiva la lezione. Il corridoio è deserto, non sembra esserci un’anima. Mi allontano di qualche metro dalla classe, appoggiandomi poi al muro e scivolando sul pavimento. Le suole delle bonbon stridono per terra, prima che il tonfo del mio sederino copra quel rumore fastidioso.. Tiro fuori il cellulare dalla tasca, un modello vecchio di sei anni, e mando un messaggio ad Andrea, giusto per metterla al corrente della “novità”. Scommetto che a casa sua, nel suo letto, si metterà a ridere. Ormai, anche se sono passati meno di due mesi, sembra già aver fatto l’abitudine a me e alle cose che di me non funzionano. Infilo gli auricolari dell’mp3 nelle orecchie, premendo il tasto Play solo dopo aver chiuso gli occhi. Ecco, i Nofx riescono sempre a tirarmi su il morale…calmarmi no, ma rinvigorirmi sì. Non vedo l’ora di arrivare a casa e mettere mano alla chitarra, a costo di rompere un paio di corde, ma devo sfogarmi in qualche modo. Linoleum è a tutto volume, non sento nulla all’infuori delle due chitarre elettriche, del basso, della batteria e della voce di Fat Mike. Poi qualcosa mi colpisce alla testa. Solo un tocco leggero, che non fa nemmeno male, ma mi costringe ad aprire gli occhi. Sollevo lo sguardo ritrovandomi di fronte un ragazzo, all’apparenza più grande di me. Deve avere almeno diciannove, vent’anni. “Bè?” la mia non è esattamente una domanda, credo che suoni più come una minaccia. Mi tolgo un auricolare, lasciandolo cadere sulla maglia dei Metallica che mi ha regalato Lou cinque anni fa, per consolarmi della fuga di Alex. Mi va un po’ stretta, ma l’adoro troppo per buttarla via o chiuderla in un armadio a fare le tarme. Lui porta le mani avanti, mostrandomi i palmi aperti, in segno di resa “scusa eh, ma ti ho visto qua tutta sola…” Oh no, un altro. Lo osservo per un attimo, notando solo in un secondo momento la sua maglietta rossa, i jeans larghi e appena cadenti, una cintura borchiata, un paio di Vans a scacchi neri e bianchi ai piedi. Mh. Non sembra uno di quei classici figli di papà che si aggirano per la scuola e che trovo praticamente in ogni angolo. Loro si che mi guardano strano, con le loro camice inamidate, i loro pantaloni di velluto. Per non parlare delle ragazze, su cui avrei qualche commentino in più, che non riguarda solo il modo di vestirsi o come si relazionano con me e con quei pochi come me là dentro. Son poco puttane alcune eh…Comunque, alzo appena le spalle, cercando di mostrarmi totalmente disinteressata, come se fosse un buon modo per fargli venire voglia di andarsene via “E mi piacerebbe rimanerci tutta sola…” Gli rispondo, continuando a guardarlo. Non mi capita spesso di andare in fissa sulla gente, ma questo ragazzo ha un’aria familiare.. eppure è impossibile che io l’abbia già visto da qualche parte, insomma qui si parla di migliaia di chilometri di distanza tra Boston e Toronto, non bruscolini. Sarà la mia immaginazione, niente da fare.. eppure..”Per me non c’è problema, ma si aggirano certi brutti tipi qua dentro che..” fa per finire la frase, ma poi ci ripensa, portando le mani dietro la schiena e piegando appena il busto verso di me, tendendo le orecchie “Linoleum?” chiede e mi viene spontaneo inarcare un sopracciglio. La conosce. Oh. Annuisco e mi sorride, con uno sguardo complice che nuovamente mi fa pensare di conoscerlo. O almeno di averlo già visto. Odio non ricordarmi le cose, soprattutto se me le ritrovo sulla punta della lingua “Una delle migliori dei Nofx.. anche se personalmente preferisco Bob..” annuisce alle sue stesse parole, sedendosi al mio fianco, con la schiena al muro. Improvvisamente mi rendo conto che la sua compagnia non è poi così spiacevole come pensavo all’inizio. Probabilmente il solo fatto che stiamo parlando del mio genere preferito di musica, e in positivo, gli ha fatto guadagnare una ventina di punti nella mia scala personale. Alzo le spalle, concedendogli l’uso dell’auricolare rimasto, che quasi immediatamente si infila all’orecchio “Se dobbiamo andare sulle preferite allora ti dico Drugs are Good…” Non è esattamente quella che metterei in cima alla classifica, ma per ora la migliore secondo il mio punto di vista non gliela dico. Ancora non lo conosco abbastanza per dire che non riderebbe…e non mi va di farmi ridere in faccia da un ragazzo di cui non so manco il nome. Come se mi avesse letto nel pensiero “Ohh, grande canzone.. comunque io sono Steve” mi tende la mano, anche se data la vicinanza a cui ci troviamo non deve nemmeno fare un grande sforzo “ma solitamente mi chiamano tutti Stevo..” Ecco, anche questo mi suona familiare…corrugo la fronte ma non aggiungo altro in proposito e lui sembra stranito quanto me. Per un attimo cala il silenzio, poi sorride. E sembra quasi sollevato, senza che io possa capirne il motivo “Damien.. o Dam, per chi fa troppa fatica a pronunciarlo per intero…” Gli stringo la mano, poi torno a guardare il pavimento di fronte a me. Ehi, forse Lou non aveva poi così ragione! Andrea ne sarà contenta.. mi perdo nuovamente nei miei pensieri, la musica cambia, si passa ai Placebo. Mh. The Bitter End. Adoro questa canzone.. anche se mi fa calare nell’umore più nero esistente nella sfera delle emozioni. Sembra piacergli anche questa, perché non mi chiede di cambiare, così socchiudo gli occhi per ascoltare meglio da quel unico auricolare che mi è rimasto. Restiamo così per un po’, in silenzio, poi la porta della mia classe si apre. E’ Mark che si affaccia per metà, richiamandomi dentro. Mancano solo cinque minuti alla fine delle lezioni. Mi alzo in piedi, spegnendo l’mp3, infilandolo in una tasca dei jeans mentre con l’altra mano mi sistemo i capelli dietro le orecchie. Ho convinto mio padre a farmi fare le punte nere e com’è, come non è, mi sono venute da Dio. Anche se ho dovuto tagliarli un po’ perché si stavano facendo troppo lunghi.. me è una brava Emo Girl. Bah. Si alza anche Steve, accennando un sorriso guardando in direzione di Mark, che ancora mi aspetta sulla porta “guarda, hai anche la guardia del corpo privata…” accenna un sorriso maligno, rivolgendo un saluto a dir poco ironico verso il ragazzo. Guardo la scena e mi immagino il mio compagno di classe rispondere con una smorfia, invece sorride. Un sorrisone a 848584 denti, manco gli fosse venuta una paresi facciale, e ricambia il saluto con un gesto veloce della mano. Steve scoppia a ridere notando la mia espressione perplessa, ma non aggiunge altro sullo strano comportamento di Mark “Bè, a questo punto ci troviamo in giro per la scuola Dam.. Mi fa un mezzo inchino, ravvivando dentro la mia testa sempre di più quella sensazione di deja-vù, per poi abbandonare il corridoio, sparendo dietro ad un angolo. Succedono le cose più strane qui dentro…

 

 

6 Dicembre 2000

 

 

Oggi mi sento euforica. Dire che sono felice è riduttivo, dire che sono agitata non è abbastanza. E’ da due mesi che ci prepariamo a scuola per il concerto prima di Natale e finalmente oggi è arrivato il giorno che aspettavo. Qualcosa che accomuna me e altra gente, non capita poi così spesso. Ho avuto modo in queste settimane di conoscere ragazzi a cui piace la stessa musica che ascolto io, anche se abbiamo legato solo superficialmente. Hanno le loro compagnie, i loro ritrovi fuori da scuola e io non mi sono ancora ambientata abbastanza per uscire con loro. E’ troppo presto e lo so benissimo anche io…In ogni caso è un gran giorno, sì. Sono già in piedi sebbene la sveglia indichi che manca ancora mezz’ora alle sette, un vero miracolo per me che riesco ad alzarmi dal letto solitamente quindici minuti prima dell’arrivo dell’autobus. Lou dorme ancora, ma per lui non è un problema, tanto ci mette pochi minuti a prepararsi, non fa nemmeno colazione. Contento lui. Ho sistemato la Meg nella sua custodia ieri sera ed è ancora appoggiata lì, contro il muro. Sarà la prima volta questa che la suono alla Season. E’ un po’ come varare una nuova nave, ma senza la rottura della bottiglia di champagne ovviamente…Apro i cassetti sotto l’armadio, tirando fuori una delle mie magliette preferite, nera con i bordi bianchi e la scritta dei Sex Pistols all’altezza del seno. Un paio di pantaloni che si fermano poco sotto le ginocchia, neri con i lacci rossi, la solita cravatta annodata in vita, al posto della cintura. Giusto per non farli cadere alle caviglie, ecco. Infilo le mie solite BonBon, trovandomi costretta a cambiare le stringhe perché ormai quelle che ho usato fin ora mi hanno detto addio, rompendosi del tutto. Così mi alzo dal letto, scarpe slacciate e mi infilo nella camera di mio fratello, ancora completamente al buio. Mi avvicino al suo letto, chinandomi per arrivare con la bocca vicino al suo orecchi “Lou…vero che posso prendere le tue stringhe nuove? Quelle verdi…” So benissimo che se fosse sveglio e cosciente mi manderebbe a quel paese. Non mi presta mai le sue cose, è ultra geloso di quello che compra con i suoi soldi. Per questo glielo chiedo adesso. Ecco. Ognuno impara quello che può da certe convivenze… Lui si rigira nel letto, ancora completamente nel mondo dei sogni e mugugna qualcosa “hai detto sì, Lou? Posso prenderle allora eh?” Lui annuisce con la testa mentre preme la testa contro il cuscino. Sorrido rialzandomi e raddrizzando la schiena. Bene. Mi allontano dal letto, cercando a tentoni nel buio l’armadietto in cui tiene le scarpe. E finalmente le trovo, quelle belle stringhe verde mela che ha comprato solo ieri “Grazie fratello.. dico, a bassa voce lasciando la stanza e chiudendomi la porta alle spalle. Dalla cucina arrivano già i primi rumori di chi sta preparando una colazione sovrabbondante e mentre infilo le stringhe nei buchi delle All Stars, alzo la voce per farmi sentire da mio padre , non esagerare che oggi devo stare leggera…” lo raggiungo in cucina, sedendomi al tavolo mentre lui mi mette davanti un piatto stracolmo di uova strapazzate e una fetta di pane imburrata. “Tranquilla, è la metà di quello che rifilerò a tuo fratello…” Bè, speriamo non gli venga da vomitare. Mentre stacco piccoli pezzi dalla mia fetta tostata, mi ritrovo a pensare nuovamente al concerto, ovviamente. Una sola settimana dopo aver conosciuto Stevo il nostro batterista ha mollato il gruppo, per un inizio di tendinite al braccio destro. Ho pensato subito che si trattasse di sfiga, invece è arrivato un angelo. Eravamo in aula di musica quel giorno e il nostro professore ci stava giusto dicendo che se non trovavamo un sostituto per Harry non potevamo partecipare al concerto di Natale. Io avevo già un diavolo per capello, ma anche gli altri non scherzavano. In più avevamo pronta mezza canzone, niente in mente da preparare come si deve.

 

Poi ecco che nella stanza entra Stevo e tutti si fanno da parte, manco fosse il Presidente in persona. Forse perché è il più grande là dentro, forse perché nella scuola è rinomato, io decisamente non lo so ancora adesso. E’ un po’ come per Andrea (che tra l’altro oggi filmerà tutto, o almeno così ha minacciato di fare), ma ancora nessuno dei due mi ha voluto spiegare il motivo di tanta reverenza ne io ho chiesto qualcosa. Ognuno si fa i fatti suoi, giusto? In ogni caso, è entrato, mi ha chiesto personalmente se poteva suonare con noi. Gli ho chiesto se sapesse stare dietro alla batteria e gli altri ragazzi mi hanno guardato come se fossi impazzita. Ma non ci ho fatto caso sul momento e ho lanciato le bacchette in direzione del mio nuovo “amico”, che le ha prese al volo, facendole girare fra le dita. che devo suonarti Dam?” Ci penso un po’ su, risistemandomi poi la tracolla della chitarra. Gli altri non si muovono, ma anzi, si siedono sui banchi e ci guardano come fenomeni da circo. Bah, sono tutti strani qua dentro, e io che credevo di essere anormale di mio. –decido di andarci giù dura, ignara completamente delle sue capacità, solo per metterlo alla prova. “Vediamo se sai questa..

Parto con il mio accordo preferito, nonché il più semplice in assoluto, Mi minore rules. E mentre il suono si propaga, sotto ci infilo alcune note veloci. Non tocca ancora a lui, ma dall’espressione che fa capisco subito che la conosce. E da come tiene le bacchette capisco anche che la sa suonare. Glielo leggo negli occhi. E rimango per un attimo a bocca aperta quando mi fa tutto il primo pezzo di Dumpweed, la mia preferita tra quelle dei Blink 182. Una parte di batteria ultra veloce che raramente un ragazzo di diciannove anni, per quanto bravo sia, riesce a fare al primo colpo. A meno che naturalmente non si tratti di Trevis. O di un suo sosia. Insomma, qualcosa di simile. Smette di suonare fermando i piatti e quando parte l’applauso nemmeno mi volto verso i miei compagni di classe. Mi avvicino alla batteria, portando un braccio sulle spalle di Stevo, accennando un sorriso “Solo per questo hai guadagnato un’altra ventina di punti…”  prendendomi alla sprovvista mi passa il suo braccio destro dietro la schiena, tenendomi per la vita, rimanendo seduto sul suo seggiolino “E i primi venti come me li sarei presi, sentiamo…” Indico con un dito le sue scarpe, lanciando poi un’occhiata verso i ragazzi seduti sui banchi, che mi osservando impietriti. Un paio guardano altrove, rigirandosi i pollici. “Per le Vans naturalmente…” Mi lascia andare sorridendo, per poi alzarsi. Si rivolge a tutti i ragazzi questa volta, o almeno a tutti quelli che hanno uno strumento in mano “Bene adesso non ci resta altro che decidere le canzoni da fare..qualcuno ha proposte?” Per un attimo nessuno simuove, poi ho alzo io la mano, con fare quasi canzonatorio, tenendo il manico della chitarra con l’altra “pensavo che si potesse fare Makes no Difference..” alzo appena le spalle, come se la mia fosse una scelta facilmente passabile. Dato che nessuno mi risponde, do la colpa al fatto che è una canzone da poco uscita, che il gruppo che la canta, i Sum 41, ancora non ci conoscono molto. Però boh, personalmente il video passare su mtv l’ho visto una volta sola. Non sono male questi, quattro se non ricordo male, mi piace parecchio la canzone sopra citata. Vedo che Luck fa per aprire bocca e dire la sua, ma Stevo lo anticipa, praticamente rimettendolo a sedere “Per me va bene, è una canzone abbastanza facile, dovrei riuscire ad impararla in un paio di giorni…e tu ce la fai?” Cos’è, una sfida? Gli altri ragazzi non si mettono in mezzo, anche se li vedo con la coda dell’occhio borbottare qualcosa tra di loro. Stevo richiama poi il bassista, gli dice qualcosa all’orecchio e questo annuisce, raggiungendo il professore che aprendo il portatile va alla ricerca della canzone. Ah, penso, ce l’hanno già salvata su pc…forse li conoscono meglio di me questi Sum 41.

“Certo che riesco ad impararla, anche prima di te…” Accetto ufficialmente la sfida, senza nutrire il minimo sospetto.

 

Esco dai miei pensieri all’improvviso, come mi capita spesso di fare. Mi accorgo che mentre rivivevo quella giornata con la mente mi sono fatta fuori ben due fette di pane tostato senza fare una piega e con tutto il burro che ci ha spalmato sopra mi padre è già tanto che il colesterolo non mi sia schizzato alle stelle. Mi alzo dal tavolo, notando solo all’ultimo secondo che mi fratello è già davanti alla porta che si infila le scarpe ai piedi. Ma come cavolo fa, dico io? Non è che sono rimasta con la testa fra le nuvole, ci avrà messo 10 minuti ad alzarsi, lavarsi, vestirsi e mangiare qualcosa…non è possibile. Se un giorno scoprissi che in realtà il mio fratello gemello è Flash, non ne rimarrei sorpresa.

“Buona fortuna per oggi allora Dam.. mio padre mi carica la borsa a tracolla, mi passa la chitarra. Ci manca solo che tiri fuori una macchina fotografica come si fa prima del Ballo di fine Anno. Che tra l’altro arriverà tra qualche mese, già a scuola ci hanno informato. E di conseguenza so già che non ci andrò. Per diversi motivi a cui non ho voglia di pensare ora..ho decisamente altro per la testa.

Raggiungo Lou all’ingresso e insieme ci dirigiamo verso la nostra solita fermata dell’autobus, che, una volta tanto, sembra farci un favore arrivando con soli tre minuti di ritardo invece che dieci, impedendoci di farci lasciare fuori dalla classe per tutta la prima ora. Quando finalmente arriva, lo prendiamo al volo, un cenno della mano al conducente che ormai ci conosce come le sue tasche, e io mi fiondo da Andrea, che mi sta già aspettando al solito posto “Allora mia bella, sei agitata?” Annuisco, ma poi alzo le spalle. Un po’. Non so. Forse. E’ esattamente questo che mi salta alla mente, non so se essere ansiosa o meno, alla fine si tratta solo di suonare una canzone davanti a mille e passa studenti, no? Mi ci dovrò abituare comunque, il professore che ci fa musica ha già detto che ci sarà un concerto ogni volta che cominceranno le vacanze…quindi un altro per Pasqua e uno a fine anno, senza contare che potrebbero infilarci dentro anche qualche cavolata sul Carnevale. Sì perché alcune classi di quinta andranno in gita in Italia e si è pensato bene di organizzare una festicciola in stile napoletano a scuola, con maschere e balle varie. Mah. Andrea tira fuori la telecamera, accarezzandola con un sorrisetto furbo sul volto “Vedrai, sarà un successone…poi devi stare tranquilla se suona anche Stevo nel gruppo…” Inarco un sopracciglio. Non gliel’avevo raccontata questa parte. Non sapevo nemmeno che lo conoscesse, ma da come ha pronunciato il suo nome non si direbbe che il loro rapporto si limiti alla superficiale conoscenza. “Già…ma tu lo conosci di persona?” Chiedo, senza mettere a freno la mia curiosità, notando con la coda dell’occhio che anche Lou ha teso le orecchie. Chissà cosa gli importa dei ragazzi che conosce o non conosce Andrea.. Lei annuisce rimettendo la telecamera nello zaino, sistemandosi poi il colletto della camicia rossa che indossa. Con la cravatta nera mi ricorda vagamente Billie Joe Armstrong dirante uno dei suoi concerti. Mi osserva con quei suoi occhi verde scuro, reclinando la testa verso di me “Lo conosco bene, sì…è un amico di mio fratello…” Ma non aggiunge altro. Così anche lei ha un fratello. Almeno non sono l’unica a sapere cosa significhi sopportarne uno…

 

Sono in classe da almeno un’ora e la professoressa continua a spiegare come se nulla fosse. Ovvio, a lei cosa importa del concerto? Tanto non verrà mica a vederlo…della mia classe nessuno suona, tengono la testa chinata sui libri, prendendo appunti scarabocchiati che poi non riusciranno nemmeno a leggere a casa loro. Quando già sto per farmi venire una crisi di nervi, la porta si apre e ne fa capolino la testa di Stevo “Salve Prof…sono venuto a prendere Damien…” Lo guardo come guarderei il mio salvatore persona e, prima che la professoressa Martin riesca ad aprire bocca, io sono già fuori dalla porta con la borsa a tracolla e la custodia della chitarra sulle spalle. Mentre attraversiamo il corridoio ci becchiamo come al solito su chi suonerà meglio, ma sempre con il sorriso sulle labbra. Dopo questi mesi ho imparato ad apprezzarlo e posso dire che siamo diventati..sì, amici. E’ una persona piacevole e poi riesce a farmi ridere come pochi altri, cosa che qua dentro si sta dimostrando estremamente necessaria per la mia sanità mentale. Ci dirigiamo in Aula magna e lì sistemiamo gli strumenti assieme agli altri ragazzi che già hanno cominciato a provare. Estraggo la Meg dalla custodia e sento Stevo fare un fischio “Potevi anche dirmelo che hai una Ephifone Les Paul…” Inarco un sopracciglio, sistemando la tracolla e infilando il cavo nell’amplificatore. Lo accendo, regolando il volume e la distorsione “Perché, sarebbe cambiato qualcosa?” Alza gli occhi al cielo sedendosi dietro la sua batteria, scaldandosi le mani con un paio di rullate. Ahh, bravo è bravo, su questo ormai non nutro più alcun dubbio. Faccio suonare le corde una alla volta, per vedere se l’accordatura di una settimana fa regge ancora, quando il bassista, che dovrebbe anche fare la voce principale della canzone, mi si avvicina con sguardo affranto “Damien senti…ho un problemino…” Parla a voce talmente bassa che quasi non lo capisco “E quale sarebbe?” Anche se un dubbio mi viene già alla testa. Lancio un’occhiata a Stevo per però continua a suonar,e rendendo ancora più difficile per me l’ascolto del ragazzo “Ecco…non ho voce…e la gola mi sta facendo impazzire…” Porca…mi stringo il setto nasale con il pollice e l’indice cercando di calmare un’imminente crisi nervosa. Gli do una lieve pacca sulla spalla come a dire di non preoccuparsi e accenno un sorriso che più finto di così non si può. Ma lui ci casca e si allontana con l’aria sollevata. Io invece sollevata non sono..e chi la canta ora? Mi avvicino a Stevo, praticamente strappandogli le bacchette di mano “Il cantante ci ha praticamente bidonato..e adesso chi la canta eh?” Dal sorriso che mi fa capisco subito cos’ha in mente. Scuoto la testa “Scordatelo..finchè si tratta di fare i cori mi va bene, ma cantarla tutta non se ne parla nemmeno…”

Alza le spalle, riprendendosi le bacchette e raddrizzando la schiena “come preferisci Dam, allora il concerto non lo possiamo fare noi…” Ecco. Lo sapevo, lo fa apposta. Sa benissimo che farei qualunque cosa pur di suonare e adesso ne sta approfittando. Ok, altre soluzioni non ce ne sono. Vero, anche lui la conosce tutta a memoria, ma non posso fargliela cantare da solo mentre sta dietro alla batteria, rischia di andarmi in panne. Gli mostro i palmi delle mani aperte, in segno di resa “Però i cori li fai tu…” Alza nuovamente le spalle, andando a recuperare l’asta di un microfono, che piega e si sistema per poter cantare stando seduto dietro al suo strumento. Tutto è pronto a quanto pare.

Gli studenti cominciano ad affollare l’aula magna e Andrea è già pronta lì con la telecamera accesa che mi mostra il pollice alzato. Seduto accanto a lei c’è Lou. Tiene un blocco di carta sulle ginocchia e una matita in mano. Oddio, lo immaginavo..deve farlo per forza, è più forte di lui. Come ai processi…disegnerà la scena. Gli sorrido mimando il gesto del disegnare e lui annuisce.

Infine tocca a noi. Sistemo nuovamente i volumi della chitarra, accendo la distorsione..Stevo ci da il quattro con le bacchette e…si comincia. – Makes no difference to me -

 

 

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E partiamo come al solito solito con i ringraziamenti e le risposte alle recensioni XD

 

=FuckOffAndDie= -> Grazie mille per il tuo primo commento XD sono contenta che la fic ti piaccia, ho già in cantiere il terzo capitolo e, anche se sembra poco normale, il sesto >_>’’ mi è venuto in mente all’improvviso così mi sono messa a scriverlo su carta, per ricopiarlo tutto mi ci vorrà un eternità XD Bacio :*

 

Rhye&Embrido -> Ahhh mie carissime ragazze, non vedevo l’ora di leggere la vostra recensione per sapere cosa ne pensavate :P come al solito ho usato la scrittura in prima persona, ormai lo sapete che non riesco a farne a meno, è decisamente più forte di me U_U Per quanto riguarda i nomi…Devo ammettere che ho messo apposta a Dam un nome normalmente usato per un maschio, poi con l’avanzare della storia capirete perché U_u Lou invece è semplicemente l’abbreviativo di Luca, nome italiano, dato che la madre di entrambi aveva origini del nostro paese. Ma anche questo verrà fuori solo in seguito :P Per il resto, sì, il meglio deve effettivamente ancora venire, del resto sarà proprio Andrea a scatenare il tutto…ma anche l’arrivo di Stevo, che è il batterista dei Sum, ha dato una bella mano. In seguito ne vedrete delle belle, spero possa piacervi fino alla fine XD Un bacio ad entrambe :*

 

  
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