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Autore: Ale HP    01/09/2011    2 recensioni
Frank e Alice si erano promessi di restare uniti.
Si erano promessi anche di lottare, per un mondo migliore in cui il loro bambino potesse vivere felice.
Si erano promessi che nulla avrebbe potuto sconfiggere il loro amore.
E così è stato.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Bene, eccomi qui a postare questa "cosa" scritta tantissimi mesi fa, per un contest, ma che - per vari motivi - non è mai stata giudicata.
Be', quindi recensite ù.ù


 

Fino alla fine.

Il vento batteva forte sulla finestra in modo da farla cigolare rumorosamente, ma nessuno si alzava per chiuderla, perché nessuno poteva.
Solo poche ore prima quella era stata la casa di una famiglia felice, ma, in quel momento, restavano solo macerie.
Alice camminava impaurita, per i corridoi bui alle cui pareti erano state incollate parecchie foto di famiglia, ma che non ricordava. In effetti, nulla ricordava in quel momento, se non il dolore che aveva provato.
E quel dolore rivenne, come se la donna che le aveva scagliato la maledizione fosse ancora lì.
Urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Poi il rumore di un pianto la fece crollare a terra.
Sentire quel pianto era come avere delle lame conficcate nel petto. Era doloroso, troppo doloroso.
Non sapeva per quale assurdo motivo, ma le creava un vuoto enorme dentro, una consapevolezza dalla quale non poteva scappare: aveva fatto piangere quel bambino e sentiva - sapeva - che la colpa era tutta sua.
Così, fece l’unica cosa sensata che poteva fare: corse verso quel pianto e, quando raggiunse il punto in cui c’era il piccolo bambino, rimase di stucco.
Sapeva chi era quel minuscolo bambino infagottato in un lenzuolo, buttato sul pavimento.
Il piccolo era colui per il quale aveva lottato, colui per il quale non aveva parlato, solo poche ore prima.
Poi vide un oggetto che non seppe identificare: era un lavandino, forse?
Vi si avvicinò lentamente, quasi timorosa, dimenticando per un momento il piccolo a terra che piangeva.
Si affacciò all’interno di quella specie di bacile e ci cadde dentro. Come, non sapeva spiegarlo.
Quello che vide la sbalordì ancora di più di quanto già lo fosse.
C’era una donna, affacciata alla finestra, che guardava fuori, verso il buio più totale.
Accanto a lei c’era un uomo, che le teneva la mano, e scrutava anch’egli l’oscurità.
Cosa stavano aspettando?, si chiese.
«Stanno arrivando, Frank» sussurrò spaventata la donna.
«Non avere paura» la rassicurò l’uomo, che doveva chiamarsi Frank. «Staremo assieme, fino alla fine». 

«Neville dov’è?» chiese dopo un po'.

"Neville…" pensò Alice, seduta a gambe incrociate sul parquette immacolato del salone, "doveva essere quel bambino" .
«Non ti preoccupare, è al sicuro non possono andare di là. Ce la faremo, l’hai detto tu, no?»
Un sinistro rumore risuonò nella casa: quelli che stavano aspettando e che temevano, erano arrivati.
I due si strinsero le mani e Alice provò un senso di nostalgia nel vedere quella scena.
Erano insieme, quei due, insieme fino alla fine.
«Faremo in fretta» disse una donna entrando nella stanza. «Ditemi dove diavolo avete fatto finire il Signore Oscuro e non vi faremo nulla».
«Noi non sappiamo niente!» iniziò l’uomo, tenendo la mano della moglie.
«E non avremmo parlato nemmeno se avessimo saputo qualcosa, saremo muti come delle tombe!» concluse la moglie.
Alice restò ferma, mentre vedeva la scena. Chiuse gli occhi per un attimo: sapeva cosa sarebbe successo dopo e non aveva voglia di riviverlo. Ma si sa: i Grifondoro sono cocciuti, così aprì gli occhi e stette a guardare la scena.
«Crucio». Una sola parola, capace di creare un dolore indescrivibile, era stata pronunciata dalla Mangiamorte, senza pietà.
I due iniziarono ad urlare, senza mai chiedere di finirla: sapevano che non avrebbe smesso se non avessero prima parlato e non l’avrebbero mai data vinta a dei Mangiamorte. Così, tenendosi accuratamente per mano, soffrivano, alla consapevolezza che Neville nell'altra stanza piangeva e nessuno poteva cullarlo dolcemente.
Pian piano le urla persero consistenza e lasciarono il loro dolore nell'oblio della disperazione.
La ragazza provò lo stesso dolore dei due, pensando - o meglio sapendo - che la donna che era stata appena torturata era lei stessa.
Iniziò ad urlare, senza nemmeno rendersi conto di essere tornata nella stanza dove era infagottato il bambino, così, smise di urlare all’istante: non poteva far sentire quelle urla disperate a lui, proprio no.
«Scusami, Neville» sussurrò, prima di posarlo dolcemente nella culla, per poter tranquillamente girovagare senza senso nella casa.
Arrivò nel salone buio, dove Frank, seduto sul divano blu, si dondolava avanti e indietro, con l’aria da mentecatto.
Si guardarono al lungo, come due animali impauriti, poi si presero per mano e iniziarono a camminare per la casa, assieme.
Perché erano assieme in quell’eterno dolore.
Ma non era il dolore provato per la maledizione - proprio no - era il dolore per aver abbandonato un bambino, il loro bambino.

Forse erano stati anche coraggiosi, ma Alice pensava solo che avevano lasciato da solo il loro bellissimo Neville.
Guardò Frank, sperando di trovare la forza per andare avanti, per non cadere nell’oblio del delirio, ma - per una volta - lui non aveva la solita aria forte, quella che sempre era capace di tirarla su.
Era spaventato, e molto anche.
Alice sentì di doverlo abbracciare, di doverlo stringere a sé e non lasciarlo più, ma non aveva la forza necessaria.
Riuscì, però, a prendergli la mano, prima di cadere nella disperazione più assoluta, ricordando tutto il dolore provato, sia per la maledizione e sia per aver abbandonato un figlio al proprio destino.
Frank le ricambiò la stretta, mentre il dolore si faceva più atroce per entrambi.
Erano davvero insieme, fino alla fine.

   
 
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