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Autore: Rain e Ren    01/09/2011    0 recensioni
Una ragazza timida ed insicura!
Un ragazzo esuberante e sicuro di se.
E poi c’è lei: bella da mozzare il fiato, agile, scattante…e pericolosa. Molto pericolosa.
Una scuola particolare. Un trafficante di armi nucleari. Un’agente dell’FBI in incognito. Due gruppi di ragazzi che, grazie e lei, s’incontreranno e si fonderanno.
Ma chi è la strana ragazza che salva quella studentessa?
E perché il suo nome è noto a molti?
Genere: Romantico, Triste, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kagome, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Holà gente!!!

Eccomi qui con il nuovo capitolo e con un ritardo da record -.-

Lo so che molti di voi vorranno fucilarmi e non posso darvi torto, ma prima di darmi alla fuga rapida ci tengo a dire due paroline rapide su questo capitolo.

-      Un capitolo lungo e difficile da scrivere per me. Ci ho messo una vita e ancora non sono soddisfatta. Proprio per niente.

Non mi resta che rimettermi a voi!

 

 

 

p.s. Le risposte ai commenti le ho inviate personalmente a ciascuno di voi.

 

 

 

 

 

 

7. Date il via alla giostra.

 

La stanza era piccola, rettangolare e soffocante. Ma forse questa era solo una sua sensazione dato che si trovava lì dentro da due ore circa. Se lo shock non fosse stato così forte probabilmente avrebbe iniziato a soffrire di claustrofobia.

Si trovava seduto su quella sedia scomoda e ormai le sue natiche avevano preso a lamentarsi a gran voce. Ma a chi gli stava seduto davanti sembrava non importare un granché. Era una vecchia, piuttosto grossa di costituzione, i capelli lunghi tendenti al grigio legati in una coda bassa e con gli occhi neri piccoli e penetranti. Se ne stava seduta davanti a lui, su una sedia uguale alla sua ma non sembrava che il suo fondoschiena stesse andando a pezzi. Anzi. Qualcosa gli diceva che avrebbe potuto star seduta lì ancora per parecchie ore.

“ Ragazzo.” Sospirò buttando fuori l’aria tutto in un colpo. “ Ti rendi conto delle conseguenze di questa notte?” Chiese fissandolo attentamente, scrutando i suoi occhi ambrati così dissimili da quelli del fratello. Inuyasha la fissò di rimando e un lampo di sfida passò nei suoi occhi.

“ Sinceramente no.” Buttò lì incrociando le braccia al petto e alzando il viso con aria di strafottenza. E in quel momento Kaede ebbe uno strano istinto all’altezza dello stomaco: alzarsi e menarlo brutalmente l’avrebbe calmato all’istante. Ma Kaede era troppo vecchia e troppo stanca per fare una cosa simile; dubitava seriamente che il suo corpo fosse ancora flessibile quel tanto che bastava per picchiarlo. Per uno schiaffo forse.

“ Stai tirando troppo la corda, Inuyasha.” Lo avvertì e il suo tono mutò improvvisamente. Se prima poteva sembrare educato ed informativo, ora sapeva apertamente di minaccia. E Inuyasha, anche se un po’ in ritardo, capì che era meglio non far arrabbiare un membro dell’FBI.

Tuttavia in parte era vero che non capiva. Affatto. Non capiva se l’idea che Kagome e Hell Angel fossero la stessa persona fosse corretta; non capiva che accidenti c’entrasse suo fratello in tutta quella storia; non capiva perché nella sede della polizia si fosse stanziato l’FBI e no, proprio non capiva perché si trovasse in una sala per gli interrogatori con una vecchia che gli fiatava sul collo!

Spostò lo sguardo dall’anziana e incontrò con gli occhi la figura di quella strana ragazza. Se ne stava distrattamente appoggiata al muro, le braccia incrociate sotto al seno e un’espressione che rasentava la noia assoluta. I suoi occhi, tuttavia, erano vigili e scattanti, e nel momento in cui incrociarono i suoi Inuyasha si sentì pervadere dal gelo. Lo aveva letteralmente congelato.

Ma un secondo dopo la ragazza chiuse quegli occhi glaciali e si staccò dal muro con uno sbuffo. Si avvicinò lentamente al tavolo che li divideva e vi appoggiò le mani sopra chinandosi su di lui.

“ Alzati e vieni con me. Subito!” Gli ordinò perentoria non lasciando spazio ad alcuna replica. E Inuyasha la seguì senza fiatare.

Prima di uscire dalla stanza la ragazza si guardò un momento indietro e fissò intensamente Kaede che, alzando gli occhi al cielo, non poté che lasciarli andare.

 

La Porche nera correva silenziosa nella notte fendendo l’aria fredda. I due passeggeri al suo interno non avevano spiccicato parola da quando vi erano entrati.

Inuyasha, seduto sul posto passeggero accanto al conducente guardava intensamente la ragazza che gli stava affianco. Non sembrava concentrata sulla guida, ma su qualcosa di molto più importante e lontano. Una mano sul volante e l’altra appoggiata sulla portiera. Il finestrino immancabilmente aperto e l’aria che le sferzava violentemente il viso. Sembrava più grande di quello ch’era – di quello che Inuyasha credeva che fosse se era davvero Kagome –. Il suo viso mostrava una maturità innaturale, quasi costruita con coercizione.

Il ragazzo non sapeva esattamente cosa pensare. Da un lato sembrava Kagome. I lineamenti erano gli stessi, la corporatura era la stessa. Persino la voce, sebbene con una nota i freddezza di troppo, era la sua. L’unica cosa erano quegli occhi azzurri, freddi come il ghiaccio e taglienti come il diamante. No, quelli non appartenevano alla ragazza che aveva iniziato a conoscere nei giorni precedenti. Ma allora chi era? E proprio per rispondere a questa domanda l’aveva seguita.

La macchina svoltò bruscamente ad una curva e Inuyasha bestemmiò in dieci lingue diverse battendo la testa sul finestrino.

“ Scendi.” Ordinò la ragazza smontando. Solo in quel momento Inuyasha si accorse che si erano fermati e che erano usciti dalla città. La imitò velocemente e un panorama mozzafiato si presentò a lui. Si trovavano su una piccola collina che dominata l’intera città di Tokio; le luci parevano infuocare la metropoli e i rumori arrivavano ovattati, rendendo quasi irreale quel luogo.

“ Tieni.” Disse la ragazza distogliendolo dai suoi pensieri e porgendogli una birra. Da dove diavolo l’aveva tirata fuori? Teneva alcolici del portabagagli? Lei non rispose alla sua occhiata stralunata e andò a sedersi agilmente sul cofano della macchina sorseggiando tranquilla una birra come quella che aveva dato a lui. A Inuyasha non rimase che imitarla.

“ Ti rendi conto che se Sesshomaru non fosse tuo fratello tu non saresti qui con me in questo momento?” Gli chiese lei con fare ovvio. Lui si bloccò con la bottiglia a mezz’aria e la fissò stranito per un momento. Subito dopo abbassò la mano e sospirò grattandosi la nuca.

“ Ti sei cacciato proprio in un bel guaio, si.” Confermò lei dando voce ai suoi pensieri.

“ Posso uscirne?”

“ Puoi semplicemente star zitto!” Disse lei secca.

Inuyasha la fissò interdetto. Non sopportava quando le persone gli si rivolgevano con quel tono di superiorità. Non riusciva proprio a tollerarlo. E fu l’istinto ad agire al posto del cervello. Le si avvicinò con uno scattò imprigionandola sotto di se con il suo corpo. Premette il proprio bacino su quello di lei e sentì qualcosa di duro alla bocca dello stomaco. Il ghigno perfidamente pericoloso di lei lo fece sussultare. Si spostò di scatto quel tanto che bastava per vedere la propria pancia e trovò la canna di una pistola puntata nel punto esatto in cui si trovava il suo ombelico.

“ Si?” Sibilò suadente e divertita lei alitandogli in un orecchio. Inuyasha sbiancò e si scansò da lei con uno scatto felino. Forse aveva sottovalutato un po’ troppo la ragazza.

Lei ridacchiò divertita e rimise la pistola nella fondina.

“ Ma si può sapere chi sei?” Chiese lui con un miscuglio di rabbia e paura. “ Sei davvero…Kagome?” E dovette fare uno sforzo per pronunciare il suo nome, quasi fosse un tabù. Lei tornò seria all’istante, e il sorriso divertito che le aveva incorniciato il volto per il più breve degli attimi svanì. Respirò a fondo e fece roteare la birra all’interno della bottiglia. Non stava prendendo tempo, sembrava più indecisa sul rivelargli o meno quelle informazione che avrebbero potuto compromettere una delle operazioni più difficili dell’ultimo ventennio.

“ Mi chiamo veramente Kagome.” Disse infine buttando indietro la testa e osservando il cielo; Inuyasha sussultò piano. “ Il mio cognome, Higurashi, e tutto ciò che concerne la mia identità sono invece fasulli. È la vita di qualcuno che non esiste. È il modo di lavorare dell’FBI.”

“ L’FBI ha creato un’identità ad una ragazza di 16 anni?” Domandò Inuyasha perplesso. Kagome ghignò piano: non sembrava ma quel ragazzo aveva una mente sveglia e lucida. Non sarebbe stato affatto male averlo in squadra un giorno.

“ Per quanto strano ti possa sembrare sono anch’io un agente dell’FBI. Anche se ho 16 anni.”

Ecco. La bomba era stata sganciata.

La ragazza vide gli occhi di Inuyasha sgranarsi di colpo e fissarla come fosse pazza. D’accordo: non era affatto normale che una sedicenne fosse un agente operativo dell’FBI, ma dimenticarsi di respirare era una reazione un po’ troppo esagerata a suo modesto parere.

Kagome sospirò alzando gli occhi al cielo e bevendo ancora un sorso di birra.

“ Questo è quanto ti è dato sapere.” Disse all’improvviso abbassando la bottiglia e “risvegliando” il ragazzo. “ Non chiedere più informazioni perché non ti verranno date. Non stressare tuo fratello sennò poi sarò io quella con il mal di testa. Non presentarti mai davanti alla sede dell’FBI e, cosa molto importante, fatti sfuggire anche solo una sillaba su questa storia e io ti mando all’altro mondo in maniera così dolorosa che pregherai Dio di non essere mai nato.”

Inuyasha sussultò nuovamente. E non era affatto da lui. Ma il ghigno pericoloso che aveva dipinto le labbra di Kagome avrebbe gelato anche l’inferno probabilmente.

Era un diavolo quella ragazza, un diavolo travestito da angelo. Fu in quel momento che comprese appieno il significato del suo soprannome.

Hell Angel

L’Angelo Caduto negli Inferni. L’Angelo Infernale.

E Kagome aveva si le fattezze di un Angelo; quei lineamenti delicati ed eterei, la pelle di porcellana pregiata, i capelli di fili di seta, le labbra morbide che sembravano un bocciolo di rosa. Ma quando lo sguardo si posava sugli occhi tutto il resto svaniva. Quegli occhi sensuali e pericolosi. Azzurri come gli zaffiri più preziosi. Pallidi come il ghiaccio perenne e altrettanto freddi e crudeli. Inuyasha era certo che la sua vera forza trasparisse proprio da questi. E difatti non riusciva mai a smettere di guardarli una volta che iniziava. Come se fossero in grado di stregarlo e farlo prigioniero.

“ Ti chiedo davvero di mantenere il segreto.” Disse lei all’improvviso, lo sguardo perso lontano, nelle luci infuocate della città che si stagliava maestosa e frenetica ai loro occhi. Sembrava che le costasse fatica pronunciare quelle parole, come se dovesse estrarle a forza dagli angoli reconditi della sua gola.

Kagome voltò la testa di scatto e i suoi preziosi zaffiri lo penetrarono fino in fondo all’anima. E non ci fu verso di staccarsi.

“ Non ci sono solo io in gioco in questa partita, ma le vite di decine di persone. Un solo passo falso può mettere in pericolo quanta più gente di quanto tu possa immaginare. Un errore può compromettere una missione lunga un ventennio. E io ti posso assicurare che non permetterò che la lingua lunga di un ragazzino mandi a puttane anni e anni di lavoro e di sacrifici.” Il suo tono si era fatto concitato e sembrava il sibilo sordo di un serpente. “ Questo non è un gioco di società o di ruolo. Questo è il mondo reale. E che ti piaccia o meno ora ci sei dentro anche tu. Non ti resta che scegliere il modo per affrontare il tutto: facile o difficile! Ma ti avverto che se scegli la seconda opzione sarà la tua vita a trasformarsi in un inferno.”

 

“ Questo non è un gioco di società o di ruolo. Questo è il mondo reale.”

Stravaccato sul suo letto Inuyasha non riusciva a togliersi dalla mente quelle parole. Certo Kagome le aveva pronunciate con una freddezza tale che si era seriamente chiesto come mai il sangue non gli si fosse gelato nelle vene, ma restava il fatto che quel discorso sapeva più di avvertimento che di minaccia vera e propria. Per qualche strana ed oscura ragione quella ragazza così contorta aveva preferito metterlo in guardia piuttosto che impiantargli una pallottola dritta tra gli occhi. Che fosse perché Sesshomaru era suo fratello? No, non era possibile. Per quel poco che l’aveva vista aveva intuito che non si sarebbe certo fatta problemi ad impallinarlo se lo avesse ritenuto necessario. Aveva preferito avvisarlo, forse fargli capire qualcosa.

Inuyasha sapeva per esperienza indiretta che quando l’FBI ha le mani in pasta in qualcosa quel qualcosa è sempre sinonimo di guai. Grossi guai. Che ovviamente inglobano tutto e tutti senza pietà alcuna per delle povere anime innocenti e pure. Proprio come lo erano stati lui e sua madre anni addietro.

Suo padre era stato un pezzo grosso della polizia giapponese, e suo figlio maggiore aveva seguito le sue orme passo a passo. Ma se questa era stata la loro scelta allora Inuyasha non aveva mai capito cosa diavolo centrassero lui e sua madre. Niente! Ecco cosa. Erano innocenti, estranei a quella catena di morte e spionaggio che avevano legato fra loro Giappone e Stati Uniti. Estranei a quella notte d’inferno che aveva avvolto la loro casa e gettato due anime pure nel turbinio degli eventi. Per una d’esse l’uscita era stata la morte per la salvezza dell’altra.

Inuyasha si tirò a sedere velocemente e sbatté un pugno sul muro.

“ DANNAZIONE!”

I polmoni bruciarono immediatamente per la forza dell’urlo improvviso risvegliandolo dal torpore dei ricordi in cui era caduto. Non voleva ricordare. Non doveva ricordare. Ricordare il sorriso dolce di sua madre; ricordare la mano burbera di suo padre che si concedeva di spettinargli i capelli con fare giocoso; ricordare le lotte scherzose con quel fratellastro troppo più grande di lui ma che lo faceva comunque divertire.

Non doveva ricordare il passato.

Chiuse violentemente i suoi occhi ambrati mentre, in contemporanea, dall’altra parte della città, una ragazza apriva i suoi, grondanti d’ansia.

Kagome non era una persona che si lasciava trasportare dalle emozioni, tutt’altro. Riusciva a controllarsi perfettamente in qualsiasi situazione si trovasse: non era stata addestrata a caso! All’FBI sapevano tutti che, qualora ci fosse stato uno scontro a fuoco, chiunque l’avesse scatenato avrebbe avuto come premio un mese o due in terapia intensiva. E lo stesso valeva negli interrogatori. Svuotavano tutti il sacco quando quegli occhi di ghiaccio prendevano a fissarli fino a fargli credere che lei stesse leggendo loro nella mente. Lei era così.

Ma ciò contro cui Kagome non aveva mai imparato a misurarsi veramente era il proprio passato. Ci aveva provato. Davvero. Ma niente era servito. Ne l’incoscienza di affrontare i fatti prendendoli di petto, ne il coraggio di scavare dentro di se, lentamente, arrivando quasi al punto di corrodersi, riuscendo a fermarsi un attimo prima, dove l’oscurità non era totale e risalire per riprendere aria ancora fattibile.

E ora, a 10 anni da quegli eventi che l’avevano segnata per sempre, l’angoscia di quegli attimi era tornata viva, e si era fatta strada dentro di lei con maestria. Aveva iniziato a spingere sulle pareti del suo cuore già maciullato, e come un tarlo rosicchiava qua e là piccoli brandelli, in attesa che il cedimento giungesse definitivo.

Kagome si mise lentamente seduta passandosi una mano sulla fronte madida; il respiro affannato si stava chetando, le pupille restringendosi, le mani tremavano con meno forza. E lei rimase lì, immobile. Doveva ritrovare il controllo. E quei dannati esercizi che tanto aveva odiato una volta tanto si rivelarono utili.

Si alzò dal letto e, nel farlo, incontrò gli occhi della se stessa nel riflesse dello specchio. Erano azzurri e gelidi come sempre, ma l’angoscia e l’inquietudine avevano iniziato a serpeggiare in essi. Per un attimo il suo sguardo smarrito le ricordò quello di Inuyasha. Ma prima che potesse fermarsi a pensare a quel ragazzino il cellulare vibrò violentemente distogliendola dai pensieri. Si voltò con uno scatto.

Era il cellulare dell’FBI. Era quel cellulare a numero sicuro che usava solo per i casi d’emergenza.

Lo prese con uno scatto e lo portò all’orecchio.

“ Pronto.”

La voce al di là dell’apparecchio la conosceva bene. E mentre veniva messa al corrente della situazione tutto il resto sparì. C’era solo lei, chiusa in quella bolla ch’era il suo lavoro, il suo caso. Scomparve tutto, tranne la voce di Kaede che sciorinava svelta e concisa i fatti.

Dieci minuti dopo era già uscita di casa.

 

Il rumore delle pistole che vengono caricate era ritmico e quasi rassicurante; il parlottio sommesso stava a significare che c’era già un piano, mancavano solo dei ritocchi; i giubbotti antiproiettile sfregavano contro le maglie degli agenti quando questi camminavano o muovevano le braccia. Era la calma prima della tempesta. Era la preparazione oculata che preannunciava l’inizio, forse, di uno scontro a fuoco. Era ciò che contraddistingueva il suo mondo.

“ A che punto siamo?” Chiese perentoria avvicinandosi ad un gruppo di agenti che, cartina appoggiata al cruscotto di una macchina, parlottavano fitto.

“ Siamo pronti ad entrare in azione.” Rispose rapidamente un uomo alla sua destra.

“ Dettagli da limare?”

“ Nessuno.”

Kagome annuì decisa e poi osservò rapidamente la cartina. Anzi: le cartine. Una indicava la zona della città in cui si trovavano, l’altra era una pianta del palazzo che le stava davanti.

Osservò attentamente l’edificio. Era un vecchio grattacielo abbandonato, i cui piani inferiori erano forse stati usati precedentemente come magazzini da trafficanti esperti. E in quanto tali non avevano lasciato tracce quando avevano spostato i loro sporchi affari in un’altra zona.

“ Obbiettivo?” Chiese la mora distogliendo lo sguardo dal palazzo.

“ Abbiamo intercettato una chiamata nel pomeriggio. Pare che ci sia un grosso carico di armi in arrivo dall’America. Lo scambio dovrebbe avvenire tra le cinque e le sei di questa mattina.” La informò la donna che le stava davanti. “ Tuttavia non li abbiamo ancora visti entrare.”

“ Possibili vie di fuga o altro?”

“ Quattro in totale: nord, sud, est e ovest. I condotti dell’aria sono inaccessibili in quanto troppo stretti. Nessun montacarichi o ascensori privati. C’è un’altra entrata sul lato opposto a questo ma non ci potevamo appostare lì perché eravamo troppo in vista.” Le snocciolò l’uomo di prima.

“ Molto bene.” Asserì Kagome con un’occhiata rapida. “ Voglio tre squadre: due con me e una con Wilkins. Quelle con me sulla scala est, l’altra sulla scala ovest. Li prenderemo in mezzo. Vivi, mi raccomando.”

Tutti gli agenti annuirono.

Giubbotto antiproiettile; occhiali con luci per vedere nel buio; revolver nello stivale destro, pugnale in quello sinistro; due calibro 9 in vita e una semiautomatica in mano; auricolare, guanti e cappello.

Quando tutto fu pronto Kagome fece un rapido segno con la mano ed entrambe le squadre entrarono rapidamente nell’edificio separandosi quasi subito, dirette verso le due scale. Erano silenziosi e agili come gatti. Nessuno li avrebbe sentiti arrivare. Sembrava che strisciassero sul pavimento come serpenti, pronti a colpire la preda alle spalle. I loro occhi erano vigili nel buio che potevano scrutare grazie agli occhiali, e sondavano ogni millimetro che percorrevano.

Kagome li osservò per un momento senza distogliere l’attenzione dalla missione. Erano bravi, i migliori che l’FBI avesse a disposizione. Erano agenti particolari, addestrati in maniera diversa dagli altri. Entravano in azione quando nessun altro poteva nulla, quando le squadre normali fallivano miseramente.

Una donna dietro di lei – la stessa che prima l’aveva messa al corrente della situazione – la fissò per un momento. Kagome ricambiò lo sguardo brevemente prima di farle un cenno con la mano. Lei capì al volo.

Si, pensò la mora procedendo sicura. Funziona così. Nessuna insicurezza, nessun tentennamento. Fiducia gli uni negli altri: poche parole e tanta azione!

Le due squadre capitanate da Kagome si divisero; una seguì la mora e una seguì l’altra donna. Procedevano parallelamente sui lati opposti del corridoio e poi di nuovo su per le scale. Quando giunsero al terzo piano Kagome sbirciò dentro il grande atrio sulla sua destra. Erano una ventina in tutto, dieci da un lato e dieci dall’altro.

Armamenti pensanti e qualche assicurazione di certo nascosa sotto quei giubbotti. Registrò questo la mente rapida di Kagome dopo una rapida occhiata.

“ Squadra A a squadra B. Rispondete.” Chiamò attraverso l’auricolare.

“ Qui squadra B. Vi sentiamo forte e chiaro.”

“ Dove siete piazzati?” Chiese la mora tornando a piazzarsi dietro al muro.

“ Proprio davanti a voi.”

“ Molto bene.” E mentre diceva questo la mente di Kagome già elaborava rapidamente un piano. Le ci vollero solo una manciata di secondi prima di avere la situazione chiara nella sua mente, come se qualcuno le avesse disegnato una cartina da seguire. “ Squadra A e squadra B: quando do il segnale entreremo in azione. Squadra C: da copertura. Passo e chiudo.”

Sentì distintamente l’assenso generale e tornò a concentrarsi sugli uomini presenti nell’atrio. Se non altro erano numericamente pari. E anche in quanto ad armamenti non dovevano essere in svantaggio. A questo pensiero ghignò divertita e spostò lo sguardo dietro di lei dove, lo sguardo verde scuro puntato su di lei, un uomo di circa trent’anni aspettava il suo segnale.

James Pevensie, l’armamentario portatile della loro squadra. Capelli neri legati in una coda bassa e un paio d’occhi da far invidia alle fronde dei pini secolari. Quel trentenne con lo spirito di un ragazzino sedicenne riusciva a portare in missione una quantità tale di armi che lei, nonostante gli anni, non aveva ancora capito come facesse. Era peggio di un carro armato! E dire che non ne aveva proprio il fisico.

La ragazza gli lanciò un’occhiata significativa e lui rispose con un ghignò battendosi la mano sul petto: se succedeva qualcosa erano coperti. Lei annuì distrattamente.

“ A quanto sembra è tutto regolare.” Disse una voce proveniente dall’interno del salone. E a Kagome gelò il sangue nelle vene. A lei. A lei che incuteva timore al solo guardarla. A lei che era conosciuta all’FBI con il nome di Hell Angel.

Irrigidì il corpo all’istante. Quella voce… Quella dannata voce…

Chiuse gli occhi e respirò a fondo cercando di calmarsi. Non era il momento più opportuno per perdere la calma. C’erano persone che contavano su di lei. Aveva la responsabilità di 19 vite oltre che della riuscita della missione. Serrò maggiormente le dita sulla pistola e osservò la scena che le si parava davanti. Si, non poteva sbagliare: era lui! Quella lunga cicatrice sull’occhio sinistro non poteva non riconoscerla anche se si trovavano in un luogo poco illuminato.

E allora a Kagome non rimase che svuotare la mente e lasciare che il nulla riempisse i suoi pensieri. Doveva far si che istinto di sopravvivenza e ragione collaborassero all’interno di lei per la buona riuscita della missione. Lo doveva soprattutto a se stessa.

Vide con la coda dell’occhio i trafficanti concludere l’affare con una stretta di mano. Nel momento in cui si voltarono per andarsene diede il segnale.

“ Andate già via?” Chiese con voce fintamente dolce sbucando fuori all’improvviso, seguita dalla squadra A e dalla B, mentre la C faceva come gli era stato ordinato e si disponeva per la copertura.

Bastò la sua voce e il panico fu generale. I trafficanti estrassero rapidamente le pistole puntandole loro contro, ricevendo in cambio lo stesso trattamento. E la situazione si bloccò. L’attimo di stallo in cui tutto sembrava sospeso nel vuoto. L’attimo che fu quasi fatale.

Kagome, i cui occhi avevano vagato su tutti i presenti per una manciata di secondi, fece appena in tempo a vedere la sicura della bomba a mano che veniva tolta con una scaltrezza impressionante.

“ GIÙ!”

Non riconobbe il suono della sua voce quando urlò, ma il resto della squadra si. Si lanciarono tutti a terra o di lato mentre, con uno scatto repentino, Kagome saltava all’indietro nella speranza di non farsi investire dall’esplosione. E in parte ci riuscì.

Quando la bomba esplose la violenza fu tale che venne sbalzata didietro sbattendo la schiena e la nuca contro il muro più vicino. Quando aprì gli occhi un rivolo di sangue glieli appannò.

Intorno a lei, intanto, lo scontro a fuoco si era scatenato. L’esplosione aveva distrutto parecchi muri e anche un pezzo di pavimento, ma per fortuna tra i suoi uomini non c’erano morti, soltanto qualche ferito.

Si alzò rapidamente da terra e recuperò la pistola colpendo un paio di uomini dritti alle rotule. Veloce ed efficace. Poi un’altra esplosione, stavolta da parte di James. Prima o poi avrebbe eretto una statua a quell’uomo. Era nell’atto di sorridergli quando le sue labbra si congelarono. Una fitta micidiale al braccio sinistro la costrinse a inginocchiarsi rapidamente.

“ Cazzo!”

E poi la vide. La pistola puntata contro di se; lo sguardo maniacale di quell’uomo con la cicatrice che già in passato era arrivato a tanto dall’ucciderla. Sentì la sua mano agire da sola e sparare contemporaneamente a lui. Ah, bastardo spirito di sopravvivenza.

   
 
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