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Autore: isidrinne    01/09/2011    1 recensioni
I mannari esistono... Vivono con noi e fra di noi. Richard ce ne dà testimonianza in questa storia originale (la mia prima completamente tale) che racconta la sua esperienza al fianco di un capobranco di nome Rutger von Hasenberg. E alla fine di ogni capitolo un bonus out of storyline sul branco e sui suoi significati profondi...
Genere: Avventura, Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il branco
Il branco
by Isidrinne

Salve! :D Questa è la terza delle mie tre storie di "debutto.

È lunga, forse, ma proprio non potevo suddividerla in capitoli.

È la prima fiction completamente originale e senza guest stars ma devo per dovere specificare che l'idea dei mannari di questa storia e il concetto di branco che descriverò sono stati sviluppati in totale
 autonomia da quelli utilizzati dalla scrittrice Charlaine Harris nel suo ciclo "The Southern Vampires Mysteries". Ogni riferimento ravvisabile è quindi da intendersi puramente casuale.

 Che altro dire? Che questa fic sia bella non lo posso dire io ovviamente, quindi in attesa di rispondere alle vostre recensioni (vi preeego non lasciatemi solaaaa!^.^),
vi auguro buona lettura, e come mia abitudine,
vi lascio tre baci.
Have a nice reading!


First telling: the beginning

«Mi ha fatto chiamare, signore?»

Lo sguardo astioso e gelido di con cui Thomas von Hasenberg mi accoglie mi fa tornare indietro di dieci anni rispetto al mio presente.

È lo stesso sguardo che rivolsi io a Rutger Von Hasenberg, suo padre, la prima volta che lo incontrai.

Era la classica notte buia e tempestosa in cui si bussa alla porta di una casa all’apparenza disabitata per farsi belli con gli amici, ma nulla in confronto a ciò che avevo dentro.

Freddo, stordimento, angoscia, era ciò che provavo mentre vagavo per la foresta fuori città completamente fuso e in crisi…

Di astinenza…

Mi era toccata la “fortuna“ di avere un padre a cui non importava niente di me e una madre che non ha mai avuto il coraggio di tenergli testa, neppure quando ha voluto sbattermi fuori di casa perché non volevo lasciargli fare i suoi comodi con me.

Quella notte fu l’apoteosi della sua vendetta: dopo essermi ridotto veramente male sia mentalmente che fisicamente per causa di quel verme, avevo trovato uno scatolone in uno dei palazzi di cemento in eterna  costruzione che componevano una parte del sobborgo industriale.

Era quella la mia cuccia da un po’, quando due tipi all’apparenza normale, giacca e cravatta, camicia fresca di amido, occhiali Ray-ban all’ultima moda, mi stanarono costringendomi a correre finché, una volta raggiuntomi, mi strapparono di dosso maglietta, jeans ed orgoglio, il tutto sotto gli occhi compiaciuti del pervertito malato di mente il cui sperma aveva contribuito a trascinarmi in questo mondo.

Prima che avvenisse l’irreparabile riuscii a darmela a gambe quasi completamente nudo e con il poco di forza che lo stordimento e il freddo mi consentivano raggiunsi il limitare della foresta. Appena addentratomi nel folto della boscaglia mi accasciai semi incosciente.

Le uniche percezioni che avevo erano quelle allucinate di uno che stava per cadere preda di una crisi di astinenza, tremavo violentemente con il risultato di aggravare la pressione del fogliame secco e ruvido sui graffi che mi ero procurato.

In quella sorta di dormiveglia febbricitante ero consapevole solo di tremare… e pregare…

Pregavo di non venir raggiunto da mio padre e dai suoi scagnozzi, pregavo di non morire di freddo e il secondo dopo che qualche spirito notturno avesse pietà di me e mi togliesse quella vita dannata che mi era toccata in sorte.

Due ombre indistinte portarono all’improvviso la luce in quell’oscurità. Strane ombre, quadrupedi, che si affannavano sul mio corpo steso sulla pancia…

E poi sentii due masserelle umide che mi scandagliavano scrupolosamente la schiena, e mugolii sommessi e per finire un lungo ululato dopo il quale… più nulla!

«Ehi Mathi! Guarda! Si sta riprendendo!»

Cosa?… Mi stavo riprendendo sì, ma dove mi trovavo?

Ero sdraiato sulla schiena, avvolto in qualcosa di caldo, confortevole e asciutto, ma non riuscivo a connettere e a capirci di più…

«Mf… Meno male, se no sai che palle Rutger quando arriva?»

«Mathi!!!… E se ti sente?!?»

Togli il ‘se’, chiunque tu sia, brutto bastardo! Ho sentito te e ho sentito il tuo compare, che non mi sembra entusiasta di avermi in casa sua. Ma sta tranquillo che non vi darò disturbo per molto'“.

Nonostante il tepore e il torpore in cui mi trovavo non riuscivo a sentirmi tranquillo e al sicuro e non aspettai altro che il momento buono per svignarmela anche da lì.

Momento buono che arrivò di lì a poco, almeno per quel che mi sembrò allora, quando il silenzio e il buio calarono sull’abitazione.

Cercai quindi di tirarmi in piedi nonostante fossi stremato dalla fame oltre che da altro, e riuscendoci quasi miracolosamente riuscii a raggiungere l’atrio di quella che doveva essere la dependance di una casa padronale in una grande tenuta di campagna, a giudicare da quello che i miei occhi appannati potevano percepire in quella penombra.

Le mie mani toccarono a tentoni una rastrelliera porta fucili accanto alla porta dell’antingresso prima di riuscire ad afferrarne la maniglia per cercare di aprirla il più silenziosamente possibile.

Guadagnato l’angusto spogliatoio utilizzato d’inverno per liberarsi di sciarpe e giacconi prima di entrare nella calda e confortevole abitazione interna mi credevo ormai libero di poter continuare il suicidio che era ormai diventata la mia vita di vagabondo solitario senza fissa dimora, che ai miei occhi di ragazzo vessato e privato di ogni dignità fin dall’infanzia era comunque un’opzione più desiderabile dell’avere a che fare con quella gente nella quale non riponevo più la minima fiducia.

Solo la porta che dava sull’esterno si frapponeva tra me e la libertà, almeno così pensavo finché non ho fatto scattare la maniglia anche di quell’ultimo ostacolo.

«RRRRRRRRR!!!…»

Un ringhio sordo e perfettamente udibile, proveniente da un muso arricciato a snudare delle zanne lunghe, appuntite e minacciose mi congelò sul posto mentre stavo per fare un passo nel gelo notturno illuminato da una falce di luna crescente ora ben visibile in cielo.

Il muso apparteneva a un grosso lupo dal pelo striato di tutte le tonalità più calde del marrone, e dietro di lui, più intimidito, forse, ma in ogni caso determinato a mantenere la posizione, un altro lupo fulvo ma con diverse striature d’argento lungo il corpo si muoveva ansioso uggiolando come un cucciolo impaurito, ma comunque intenzionato anch’esso a non farmi muovere di un passo da dove mi trovavo.

Erano entrambi, ciascuno a modo proprio, ben decisi ad impedirmi di mettere in atto il mio piano di fuga prima che quel Rutger di cui parlava uno dei miei ospiti umani fosse arrivato.

Il lupo più aggressivo mi ricacciò indietro fino alla porta interna dell’antingresso che essendo rimasta socchiusa cedette sotto il mio peso facendomi rovinare disastrosamente a terra consentendo al lupo di piantarmi una zampa sul petto e il suo muso ringhioso a pochi centimetri dalla faccia.

Avendo perso di vista l’altro lupo, ero troppo impaurito per poter seguire gli spostamenti di entrambi, non avevo notato quello di cui in seguito mi resi conto e che mi lasciò sbalordito.

«Dai Mathi! Smettila! Lo hai terrorizzato abbastanza. non ci proverà più»

Era il biondino rispondente al nome di Joachim che cercava di convincere il lupo a smettere di opprimermi.

Il lupo si scostò a sufficienza per consentirmi di rimettermi in piedi, mi squadrò dal basso con due occhi color ambra socchiusi a sottolineare un ghigno feroce e minacciose zanne che promettevano ferite profonde in caso di ulteriore tentativo di fuga e trotterellò via lasciandomi alle prese con l’umano che mi tese la mano amichevolmente.

«Avanti! Non abbiamo cattive intenzioni…» tentò di essere rassicurante.

«… Anche perché il nostro capobranco ha deciso che ci fa a fettine se ti succede qualcosa di brutto» si intromise un ragazzo dalla pelle olivastra e i capelli rossi e lo stesso taglio obliquo del lupo feroce.

Se il biondino allampanato dagli occhi dolci aveva fatto un tentativo per mettermi a mio agio provando a convincermi con le buone a rimanere, quasi riuscendoci, il sopraggiunto roscio muscoloso e sgarbato era riuscito in un nanosecondo a distruggere l’operato dell’altro, facendomi rimettere sulla difensiva.

«Insomma Mathias!» stavolta il tono del biondino era più minaccioso e temerario e rivolto al compagno  «Smettila di essere così ostile! Cosa ti ha fatto?!! in fondo è una vittima, non il carnefice»

Mathias si strinse nelle spalle dopo aver squadrato  il compagno sorpreso dalla sua temerarietà «Mica ne siamo certi.. E poi oggi niente caccia» sospirò come se quello che chiamava caccia fosse per lui fondamentale e gli fosse stato negato perché doveva farmi da balia insieme al compagno.

«Andiamo! Non hai nulla da temere da noi!» esordì al mio indirizzo il biondino cercando di rimediare al pasticcio psicologico combinato dal compagno «Noi ti abbiamo trovato mezzo morto e ora stai meno peggio di prima no?… Il mio nome è Joachim e il brontolone ringhioso laggiù invece si chiama Mathias, ma questo credo che lo avrai capito da solo» concluse indicando Mathias che nel frattempo si era  portato vicino alla finestra del salone e stava osservando fuori ascoltando quasi in adorazione l’ululato lupino proveniente dall’esterno.

L’ultima battuta di Joachim mi strappò un sorriso. Brontolone ringhioso… In effetti non si poteva trovare una definizione più appropriata per quell’essere così scontroso e… Meno peggio? Sì, in effetti mi sentivo meno peggio, almeno mi reggevo in piedi, però… La mancanza di droga si stava facendo sentire con forza, tanto da rendermi comunque privo di difese anche contro Joachim che dei due sembrava il meno fisicamente dotato.

Il mio corpo decise quindi al posto mio di costringere anche la mia mente a fidarsi e precipitai addosso a Joachim del tutto privo di forze.

Mi risvegliai il giorno dopo. Il sole era già alto anche se il cielo plumbeo e la foschia bassa toglievano luminosità alla giornata. Mi trovavo avvolto in una coperta sdraiato su un divano nello studio adiacente all’ingresso Un’occhiata distratta alla pendola a muro mi fece capire che era ormai pomeriggio inoltrato.

Mi sentivo meglio di quando ero stato salvato mio malgrado dalla morte per assideramento; ero asciutto, al caldo, con la mente meno annebbiata e sotto lo sguardo scrupolosamente attento di un uomo sulla cinquantina, alto, robusto, con barba ordinata e capelli color mogano brizzolati di un grigio argenteo.

I suoi modi si rivelarono piuttosto rudi «Ah Bene! Sei sveglio… Coraggio alzati»

Ero nudo, e ci misi un po’ a realizzare la richiesta, fatta in un tono che non ammette repliche né, tantomeno, rifiuti.

«Avanti! Obbedisci!»

Lo sguardo di quell’uomo, nocciola con screziature d’ambra, aveva un che di feroce che non fece altro che sottolineare la perentorietà di quel richiamo.

Non potei fare altro che alzarmi stiracchiandomi come mi fossi appena svegliato nella mia camera pronto per la prima colazione insieme ai miei genitori.

Appena in piedi, l’uomo mi fu addosso stringendomi le spalle e avvicinandomi a sé. O meglio, avvicinando il suo naso alla mia schiena, che percorse millimetro per millimetro indugiando anche sulle scapole e inspirando come un cane che mi stesse annusando per la prima volta.

«Cocaina, marijuana, ecstasy… E potrei continuare!…  Complimenti! Il tuo sangue è un campionario di schifezze da far diventare verdi d’invidia i cartelli colombiani della droga!… Da quant’è che ti fai!?!»

Quella domanda scatenò la mia ira e mi girai inferocito a sostenere il suo sguardo con pari tenacia e strafottenza, cosa che sulle prime lo sorprese.

Ma il suo piglio autoritario non diminuì, anzi…  «Allora?… Da quando?!!»

Non ce la feci a mantenere il controllo e le lacrime cominciarono a rigarmi il volto mentre continuavo a fissarlo rabbiosamente.

Chi era per dare un giudizio così negativo e affrettato su di me? E dal momento che tutto lasciava supporre che fosse lui il famigerato Rutger di cui Mathias e Joachim temevano l’ira se mi fosse successo qualcosa, perché si stava dimostrando così ostile nei miei confronti?

Il lungo momento di stallo fra noi ebbe termine quando mi girai di scatto per raccogliere la coperta e lui me lo impedì afferrandomi alla nuca con una mossa fulminea, esattamente come si prende un cucciolo per la collottola per rimetterlo al suo posto se si dimostra indisciplinato.

Da quella presa venni spinto contro la parete e sentii incombere su di me tutta la forza di un corpo abituato a lottare.

Non ho mai capito come, ma riuscii a girarmi per fronteggiare il “nemico“ faccia a faccia.

Lungi dall’essere rassegnato alla prigionia o neanche lontanamente fiducioso nella buona fede di chi mi costringeva spalle al muro, tuttavia decisi di raccontarmi almeno per quel poco che mi aiutasse a capire cosa ci facevo lì.

«Per te devo per forza essere io a farmi?» sibilai con l’astio velenoso di un serpente che sente di non avere via di scampo.

Lo sguardo della persona che avevo davanti mutò impercettibilmente, virando verso un leggero dubbio circa il potersi essere sbagliato al mio riguardo. Senza aprire bocca affondò il volto nei miei capelli arruffati per poter avvicinare il naso al mio collo, dopodiché tornò a fissarmi, severo.

«Quindi mi vuoi dire che il primo buco non è stato volontario…»

«Ce n’è stato solo uno…» ammisi riluttante «E no!, non è stato per mia volontà… Ma perché ti frega tanto saperlo!?!»

Ero esasperato: quell’uomo non si era presentato, tutto si era dimostrato fuorché amichevole, anzi aveva insinuato niente meno che io potessi essere un drogato senza speranze senza neppure domandarsi come mai ero inseguito da tre energumeni, palesando una noncuranza spietata per le mie condizioni fisiche e psicologiche, e in quel momento io ero addirittura nelle condizioni di dovermi giustificare per poter almeno sperare di poter ricevere dei vestiti puliti e un pasto caldo che mi consentissero di abbandonare quel luogo.

E come se non bastasse, continuava a fissarmi, serio, impassibile e senza spiccicare parola mentre avrebbe quantomeno dovuto scusarsi per quelle calunnie gratuite e prive di fondamento.

Invece niente…

«Mi frega perché fra di noi non c’è posto per i drogati, ed è meglio che tu ne sia da subito consapevole»

«Fra di voi??»

Non avemmo il tempo né io di dare voce alle domande che mi affollavano la mente né il mio “ospite“ di fornire ad esse delle risposte, perché venimmo interrotti da un uragano di pelo uggiolante che mi sdraiò con un balzo scodinzolando forsennatamente per poi posarmi nuovamente le zampe addosso dopo il mio tentativo di rimettermi in piedi terminato con me in ginocchio.

La differenza con l’“assalto“ precedente fu che quello che mi strinse in un abbraccio caloroso e pieno d’affetto fu Joachim… In poche parole il lupo che mi aveva steso poco prima aveva lasciato posto e forma al ragazzo biondo e allampanato che in precedenza si era presentato con il nome di Joachim, mentre un secondo lupo, quello che mi aveva impedito la fuga la notte precedente, si era affacciato alla porta della stanza dove ci trovavamo sbuffando sommessamente.

Mi girai verso di lui appena in tempo per assistere a qualcosa di incredibile: il lupo che si alzava sulle zampe posteriori per rimanere perfettamente eretto mentre il pelo su tutto il suo corpo si accorciava fino a lasciare un corpo umano totalmente glabro… e nudo, come Joachim…

Il tempo che mi ci volle per riavermi dallo stupore, mi girai verso Rutger, sul quale lessi uno sguardo addolcito e al tempo stesso sconsolato.

«Sì, noi… Mi chiamo Rutger Von Hasenberg, industriale farmaceutico e capobranco di questi  cuccioli scriteriati… Anche se a volte dubito di esserlo davvero, capobranco, soprattutto quando ho a che fare con loro due!» concluse rivolgendo a Joachim e Mathias un’occhiataccia feroce.

Capobranco?!? Cosa mi ero perso, sbalordito come ero da quello che avevo appena visto e a cui mi rifiutavo ostinatamente di credere?

Rutger mi sorrise bonariamente prima di confortarmi con ulteriori informazioni. Ormai non aveva dubbi sul fatto che io fossi una vittima, e nemmeno remore sull’aprirsi completamente e spiegarmi ogni cosa.

«Non hai avuto un’allucinazione dovuta alla droga… Il lupo che ti ha buttato le zampe al collo è davvero Joachim e quello che si è trasformato davanti ai tuoi occhi è proprio Mathias… Due giovani del mio branco di mannari… piuttosto indisciplinati, devo dire!»

Mannari?

Rutger prevenne ogni mia obiezione «Ebbene sì! Esistiamo, e non siamo affatto succubi della luna piena che scatena istinti bestiali nella miserevole natura umana… Purtroppo non posso dirti di più sulla nostra natura, ma che possiamo assumere forma di lupo nelle notti di caccia, questo sì. Però non lo facciamo spesso: nelle notti di plenilunio amiamo riunirci per lo più per ululare, bere qualche birra e divertirci insieme senza far del male a nessuno che non voglia attaccarci o darci noia»

«Hemmm… Se sei il loro capo, non potresti ordinargli di vestirsi?» fu la sola cosa che riuscii a chiedere nonostante l’enormità di quello che avevo appena appreso sui miei ospiti.

Paradossalmente, infatti, l’unica cosa che riusciva a farmi sentire in imbarazzo era che Joachim e Mathias non avevano vestiti addosso.

Solo dopo quella mia richiesta Joachim per primo realizzò la situazione «Oddio! È vero! Scusami, non ci avevo pensato! Ero così felice che fossi puro da dimenticarmi le buone maniere!»

Mathias invece ghignò beffardo «Oh Poverina! La verginella ha paura che attentiamo alla sua virtù!»

Passando momentaneamente oltre il cosa volesse dire Joachim con essere contento che fossi “puro“ in quel contesto, seppur debole e stordito non sarei riuscito a trattenermi dall’inchiodare Mathias a fargli rimangiare a pugni quello che aveva sentenziato nei mie confronti… O almeno dal provarci con tutta la forza che il mio orgoglio in quel momento riusciva a spremere dal mio corpo, se Rutger non avesse alzato la  mano e la voce per ribadire la verità di quanto aveva affermato poco prima, di essere cioè il capobranco a dispetto delle circostanze che non deponevano a favore di tale affermazione.

«Insomma, cuccioli rognosi! Andate a rivestirvi, immediatamente e poi tornate qui, ma solo se sarete ben disposti verso il nostro ospite! TUTTI E DUE!!» terminò la frase rivolto, significativamente in cagnesco (forse è meglio dire in lupesco), verso Mathias che dei due si era sempre dimostrato il meno benevolo nei miei confronti.

Solo dopo aver seguito la traiettoria a scheggia di entrambi i suoi lupi fuori dalla stanza, Rutger tornò ad interessarsi al sottoscritto, che nel frattempo mi ero nuovamente accasciato sul divano, troppo stressato da quanto in precedenza appreso e dalla scioccante metamorfosi a cui avevo assistito.

Dimenticavo: anche il cocktail di droghe con il quale il mio caro paparino aveva cercato la notte prima di costringermi a sottomettermi alle sue voglie aveva contribuito a stordirmi, anche se non avrei saputo dire nemmeno allora in che percentuale.

«Ehi!… Tutto bene?»

«Mica tanto… Mi sembra di scottare»

Come riuscii a rispondergli non ne avevo idea allora e non ce l’ho neppure adesso, fatto sta che ebbi comunque, ripescata da non so dove, la forza di raccontargli come mai i suoi due lupi mi avessero trovato nella foresta escoriato, febbricitante e mezzo nudo.

«Sì, in effetti ho mandato loro due a controllare proprio perché avevamo annusato quattro tracce estranee al branco. Poi hanno trovato solo te, malconcio come eri, e ci siamo chiesti che fine avessero fatto i proprietari degli altri tre odori. Da quello che mi hai raccontato è evidente che se la sono data a gambe, sentendo rumore di passi e non avendo la coscienza pulita…»

Mentre mi parlava, percepivo più che vederlo chiaramente, che Rutger armeggiava con il mio braccio.

«Ti sto prelevando un po’ di sangue. Visto che per fortuna di tutti non hai alcuna intenzione di intraprendere la “via del buco“, dobbiamo rimetterti in sesto, e per farlo dobbiamo sapere esattamente con che cosa ti hanno drogato… Intendo, saperlo scientificamente, anche se il mio naso non ha mai commesso un errore da che sono cresciuto»

Non ne comprendevo il motivo, ma proprio non riuscivo ad essere terrorizzato all’idea di essere alla mercé di tre esseri spaventosi e assetati di sangue e carne umana, almeno questo è come ero stato abituato a considerare i mannari. Non mi sentivo affatto alla mercé di qualcuno, anzi, piuttosto ero tranquillizzato dalla premura che ora Rutger stava dimostrando nei miei confronti.

E non pensavo affatto di avere davanti un essere pericoloso e maledetto… Piuttosto mi sembrava di avere da lui quelle attenzioni paterne che il mio genitore biologico (non me la sono mai sentita di chiamarlo diversamente) mi aveva sempre negato.

«Ecco fatto! Domani lo porto ai laboratori della mia industria. Il tecnico non farà domande: sono il capo!… Così sapremo con precisione da cosa disintossicarti… Nel frattempo fatti una bella dormita. Tieni»

Mi allungò un bicchiere con un liquido dal colore indefinibile ma con un ottimo profumo che non esitai a portare alle labbra fiducioso che non fosse veleno.

«È miele d’acacia con fiori di valeriana e un po’ di assenzio leggermente alcolico… Il mio personale biglietto per il mondo dei sogni»

E dopo averlo trangugiato avidamente dormii davvero un sonno beato e riposante.

Il giorno dopo mi svegliai molto confortato sotto il piumino in un comodo letto a baldacchino e guardato a vista da una testa vigile e attenta con le orecchie ben ritte posata sul materasso, i cui occhioni blu languidi e premurosi mi davano ben pochi dubbi su chi fosse il proprietario di quel muso e del naso umido che mi lambiva l’avambraccio.

«Ehi! buongiorno» lo salutai sorridendo con un grattino sulla fronte che Joachim mostrò di gradire con una musata e un guaito.

«Buongiorno!» mi sentii rispondere da Rutger dietro la porta, che varcò subito dopo con in mano un vassoio contenente una caraffa di succo d’arancia, dei croissant, pane croccante con affettati, una tazza di caffé e un bicchiere pieno di una strana bevanda verdastra.

Al contrario di qualche ora prima, forse spinto dall’odore nient’affatto gradevole che sprigionava dal bicchiere, alzai un sopracciglio sul bicchiere, dubbioso sul contenuto del medesimo.

«Lo so, fa arricciare il naso, ma è un toccasana contro la febbre… È una mistura di erbe tramandata  dalla nostra lupa anziana, la prima del nostro branco. Una che la sa lunga… Coraggio bevi! Il sapore non è esaltante, ma potrai rifarti la bocca con la colazione, il saporaccio sparisce al primo boccone… E il risultato è garantito e soprattutto duraturo!»

La lupa anziana… Non me lo feci ripetere, in fondo mi fidavo più di loro che del resto del mondo… Certo però che…

Nel frattempo Joachim era uscito dalla mia camera per poi rientrarvi in forma bipede, vestito seppur a piedi nudi.

«Ehilà! Va meglio, vero? Stanotte tremavi come una foglia, ma il sonno ti ha fatto bene, vedo!»

«Sì… Sto meglio… un po’, almeno…»

«Sono contento… Mi sono vestito, prima di tornare a trovarti, vedi?»

Rimasi sorpreso dal desiderio di Joachim di instaurare un rapporto con me. I suoi occhi amichevoli e sempre sorridenti non lasciavano dubbi sulla sua bontà e sulla determinazione a diventarmi amico.

Così come nessun dubbio potevo avere sul fatto di non risultare affatto simpatico a Mathias, che nel  tempo che avevo impiegato a tapparmi il naso e trangugiare l’intruglio della lupa anziana ripulendomi immediatamente la bocca con un boccone di croissant era entrato nella stanza in forma di lupo trotterellando vicino al mio letto per poi puntellarsi con le zampe anteriori sul materasso per potermi annusare.

Ogni fibra del suo essere lupo indicava chiaramente che era sulla difensiva, pronto a far scattare zanne e artigli su qualunque tentativo di approccio da parte mia.

Non provai neppure ad allungare una mano verso di lui, ma all’improvviso mi trovai davanti Mathias umano che mi porgeva un bicchiere di succo d’arancia col viso rivolto verso la porta della stanza.

Per i lupi distogliere il muso e non guardare negli occhi chi hanno davanti è un chiaro segno di pacificazione: non me l’aspettavo proprio da quel lupo così fiero.

«Non ti detesto… del tutto… È solo che il tuo odore… Grr!» altra cosa che mi stupì non poco: ammettere che non gli dispiacevo non era proprio da lui.

«Cos’ha che non va il mio odore!?» protestai un po’ piccato, senza tenere conto che ai lupi l’odore dice molte più cose di quanto faccia un discorso fra gli umani.

«Lo schifo che hai in corpo!» mi ringhiò contro fissandomi ferocemente negli occhi «Il suo odore mi fa venire voglia di azzannarti alla gola!»

Tutto chiaro.

«Ma non si è iniettato quello schifo da solo!» intervenne Joachim con veemenza «E poi… E poi vatti a rivestire! Ha ragione lui! Sei imbarazzante in questa forma completamente nudo!»

Che scenetta comica: il feroce e orgoglioso lupo color foresta autunnale zittito e rimesso in riga da un lupo probabilmente della sua stessa età, ma che all’apparenza aveva più l’aspetto di un cucciolotto…

Per tutta risposta Mathias si alzò dal letto e passò davanti a Joachim sfacciatamente e con lentezza studiata, quasi volessi costringerlo ad apprezzare le sue… qualità fisiche, davvero notevoli nella forma umana.

Solo raggiunta la porta si girò ammiccando verso Joachim come se volesse invitarlo a seguirlo chissà dove, alla qual cosa Joachim reagì bruscamente mostrando quelli che in forma lupina sarebbero state zanne.

«Uff! Sei insopportabile» e gli corse dietro dopo l’ennesimo sberleffo ai suoi danni.

Preso com’ero dalle divertenti scaramucce dei due, mi resi conto solo quando mi parlò che Rutger era uscito dalla stanza per poi ritornare sventolando trionfante un fascicolo che teneva in mano.

«Non mi sbagliavo! Ne ero certo! Gli esami confermano l’analisi del mio fiuto, che peraltro non ha mai sbagliato un colpo… Ehi, ma che ti prende?»

Entrando e vedendomi così imbambolato mi sarei preoccupato anche io del mio stato di salute.

«No, niente!… Solo… Quei due… Mathias e Joachim, intendo… Sono…?»

Non riuscivo a formulare compiutamente il pensiero che mi frullava in testa, ma Rutger a una reazione simile alla mia doveva esserci abituato, perché mi tolse quasi subito dall’imbarazzo sorridendo per una domanda che non sentiva di sicuro per la prima volta da me.

«Gay? Ma no! Che abbiano condiviso la tana da cuccioli e si rotolino spesso insieme quando il branco si riunisce non implica l’omosessualità. Sono gesti che creano legami di branco e rinsaldano il senso di appartenenza di ciascun lupo. Certo a chi non ci conosce e ci vede solo nella forma umana può sembrare diversamente»

Sorrisi «Cose da lupi, insomma!»

«Sì, un po’ come tra gli umani il vestirsi in un certo modo o l’ascoltare un certo tipo di musica identifica alcuni gruppi di giovani»

Ne avessi avuto bisogno, quella frase sarebbe stata un’ulteriore prova che di umano Rutger, Mathias e Joachim avevano soltanto l’aspetto.

«Cosa?» mi chiese notando il mio sguardo pensieroso

«Insomma…» tentennai, ma solo per un breve istante: era irrazionale, privo di ogni fondamento, folle, addirittura, ma io mi fidavo di quell’essere e sentivo di potermi aprire con lui e per la prima volta nei quindici anni della mia vita fino ad allora disperata.

«Insomma, voi di umano avete solo l’aspetto…»

Formulata ad alta voce, quell’osservazione mi sembrò offensiva, e me ne pentii immediatamente, ma Rutger si limitò a sedersi sul letto all’altezza del mio volto, sorridendomi comprensivo.

«Sì e spero che non sia un problema per te. Siamo una razza antica, molto più della vostra, e per sopravvivere abbiamo accettato questo compromesso»

«Compromesso… Per voi quindi è soltanto un modo per non essere braccati…»

«Assolutamente no… Il fatto che la usiamo per non essere riconosciuti non vuol dire che la vostra forma non ci piaccia… Ha indubbiamente vantaggi e lati piacevoli… La nostra vera natura non è umana, ma se  per proteggerci abbiamo deciso di assumere la vostra forma tra le tante che avremmo potuto scegliere è proprio perché ci piace il vostro odore»

Il nostro odore… un tipico ragionamento da lupo…

«Ti ho offeso in qualche modo?»

«No… Pensavo che quello che hai appena detto è molto… lupesco»

«Vero… Per quanto ci possiamo reggere sulle zampe posteriori ed esprimerci come voi non possiamo fare a meno di ragionare come i quattrozampe che siamo in realtà… Ma passiamo a cose molto più importanti… Per te» e tornò a sventolare il fascicolo.

«Oh!» esclamai con un pizzico di delusione: mi sarebbe piaciuto saperne di più su quelle strane creature.

«Ma come?!! Mi aspettavo un po’ più di entusiasmo da uno che è stato drogato contro la sua volontà. Ora sappiamo nero su bianco di che sostanze era composto il cocktail che ti hanno iniettato, così potremo disintossicarti»

Il mio entusiasmo per la notizia rifiorì in un battibaleno: in effetti non mi pareva vero di aver trovato un simile e disinteressato aiuto.

Disinteressato, appunto… Ma lo era davvero?

«Ti stai chiedendo perché ti aiuto, vero?» mi chiese d’un tratto Rutger, probabilmente avendo letto nel mio sguardo una nota di diffidenza.

Abbassai lo sguardo un po’ mortificato, non sapendo cosa rispondere.

«È perfettamente normale essere diffidenti: in fondo non ti conosco se non per quello che mi hai raccontato, e intendo lo stesso darti una mano… Suona strano anche per un lupo abituato a lottare contro tutto e tutti, ma vedi… la notte che ti abbiamo trovato l’aria aveva un profumo di antichi ricordi che ho riconosciuto soltanto quando Joachim e Mathias mi hanno chiamato vicino a te… È un ricordo di un mio antenato, che ha avuto a che fare con voi umani in un periodo in cui ci davate la caccia… Chissà, forse sei un pronipote di quel cacciatore, fatto sta che hai un odore che mi è stato subito familiare…»

Odore familiare… 

Vero, nei pochi mesi di scuola che ho frequentato prima di diventare un bocconcino appetitoso per quel pervertito di mio padre, avevo studiato che i lupi basano il loro comportamento sugli odori. Se gli capita qualcosa, il loro naso registra tutti gli odori associati a quel fatto e a seconda degli stimoli di piacere o di paura che essi generano, i lupi catalogano l’esperienza come positiva o negativa.

«Sai?» mi incalza Rutger «Tanto tempo fa, quando in questa foresta non esistevano ancora né costruzioni in cemento, ma soltanto baracche di legno abitate da boscaioli e dalle loro famiglie…»

---✻---✻---

«Presto! Correte!… L’ho visto, è da questa parte…»

Corro anch’io, ma non riesco a capire il perché di tanto accanimento.

I lupi sanno rispettare chi a sua volta li rispetta, non vedo proprio che ragione ci sia di sterminarli per il timore di un fatto che non si è mai verificato e mai si verificherà, che cioè il branco affamato scenda in paese e che le greggi che allevano laggiù possano essere sterminate.

Paura del tutto infondata: questa foresta offre al branco di che nutrirsi senza bisogno di predare altro.

Io lo so bene, noi boscaioli lo sappiamo bene, ma nessuno di noi ha il coraggio di andare contro il capo del villaggio ai piedi della montagna, dovendo per forza attraversarlo con i tronchi al traino per portarli al fiume, una via per la segheria.

Per questo io, in questa caccia è toccato a me, seppur a malincuore, per questa assurdità corro insieme ai cacciatori, per guidarli attraverso i sentieri meno liberi dalla vegetazione, che solo un boscaiolo conosce.

«Eccolo!… Dannazione! L’ho colpito, ma solo di striscio… Però è ferito, non durerà molto, e allora…»

No! Non posso sopportarlo! Quella povera bestia, la cui sola colpa è quella di esistere, adesso sta perdendo sangue, e con il passare del tempo si sentirà sempre più venir meno le forze, mentre non può fare a meno di correre se non vuole essere ucciso…

Per fortuna ha ancora abbastanza vigore da distanziarli, e da questo punto io conosco una scorciatoia che porta alla radura dell’albero nero, dove sicuramente è diretto anche il lupo, perché un albero abbattuto dal fulmine, per questo detto nero, offre un riparo abbastanza sicuro a qualunque essere nella foresta ne abbia necessità.

Mi stacco dal gruppo dei cacciatori, cercando di non farmi notare, e inizio a correre a perdifiato sperando di distanziarli.

Credo di avere successo, perché quando raggiungo la radura il suo silenzio immobile mi accoglie con un abbraccio di foglie e aghi di pino… E lì lo vedo, appoggiato all’albero nero…

Vedo un lupo giovane e dal pelo bruno screziato d’argento dolorante ad una zampa posteriore che tiene alzata zoppicando vistosamente mentre si accascia esausto perdendo quasi il controllo di sé…

Mi avvicino e quando sono a pochi passi da lui il lupo, di cui riesco ad ammirare la bellezza e l’armonia flessuosa del corpo, rinviene e per un riflesso difensivo mette in atto uno dei trucchi che i lupi hanno sviluppato per confondere gli umani, e, nel tempo di un respiro, al suo posto un giovanetto dalla pelle candida mi guarda con gli stessi occhi ambrati del lupo ferito. Anch'egli ha un profondo taglio sulla coscia, segno di una ferita da freccia, esattamente come il lupo.

Mi guarda con l’espressione insieme aggressiva e terrorizzata di chi crede di non aver più scampo e che la sua sorte sia già segnata per il peggio.

All’improvviso ecco che il brusio del gruppo dei cacciatori che si avvicina sempre più mi distrae dalla contemplazione di quel corpo umano altrettanto armonioso e proporzionato di quello lupino.

Qualcuno dei cacciatori deve aver visto la direzione che prendevo… o forse erano riusciti da soli a trovare il sentiero maestro fino alla radura…

Fatto sta che devo fare in fretta o non riuscirò a mettere in salvo il lupo «Ti prego non cercare di mordere» lo imploro «dobbiamo fare in fretta o non ti salverai».

Pregando che mi avesse compreso allungo le mani verso di lui che sulle prime cerca di rinculare non riuscendoci, dopodiché si lascia prendere seppur provando a digrignare i denti, che nella forma umana risultava più una smorfia ridicola che una pericolosa minaccia.

Evitando i sentieri battuti lo porto alla mia capanna, che divido con la mia solitudine, non avendo una compagna, e lì gli pulisco la ferita e gli somministro un decotto di corteccia di salice, per scongiurare infezioni.

Lo osservo per un po' dopo averlo sistemato su un giaciglio di paglia coperto di pelle d’orso e prima di coricarmi a mia volta: trema debolmente sotto la pelle d'orso, ma di quel tremore che nei cani solitamente indica che stanno sognando mentre dormono.

Passano i giorni e la ferita del lupo guarisce completamente, ma lui, pur potendo andarsene, io non lo trattenevo di certo, né lo trattengo tuttora, rimane ancora al mio fianco.

In forma lupina quando vado a caccia, e si dimostra un abilissimo aiuto nello stanare le prede, ma soprattutto in forma umana, quando nella capanna, stanco per una giornata di lavoro, dopo aver mangiato mi sdraio accanto al fuoco intagliando un ramo per rilassarmi.

Allora lui, avvolto solo di una pelle d’orso, la stessa su cui aveva passato la convalescenza, mi si avvicina, e appoggia la guancia sulla mia spalla, strusciandola leggermente prima di lasciarla lì, mentre fissa come ipnotizzato le scintille di brace che si levano ogni tanto dal focolare.

Da qualche giorno, però, tre per l’esattezza, mi accorgo della presenza di una lupa color argento che se ne sta al limite della radura su cui ho costruito la mia capanna.

Non si muove, né emette alcun suono, ma noto che Kalu, questo il nome che ho dato al lupo che mi fa compagnia da un po’, appena la vede diventa irrequieto, in forma di lupo comincia a uggiolare come un cucciolo, in forma umana invece il suo sguardo d’ambra si incupisce e in entrambi i casi si stringe a me quasi in cerca di protezione.

«Ma perché, Kalu?» gli ho chiesto ieri sera, come se nella forma umana potesse rispondermi «Lei è una del tuo branco, no? Non ti va di tornare con i tuoi?», non ricevendo ovviamente alcuna risposta.

Oggi la lupa si è spinta fino a metà della radura, e si è sdraiata lì, come in attesa di qualcosa.

Kalu-lupo l’ha raggiunta e per un po’ ha mugolato agitandosi di fronte a lei, ricevendo in risposta sordi brontolii, dopo di che è tornato da me.

Come ogni sera, sto per dare inizio al rituale dell’intaglio del legno, ma Kalu-umano mi porta via coltello e pezzo di legno, costringendomi a sedere insieme a lui.

È nudo, e il pallore della sua pelle, per uno strano gioco illuminato dai raggi della luna piena che filtrano attraverso la finestra, lo fa sembrare scolpito nell’alabastro.

All’improvviso avvicina il viso al mio, la bocca rosea e morbida alla mia, più scura e screpolata, e dopo aver  posato le sue labbra sulle mie con la delicatezza con cui un petalo si posa sull’acqua, le lecca dolcemente, quasi volesse deporre un languido bacio sulla mia bocca riarsa dal tempo e dalla neve.

«Sono il primogenito del mio branco… Devo lasciarti…».

La sorpresa per l’inaspettata rivelazione, Kalu, stando con me, aveva imparato la lingua degli umani, lascia il posto allo stupore per la melodiosa armonia della sua voce, nello stesso tempo miele dorato per le orecchie e nota tristissima e cupa nel darmi quell’annuncio.

Il suo corpo trema debolmente appoggiato contro il mio petto e come cercasse il mio abbraccio, Kalu preme su di esso con una forza che non ti aspetteresti… e io lo stringo a me con premura e dolcezza «Mi mancherai, lupacchiotto…» mettendo in quella frase tutto l’affetto che posso riuscire a trasmettere…

Mentre concludo la frase mi ritrovo a stringere Kalu-lupo che si divincola dal mio abbraccio e infila la porta che non so per quale istinto avevo lasciata aperta.

L’ultimo regalo che mi fa è un ululato, lungo, profondo, intenso come l’affetto che ha dimostrato di provare per me, e che io spero di avergli ricambiato almeno in pari misura, prima di unirsi alla lupa, che ora so essere sua madre, e poi al suo branco.

È passato un mese dall’ultimo plenilunio, la mia vita è trascorsa come sempre, con la differenza che da quel giorno mi sono sempre categoricamente rifiutato di prendere parte alle cacce degli uomini del villaggio, e sempre più spesso mi attardo nella foresta dopo una giornata di lavoro, sperando di incontrarlo…

Ma non l’ho più rivisto… Mai più…

Preview: 
continua la storia di Richard, il racconto di come Rutger e il suo branco ha cambiato la sua vita e come bonus, un'altro spaccato di vita del branco...
A presto!!! :D

   
 
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