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Dal passato
Non
era la prima volta che riviveva tutto, ma nessuna delle precedenti occasioni lo
aveva fatto sentire così... sollevato.
Forse perché Axel poteva capirlo meglio di
chiunque altro. C’era stato dentro,
e ne era uscito ben prima di sporcarsi troppo: non aveva mai avuto niente a che fare con loro. Glielo aveva letto negli
occhi tante volte, lo schifo che provava per Marluxia,
che si sforzava di reprimere soltanto perché in qualche modo doveva
vivere. L’aveva visto, compreso e inconsciamente invidiato, e
l’aveva deriso per questo.
«...
Sono qui per vedere dove va la mia
retta via...»
Scendendo dall’autobus e avviandosi senza
fretta sul marciapiede, Demyx ripensò al
ragazzino biondo che aveva visto allenarsi allo skateboard sotto lo sguardo
attento del suo vecchio complice e sorrise tra sé, chiedendosi quale
fosse stato il suo ruolo nella storia personale di Axel.
Un’altra cosa che forse non avrebbe mai
saputo.
La sorpresa più grande di quel giorno,
però, era stata un’altra: lo sguardo sbalordito di Xion quando le aveva parlato di lui, e ciò che gli
aveva confessato sull’orfanotrofio e su quel ragazzo grande e dispettoso
dai capelli rossi che era diventato il suo unico amico.
Un’altra cosa che di certo non si sarebbe
mai spiegato.
Era già il tramonto quando Demyx arrivò in vista della palazzina. Non gli
dispiaceva più pensare a quel luogo come alla propria casa, non la
sentiva più estranea. Sorrise di nuovo, apertamente, al pensare alla
nuova immagine di se stesso che ogni mattina guardava allo specchio: un adulto
finalmente autonomo, con un posto in cui stare e uno in cui lavorare, e la
coscienza un po’ meno sporca di un mese prima.
Era piacevole, una volta tanto, gestire la
propria vita.
Il tenente Lockhart
aveva davvero fatto molto per lui. Anche quel lavoro, pur momentaneo, al
negozio di articoli musicali era un obiettivo cui non si sarebbe mai aspettato
di poter arrivare senza il suo intervento. Già, doveva proprio invitarla
a cena fuori: il primo stipendio sarebbe stato l’occasione ideale.
Ora che ci pensava, chissà se Axel aveva problemi di quel genere? Magari poteva chiedere
a Tifa di intercedere anche per lui... Sempre che non lo stesse già
facendo, certo. Più che per uno sbirro, quella donna sarebbe potuta
passare per una missionaria.
Demyx arrivò all’altezza
del giardino della palazzina e si scosse dai suoi pensieri. Il portone
principale era socchiuso.
Imprecò contro la propria sbadataggine;
doveva averlo lasciato aperto quel pomeriggio, prima di uscire.
Però...
Attraversò il giardino, in fretta. No,
non poteva essere: si ricordava bene di averlo chiuso, perché nel farlo
gli erano cadute le chiavi per ben due volte. Perciò, se non lo aveva
lasciato aperto lui...
Valutò le possibilità.
Primo: Tifa. Lei era l’unica ad avere una
copia delle chiavi. Che avesse deciso di fargli una sorpresa? Poco probabile.
Secondo: un ladro o un malintenzionato. Anche
questa era un’ipotesi inconsistente; cosa poteva attirare chicchessia in
quel posto dimesso e visibilmente disabitato?
Terzo...
Demyx s’irrigidì
sulla soglia. Sentì qualcosa di gelido scorrergli giù per il
collo e la schiena. No, si rifiutava anche solo di prendere in considerazione
la terza possibilità. Sarebbe stato assurdo. Impossibile. Marluxia era fuori dalla sua vita, ormai. Era dietro le
sbarre.
Ma non riusciva a scrollarsi di dosso quel
pensiero.
Va tutto
bene,
cercò di convincersi, la mano stretta convulsamente sulla maniglia del
portone. È colpa mia, sono stato
distratto. Adesso vado di sopra e trovo la porta dell’appartamento chiusa
come l’ho lasciata.
Sforzandosi di ignorare il senso di allerta in
cui quel particolare l’aveva fatto precipitare, entrò
nell’ingresso e si sbatté forte l’uscio alle spalle. Si
prese tutto il tempo di cui aveva bisogno per convincersi di credere davvero a
quella bugia, arrancando lentamente verso la lunga rampa di scale e di
pianerottoli, scarsamente illuminata da una serie di finestre dalle ante
ammuffite.
Distratto,
distratto,
si ripeteva. È sempre stato un mio
problema. Come quando... Come quando... Beh, in questo momento il paragone non
mi viene, ma c’è di sicuro. C’è.
Un gradino dopo l’altro, un piano alla
volta, sempre più su.
Naturalmente
resta sempre valida la prima possibilità. Può essere che il
tenente Lockhart avesse un momento libero e...
Si ritrovò all’improvviso davanti
alla porta che era ancor più sicuro di aver chiuso a chiave. Era
dischiusa anche quella, e sul pavimento davanti ai suoi piedi era disegnata una
lama della luce elettrica proveniente dall’interno, il lampadario del
soggiorno.
Demyx ne fu sicuro
all’istante: oltre quella porta c’era qualcuno – qualcuno che
voleva fargli sapere che lo stava
aspettando.
Lo dicevo.
Un
ladro non avrebbe lasciato segni così evidenti della propria presenza. È Tifa, è senz’altro
lei.
Da quando in qua il pensiero del tenente gli
provocava quel tremore assurdo? Certo, la giovane donna gli piaceva molto, ma
quella non era ansia di rivederla... Era... paura?
Sciocchezze.
Scosse
la testa e deglutì. Demyx, apri questa
cazzo di porta.
Mosse un altro passo, l’ultimo, e spinse
il battente.
Davanti a lui, il soggiorno era vuoto.
Nonostante la luce accesa, si sentiva come se si
fosse immerso in un salto nel buio più profondo; ma lo scenario
familiare di casa sua lo confortò un poco. Azzardò qualche altro
passo, allontanandosi dalla porta.
In quel preciso istante squillò il
telefono.
Demyx sobbalzò
violentemente. Quando riconobbe il suono, familiare e innocuo, il sollievo fu
tale da farlo ridere come un idiota. Si avvicinò, con le ultime tracce
di circospezione, al mobile nell’angolo e sollevò la cornetta
dell’apparecchio.
«Pronto?» balbettò.
«Ehi, Demyx.»
La voce calda di Tifa Lockhart fu quasi un toccasana
per la sua testa su di giri. «Dov’eri finito? Ti cerco da un
pezzo.»
Il ragazzo si schiarì la gola; non voleva
sembrarle turbato.
«Mi scusi, tenente, sono stato fuori. Mi
chiamava per un invito a cena? Perché le ricordo che l’iniziativa
spetta a me...»
La sua risata argentina lo calmò un altro
po’.
«Sei senza speranza, ma ti perdono.»
Di colpo, la donna assunse un tono serio. «In realtà, ci tenevo ad
informarti di una cosa... Vedi, qualche giorno fa, una persona che tu dovresti
conoscere ha ottenuto... un favore. Per la sua buona condotta, sai. Dico e
ripeto dovresti perché si
tratta di una mia supposizione...»
Demyx non aveva seguito tutte
le sue parole; un formicolio alla base del collo, accompagnato da un orribile
presentimento, lo aveva distratto circa a metà del discorso.
«Demyx, mi stai
ascoltando?»
Il disagio si intensificava. Il rumore della
porta che si chiudeva alle sue spalle lo fece trasalire di nuovo.
«Demyx...?»
Con la cornetta ancora in mano, si voltò.
Un uomo vestito di uno strano impermeabile
scuro, con capelli lunghi fino ai fianchi, lo osservava coi suoi occhi gialli
da falco. Sorrideva, come trasognato.
Quando parlò, il suono della sua voce
dolce e crudele riaffiorò dal passato, insieme a mille altre cose che
nel passato non potevano essere trattenute.
«Ci rivediamo, piccolo.»
Non riusciva a muoversi. Tutto gli fu chiaro:
qualcuno lo aveva effettivamente aspettato, e lui sapeva anche il
perché.
«Saïx»
sussurrò.
La cornetta
scivolò a terra, mentre il pensiero di Demyx
correva a sua sorella, all’unica e ultima persona che avesse mai potuto
salvare.
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Vi
concedo di linciarmi. Fatelo, ci sentiremo tutti meglio. u////ù
Vorrei stare qui ore a ringraziare
tutti i lettori/recensori che si aggiungono di volta in volta, ma spero che un
sincero grazie possa riuscire dove un’intera
pagina web non potrebbe. <3
Aya ~