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Autore: Feel Good Inc    01/09/2011    2 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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43

Dal passato

 

 

 

 

Non era la prima volta che riviveva tutto, ma nessuna delle precedenti occasioni lo aveva fatto sentire così... sollevato. Forse perché Axel poteva capirlo meglio di chiunque altro. C’era stato dentro, e ne era uscito ben prima di sporcarsi troppo: non aveva mai avuto niente a che fare con loro. Glielo aveva letto negli occhi tante volte, lo schifo che provava per Marluxia, che si sforzava di reprimere soltanto perché in qualche modo doveva vivere. L’aveva visto, compreso e inconsciamente invidiato, e l’aveva deriso per questo.

«... Sono qui per vedere dove va la mia retta via...»

Scendendo dall’autobus e avviandosi senza fretta sul marciapiede, Demyx ripensò al ragazzino biondo che aveva visto allenarsi allo skateboard sotto lo sguardo attento del suo vecchio complice e sorrise tra sé, chiedendosi quale fosse stato il suo ruolo nella storia personale di Axel.

Un’altra cosa che forse non avrebbe mai saputo.

La sorpresa più grande di quel giorno, però, era stata un’altra: lo sguardo sbalordito di Xion quando le aveva parlato di lui, e ciò che gli aveva confessato sull’orfanotrofio e su quel ragazzo grande e dispettoso dai capelli rossi che era diventato il suo unico amico.

Un’altra cosa che di certo non si sarebbe mai spiegato.

Era già il tramonto quando Demyx arrivò in vista della palazzina. Non gli dispiaceva più pensare a quel luogo come alla propria casa, non la sentiva più estranea. Sorrise di nuovo, apertamente, al pensare alla nuova immagine di se stesso che ogni mattina guardava allo specchio: un adulto finalmente autonomo, con un posto in cui stare e uno in cui lavorare, e la coscienza un po’ meno sporca di un mese prima.

Era piacevole, una volta tanto, gestire la propria vita.

Il tenente Lockhart aveva davvero fatto molto per lui. Anche quel lavoro, pur momentaneo, al negozio di articoli musicali era un obiettivo cui non si sarebbe mai aspettato di poter arrivare senza il suo intervento. Già, doveva proprio invitarla a cena fuori: il primo stipendio sarebbe stato l’occasione ideale.

Ora che ci pensava, chissà se Axel aveva problemi di quel genere? Magari poteva chiedere a Tifa di intercedere anche per lui... Sempre che non lo stesse già facendo, certo. Più che per uno sbirro, quella donna sarebbe potuta passare per una missionaria.

Demyx arrivò all’altezza del giardino della palazzina e si scosse dai suoi pensieri. Il portone principale era socchiuso.

Imprecò contro la propria sbadataggine; doveva averlo lasciato aperto quel pomeriggio, prima di uscire.

Però...

Attraversò il giardino, in fretta. No, non poteva essere: si ricordava bene di averlo chiuso, perché nel farlo gli erano cadute le chiavi per ben due volte. Perciò, se non lo aveva lasciato aperto lui...

Valutò le possibilità.

Primo: Tifa. Lei era l’unica ad avere una copia delle chiavi. Che avesse deciso di fargli una sorpresa? Poco probabile.

Secondo: un ladro o un malintenzionato. Anche questa era un’ipotesi inconsistente; cosa poteva attirare chicchessia in quel posto dimesso e visibilmente disabitato?

Terzo...

Demyx s’irrigidì sulla soglia. Sentì qualcosa di gelido scorrergli giù per il collo e la schiena. No, si rifiutava anche solo di prendere in considerazione la terza possibilità. Sarebbe stato assurdo. Impossibile. Marluxia era fuori dalla sua vita, ormai. Era dietro le sbarre.

Ma non riusciva a scrollarsi di dosso quel pensiero.

Va tutto bene, cercò di convincersi, la mano stretta convulsamente sulla maniglia del portone. È colpa mia, sono stato distratto. Adesso vado di sopra e trovo la porta dell’appartamento chiusa come l’ho lasciata.

Sforzandosi di ignorare il senso di allerta in cui quel particolare l’aveva fatto precipitare, entrò nell’ingresso e si sbatté forte l’uscio alle spalle. Si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno per convincersi di credere davvero a quella bugia, arrancando lentamente verso la lunga rampa di scale e di pianerottoli, scarsamente illuminata da una serie di finestre dalle ante ammuffite.

Distratto, distratto, si ripeteva. È sempre stato un mio problema. Come quando... Come quando... Beh, in questo momento il paragone non mi viene, ma c’è di sicuro. C’è.

Un gradino dopo l’altro, un piano alla volta, sempre più su.

Naturalmente resta sempre valida la prima possibilità. Può essere che il tenente Lockhart avesse un momento libero e...

Si ritrovò all’improvviso davanti alla porta che era ancor più sicuro di aver chiuso a chiave. Era dischiusa anche quella, e sul pavimento davanti ai suoi piedi era disegnata una lama della luce elettrica proveniente dall’interno, il lampadario del soggiorno.

Demyx ne fu sicuro all’istante: oltre quella porta c’era qualcuno – qualcuno che voleva fargli sapere che lo stava aspettando.

Lo dicevo. Un ladro non avrebbe lasciato segni così evidenti della propria presenza. È Tifa, è senz’altro lei.

Da quando in qua il pensiero del tenente gli provocava quel tremore assurdo? Certo, la giovane donna gli piaceva molto, ma quella non era ansia di rivederla... Era... paura?

Sciocchezze. Scosse la testa e deglutì. Demyx, apri questa cazzo di porta.

Mosse un altro passo, l’ultimo, e spinse il battente.

Davanti a lui, il soggiorno era vuoto.

Nonostante la luce accesa, si sentiva come se si fosse immerso in un salto nel buio più profondo; ma lo scenario familiare di casa sua lo confortò un poco. Azzardò qualche altro passo, allontanandosi dalla porta.

In quel preciso istante squillò il telefono.

Demyx sobbalzò violentemente. Quando riconobbe il suono, familiare e innocuo, il sollievo fu tale da farlo ridere come un idiota. Si avvicinò, con le ultime tracce di circospezione, al mobile nell’angolo e sollevò la cornetta dell’apparecchio.

«Pronto?» balbettò.

«Ehi, Demyx.» La voce calda di Tifa Lockhart fu quasi un toccasana per la sua testa su di giri. «Dov’eri finito? Ti cerco da un pezzo.»

Il ragazzo si schiarì la gola; non voleva sembrarle turbato.

«Mi scusi, tenente, sono stato fuori. Mi chiamava per un invito a cena? Perché le ricordo che l’iniziativa spetta a me...»

La sua risata argentina lo calmò un altro po’.

«Sei senza speranza, ma ti perdono.» Di colpo, la donna assunse un tono serio. «In realtà, ci tenevo ad informarti di una cosa... Vedi, qualche giorno fa, una persona che tu dovresti conoscere ha ottenuto... un favore. Per la sua buona condotta, sai. Dico e ripeto dovresti perché si tratta di una mia supposizione...»

Demyx non aveva seguito tutte le sue parole; un formicolio alla base del collo, accompagnato da un orribile presentimento, lo aveva distratto circa a metà del discorso.

«Demyx, mi stai ascoltando?»

Il disagio si intensificava. Il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle lo fece trasalire di nuovo.

«Demyx...?»

Con la cornetta ancora in mano, si voltò.

Un uomo vestito di uno strano impermeabile scuro, con capelli lunghi fino ai fianchi, lo osservava coi suoi occhi gialli da falco. Sorrideva, come trasognato.

Quando parlò, il suono della sua voce dolce e crudele riaffiorò dal passato, insieme a mille altre cose che nel passato non potevano essere trattenute.

«Ci rivediamo, piccolo

Non riusciva a muoversi. Tutto gli fu chiaro: qualcuno lo aveva effettivamente aspettato, e lui sapeva anche il perché.

«Saïx» sussurrò.

La cornetta scivolò a terra, mentre il pensiero di Demyx correva a sua sorella, all’unica e ultima persona che avesse mai potuto salvare.

 

 

 

 

 

_________________________________________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

 

Vi concedo di linciarmi. Fatelo, ci sentiremo tutti meglio. u////ù
Vorrei stare qui ore a ringraziare tutti i lettori/recensori che si aggiungono di volta in volta, ma spero che un sincero grazie possa riuscire dove un’intera pagina web non potrebbe. <3

Aya ~

   
 
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