Fanfic su attori > Robert Pattinson
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Autore: Frytty    02/09/2011    4 recensioni
Arlyn ha perso la memoria. Non ricorda di avere una vita, ma diverse cose, al suo rientro a casa, non quadrano e lei decide che se vuole ritornare ad essere felice come un tempo, non può semplicemente aspettare, ma agire.
E Robert, che ruolo ha nella sua vita?
E Tom? E' solo il suo migliore amico, come vuole farle credere?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve!

Ce l'ho fatta a postare con un giorno d'anticipo! Sarà che studiare storia è così noioso che fare di tutto per staccarmici e quale scusa migliore della scrittura?

In questo capitolo vedremo molto di più Tom che Robert e nei prossimi sarà un po' un'altalena tra i due, quindi preparatevi, perché i "guai" non sono finiti! xD

Ringrazio le meravigliose personcine che hanno commentato lo scorso capitolo e che mi riempiono sempre di mille complimenti *.*, tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e tutti coloro che hanno soltanto letto *.* I looooove youuu! <3

Spero di riuscire ad aggiornare per venerdì prossimo, studio permettendo ç.ç

Buon fine settimana!

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Telefonai Tom il mattino successivo, mentre mi preparavo per raggiungere la libreria. Alexandra mi avrebbe dato una mano visto che erano in arrivo le nuove uscite e avevamo deciso di prendere la metro insieme.

< Dolly! Tutto bene? > Il suo tono di voce non sembrava diverso da come lo ricordavo, acceso e divertito, eppure il messaggio della sera prima mi aveva gettata in uno sconforto e in un'ansia tale, che avevo dato per scontato che anche lui stesse provando lo stesso.

< Sì, ho... ricevuto il tuo messaggio, ieri sera. Volevi parlarmi, è successo qualcosa? > Chiesi, passeggiando nervosamente dal corridoio al salotto, mentre sentivo Robert armeggiare in cucina per preparare la colazione.

< Non posso farlo per telefono. Che ne dici se ci incontriamo in libreria? > Propose con un sospiro.

< Non so, avremo molto da fare con le nuove uscite da sistemare e catalogare... senza contare i clienti. > Aggrottai le sopracciglia. Avevo capito che la libreria suscitava in Tom le stesse sensazioni che mi avevano invasa la prima volta che mi ci aveva portata: sicurezza, calore e conforto, ma non mi sembrava il posto adatto per discutere qualcosa d'importante, non con tutte le orecchie indiscrete che avrebbero potuto origliare, anche solo inavvertitamente e soprattutto non con Alexandra presente, perché, ormai ne ero sicura, poteva trattarsi solo di lei e delle preoccupazioni che pensava assillassero Tom.

< Se passassi da te intorno all'orario di chiusura? Potremmo trovare un posto tranquillo nei dintorni per chiacchierare in pace. > Suggerì con urgenza.

< Sì, d'accordo, sarebbe perfetto. > Sorrisi e annuii a vuoto, considerato che lui non poteva di certo vedermi.

< Bene, allora a stasera. > Attaccò, lasciandomi basita per un interminabile istante, immobile nel centro esatto del corridoio.

Era il solito Tom di sempre, almeno all'apparenza, ma c'era qualcosa che lo tormentava, qualcosa che temeva e di cui aveva paura, potevo percepirlo dai suoi modi frettolosi e superficiali.

Cosa poteva essere successo?

Non ebbi modo di pensarci per il resto della mattinata, che trascorsi a vuotare scatole su scatole di libri insieme ad Alexandra e a distribuire gli stessi nelle sezioni giuste. I pochi clienti che avevano deciso di sfidare il freddo della mattina, si erano limitati ai loro acquisti silenziosi e ai loro sorrisi cordiali nella nostra direzione che, spesso e volentieri, decidevamo di prenderci cinque minuti di pausa sulle comode poltrone dell'ingresso.

All'ora di pranzo, Ben, il magazziniere, si era mostrato così gentile da accontentare le nostre richieste di un caffè e un tramezzino da Sturbacks, mentre noi procedevamo con la catalogazione dei nuovi titoli.

Alexandra, seduta di fronte a me, continuava a leggermi le trame dei romanzi che trovava più interessanti, rischiando più di una volta di farmi sbagliare nella compilazione dei moduli al computer con le sue battute sarcastiche sui personaggi e rispettivi cliché di alcuni volumi.

< Senti questa: Georgia ha solo quindici anni ed è alla ricerca del vero amore, quello delle fiabe e delle principesse. E' giovane e come tutte le ragazze della sua età pensa che per piacere ad un ragazzo debba fare l'amore con lui, come le sue amiche, felicemente fidanzate dal primo anno di liceo. Poi, come all'improvviso, incontra lui, Josh, il nerd della scuola, il ragazzo fissato con la scienza e con la chimica, colui che non finisce mai in punizione e che veste in modo "alternativo". Non sa cosa la spinge verso di lui, ma decide di conoscerlo e da quel momento niente sarà più come prima. > La sua espressione disgustata la diceva lunga sulle sue preferenze letterarie. Alexandra odiava i romanzi rosa adolescenziali.

< Non sembra così orribile. > Replicai con un'alzata di spalle, bevendo un sorso del mio caffè caldo con cannella.

< No, se ti piacciono le storie pane, amore e stupidaggini. > Replicò con stizza, afferrando un altro volume dalla pila.

< Sei ingiusta! E' un libro per ragazze di quindici anni, cosa pretendi? E' l'età dei sogni e delle fiabe quella. > Risposi con ovvietà, aprendo un nuovo file.

< Sarà, ma io non sono mai stata una ragazza troppo romantica, quindi forse è per questo che quando tutte leggevano Romeo e Giulietta, io ero troppo impegnata ad immergermi nel mondo di Guerra e Pace. > Fece spallucce, dettandomi un nuovo titolo con relativo codice.

< Guerra e Pace è anche un romanzo d'amore. > Le feci presente. Era nella mia libreria e, anche se non ricordavo di averlo letto, avevo dato un'occhiata alla trama e mi ero ripromessa di rileggerlo.

< E' diverso, e poi, tra noi due, sei sempre stata tu quella fissata con la storia del principe azzurro sul cavallo bianco. > Sorrise, facendomi una boccaccia alla quale risposi con una risata divertita.

< Non mi avevi detto che Tom era esattamente il tuo principe azzurro? > Le ricordai con perfidia e un sorriso sornione sulle labbra.

Arrossì e mi fece così tenerezza che ebbi voglia di abbracciarla e di dirle che tutto si sarebbe risolto tra di loro, che, in fondo, i dubbi di Tom si sarebbero dissipati e finalmente sarebbero stati felici.

< Ne sono innamorata da così tanto, che credo di aver perso anche il senso della realtà. > Pigolò, abbassando lo sguardo.

La osservai, abbandonando lo schermo del computer.

< Ci dev'essere un motivo valido per il suo comportamento, vedrai. Magari è solo una sciocchezza, una stupida insicurezza, ma sono sicura che, prima o poi, riuscirà a parlartene e allora risolverete tutto. > La incoraggiai. Le avevo parlato del mio incontro con Tom per quella sera, tuttavia, non me l'ero sentita di promettere che avrei insistito sull'argomento. Ero convinta sarebbe stata lei l'argomento di discussione, ma se avessi preso un abbaglio, se avessi frainteso?

Annuì mesta, ritrovando il sorriso pochi istanti dopo, quando fece il suo ingresso in negozio un bambino tutto scarmigliato dal vento della città, che si trascinava dietro, con incredibile forza di volontà, suo padre che, non appena si accorse di essere al caldo, circondato dai libri, smise di ordinare al figlio di fermarsi e si guardò intorno con aria stupita e insieme sollevata.

Alexandra si occupò di loro, mentre io terminavo la mia catalogazione e mi dedicavo allo sgombero della scrivania da fatture e scatoloni vari.

Quando Tom fece il suo ingresso in negozio, pochi minuti prima delle nove, la libreria era vuota e le luci spente, ad eccezione di quelle del piano terra, dove ci trovavamo noi.

Rabbrividì per lo sbalzo di temperatura e salutò entrambe con un bacio sulla guancia, saltellando sul posto per riscaldarsi.

< Bene, allora io vado, ci vediamo domani, Arlyn? > Alexandra finì di infilarsi i guanti e mi sorrise, i capelli, che il cappellino di lana non riusciva a trattenere, mossi dal vento.

< Sì, d'accordo, a domani. > La salutai con un abbraccio, mentre Tom si limitò ad un sorriso e ad un ciao con la mano.

Ci incamminammo lungo Oxford Street, le mani infilate nei nostri cappotti, nel tentativo blando di riscaldarci, e il nostro respiro che si condensava in nuvolette di fumo davanti ai nostri occhi.

< Com'è andata oggi, a lavoro? > Mi chiese, cercando di intavolare una conversazione.

< Bene, Alexandra non ha fatto altro che darmi il suo parere su... praticamente ogni trama dei nuovi libri! > Sorrisi al pensiero, contagiando anche lui.

< Sì, beh... lei è... molto decisa, suppongo. > Commentò, arrossendo.

< Era di lei che volevi parlarmi? > Domandai, decidendomi a porre quella domanda. Non potevo aspettare ancora per dare una risposta ai miei dubbi e il suo rossore mi aveva dato coraggio.

< In un certo senso sì... e anche di te. > Abbassò lo sguardo, rallentando il passo.

Io? Cosa c'entravo io nella sua storia con Alex?

< Ho fatto qualcosa che non dovevo? > Tentai, improvvisamente presa dal panico al pensiero di quella sera in cui avevo proposto ad Alex di incontrarlo in libreria, dopo avermi accompagnata al negozio di abiti da sposa.

< No! No, niente di tutto questo! > Mi tranquillizzò, lanciandomi un'occhiata divertita. < Sono io che devo... confessarti una cosa, ecco. > Terminò con un sospiro.

Attesi, il cuore che continuava a battere all'impazzata all'interno della mia cassa toracica, quasi avesse intenzione di uscire fuori dal petto per mostrare a Tom quanto fossi agitata per quella conversazione. Non sapevo perché avesse voluto parlare con me e non con Robert, o con qualcuno dei suoi amici, o addirittura con Alexandra stessa, e poi decideva di dovermi confessare una cosa.

Lo seguii in un vicolo mal illuminato e mi fermai davanti a lui quando decise di sedersi sul muretto che divideva un pub da una piccola abitazione a pian terreno. Mi fece cenno di sedermi accanto a lui ed io obbedii, liberando il piano dalle bottiglie di birra vuote e aiutandomi con le braccia per issarmi accanto a lui.

C'era silenzio, nonostante il brusio di tutti coloro che avevano optato per una passeggiata nella strada più famosa di Londra e i lampioni a luce gialla riflettevano la loro luce ad intermittenza.

Scrutai il suo viso nella speranza di leggervi qualcosa di rassicurante, ma lui si ostinava a mantenere lo sguardo basso, negandomi l'accesso ai suoi occhi. Avrei voluto ci fosse anche Robert lì, con noi, ma soprattutto con me. Mi avrebbe avvolta nel suo abbraccio caldo e avrebbe messo fine ai brividi di agitazione che continuavano a colarmi giù, lungo la schiena, come rivoli di acqua gelida.

Sospirò, poi alzò lo sguardo al cielo nuvoloso, forse nel tentativo di prendere coraggio, poi sospirò di nuovo, muovendosi a disagio sul muretto.

< Non è semplice per me, e mi dispiace, perché so che hai già tante cose alle quali pensare, ma non riesco a tenermi tutto dentro e da quando Alexandra ha mostrato intenzioni serie nei miei confronti, mi sono detto che avresti dovuto saperlo. > Cominciò, in un mormorio così basso, che feci fatica a sentire.

< Sapere cosa, Tom? > Chiesi. Avevo un brutto presentimento, uno di quei pensieri che ti attraversavano la mente e che ti consigliavano di scappare, di fuggire da quella situazione a gambe levate, perché avrebbe fatto male. Ma io non scappai, rimasi ferma lì, il cuore che mi martellava nelle orecchie e il respiro corto, affannoso.

< Che sono innamorato di te, Arlyn. > Incontrò i miei occhi quando lo disse ed io, per un solo, lunghissimo istante, trattenni il respiro e spalancai gli occhi, incredula.

< Tu... sei... da-da-da quando, cioè... come? > Farfugliai confusa, portandomi una mano a scostarmi i capelli dal viso. Mi sentivo cadere, come se fossi appena precipitata in un burrone e non aspettassi altro che l'impatto.

Fece spallucce, gli occhi lucidi e non seppi dire se per il freddo, o per la mia reazione.

< Da... sempre, da quando ti ho conosciuta. > Ammise.

No, no, non poteva essere vero. Forse era solo un sogno, un incubo. Mi sarei svegliata e mi sarei resa conto che ero a casa, sotto le coperte, al caldo, con un braccio di Robert che mi circondava la vita, il suo viso immerso nei miei capelli e il respiro che mi solleticava il collo e le spalle.

Sì, doveva essere così.

Chiusi gli occhi e credetti di svenire.

La mia reazione era esagerata? Sì, forse, non posso negarlo, ma ero sconvolta, più di quanto lo ero stata nel momento in cui avevo saputo che Robert era il mio fidanzato e che avevamo progettato già il nostro matrimonio.

< E' uno scherzo, vero? > Mormorai poco convinta, mentre gli occhi mi si inumidivano di lacrime.

< No, non lo è. Mi dispiace. > Rispose con voce tremante.

Pensavo di aver toccato il fondo quando mi ero svegliata in ospedale e non avevo riconosciuto i volti di chi mi stava intorno; pensavo che perdere la memoria fosse una delle cose più tristi del mondo; pensavo che le possibilità che più persone fossero innamorate di te, fosse solo una prerogativa delle favole. Mi sbagliavo, succedeva anche nella realtà.

Cercai di ritornare lucida e di riflettere.

Tom era innamorato di me.

Tom era innamorato di me.

Tom era innamorato di me.

Non serviva continuare a ripeterselo nella mente con diverse inflessioni di voce; la frase rimaneva sempre la stessa, reale, così come la sua presenza al mio fianco.

< Perché hai lasciato che Robert si facesse avanti per primo? > Chiesi e il suo viso si addolcì appena.

< Eravamo cresciuti insieme, ma, sai come vanno queste cose, diventati grandi ci eravamo separati, avevamo preso strade diverse, tu avevi scelto di iscriverti all'università, mentre noi abbiamo continuato con la carriera di attori. Non ti sei chiesta come mai Robert ha raccontato di averti incontrata in libreria, quando io ti avevo mostrato una foto di noi insieme, da bambini? > Mi spiegò con calma.

Scossi la testa. Ero troppo impegnata a pensare alle mie emozioni, forse, per accorgermi che Robert non aveva accennato al nostro passato insieme, da compagni di giochi.

< In fondo è la verità. E' come se ti avesse conosciuta solo allora e tu avevi rimosso i tuoi ricordi da bambina per farne posto ad altri. Io ti ho conosciuta quando lui ha deciso di presentarti come sua fidanzata. Cosa potevo fare? Confessare al mio migliore amico che mi ero innamorato di te? E tu eri così presa da lui che, beh... dubito che mi avresti preso sul serio. > Continuò con un sorriso malinconico.

< Ma tu sei stata la prima persona che ho riconosciuto in ospedale! Mi sono ricordata di te, ma non di Robert! > Protestai come se fosse stato evidente a tutti tranne che a me.

< Avevi litigato con lui poco prima dell'incidente e il dottore ci aveva detto che, probabilmente, la tua mente avrebbe creato uno scudo difensivo, eliminando tutto quello che avrebbe potuto farti soffrire. Era perfettamente normale, Arlyn e poi mi consideravi il tuo amico più caro, il tuo confidente... > Ribadì con ovvietà.

Era stato premuroso con me oltre i limiti consentiti da un amico: era rimasto sveglio per notti pur di assicurarsi che stessi bene e non facessi brutti sogni, mi aveva tenuto la mano mentre piangevo, mi aveva accompagnata a casa e si era offerto di dormire con me per tenermi compagnia. Avrebbe potuto approfittarne, avrebbe potuto approfittare della mia fragilità per rivelarmi i suoi sentimenti, invece non l'aveva fatto, aveva atteso, aveva aspettato che Robert tornasse nella mia vita per confessarmi il suo amore; mi aveva spinta tra le sue braccia, infischiandosene della sua felicità.

< E' per questo che non vuoi spingerti oltre con Alexandra? > Abbassai lo sguardo, cercando di non piangere e di mantenere la voce ferma, reprimendo i singhiozzi.

< Le voglio bene, è mia amica e abbiamo molte cose in comune... > Sospirò.

< Ma...? > Lo aiutai io, rivolgendogli un'occhiata pensierosa.

< Ma non posso prenderla in giro e non potevo dirle la verità se prima non l'avessi svelata a te. > Mi rivolse un sorriso dolce, accarezzandomi una guancia con un dito, scostandomi una ciocca di capelli.

< Mi spiace aver reagito così male, prima. > Mi giustificai, arrossendo. Aveva fatto la cosa giusta parlandomene, ma mi aveva presa in contropiede e la mia reazione era stata esagerata e priva di senso. Confessare alla persona che ami il tuo amore dovrebbe essere una liberazione di gioia, non una delusione, e, nonostante tutto, Tom aveva comunque scelto di dirmi la verità.

< Lo capisco, è difficile adesso. > Annuì e sorrise.

Sorrisi anch'io, abbracciandolo.

 

Quando mi misi a letto, quella sera, Robert dormiva già ed io non potei fare a meno di rimuginare sulle parole di Tom.

Aveva sofferto pur di vedermi felice.

Aveva sacrificato la sua felicità, con il rischio di rimanere comunque innamorato di me, pur di vedere il suo migliore amico sereno e realizzato.

Sorrisi al pensiero che, in fondo, in ospedale, avevo quasi sperato che lui fosse il mio fidanzato: amorevole, disponibile e sempre pronto a regalarmi un sorriso.

Chissà come avrebbe reagito Alexandra quando avesse trovato il coraggio di confessarglielo.

Avrebbe sofferto? Mi avrebbe chiamata in lacrime offendendomi?

La colpa non era di nessuno dei due, l'amore non ci permetteva di decidere di chi dovessimo innamorarci, ma a volte il dolore rendeva ciechi e pieni di rabbia.

Sentii un braccio di Robert avvolgermi la vita e il fruscio delle lenzuola che venivano spostate.

< A cosa pensi? > Borbottò con ancora gli occhi chiusi, respirandomi tra i capelli.

Feci spallucce. Avrei dovuto dirglielo?

< Qualcosa di bello o di brutto? > Continuò, baciandomi il collo dolcemente, mentre io piegavo un braccio all'indietro per raggiungere la massa informe dei suoi capelli per tranquillizzarlo e coccolarlo.

Feci ancora spallucce, rifiutandomi di rispondere e sorrisi appena al suo sbuffo di disapprovazione.

< Non vuoi dirmelo? > Mugugnò come un bambino capriccioso.

Scossi la testa e seppi che, nonostante gli occhi chiusi, aveva registrato il mio movimento.

Mi baciò di nuovo il collo, inspirando il mio profumo e stringendomi contro il suo petto.

< Ti amo, lo sai? > Mi disse, sbadigliando e io risi.

< Lo so, ma adesso dormi. > Risposi in un sussurro, voltandomi per fronteggiarlo, baciandogli le labbra.

Ero ancora più confusa di prima dopo quella sera e cominciavo a pensare che non sarei mai riuscita a dire ti amo a Robert, perché, anche a distanza, anche se lui non mi avrebbe sentita, avrei inferto una ferita nel cuore di una delle persone più importanti di quella mia nuova vita e il senso di colpa sarebbe stato insostenibile.

 


   
 
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