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Autore: Il_Genio_del_Male    02/09/2011    12 recensioni
Di maghi pasticcioni, filtri d'amore, oscuri intrighi e risultati inaspettati. Tutta colpa (?) di un drago slasher...
Genere: Comico, Parodia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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DEDICA: A Cloud, sadicamente sublime, a feyilin -perché le ho promesso la dedica fissa e se la merita- e a draco potter, che si è offerta di sposarmi non sapendo a quel che andava in contro.

NOTE: Questo capitolo non mi convince per niente. Non c’è abbastanza verve, non è spumeggiante come me l’ero immaginato, in alcune parti mi sembra di averla tirata troppo per le lunghe. Sono la prima a trovarlo un po’ scialbo  e comprenderò benissimo se qualcuna di voi avrà la mia stessa impressione. Però m’è venuto così, e amen. Lascio a voi il verdetto finale.

Piccola curiosità: alla fine ho inserito un crossover abbastanza scemo ma in compenso piuttosto slash. Chi indovinerà per prima di che personaggi si tratta riceverà un premio (ehm, onore e gloria?). Ma bando alle ciance, non mi resta che augurarvi…

Buona lettura!

 

 

 

 

 

“Perché il volere bene non si compra, non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si può evitare: il voler bene succede”. (Jorge Amado)

 

 

Trascorsi che furono quattro lunghi, eterni giorni, Merlin si ritrovò suo malgrado a rimpiangere il tempo passato al servizio del principe Arthur. Non che Cenred lo frustasse per ogni minimo errore, anzi; non mancava di una certa ruvida gentilezza, e non si rivolgeva a lui come se parlasse ad un mezzo deficiente, cosa che invece l’altro faceva spesso.

Ad esasperare Merlin erano in realtà ben altre cose. In primis, quell’ossigenato (dove l’aveva già visto, un biondo così platinato?) luogotenente, che non si staccava un momento di dosso dal suo signore e gli mormorava in continuazione nell’orecchio, sembrava odiarlo con passione. Più di una volta si era visto rivolgere da costui inquietanti sguardi carichi di rancore misto a disprezzo, neanche fosse geloso di condividere il suo tesssssoro -ehm, il suo re- con un umile servitore.

Un altro motivo dello scontento di Merlin era il fatto che Cenred amasse andare a caccia. Ogni giorno. Partenza alle prime luci dell’alba, ritorno a tramonto ormai inoltrato, giusto in tempo per sorbire la cena in compagnia del padrone di casa. Ergo, Merlin aveva dovuto maneggiare ed infilare nel sacco per la selvaggina tanti di quei volatili e animaletti cecchinati dal re ospite dall’essere arrivato a considerare seriamente l’ipotesi di convertirsi alla dieta vegetariana dei Druidi. Ringraziando il Cielo, l’indomani i due sovrani avrebbero stipulato e firmato il benedetto trattato di pace, cui sarebbe seguita una celebrazione del lieto evento; e tanti saluti Cenred e combriccola!

Quanto meno, mugugnò il mago steso sul letto in uno dei rari momenti di relax concessigli, Cenred non aveva la pessima abitudine di dormire mezzo nudo, giusto per fare sfoggio del suo fisico scolpito, al contrario di Arthur.

Stranamente, l’immagine del principe che si coricava per la notte vestito solo di un paio di braghe lo fece arrossire; e sì che l’aveva visto in déshabillé, coperto da un asciugamano più o meno inguinale durante il bagnetto quotidiano tante di quelle volte, ormai, che aveva smesso di contarle. E allora, in nome dell’Antica Religione, che motivo aveva di sentirsi in imbarazzo al solo pensiero di belle spalle tornite e braccia muscolose ma al tempo stesso gommose, tanto da invogliare a testare con mano la loro morbida solidità?

Sprofondando con la testa nel cuscino, le orecchie che si arrossavano a vista d’occhio, Merlin emise un gemito che sapeva di frustrazione e sconfitta. La verità, talmente lampante e lapalissiana da essere passata inosservata sotto gli occhi di tutti, era che lui di quel principino da strapazzo era innamorato cotto. Accipigna.  

Un amore senza speranza, ovviamente, non tanto per il fatto che l’altro era  il futuro sovrano e che un giorno si sarebbe dovuto sposare e mettere al mondo degli eredi, quanto perché:

a) andava dietro a Gwen da un anno abbondante;

b) trattava il suo servitore a malapena alla stregua di amico, figurarsi qualcosa di più.

Tra le due constatazioni non sapeva quale lo rattristasse maggiormente. Troppo raramente Arthur si era scusato con lui per averlo accusato ingiustamente o non aver creduto nella sua buona fede. Ancor più di rado si era mostrato fiero di averlo accanto a sé, di tenere veramente a lui. Gli era capitato di dovergli salvare la pelle e trarlo d’impiccio, certo, ma in quelle occasioni era stato il suo orgoglio di prode cavaliere, di eroe senza macchia e senza paura a guidarlo.

Gli tornò alla mente il breve scambio di battute avuto con Hunith, sua madre, la volta che si era recato a Ealdor con Arthur per liberare il villaggio dalle razzie di alcuni predoni balordi.

“Arthur deve tenerci molto, a te”.

“Lo farebbe per ogni villaggio, è fatto così”.

“E’ più di questo! E’ per te che è qui a Ealdor”.

“Sono soltanto il suo servo”.

“Gli piaci, questo devi riconoscerlo”.

“Perché non sa della mia vera natura. Se la conoscesse, sarei già morto”.

“Tu non credi a quello che dici”.

Già, per non parlare del fatto che Merlin era un mago, e anche bravino. Se Arthur l’avesse scoperto prima del necessario, come diamine avrebbe reagito? L’istinto gli diceva che non l’avrebbe denunciato ad Uther: il ragazzo era sì asino, ma non un meschino delatore. Però di sicuro non avrebbe voluto avere a che fare con lui per molto tempo, poiché se c’era una cosa che il rampollo dei Pendragon proprio non tollerava era la menzogna, e a questo espediente Merlin era ricorso anche troppo di frequente per giustificare strane amnesie, incredibili botte di culo e misteriose uccisioni di bestiacce magiche. Senza contare che Arthur avrebbe potuto sentirsi minacciato dall’enorme potere del suo servo, nonché terribilmente umiliato una volta saputo in quante e quali occasioni a salvargli la vita e il regal deretano era stato proprio lui. Benché non ritenesse di avere un’indole vigliacca, Merlin sperava ardentemente che il confronto con l’asino avvenisse il più tardi possibile.

“Il tuo posto è a fianco di Arthur. Ho visto quanto ha bisogno di te e quanto tu hai bisogno di lui. Siete come facce della stessa moneta”.

“Qualcuno me l’ha già detta, questa cosa”.

Prima Kilgharrah, poi sua madre. Davvero non riusciva a condividere il loro ottimismo, a capire perché entrambi insistessero così tanto sulla presunta forza del suo legame con Arthur. Altro che facce della stessa moneta, loro due erano e sarebbero rimasti l’uno per l’altro l’Asino Reale e l’Idiota.

Merlin bloccò il flusso dei suoi pensieri, imponendosi di concentrarsi su qualcos’altro, tipo il disordine che regnava sovrano nella sua stanzetta. Scervellarsi troppo a lungo riguardo al biondo babbeo nuoceva gravemente al suo equilibrio psicofisico.

Fu con immensa gratitudine, dunque, che ricevette l’ordine da parte di Cenred -riferitogli da uno dei suoi soldati, entrato senza neanche bussare- di sbrigare una commissione urgente per lui. Lieto di potersi distrarre, Merlin lo seguì.

 

 

La ‘commissione urgente’ si rivelò consistere nello strigliare, abbeverare e perché no, anche ferrare i cavalli di Cenred e compagnia danzante –per un totale di centoventidue destrieri, altrettante razioni di fieno e acqua fresca e quattrocentoottantotto zoccoli.

“Nel caso ti avanzi un po’ di tempo, da’ anche una pulita alla stalla, ci siamo intesi ragazzo?”

Detto questo, il soldato lo lasciò premurosamente alle prese con gli equini.

Tuttavia Merlin, che trovava il compito di stalliere ancora più noioso e degradante del tirare a lucido l’intero castello (marcondirondirondello) e ben consapevole che la mole di lavoro fosse impossibile da smaltire entro sera completamente da solo, assicuratosi che la porta fosse ben sigillata e che nessuno fosse nei paraggi se la sbrigò a modo suo. Mormorò un paio d’incantesimi -i suoi occhi si illuminarono di un lampo dorato- e in un baleno i cavalli furono spazzolati con la massima perizia, le loro scorte alimentari rimpolpate e l’intero padiglione brillò.

Benedicendo ancora una volta la magia il nostro eroe sogghignò e, per non far sorgere sospetti sulla sua prodigiosa efficienza, decise di trascorrere le ore che gli rimanevano concedendosi un meritato pisolino (troppe notti aveva passato quasi insonne interrogandosi sul perché amasse un somaro borioso come Arthur). Si rifugiò nell’ultimo box in fondo a sinistra, dove era stato sistemato un ronzino, probabilmente appartenente ad uno dei decrepiti consiglieri di Cenred. Il tempo di collocare a fianco del cavallo -e non dietro, come aveva imparato a proprie spese- un poco di paglia e di accomodarvisi sopra e Merlin si addormentò di botto, russando quietamente.

 

 

A strapparlo bruscamente dal mondo dei sogni (il cui protagonista era un Arthur inedito e decisamente audace, ma è meglio non soffermarsi oltre perché il rating della storia è verde/giallo e non possiamo permetterci di sgarrare) ci pensarono due sconosciute voci maschili che borbottavano concitate.

“Ne sei proprio certo, Gellert?”

“Ti dico di sì, Albus. Qui non ci disturberà nessuno, ho già controllato”.

“Non per fare il guastafeste, ma l’ultima volta che mi hai dato questa risposta siamo stati beccati da Cenred in una posizione piuttosto compromettente”.

Merlin, che fino a quel momento aveva origliato la conversazione più per abitudine che per reale interesse, al sentir nominare Cenred drizzò le antenne, ovvero gli enormi padiglioni auricolari che si ritrovava come orecchie. Evitando di far scricchiolare il fieno sotto di sé si mise in posizione eretta e, con grande cautela, si arrischiò a lanciare un’occhiata ai due uomini. Da quel che riuscì a scorgere notò che erano entrambi dei soldati, giovani e di bell’aspetto. Quello più alto aveva liscissimi capelli color rame lunghi fin quasi alla vita, l’altro invece era un biondino riccioluto dall’aria impertinente.

“In nome dei fratelli Peverell, Albus! Come se Cenred non fosse al corrente della nostra relazione da tempo immemore” ridacchiò maliziosamente, accennando una carezza al viso del compagno.

Ma l’altro si scostò, ostentando una certa freddezza.

“Non ci provare, Gertie. Sbaglio o mi hai trascinato fin qui con la scusa di dovermi informare di una questione della massima segretezza?”

Il soldato di nome Gellert arricciò le labbra visibilmente contrariato -somigliava tanto ad Arthur con il broncio- ma ritirò la mano ed assunse un’aria cospiratoria.

“Non era una scusa, Al, dicevo sul serio. Devi promettermi che non ti farai sfuggire alcunché, perché è veramente roba che scotta”.

“Giurin giurello, lo prometto” recitò Albus con la mano destra sul cuore da bravo boyscout.

“Bene. Lo scoop è: ho finalmente scoperto il perché della nostra scampagnata a Camelot. Il buon Cenred ci ha tirati tutti scemi, alla faccia del trattato di pace! Domani, durante la cerimonia della firma, al segnale convenuto noi dovremo irrompere nella Sala del Trono e far fuori Pendragon e il figlio”.

L’assoluto tono di indifferenza nella sua voce fece rabbrividire Merlin, teso come una corda di liuto nel tentativo di captare ogni singola parola di quel colloquio.

“Capisco. E Cenred pensa davvero che i soldati di Uther si limiteranno ad assistere alla scena senza intervenire?” osservò l’altro, ironico.

Gellert sbuffò.

“Certo che no, Al, cosa credi? A quanto pare le guardie verranno messe a nanna da un incantesimo, così potremo agire indisturbati”.

“Notevole. E tu come fa a sapere tutto ciò, di grazia?”

“Ho beccato il nostro re che confabulava con il nuovo luogotenente: sai, quello con le sopracciglia depilate e chiaramente biondo tinto. Credo proprio che il tipo sia un mago o qualcosa di simile, perché l’ho sentito dire che conosceva un rimedio adatto. Comunque suppongo che ne verremo informati anche noi altri questa sera stessa, dopo il banchetto”.

“E allora perché tutta questa urgenza di anticiparmelo?”

“Tu odi essere all’oscuro di qualcosa, Albus. Pensavo di farti un piacere. E poi mi serviva una scusa per poter pomiciare in santa pace” rispose con fare suadente, posando un bacio sull’incavo tra il collo e la clavicola dell’altro.

Prima di essere costretto ad assistere ad un incontro ravvicinato del terzo tipo tra i due, Merlin biascicò un incantesimo che fece piombare gli amanti diabolici in un sonno profondo e, sgattaiolato con circospezione fuori dalla stalla, li lasciò distesi su pavimento a ronfare.

Per tutto il Fantabosco, Camelot correva un serio pericolo! Doveva trovare una soluzione ed agire il prima possibile.

Correndo il più veloce che poteva, si diresse al laboratorio di Gaius.

 

 

 

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Eccoci giunti all’ angulus dell’autrice…

Non so, ditemi voi cosa ne pensate: mi fare(s)te tanto felice –sì, persino in caso di critica.

Ah, ringrazio sempre le anime pie che commentano, seguono, ricordano e preferiscono questa fanfiction. Un abbraccio stritolante a tutte voi!

 

 

   
 
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